Durante l’età repubblicana gli architetti e gli ingegneri romani, che in massima parte sono rimasti anonimi, si dedicano non solo a perfezionare
tecniche più antiche – ispirandosi in primo luogo ai modelli greci – ma anche a testarne di nuove.
Sono soprattutto la
sperimentazione e l’impiego di nuovi materiali, insieme alla particolare attenzione data all’utilità degli edifici, a differenziare la
storia dell’architettura romana da quella greca.
FOCUS
MATERIALI E TECNICHE ARCHITETTONICHE
I materiali
La capacità di sfruttare le materie prime locali – come per esempio il travertino, una pietra chiara che ricorda il marmo greco, e il tufo, una pietra più scura ma molto tenera, quindi facile da lavorare –, la messa a punto di nuove modalità nell’uso del mattone e soprattutto, a partire dal II secolo a.C., il largo impiego dell’opus caementicium (opera cementizia) sono gli elementi che contraddistinguono le tecniche costruttive dei Romani.
Sperimentata già dalla fine del III secolo a.C. e messa ampiamente in pratica dal II secolo a.C., la tecnica dell’opus caementicium comporta una vera e propria rivoluzione dei sistemi costruttivi. Si tratta di una tecnica edilizia che consiste nel riempire lo spazio tra due paramenti murari (cioè le parti a vista dei muri) con una mescolanza di malta (calce mista a sabbia o pozzolana) e caementa (pietre o ghiaia) che, solidificandosi, viene a costituire un corpo unico con i mattoni o le “tufelle” (i blocchi di tufo) dei paramenti. Tra le prime realizzazioni in opus caementicium va ricordato il Santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina (► p. 225).
Una volta realizzati i paramenti murari, la loro superficie poteva essere rivestita di lastre di altri materiali, come il marmo e il travertino.