Uno dei monumenti che più caratterizzano la Roma augustea è l’Ara Pacis, posta nel Campo Marzio accanto al grande orologio solare fatto costruire
da Augusto nello stesso periodo. Inaugurato nel 9 a.C. con il nome di Ara Pacis Augustae ("Altare della pace augustea"), il grande altare era
stato voluto dal Senato, che ne aveva decretato la costruzione nel 13 a.C. per celebrare le vittorie pacificatrici di Augusto in Gallia e in Spagna.
Il recupero dell’Ara Pacis è durato più di quattro secoli, dai ritrovamenti fortuiti del Cinquecento fino alla ricomposizione, presso il Tevere,
del 1938, passando attraverso complesse fasi di scavo. Oggi il monumento è conservato nel Museo dell’Ara Pacis, realizzato nel 2006 su progetto
dell’architetto americano Richard Meier.
La descrizione e lo stile
Realizzata interamente in marmo, l’opera è formata da un altare circondato da un recinto aperto sui lati minori.
L’altare è costituito da una mensa su podio, al quale si accede salendo alcuni gradini. Sullo zoccolo sono scolpite forse le
allegorie delle province, mentre il fregio superiore rappresenta una scena di suovetaurilia, il sacrificio di
un montone, di un maiale e di un toro, presente tradizionalmente nei rilievi romani.
Intorno al nucleo centrale del monumento, la superficie interna del recinto è divisa in due fasce: nella fascia inferiore è riprodotto l’aspetto di una
palizzata lignea, mentre in quella superiore sono raffigurate ghirlande sorrette da bucràni (teschi di bue) e pàtere
appese.
All’esterno del recinto, i due registri sono divisi da una fascia a meandro: quello inferiore è decorato da girali d’acanto; quello
superiore è figurato. Vi si snoda, sui due lati lunghi, una medesima processione, compiuta nel 13 a.C. cui partecipano i sacerdoti e i membri della
famiglia di Augusto.
In testa, sul lato meridionale, si possono osservare i littori, le simboliche guardie del corpo munite del fascio (ossia l’insegna costituita da un fascio
di bastoni e una scure, simbolo di potere e autorità); seguono gli officianti e i pontefici, vestiti con la toga, tra i quali, col capo coperto,
Augusto, in qualità di pontefice massimo.
Sfilano quindi i Flamini, i sacerdoti preposti al culto delle divinità; dopo di loro procedono i membri della casa regnante, nell’ordine di successione:
in testa a questo gruppo si trova il genero Agrippa (che morirà l’anno successivo, nel 12 a.C.) con il capo velato; accanto a lui c’è il nipote Gaio
Cesare, suo successore designato. Seguono poi alcune coppie, tra le quali forse Livia e Tiberio (ma le identificazioni sono discusse) e, in abito
militare, Druso e la moglie Antonia Minore (figlia della sorella di Augusto) con il figlio Germanico, che aveva allora due anni, tenuto per mano.
Ai lati dell’ingresso principale sono rappresentati due miti sulle origini di Roma, che hanno la funzione di sottolineare la provenienza di Augusto. A
sinistra, Marte e il pastore Faustolo guardano la lupa che allatta i gemelli Romolo e Remo presso il fico sacro del santuario del
Lupercale. A destra, Enea, col capo velato, è in procinto di sacrificare la scrofa di Laurento, assistito dal figlio Ascanio e da due
officianti.
Ai lati dell’ingresso opposto, si trova l’allegoria della nuova età dell’oro: Saturnia Tellus, la Terra da altri interpretata come Venere o
Pax; simbolo di fecondità, fa da corrispettivo alla figura di Roma, che è posta al di là della porta, seduta su una catasta di armi. Si tratta
di un messaggio, dunque, volto a rimarcare che la prosperità dell’epoca è stata raggiunta grazie a un’opera di pacificazione, intrapresa da Augusto e
resa possibile dalla pietas che lega la famiglia dell’imperatore agli dèi.
Anche lo stile diviene qui propaganda: tutto appare calmo, simmetrico, solenne, senza tensioni né passioni, in una purezza astratta, sottolineata
dall’ordinata disposizione delle singole figure, che, come è tipico dello stile augusteo, vuole riprodurre la perfezione della
grecità classica ed ellenistica.