10.  ROMA IMPERIALE >> L’arte romana in età imperiale

Arte colta e arte plebea

Come abbiamo visto, in epoca repubblicana, oltre alla massiccia importazione a Roma di opere greche originali, aumenta la produzione di copie per abbellire residenze private e monumenti pubblici. In età imperiale, questo filone dell’arte romana si consolida, perpetuando l’arte classica e aderendo ai suoi modelli. Accanto a questa "arte colta", tuttavia, continua ad affiorare anche un’arte che aveva elaborato con modi propri gli antichi modelli greci, senza raggiungere la complessità delle creazioni più recenti e dando vita a un linguaggio figurativo diverso, non legato ai canoni classici, e che è chiamata da alcuni studiosi "arte plebea". Una distinzione troppo netta tra questi due orientamenti sarebbe però troppo artificiosa, anche perché essi convivono in molte produzioni artistiche romane.

Arco di Augusto a Susa

In epoca imperiale il linguaggio dell’arte plebea è impiegato anche in monumenti ufficiali, sebbene in luoghi spesso lontani dalla capitale, come nel caso dell’Arco di Susa, vicino a Torino (12). Fu costruito lungo l’antica strada delle Gallie per ricordare la pace tra l’imperatore Augusto e il re Cozio, che era a capo di una confederazione di tribù alpine, e va datato allo stesso periodo dell’Ara Pacis. Lungo tutto l’arco corre il fregio celebrativo a bassorilievo. Sul lato occidentale sono raffigurati personaggi che firmano i patti alla presenza dei rappresentanti delle popolazioni cozie, citate nell’iscrizione ripetuta sulle due facciate dell’arco. La scena rappresentata sul lato orientale, forse con soggetto simile, è invece andata completamente distrutta. Sui lati lunghi, a nord e a sud, sono rappresentate due cerimonie sacrificali a suggello dell’accordo. A nord è rappresentato un suovetaurilia, probabilmente ufficiato dal re Cozio con vari addetti al seguito e alla presenza di uomini in armi. A sud è raffigurata, secondo uno schema simile, una seconda cerimonia sacrificale (13), in cui Cozio – diventato ormai prefetto della confederazione dei popoli alpini – è alla sinistra dell’altare nella veste di sacerdote, con il capo coperto, nell’atto di compiere un sacrificio in onore dei Dioscuri. A destra dell’altare compare un altro personaggio togato con il capo coperto, forse un magistrato romano in rappresentanza dell’imperatore, seguito dai littori che portano i fasci. Variamente disposti sui lati dell’ara sacrificale, avanzano gli addetti al sacrificio, con gli inservienti che portano vasi e strumenti e che trascinano gli animali da immolare; il tutto è accompagnato dalla musica, come dimostra la presenza dei suonatori di corni (qui non visibili).
Il fregio, pur trattando un tema di rilevanza politica, presenta uno stile semplice e approssimativo. Tutte le figure sono disposte in rigida successione, senza prospettiva; le dimensioni più grandi di alcune figure, come il toro condotto all’altare, sottolineano l’importanza del gesto sacrificale. Nella composizione della narrazione è inoltre evidente la mancanza di fusione tra i vari elementi. Gli artisti locali, infatti, incontrarono difficoltà nel riprodurre soggetti estranei alle loro tradizioni: gli elementi romani, come per esempio i personaggi togati, sono privi di naturalezza e resi in maniera poco dettagliata rispetto ad altri soggetti più familiari (quali i cavalli), conferendo di conseguenza alla scena una sorta di scompenso compositivo.