10.  ROMA IMPERIALE >> L’arte romana in età imperiale

I sarcofagi figurati

Sin dall’età di Adriano diviene prevalente l’uso di inumare i defunti, anziché cremarli e conservarne le ceneri. Questo comporta il passaggio dalle urne cinerarie alle grandi casse marmoree, spesso decorate come quelle in uso in Grecia e in Asia Minore. A differenza dei sarcofagi greci e orientali, però, quelli romani sono addossati con un lato lungo alla parete della camera sepolcrale e sono perciò decorati solo su tre lati. Con il consolidarsi della nuova pratica funeraria inizia una produzione in serie dei sarcofagi, che mantiene comunque un’alta qualità e che spesso si ispira alla pittura ellenistica nella scelta dei soggetti.
Gli oltre 15 000 sarcofagi figurati romani giunti fino a noi costituiscono un’eccezionale testimonianza circa le officine, i modelli e l’evoluzione stilistica, e ci informano sul rapporto tra essere umano, morte e religione. Molti di questi sarcofagi, riscoperti agli inizi del Rinascimento, ebbero un ruolo importante per gli scultori del tempo nel recupero di forme e modelli. I sarcofagi più antichi si rifanno a soggetti orientali, con ghirlande sorrette da figure, che in ambito romano sono intercalate da piccole scene mitologiche. Ben presto però le scene mitologiche coprono le pareti dell’intera cassa: al mito di Oreste o dei Niobidi si aggiungono i miti di Meleagro, di Alcesti e di Medea, tutti riconducibili a un destino di morte. Alla metà del II secolo d.C., cominciano ad affermarsi temi allusivi all’immortalità dell’anima, come Dioniso con corteo di satiri e menadi o mentre risveglia Arianna. Solo nella seconda metà del II secolo si diffondono soggetti, sia civili sia militari, legati al quotidiano: scene di matrimonio, di vita o di guerra, in una sorta di rilievo storico privato, dove sempre più frequentemente compare un personaggio con il volto del defunto.