2.  IL ROMANICO

L’arte romanica

La scoperta del Romanico

Si definiscono romaniche l’architettura e le arti figurative sbocciate tra la fine del X e gli inizi dell’XI secolo e maturate nel corso di duecento anni, sino al termine del XII secolo. Queste date rappresentano però un’approssimazione, che conosce infinite declinazioni locali: in alcune zone, come nell’Île-de-France, alcuni edifici mostrano già caratteristiche proprie di un nuovo stile – il Gotico – alla metà del XII secolo, mentre può accadere che altre regioni si attardino, agli inizi del XIII secolo, in forme ancora romaniche.
La nascita del Romanico (in francese Art roman, in inglese Romanesque Art) come categoria stilistica distinta dalla successiva arte gotica risale a due secoli fa, ed è stata fondamentale per iniziare a conoscere le opere di questo periodo. Sino all’Ottocento, infatti, non si distingueva nettamente fra le diverse espressioni figurative e architettoniche prodotte nel lungo periodo che va dalla caduta dell’Impero romano al Rinascimento (XV secolo). Per molto tempo esse furono definite "germaniche" o "gotiche", ovvero considerate in modo generico e detrattivo come barbare e primitive.
Uno dei primi eruditi a utilizzare il termine Romanico fu il francese Charles de Gerville, che a proposito delle chiese normanne adottò nel 1818 il termine francese roman (da non confondere con romain, che significa "romano"), già in uso per definire le lingue romanze, cioè le lingue sviluppatesi dal latino. Un anno dopo, nel 1819, lo storico inglese William Gunn definì con il termine romanesque – utilizzato per indicare il "dialetto romanesco", cioè un latino degradato – una cultura che, per quanto imperfetta e vivacemente fantasiosa, affondava le sue radici nell’arte romana. Altri studiosi, italiani e francesi, avrebbero concordato in seguito sull’idea che il Romanico si fosse sviluppato dal filone più popolare dell’arte tardoromana, così come le lingue romanze si erano evolute non tanto dal latino classico, ufficiale e aulico, per secoli sopravvissuto nei documenti e nei testi liturgici, quanto da quello vernacolare, diffuso nelle province dell’Impero romano: il cosiddetto volgare (da intendere come "popolare", da vulgus, "popolo").
Sebbene queste definizioni avessero il vantaggio di attribuire al Romanico una specificità e un valore propri, non riuscivano tuttavia a spiegare l’arte sviluppatasi negli stessi secoli nelle aree di lingua tedesca o inglese o quella fiorita nella Sicilia normanna, influenzata anche dal mondo bizantino.