Il secondo Ottocento – L'autore: Giovanni Verga 1 La vita Gli anni giovanili e le prime esperienze letterarie Giovanni Verga nasce a nel da una famiglia che vanta antiche tradizioni nobiliari. Allievo di un poeta di gusto romantico, don Antonino Abate, sacerdote dagli ideali patriottici, ne subisce l’influsso, visibile nella scrittura dei primi romanzi, animati da fervore civile e risorgimentale. Dopo la spedizione garibaldina in Sicilia (1860), Verga, abbandonati gli studi di giurisprudenza, presta servizio, dal 1860 al 1864, nella Guardia nazionale, istituita sull’isola dopo l’Unità d’Italia per contrastare la resistenza delle ultime formazioni borboniche e reprimere i tentativi dei contadini di occupare i latifondi mettendo in pericolo l’ordine sociale. Catania 1840 L’infanzia e la giovinezza Liberatosi dagli impegni militari, il giovane letterato decide di trasferirsi sul continente, unica possibilità per chi, come lui, ambisce al successo e alla fama. Dal 1865 compie dunque i primi viaggi a , dove si inserisce brillantemente nella vita mondana e culturale dell’allora capitale, risiedendovi a partire dal . La conoscenza di scrittori e intellettuali influenti (tra questi, soprattutto Francesco dall’Ongaro e Caterina Percoto) gli apre le porte del bel mondo della città, consentendogli di frequentare i protagonisti dei caffè e dei salotti più rinomati. Importante si rivela l’incontro con i , che si ritrovano al Caffè Michelangiolo, e con un altro intellettuale siciliano, , allora critico teatrale del quotidiano fiorentino “La Nazione”. I mesi trascorsi a Firenze sono fondamentali per la formazione di Verga, che nel 1871 pubblica un romanzo di successo ( ) e si convince che «per diventare qualcosa bisogna vivere in mezzo a questo movimento incessante, farsi riconoscere, conoscere, respirarne l’aria», come scrive nel maggio 1869 in una lettera al fratello Mario. Firenze 1869 pittori macchiaioli Luigi Capuana Storia di una capinera Il soggiorno fiorentino Ansioso di immergersi nel , Verga nel si trasferisce a , dove risiede per oltre un ventennio. Qui entra in contatto con gli ambienti della , legge i grandi romanzieri del Naturalismo francese e nel frattempo conduce un’esistenza brillante, tra amicizie galanti e sodalizi intellettuali. «Milano è proprio bella», scrive nel 1874 a Capuana, «e credimi che qualche volta c’è proprio bisogno di una tenace volontà per resistere alle sue seduzioni e restare al lavoro. Ma queste seduzioni stesse sono eccitamento continuo al lavoro, sono l’aria respirabile perché viva la mente e il cuore». Dopo la notorietà ottenuta grazie ai suoi romanzi sentimentali (1873), e (1875), Verga matura la conversione a una nuova poetica letteraria: l’ si deve soprattutto alla conoscenza dei romanzi di Émile Zola, all’interesse per le condizioni socioeconomiche del Sud (nell’ambito della cosiddetta “questione meridionale”) e al legame con Capuana, che lo raggiunge a Milano. cuore della vita culturale del paese 1872 Milano Scapigliatura Eva Eros Tigre reale adesione al Verismo Nel cuore della cultura italiana: il periodo milanese La svolta verista e il ritorno in Sicilia In questo periodo nascono i verghiani. Dopo il primo racconto verista, (1878), escono per l’editore Treves di Milano la raccolta di novelle (1880) e il romanzo (1881), primo capitolo di un progettato in cinque volumi. L’accoglienza del pubblico è però fredda: « », scrive l’autore a Capuana nell’aprile del 1881, «hanno fatto fiasco, fiasco pieno e completo». Ma l’insuccesso non lo porta comunque a ripensare la scelta letteraria compiuta: «Il peggio è che io non sono convinto del fiasco e che se dovessi tornare a scrivere quel libro lo farei come l’ho fatto». In effetti, anche negli anni successivi, Verga non abbandonerà la poetica verista, portando a termine nel 1883 la raccolta delle e, nel 1889, il romanzo ; nel frattempo scrive per il teatro, e riscuote grandi consensi il dramma (1884), ispirato all’omonima novella, interpretato dalla regina delle scene italiane, Eleonora Duse. grandi capolavori Rosso Malpelo Vita dei campi I Malavoglia Ciclo dei Vinti I Malavoglia Novelle rusticane Mastro-don Gesualdo Cavalleria rusticana Il decennio verista >> pag. 170 Nel Verga torna in . Angustiato dal disinteresse della critica e del pubblico per i suoi romanzi, può almeno far fronte alle precarie condizioni economiche, grazie alle 143 000 lire (all’epoca una cifra favolosa) che ottiene, alla fine di un lungo contenzioso, come diritto d’autore per la riduzione musicale di a opera di Pietro Mascagni. Preoccupato per la gestione dei beni familiari, lo scrittore lavora con poca convinzione alla conclusione del , che infatti non porta a termine. Dividendosi tra Catania e i possedimenti terrieri di Vizzini, un borgo agricolo nel Catanese, vive ormai nel silenzio, allontanandosi da quel mondo intellettuale che pure per anni aveva tenacemente inseguito e frequentato. Mentre la parabola creativa lentamente si esaurisce, le sue si fanno sempre più : già sostenitore di Crispi negli anni Novanta dell’Ottocento, nel 1912 aderisce al Partito nazionalista e appoggia l’intervento italiano nella Grande guerra. 1893 Sicilia Cavalleria rusticana Ciclo dei Vinti posizioni politiche conservatrici Il ritorno a Catania e il silenzio letterario Finalmente, dopo la fine del conflitto mondiale, la sua opera letteraria incontra i primi, . Lo dimostrano i festeggiamenti per i suoi ottant’anni, celebrati nel 1920 a Roma nel corso di una cerimonia presieduta da Luigi Pirandello e promossa dal ministro della Pubblica istruzione, Benedetto Croce, cui però Verga, deciso a non infrangere l’isolamento in cui si è chiuso, non partecipa. Anche la nomina a , sollecitata da Giolitti nel 1920, lo lascia indifferente. Muore due anni dopo, nel gennaio del , a , per una trombosi cerebrale, dopo una notte di agonia della quale nessuno dei familiari si accorge. Ironia della sorte: la stessa triste fine di un suo grande personaggio letterario, Mastro-don Gesualdo. tardivi riconoscimenti critici senatore del Regno 1922 Catania Gli ultimi anni il carattere Uno schivo seduttore Nel 1881, in una lettera all’amico Luigi Capuana, Verga lo invita – anzi quasi lo supplica – a scrivere al suo posto una breve autobiografia richiestagli da un giornalista francese: «Tu mi conosci abbastanza per dire quello che può interessare la curiosità banale di questo genere, senza cascare nel ridicolo di farmi posare pel ritratto». Basterebbe questo aneddoto per confermare un consolidato luogo comune sull’autore dei : il suo temperamento schivo, ai limiti del patologico. Ma le cose stanno davvero in questi termini? Il riservato Verga, che passa in scontroso isolamento gli ultimi anni della sua esistenza, lontano dai riflettori e dal pubblico, in realtà non è sempre stato così ritroso. Basta seguirne le tracce nel ventennio d’oro milanese, dove il suo volto olivastro dai lineamenti fini, i capelli neri ricciuti e l’ammiccante riservatezza nel dialogo ne fanno una figura affascinante nel mondo dei salotti. Questo gran signore, di frequente oppresso dai debiti, è uno scapolo convinto. «Amo la mia libertà, la mia indipendenza assoluta e la mia dignità. Per amor di Dio non cambiate tutto questo in una catena che diverrebbe odiosa a entrambi», scrive a una delle sue amanti. Di fronte a qualsiasi proposta matrimoniale, Verga si ritira nella sua riservata solitudine. Più che la presenza di una moglie, gli stanno a cuore la propria libertà e la cura delle proprietà: i medesimi interessi di diversi personaggi delle sue novelle. Nonostante ciò, ovunque lo accompagna una fama di irresistibile dongiovanni. I suoi successi galanti non si contano e suscitano gelosie illustri come quella di Carducci, il quale sentendo da lui minacciata la propria relazione con una delle sue muse, Lidia (Carolina Cristofori Piva), definisce senza mezzi termini l’antagonista «falso cavaliere e in tutto imbecille uomo», «rifiuto isolano», «vigliacco ridicolo parvenu». Malavoglia Il successo mondano La scelta della solitudine