Il secondo Novecento e gli anni Duemila – L'autore: Pier Paolo Pasolini LABORATORIO verso l'esame  TIPOLOGIA A    analisi del testo   L’omologazione culturale Scritti corsari In un articolo dall’emblematico titolo (uscito inizialmente sul “Corriere della Sera” il 10 giugno 1974) Pier Paolo Pasolini riflette su alcune caratteristiche degli italiani, a un mese dalla vittoria del “no” al referendum sull’abrogazione del divorzio. Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia L’omologazione «culturale» che ne è derivata riguarda tutti: popolo e borghesia, operai e sottoproletari. Il contesto sociale è mutato nel senso che si è estremamente unificato. La matrice che genera tutti gli italiani è ormai la stessa. Non c’è più dunque differenza apprezzabile – al di fuori di una scelta politica come schema morto da riempire gesticolando – tra un qualsiasi cittadino italiano fascista e un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicologicamente e, quel che è più impressionante, fisicamente, interscambiabili. Nel comportamento quotidiano, mimico, somatico non c’è niente che distingua – ripeto, al di fuori di un comizio o di un’azione politica – un fascista da un antifascista (di mezza età o giovane: i vecchi, in tal senso possono ancora esser distinti tra loro). Questo per quel che riguarda i fascisti e gli antifascisti medi. Per quel che riguarda gli estremisti, l’omologazione è ancor più radicale. A compiere l’orrenda strage di Brescia sono stati dei fascisti. Ma approfondiamo questo loro fascismo. È un fascismo che si fonda su Dio? Sulla Patria? Sulla Famiglia? Sul perbenismo tradizionale, sulla moralità intollerante, sull’ordine militaresco portato nella vita civile? O, se tale fascismo si autodefinisce ancora, pervicacemente, come fondato su tutte queste cose, si tratta di un’autodefinizione sincera? Il criminale Esposti – per fare un esempio – nel caso che in Italia fosse stato restaurato, a suon di bombe, il fascismo, sarebbe stato disposto ad accettare l’Italia della sua falsa e retorica nostalgia? L’Italia non consumistica, economa e eroica (come lui la credeva)? L’Italia scomoda e rustica? L’Italia senza televisione e senza benessere? L’Italia senza motociclette e giubbotti di cuoio? L’Italia con le donne chiuse in casa e semi-velate? No: è evidente che anche il più fanatico dei fascisti considererebbe anacronistico rinunciare a tutte queste conquiste dello «sviluppo». Conquiste che vanificano, attraverso nient’altro che la loro letterale presenza – divenuta totale e totalizzante – ogni misticismo e ogni moralismo del fascismo tradizionale. Dunque il fascismo non è più il fascismo tradizionale. Che cos’è, allora? I giovani dei campi fascisti, i giovani delle SAM, i giovani che sequestrano persone e mettono bombe sui treni, si chiamano e vengono chiamati «fascisti»: ma si tratta di una definizione puramente nominalistica. Infatti essi sono in tutto e per tutto all’enorme maggioranza dei loro coetanei. Culturalmente, psicologicamente, somaticamente – ripeto – non c’è niente che li distingua. Li distingue solo una «decisione» astratta e aprioristica che, per essere conosciuta, deve essere 5 10 1 15 2 20 25 3 30 identici attentato terroristico avvenuto il 28 maggio 1974 in piazza della Loggia a Brescia. Giancarlo Esposti (1949–1974), terrorista di estrema destra. acronimo di squadre d’azione Mussolini, formazione neofascista clandestina e di natura terroristica attiva durante gli anni di piombo, il cui nome riprende quello di squadre attive nell’immediato secondo dopoguerra, formate da reduci della Repubblica sociale italiana che ne rivendicavano i valori in opposizione alla Resistenza. 1 strage di Brescia: 2 Esposti: 3 SAM:  >> pag. 1010  detta. Si può parlare casualmente per ore con un giovane fascista dinamitardo e non accorgersi che è un fascista. Mentre solo fino a dieci anni fa bastava non dico una parola, ma uno sguardo, per distinguerlo e riconoscerlo. Il contesto culturale da cui questi fascisti vengono fuori è enormemente diverso da quello tradizionale. Questi dieci anni di storia italiana che hanno portato gli italiani a votare «no» al referendum hanno prodotto – attraverso lo stesso meccanismo profondo – questi nuovi fascisti la cui cultura è identica a quella di coloro che hanno votato «no» al referendum. Essi sono del resto poche centinaia o migliaia: e, se il governo e la polizia l’avessero voluto, essi sarebbero scomparsi totalmente dalla scena già dal 1969. Il fascismo delle stragi è dunque un fascismo nominale, senza un’ideologia propria (perché vanificata dalla qualità di vita reale vissuta da quei fascisti), e, inoltre, artificiale: esso è cioè voluto da quel Potere, che dopo aver liquidato, sempre pragmaticamente, il fascismo tradizionale e la Chiesa (il clerico-fascismo che era effettivamente una realtà culturale italiana) ha poi deciso di mantenere in vita delle forze da opporre – secondo una strategia mafiosa e da Commissariato di Pubblica Sicurezza – all’eversione comunista. I veri responsabili delle stragi di Milano e di Brescia4 non sono i giovani mostri che hanno messo le bombe, né i loro sinistri mandanti e finanziatori. Quindi è inutile e retorico fingere di attribuire qualche reale responsabilità a questi giovani e al loro fascismo nominale e artificiale. La cultura a cui essi appartengono e che contiene gli elementi per la loro follia pragmatica è, lo ripeto ancora una volta, la stessa dell’enorme maggioranza dei loro coetanei. la strage di piazza Fontana, avvenuta a Milano il 12 dicembre 1969 con l’esplosione di un ordigno all’interno della Banca nazionale dell’agricoltura, e quella di piazza della Loggia, avvenuta a Brescia il 28 maggio 1974. 4 stragi di Milano e di Brescia: COMPRENSIONE Fai un riassunto del brano di circa 10 righe. 1 Perché, secondo Pasolini, è ormai impossibile distinguere un fascista da un antifascista? (r. 15)? 2 Che cos’è il fascismo (r. 45)? 3 nominale ANALISI Spiega i seguenti concetti, contestualizzandoli all’interno del brano: ; Potere. 4 omologazione; fascismo; ideologia; sviluppo Con quali mezzi espressivi Pasolini sviluppa il proprio ragionamento? 5 Quale registro linguistico viene utilizzato? Individua le parole e le espressioni che ritieni più significative di tale registro. 6 Descrivi brevemente la sintassi. Prevale la paratassi o l’ipotassi? Per quale motivo? 7 INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Confronta questo brano con altri testi di Pasolini che conosci. Evidenzia gli elementi in comune e le differenze sul piano contenutistico e su quello stilistico. 8 In base alle conoscenze che possiedi di Pasolini e della letteratura del secondo Novecento, commenta la definizione del linguista Tullio De Mauro di Pasolini come «primo grande artista multimediale». 9  >> pag. 1011   TIPOLOGIA B    articolo di giornale   ARGOMENTO LA MODA TRA SCELTA E CONFORMISMO Sviluppa l’argomento in forma di articolo di giornale utilizzando i documenti forniti. Nella tua argomentazione fai riferimento a ciò che hai studiato e alle tue conoscenze. Documento 1 Pier Paolo Pasolini riflette sulla scelta di portare i capelli lunghi, inizialmente un gesto anticonformista, via via mutatosi in semplice moda, con risvolti ambigui e qualunquisti. La prima volta che ho visto i capelloni, è stato a Praga. Nella hall dell’albergo dove alloggiavo sono entrati due giovani stranieri, con i capelli lunghi fino alle spalle. Sono passati attraverso la hall, hanno raggiunto un angolo un po’ appartato e si sono seduti a un tavolo. Sono rimasti lì seduti per una mezzoretta, osservati dai clienti, tra cui io; poi se ne sono andati. Sia passando attraverso la gente ammassata nella hall, sia stando seduti nel loro angolo appartato, i due non hanno detto parola (forse – benché non lo ricordi – si sono bisbigliati qualcosa tra loro: ma, suppongo, qualcosa di strettamente pratico, inespressivo). Essi, infatti, in quella particolare situazione – che era del tutto pubblica, o sociale, e, starei per dire, ufficiale – non avevano affatto bisogno di parlare. Il loro silenzio era rigorosamente funzionale. E lo era semplicemente, perché la parola era superflua. I due, infatti, usavano per comunicare con gli astanti, con gli osservatori – coi loro fratelli di quel momento – un altro linguaggio che quello formato da parole. Ciò che sostituiva il tradizionale linguaggio verbale, rendendolo superfluo – e trovando del resto immediata collocazione nell’ampio dominio dei «segni», nell’ambito cioè della semiologia – era . Si trattava di un unico segno – appunto la lunghezza dei loro capelli cadenti sulle spalle – in cui erano concentrati tutti i possibili segni di un linguaggio articolato. Qual era il senso del loro messaggio silenzioso ed esclusivamente fisico? Era questo: «Noi siamo due Capelloni. Apparteniamo a una nuova categoria umana che sta facendo la comparsa nel mondo in questi giorni, che ha il suo centro in America e che, in provincia (come per esempio – anzi, soprattutto – qui a Praga) è ignorata. Noi siamo dunque per voi una Apparizione. Esercitiamo il nostro apostolato, già pieni di un sapere che ci colma e ci esaurisce totalmente. Non abbiamo nulla da aggiungere oralmente e razionalmente a ciò che fisicamente e ontologicamente dicono i nostri capelli. Il sapere che ci riempie, anche per tramite del nostro apostolato, apparterrà un giorno anche a voi. Per ora è una Novità, una grande Novità, che crea nel mondo, con lo scandalo, un’attesa: la quale non verrà tradita. I borghesi fan bene a guardarci con odio e terrore, perché ciò in cui consiste la lunghezza dei nostri capelli li contesta in assoluto. […] Nel 1969 […] i capelloni non erano più silenziosi: non delegavano al sistema segnico dei loro capelli la loro intera capacità comunicativa ed espressiva. Al contrario, la presenza fisica dei capelli era, in certo modo, declassata a funzione distintiva. Era tornato in funzione l’uso tradizionale del linguaggio verbale. E non dico verbale per puro caso. Anzi, lo sottolineo. Si è parlato tanto dal ’68 al ’70, tanto, che per un pezzo se ne potrà fare a meno: si è dato fondo alla verbalità, e il verbalismo è stata la nuova ars retorica della rivoluzione (gauchismo, malattia verbale del marxismo!). 5 10 15 il linguaggio dei loro capelli 20 25 30 35  >> pag. 1012  Benché i capelli – riassorbiti nella furia verbale – non parlassero più autonomamente ai destinatari frastornati, io trovai tuttavia la forza di acuire le mie capacità decodificatrici, e, nel fracasso, cercai di prestare ascolto al discorso silenzioso, evidentemente non interrotto, di quei capelli sempre più lunghi. Cosa dicevano, essi, ora? Dicevano: «Sì, è vero, diciamo cose di Sinistra; il nostro senso – benché puramente fiancheggiatore del senso dei messaggi verbali – è un senso di Sinistra… Ma… Ma…». Il discorso dei capelli lunghi si fermava qui: lo dovevo integrare da solo. Con quel «ma» essi volevano evidentemente dire due cose: ) «La nostra ineffabilità si rivela sempre più di tipo irrazionalistico e pragmatico: la preminenza che noi silenziosamente attribuiamo all’azione è di carattere sottoculturale, e quindi sostanzialmente di destra». ) «Noi siamo stati adottati anche dai provocatori fascisti, che si mescolano ai rivoluzionari verbali (il verbalismo può portare però anche all’azione, soprattutto quando la mitizza): e costituiamo una maschera perfetta, non solo dal punto di vista fisico – il nostro disordinato fluire e ondeggiare tende a omologare tutte le facce – ma anche dal punto di vista culturale: infatti una sottocultura di Destra può benissimo essere confusa con una sottocultura di Sinistra». Insomma capii che il linguaggio dei capelli lunghi non esprimeva più «cose» di Sinistra, ma esprimeva qualcosa di equivoco, Destra-Sinistra, che rendeva possibile la presenza dei provocatori. Una diecina d’anni fa, pensavo, tra noi della generazione precedente, un provocatore era quasi inconcepibile (se non a patto che fosse un grandissimo attore): infatti la sua sottocultura si sarebbe distinta, , dalla nostra cultura. L’avremmo conosciuto dagli occhi, dal naso, ! L’avremmo subito smascherato, e gli avremmo dato subito la lezione che meritava. Ora questo non è più possibile. Nessuno mai al mondo potrebbe distinguere dalla presenza fisica un rivoluzionario da un provocatore. Destra e Sinistra si sono fisicamente fuse. 40 45 1 2 50 55 60 anche fisicamente dai capelli Pier Paolo Pasolini, , in , Garzanti, Milano 1975 Il «Discorso» dei capelli Scritti corsari Documento 2 Giovani a un concerto rock a Londra negli anni dei “capelloni”.  >> pag. 1013  Documento 3 Dialogo della Moda e della Morte Nell’operetta morale Giacomo Leopardi (1798–1837) riflette sul singolare rapporto tra moda e morte. Io sono la Moda, tua sorella. Mia sorella? Sì: non ti ricordi che tutte e due siamo nate dalla Caducità? Che m’ho a ricordare io che sono nemica capitale della memoria. Ma io me ne ricordo bene; e so che l’una e l’altra tiriamo parimente a disfare e a rimutare di continuo le cose di quaggiù, benché tu vadi a questo effetto per una strada e io per un’altra. […] Dico che la nostra natura e usanza comune è di rinnovare continuamente il mondo, ma tu fino da principio ti gittasti alle persone e al sangue; io mi contento per lo più delle barbe, dei capelli, degli abiti, delle masserizie, dei palazzi e di cose tali. Ben è vero che io non sono però mancata e non manco di fare parecchi giuochi da paragonare ai tuoi, come verbigrazia sforacchiare quando orecchi, quando labbra e nasi, e stracciarli colle bazzecole che io v’appicco per li fori; abbruciacchiare le carni degli uomini con istampe roventi che io fo che essi v’improntino per bellezza; sformare le teste dei bambini con fasciature e altri ingegni, mettendo per costume che tutti gli uomini del paese abbiano a portare il capo di una figura, come ho fatto in America e in Asia; storpiare la gente colle calzature snelle; chiuderle il fiato e fare che gli occhi le scoppino dalla strettura dei bustini; e cento altre cose di questo andare. Anzi generalmente parlando, io persuado e costringo tutti gli uomini gentili a sopportare ogni giorno mille fatiche e mille disagi, e spesso dolori e strazi, e qualcuno a morire gloriosamente, per l’amore che mi portano. Io non vo’ dire nulla dei mali di capo, delle infreddature, delle flussioni di ogni sorta, delle febbri quotidiane, terzane, quartane, che gli uomini si guadagnano per ubbidirmi, consentendo di tremare dal freddo o affogare dal caldo secondo che io voglio, difendersi le spalle coi panni lani e il petto con quei di tela, e fare di ogni cosa a mio modo ancorché sia con loro danno. In conclusione io ti credo che mi sii sorella […]. MODA MORTE MODA MORTE 5 MODA 10 1 2 3 15 4 20 5 25 6 MORTE Giacomo Leopardi, , in , con introduzione e a cura di W. Binni, Sansoni, Firenze 1969 Operette morali Tutte le opere per esempio. ora orecchi, ora labbra e nasi. tatuaggi. di una stessa forma. raffreddori. panni di lana. 1 verbigrazia: 2 quando… nasi: 3 istampe roventi: 4 di una figura: 5 flussioni: 6 panni lani: Documento 4 Jay Gatsby, il protagonista del romanzo Il grande Gatsby (1925) di Francis Scott Fitzgerald (1896–1940), è l’esempio di un uomo ricco e alla moda. Nel brano la voce narrante del romanzo, Nick Carraway, descrive una delle celebri feste di Gatsby. Io ero stato proprio invitato. Uno chauffeur in uniforme azzurra, come un uovo di pettirosso, quel sabato mattina di buon’ora attraversò il mio prato con un biglietto straordinariamente cerimonioso del suo padrone: esso diceva che Gatsby si sarebbe sentito onorato se quella sera avessi partecipato alla sua “festicciola”. […]  >> pag. 1014  Ora in giardino stavano ballando sulla tela; c’erano vecchi che spingevano le ragazze all’indietro in continui circoli sgraziati, coppie di classe che si stringevano tortuosamente secondo la moda e restavano negli angoli e una quantità di ragazze che ballavano sole o toglievano per un momento all’orchestra la preoccupazione del banjo o della batteria. Verso mezzanotte l’allegria era cresciuta. 5 Francis Scott Fitzgerald, , Mondadori, Milano 1950 Il grande Gatsby Documento 5 Una recente moda, prima diffusasi negli Stati Uniti, poi in Europa, è quella hipster. Questo articolo spiega di che cosa si tratta. La moda hipster sembra avere sempre più sostenitori, ma in cosa consiste? Lo stile hipsterism, perché questo è il suo nome per esteso, nasce negli anni Venti e Trenta facendosi presto influenzare dai ritmi della musica indie rock, jazz e dalla cultura americana fortemente anticonformista. Ma che profilo ha il tipico hipster boy? È un ragazzo creativo, nerd, con il pallino per la tecnologia e per l’arte (anche se il connubio risulterebbe controverso) e ha una preferenza per i canoni estetici più lontani della cultura americana. «Gli hipster sono quelli che sogghignano quando dici che ti piacciono i Coldplay», ha scritto il “Time”, nel luglio del 2009, a proposito degli hipster. «Sono quelli che indossano t-shirt con citazioni tratte da film di cui non hai mai sentito parlare e sono gli unici negli Stati Uniti a pensare ancora che la Pabst Blue Ribbon sia un’ottima birra. Indossano cappelli da cowboy o baschi e tutto in loro è attentamente costruito per darti l’idea che non lo sia». […] Risulta essere sicuramente uno stile metropolitano, festaiolo e cosmopolita di giovani che vogliono osare. I veri hipster hanno finti atteggiamenti “anti moda” talmente marcati, che di fatto sono loro stessi una moda travolgente. Tentano sempre di mescolarsi a una massa in cui però non si riconoscono e usano oggetti quotidiani, come i famosi occhiali da vista divenuti ormai un fashion cult che non ha nulla a che fare con l’ottica, trasformandoli in elementi cardine della propria immagine. […] La parola è solo una: spettinato. Per lui, il look ideale è pensato con una barbetta semi incolta, capelli spettinati e baffi da sfoggiare, il tutto (fintamente) trasandato. Per lei la teoria è la stessa quindi ecco l’esplosione di lunghe chiome sconvolte e informi che fanno effetto morticia glam rock che tanto amano le hipster girls. Le scarpe, invece, non ammettono tacchi o forme particolarmente affusolate, ma devono essere ultra flat e molto minimali, ancor meglio se abbinate a maglioncini che sembrano usciti da un lavaggio restringente in lavatrice e una kefiah. Altrimenti si può optare anche per delle sneakers da basket anni Novanta, ultimo must di stagione. Chi è l’icona della moda hipster per eccellenza? Senza ombra di dubbio è lui, l’attore americano dai mille volti che ha saputo interpretare magistralmente uno strambo pirata nel Mare dei Caraibi, un eccentrico produttore di dolci e un singolare individuo con le mani di forbice: è lui, Johnny Depp. Il suo stile finemente ricercato 5 10 15 20 25 30  >> pag. 1015  pur essendo totalmente fuori moda, è forse lo stile di chi va oltre la moda stessa per creare un suo stile che lo identifica come una vera e propria icona senza volerlo. Occhiali da vista, capello incolto, barbetta e baffi, cappelli, mix di collane e t–shirt vintage, nessuno meglio di lui incarna il vero e proprio spirito di questa tendenza. 35 Claudia D’Agostino, , www.wakeupnews.eu Ritratto di un hipster: ecco la nuova moda urbana Guida alla stesura Dopo un’attenta lettura di tutti i documenti, fai una breve sintesi di ognuno: la moda è sia conformismo sia anticonformismo (docc. 1; 2); nella moda l’aspetto dell’effimero è molto forte (doc. 3); un celebre esempio di uomo alla moda è rappresentato dal grande Gatsby (doc. 4); un esempio di moda recente è l’hipster urbano (doc. 5). Ciò ti permetterà di avere un’idea complessiva. Individua le parole chiave presenti in ogni documento e raggruppale in una serie di temi omogenei: analogie tra i capelli lunghi e la moda hipster (docc. 1, 5); due mode americane al confronto: gli anni Venti del grande Gatsby e gli hipster attuali (docc. 4, 5); due visioni critiche della moda (docc. 1, 3). Individua i punti di contatto e quelli di divergenza tra i diversi temi. Metti a confronto questi ultimi, spiegando come si sono sviluppati, modificati, e perché. A differenza del saggio breve, l’articolo di giornale usa un linguaggio più brillante e diretto, privilegiando l’aspetto informativo rispetto a quello più strettamente argomentativo.