Il primo Novecento – L'autore: Italo Svevo 2 Le opere Una vita Il primo romanzo di Svevo esce nel , a spese dell’autore, presso uno stampatore triestino: era stato vano, infatti, il tentativo di proporlo a Emilio Treves, editore di prestigio. Il primo titolo immaginato per l’opera era , ipotesi poi scartata proprio a seguito del giudizio di Treves: «Eh via, ci sono già troppi inetti nella vita: e li vuole mettere anche nell’arte?». 1892 Un inetto , un giovane paesano trapiantato in città, si impiega come modesto scritturale nella Banca Maller di Trieste, dove le sue ambizioni di gloria letteraria svaniscono, a contatto con un ambiente meschino e conformista. La vita quotidiana gli procura soltanto umiliazioni e amarezze: ignorato dai colleghi, canzonato a causa delle sue inclinazioni poetiche, è costretto a trascorrere le giornate in biblioteca o nel chiuso della squallida casa in cui ha trovato alloggio. Un fatto imprevisto potrebbe cambiargli la vita: l’invito del padrone della banca a frequentare il salotto della figlia, la bella , circondata da uno stuolo di vacui ammiratori. La ragazza, anch’essa animata da ambizioni letterarie, chiede ad Alfonso di aiutarla nella stesura di un romanzo. Da questa inattesa collaborazione nasce ben presto un amore, che potrebbe rappresentare per il giovane la grande occasione della vita, con la quale riscattare le proprie miserie e conquistare un ruolo più gratificante in seno alla società. Ma quando si profila all’orizzonte la possibilità di sposare Annetta, Alfonso comincia a tergiversare, vittima delle sue incertezze. La malattia della madre gli offre poi la scusa per sottrarsi alle responsabilità: rifugiatosi nella casa materna come un fuggiasco, assiste la donna morente. Quando torna in città, invece della compassione, trova ad accoglierlo soltanto il disprezzo e l’indifferenza dei colleghi, impegnati nella lotta quotidiana per la carriera. Alfonso, isolato da tutti, viene a sapere che Annetta lo ha dimenticato, sostituendolo con disinvolta facilità con , cugino della ragazza e brillante avvocato di successo. Chiesto un ultimo colloquio con la ex fidanzata, Alfonso è però costretto a fronteggiare il fratello di lei, che lo provoca, sfidandolo a duello. L’uomo si convince a questo punto che la scelta più dignitosa sia quella di un’altra fuga, estrema e liberatoria, e si suicida avvelenandosi con il gas. Alfonso Nitti Annetta Macario La trama In un celebre giudizio critico, Eugenio Montale assimila il romanzo a «un grande affresco a cui abbiano lavorato, accanto a un maestro, anche collaboratori, aiutanti di bottega». Appartengono, in effetti, a uno Svevo già maturo lo del protagonista e l’utilizzo efficace del ; risultano invece più superficiali l’affrettata conclusione del romanzo, lo scarso approfondimento psicologico degli altri personaggi e le ricostruzioni dei paesaggi e degli interni, che risentono della . In effetti, la rottura con la tradizione da parte di Svevo è, in questo romanzo, ancora soltanto parziale. Lo sguardo dell’autore indugia, almeno in parte, a indagare gli ambienti: la banca, la casa dei Maller e quella dove Alfonso abita a pensione, il villaggio rurale da cui egli proviene. Anche l’impianto oggettivo del racconto, con la voce giudicante del narratore esterno, la struttura tradizionale, il tema stesso del romanzo (la scalata fallita di un arrampicatore sociale) rimandano a caratteristiche della narrativa ottocentesca. scandaglio dell’animo discorso indiretto libero moda naturalistica allora dominante Tra novità e continuità La grande novità è però costituita nel romanzo dall’analisi dei moti interiori e dall’acuto senso della crisi che si riflette nell’inettitudine del personaggio. Alfonso Nitti rappresenta infatti una nuova tipologia di “vinto”, che non solo soggiace – come i vinti verghiani – alle condizioni ambientali avverse, ma anche, e soprattutto, alle e alla , che lo rende incapace di vivere. Il suo fallimento non è da attribuire pertanto a ragioni sociali o esterne, quanto a motivazioni del tutto interiori, al suo stesso modo di essere. Le chiavi del suo disadattamento non vanno rintracciate nel mondo ostile che lo opprime, schiacciandolo e condannandolo a una subalternità senza speranze: vanno invece individuate nei recessi della sua psiche. Anche quando la sorte gli offre la possibilità del riscatto attraverso un matrimonio fortunato, il protagonista si sottrae all’impegno, poiché capisce che per sostenere un ruolo diverso da quello dell’inetto è necessaria quella capacità di agire che egli non possiede. Per questo Alfonso è uno : mentre gli uomini che gli stanno attorno «lottano» (la parola “lotta”, che ricorda la teoria darwiniana della “lotta per la vita”, ritorna più volte nel testo), egli non è in grado di combattere né di provare a tradurre in realtà le sue vaghe aspirazioni, ridotte in fin dei conti a sterili velleità pulsioni dell’inconscio malattia della volontà sconfitto in partenza Dentro la coscienza del personaggio >> pag. 120 La morte non significa per lui affermazione della propria personalità o atto di sfida contro la grettezza della società. Possiamo dire che nel suicidio di Alfonso, a differenza che in quelli di Jacopo Ortis e di tanti eroi romantici che evidenziano con il gesto estremo la forza titanica del proprio idealismo, non vi sia alcuna traccia di nobiltà letteraria. La sua è l’azione di un codardo, di un uomo incapace di reagire alla propria : morire gli permette di sottrarsi alla competizione e di rifugiarsi nell’estrema rinuncia, disertando la vita. irrimediabile inettitudine La diserzione di un inetto Senilità Apparso a puntate nel in appendice al giornale triestino “L’Indipendente”, il secondo romanzo di Svevo esce in volume alla fine dello stesso anno, sempre a spese dell’autore. Dopo il fallimento dell’esordio, si doveva trattare, secondo le sue intenzioni, di una prova d’appello concessa alla letteratura, l’«ultima speranza»: il libro si risolve invece in un altro fiasco decretato dal silenzio quasi unanime della critica. 1898 Anche , come Alfonso Nitti, è un impiegato che coltiva illusioni letterarie: ha pubblicato un romanzo e ne sta scrivendo un altro, che però non riesce a portare a termine. Gli balena di tanto in tanto qualche fantasia, come quella della politica: sente di poter condividere la fede socialista in una società più giusta, ma questa vaga inclinazione svanisce presto, come tutte le altre, nella nebbia dei desideri irrealizzati. Tuttavia non rinuncia alla propria vanità, rappresentandosi come un artista incompreso, che dà lustro a una città che non lo merita. Attorno a sé, in una spaventosa povertà di amicizie e di affetti, ha soltanto la sorella nubile, , e lo scultore , artista privo di talento ma sicuro di sé e pieno di giovanile vitalismo. Emilio, invece, a trentacinque anni ha già l’animo di un vecchio rassegnato, che nel doloroso bilancio della propria esistenza ripensa alla «brama insoddisfatta di piaceri e di amori» e all’«amarezza di non averne goduto». Per evadere dalla grigia abulia dei suoi giorni, intreccia una relazione con , una ragazza povera e di facili costumi, che egli però trasfigura e trasforma, in un gioco mistificatorio con sé stesso, in una creatura letteraria. La gente, che ne conosce la vera natura, la chiama con l’epiteto grossolano di “Giolona”; lui la idealizza come “Ange”, un nome adatto a una fanciulla dello Stilnovo. Le poetiche attenzioni dell’amante non sortiscono però l’effetto sperato: stancatasi ben presto delle vacue e sentimentali moine di Emilio, Angiolina non si fa scrupoli ad amoreggiare ora con l’uno ora con l’altro dei suoi pretendenti. Emilio Brentani Amalia Stefano Balli Angiolina La trama >> pag. 121 La sorella di Emilio, abituata anch’essa a una fiacca routine senza passione, è nel frattempo folgorata dall’uomo meno adatto, il dongiovanni Balli. Incapace di manifestare i propri sentimenti, Amalia vive il proprio innamoramento come una debolezza segreta e inconfessabile, consumandosi in una lenta, atroce agonia psichica. Quando Amalia si ammala della polmonite che la porterà alla morte, Emilio scopre in un armadio le boccette di etere con il quale la donna aveva cercato consolazione dal suo amore impossibile. Dopo la morte della sorella, Emilio torna nel suo stanco grigiore: Angiolina, fuggita a Vienna con il cassiere di una banca, è ormai lontana, un ricordo degli ultimi sussulti di una giovinezza non vissuta. Cancellato ogni desiderio, archiviati errori e inganni, la vita lo condanna a una triste e senile saggezza, senza compensi: «Rinacque in lui l’affetto alla tranquillità, alla sicurezza, e la cura di se stesso gli tolse ogni altro desiderio… Divenne triste, sconsolatamente inerte, ed ebbe l’occhio limpido e intellettuale». Se in le velleità di Alfonso Nitti mostravano ancora la pretesa, da parte del personaggio, di riscattare le proprie debolezze, la figura di Emilio Brentani appare quella di un uomo imprigionato nel proprio disagio psicologico, che si guarda vivere mentre, preda di sogni destinati a non avverarsi mai, sperimenta una penosa sfasatura tra sé e la realtà che lo circonda. Il protagonista di , pur essendo uno sconfitto e un nevrotico contemplatore del mondo, presentava ancora nelle sue aspirazioni frustrate qualcosa di romanzesco: e romanzesco, sia pure in modo del tutto illusorio, era stato il suo suicidio, suggerito da certe suggestioni letterarie. Emilio Brentani invece, disincantato e lucido, ha coscienza di essere del tutto : ombra vagante in un’esistenza squallida e grigia, egli proietta il proprio male oscuro tra le pareti asfittiche della casa e dell’ufficio in cui lavora. I sogni di giovinezza, insomma, a cui Alfonso tentava disperatamente di appigliarsi, sono definitivamente tramontati, scacciati da una malattia incurabile, la “senilità”, vale a dire la dell’uomo che ha smarrito ogni senso di sfida nei confronti della vita, arrendendosi alla miseria e al fallimento. A differenza di Alfonso, Emilio non si uccide. Troppo cinico per farlo, egli si accontenta della propria apatica tranquillità: per dimenticare gli insuccessi, gli basta voltare pagina e ritornare a chiudersi in sé stesso, convinto fino all’ultimo che le immagini di nobiltà e superiorità morale con cui egli maschera la propria inettitudine corrispondano al vero. Una vita Una vita privo di qualità rassegnazione passiva Da un inetto giovane (Alfonso) a un inetto invecchiato (Emilio) John Sargent Singer, , 1900. Barcellona, Museo di Montserrat. Signora con parasole >> pag. 122 Mentre Alfonso era inserito in una fitta trama di relazioni sociali, Emilio è prigioniero di una solitudine claustrofobica, appena rotta dalla compagnia di un’angusta cerchia di personaggi: l’amante, l’amico, la sorella. In questo , è facile cogliere una doppia polarità: da una parte i , Emilio e Amalia; dall’altra i , Angiolina e Balli, “darwinianamente” più adatti alla vita. , affetti dall’inerzia, strozzati dall’ozio e dall’assopimento interiore. , invece, luminosi ed espansivi, , spregiudicatezza e una buona dose di vitalismo: la donna (Angiolina), dotata di una certa amorale naturalità, che la porta a vivere la sessualità e la giovinezza senza inibizioni; l’uomo (Balli), capace di riscattare il proprio fallimento artistico con conquiste da donnaiolo impenitente. quadrilatero di personaggi che incrociano i propri destini deboli sognatori forti realisti I primi subiscono la vita I secondi esibiscono sicurezza La struttura tradizionale del romanzo non viene ancora del tutto archiviata, ma la narrazione, condotta in terza persona, esprime il , che altera la realtà secondo i suoi rassicuranti schemi mentali. La voce narrante però interferisce, spesso con ironia, nella ricostruzione psicologica degli eventi: i suoi commenti rivelano infatti al lettore le menzogne di Emilio, ne smascherano le pietose giustificazioni, palesano i moventi reconditi delle sue azioni. Anche lo stile segna una netta evoluzione. I residui naturalistici, ancora visibili nel romanzo d’esordio, vengono sostituiti dal ricorso sistematico al e al che trasferiscono i pensieri del personaggio direttamente sulla pagina senza alcuna mediazione. punto di vista soggettivo del protagonista monologo interiore discorso indiretto libero I procedimenti narrativi La coscienza di Zeno Il terzo romanzo di Svevo, quello più maturo e importante, viene pubblicato nel dopo oltre vent’anni di silenzio da parte dello scrittore. Analizziamo l’opera in dettaglio nella seconda parte dell’Unità ( p. 143). 1923 ► Le altre opere Prima della stesura dei romanzi, il giovane Svevo si dedica alla scrittura di racconti e . Mentre queste ultime non rivestono grande interesse, poiché rientrano nel gusto borghese del teatro di fine Ottocento, i anticipano alcuni temi dei futuri romanzi. Il più importante di questi, (1888), vede come protagonista un Emilio Brentani , Arturo Marchetti, poeta-sognatore innamorato di una donna che gli preferirà un più vitale cultore dello sport. Anche (1890) mette in scena le irresolutezze del protagonista, un maldestro omicida per caso che finisce per confessare spontaneamente il proprio delitto. commedie racconti Una lotta ante litteram L’assassinio di via Belpoggio I racconti Dopo , gli ultimi anni di vita dell’autore sono contrassegnati da un’intensa attività di scrittura. Svevo lavora in particolare alla stesura di (la più interessante è , scritta nel 1925, che racconta il viaggio di un anziano signore da Milano a Trieste, soffermandosi su alcuni temi già affrontati dal capolavoro: la psicanalisi, la salute, la vecchiaia) e al progetto di , di cui ci rimangono solo alcuni capitoli frammentari. In particolare, ricordiamo quello intitolato (1928), in cui il protagonista, un uomo anziano, esalta la funzione della scrittura come antidoto alla dimenticanza e come mezzo grazie al quale si può ritrovare il senso dell’esistenza oscurato dall’assurdità della vita quotidiana. La coscienza di Zeno novelle Corto viaggio sentimentale un quarto romanzo Le confessioni del vegliardo Gli ultimi lavori