Il primo Novecento – L'autore: Italo Svevo la sintesi LA VITA Italo Svevo (Ettore Schmitz), nasce nel 1861 a Trieste, città di confine e crocevia di culture differenti, da una famiglia ebraica della borghesia mercantile. Dal 1874 svolge i suoi studi in Baviera, dove apprende il tedesco e la pratica contabile. La letteratura è il vero oggetto del suo interesse, ma la carriera «più felice» è, secondo il padre, quella di commerciante; per questo Svevo, tornato a Trieste, s’iscrive a un istituto commerciale. Segretamente però dà inizio all’attività di scrittore e dal 1880 scrive per il quotidiano “L’Indipendente”. Il fallimento dell’azienda paterna provoca un’importante cesura nella vita dell’autore che, lasciati gli studi, trova lavoro presso una banca. L’impiego bancario non interrompe la sua attività di scrittore, ma anzi la intensifica; Svevo, che nella lettura e nella scrittura trova gli unici momenti di svago, inizia a cimentarsi in alcune prove letterarie: nel 1892 pubblica, con il nuovo e definitivo pseudonimo, il suo primo romanzo, , accolto da poche negative recensioni e molta indifferenza. Nel 1896 sposa Livia Veneziani, figlia di un ricco imprenditore, conquistando una solida posizione sociale. Divenuto funzionario nella ditta del suocero, egli è un borghese ben inserito in società, frequentatore di salotti. In apparenza e nelle intenzioni, ogni pratica di scrittura è abbandonata (benché il secondo romanzo, , risalga al 1898). Nel 1905 incontra lo scrittore James Joyce, del quale diventa amico, e nel 1908 conosce l’opera di Freud cominciando a interessarsi alla : questi due eventi portano Svevo a dedicarsi nuovamente alla letteratura e alla pubblicazione di un terzo romanzo, (1923). Dopo un iniziale silenzio, grazie all’intervento di Joyce e di Eugenio Montale l’autore riceve finalmente i tanto sperati riconoscimenti: si susseguono articoli, omaggi, numeri monografici di riviste e celebrazioni in suo onore. Ma la felicità dura poco: Svevo infatti muore nel settembre del 1928. Una vita Senilità psicanalisi La coscienza di Zeno LE OPERE Dopo i primi racconti, come (1888) e (1890), che anticipano alcuni temi dei romanzi, Svevo pubblica a sue spese (1892), la storia dell’inetto Alfonso Nitti che, incapace di cambiare la sua vita pur avendone l’occasione, sceglie la fuga estrema del suicidio. S’intravede, in questo e nei successivi romanzi, un’istanza autobiografica; ma la vita privata rappresenta per Svevo un punto di partenza per analizzare i comportamenti dell’uomo in generale, l’ privo di qualità: scendendo nella sua più profonda , la descrive con estremo realismo. Nel 1898 la speranza del successo è riposta in , il secondo romanzo che racconta di un inetto “invecchiato”, Emilio Brentani: nel tentativo di evadere dalla sua grigia realtà, tra illusioni e menzogne, il protagonista si ritrova solo e rassegnato alla miseria, incapace di affrontare la vita. La “coscienza della ” è ben presente nell’opera sveviana, ma nessuna soluzione è proposta: non esistono alternative. L’autore non coltiva utopie né aderisce a specifiche inclinazioni politiche; per questo rielabora e assimila criticamente i pensieri di filosofi e scienziati di cui subisce l’influenza, tralasciando gli apporti concreti sui quali fondare una proposta ideologica operativa. Svevo guarda alla realtà senza ipocrisie né finzioni e, tramite l’azione chiarificatrice della scrittura, la analizza, la svela, la approfondisce. La scrittura è , è mezzo di purificazione interiore e non più un mestiere. Per questo Svevo, borghese socialmente integrato, la pratica con assoluto riserbo, consapevole della valenza trasgressiva e rivoluzionaria di cui essa è carica. Una lotta L’assassinio di via Belpoggio Una vita uomo comune interiorità Senilità crisi terapia LA COSCIENZA DI ZENO (1923) è il romanzo che, forse più di ogni altro, rappresenta la crisi di certezze e valori del primo Novecento. È un memoriale in prima persona, organizzato per nuclei tematici. Il protagonista è Zeno Cosini che, in una sorta di “autoanalisi” scritta per ordine di un certo dottor S., ripercorre i momenti salienti della sua esistenza, intersecando ricordi, sensazioni e immagini che risultano così compresenti nella sua . Egli, un inetto incapace di vivere un’esistenza positiva e costruttiva, è dunque il narratore inattendibile che, non senza ironia, scrive ciò che gli torna in mente: il vizio del fumo (il sintomo più vistoso del suo “male di vivere”); il problematico rapporto con il padre; il matrimonio con Augusta Malfenti; la rivalità con il cognato Guido Speier; la società commerciale che, giunta sull’orlo del fallimento a causa di una cattiva conduzione degli affari da parte del vincente Speier, viene salvata proprio da Zeno. Sul finale, l’inetto si rivela il vero “vincitore”, in grado di assumere il controllo della situazione grazie alle sue capacità di adattamento. Dopo aver cercato per tutta la vita figure “sane”, Zeno capisce che la presunta salute può essere sinonimo di ottusità e stupidità, mentre la sua consapevolezza gli permette di comprendere che la diversità è un elemento di forza. Egli impara a convivere con la malattia ed è questo che lo porta a guarire, non la terapia del dottor S.: la conclusione del romanzo, sotto forma di “diario”, è un forte attacco al dottore e alla psicanalisi che, tuttavia, ne sono la tematica centrale, assieme alle contrapposizioni salute-malattia e verità-menzogna. La coscienza di Zeno coscienza