la sintesi La narrativa italiana del secondo Novecento La narrativa italiana sperimentalismo Storia del secondo Novecento denuncia sociale decadenza società dei consumi Benché decisi a superare temi e modi narrativi tipici del Neorealismo, gli autori della seconda metà del Novecento non rinunciano a rappresentare la complessa realtà storica e sociale che attraversano. TRA STORIA E MEMORIA I mutamenti politico-sociali in atto sono al centro delle opere di questo periodo, ma l ansia di raffigurarli in maniera oggettiva cede il passo al bisogno di raccontarne le ripercussioni sulla psiche degli individui. La Storia, dunque, viene interiorizzata e narrata in chiave soggettiva. Romanzo insieme storico e autobiografico, Il Gattopardo (1958) del siciliano Giuseppe Tomasi di Lampedusa segue le vicende del protagonista il principe Fabrizio Salina e della sua dinastia: mentre la Sicilia passa dal regime borbonico allo Stato unitario italiano, don Fabrizio assiste inerte al declino del ceto nobiliare e all avanzata della nuova classe borghese. La decadenza fisica e sociale del principe e del suo mondo è scelta dall autore come metafora della condizione umana: la vita e le cose sono inevitabilmente destinate a precipitare verso la morte, e il movimento della Storia appare qualcosa di negativo e cieco. Nel romanzo La Storia (1974), anche Elsa Morante esprime una concezione tragica e fatalistica della Storia, a cui oppone l autenticità e l aspirazione alla felicità delle storie dei «vinti . Attraverso le vicende dei protagonisti la vedova Ida e i suoi due figli e di una miriade di altri personaggi, la Morante dà voce al proprio bisogno di raccontare l orrore, qui incarnato dal contesto della Seconda guerra mondiale. Se a livello tematico l autrice si riallaccia ai temi cari al Neorealismo, dal punto di vista formale elabora però una personale definizione di realismo, che affida alla letteratura il compito di lottare contro la barbarie, di svelare i mali che corrodono l esistenza dei singoli e della collettività, portando alla luce la bellezza e la verità sepolte tra le pieghe della Storia. Opera di ispirazione autobiografica, Libera nos a malo (1963) del veneto Luigi Meneghello disegna la Storia recente del paese natale dell autore e le vicende dell infanzia di quest ultimo; Meneghello evidenzia il rapido dissolversi del tessuto sociale contadino e del dialetto originario travolti dall incalzare della civiltà industriale. Autore appartato, Meneghello trae dalla sua condizione di emigrato uno sguardo lucido sulle trasformazioni subite in quegli anni dalla provincia italiana, che descrive con lo spirito umoristico che lo contraddistingue. Creando un singolare pastiche linguistico che mescola elementi dialettali e gergali a termini di ascendenza colta, l autore riesce a ricreare le particolarità di un mondo contadino ormai perduto. I TEMI SOCIALI Altri autori sentono la bruciante urgenza di narrare il presente, mettendone in risalto le pesanti contraddizioni e condannandone le storture: in essi al tema della Storia si aggiunge quello della denuncia sociale. La polemica contro il nuovo status quo non si manifesta soltanto nelle scelte tematiche ma investe anche la sfera formale: gli scrittori raccolti nel Gruppo 63, in particolare, scelgono la strada di uno sperimentalismo oscuro ed elitario, che si oppone a una concezione consumistica della poesia. Per Luciano Bianciardi la letteratura rappresenta uno strumento di presa di coscienza e insieme di intervento militante nella società e nella cultura italiane, che egli ritrae con sguardo beffardo e anticonformista. Nel romanzo La vita agra (1962), ambientato nella Milano del boom economico, Bianciardi descrive la condizione di isolamento di un intellettuale stretto tra il rifiuto di integrarsi nei meccanismi alienanti dell industria culturale e la necessità di procacciarsi da vivere. Lo stile acre, rabbioso e talvolta surreale dell autore bersaglia il nuovo ordine neocapitalistico e le abitudini della società dei consumi che, giunte in Europa dagli Stati Uniti nel secondo dopoguerra, negli anni Cinquanta stravolgono ritmi e modelli di pensiero e alterano in maniera irreversibile il paesaggio italiano. Suoi bersagli sono anche l impero della burocrazia e l astrazione delle ideologie. Anche per Leonardo Sciascia l impegno narrativo è intimamente legato a quello civile e politico: mosso dal desiderio di mettere in luce tutta la carica negativa delle forme di potere che fanno leva su intrecci perversi, egli mette in scena personaggi che, basandosi sulla ragione, cercano la verità indagando su eventi presenti o passati. Nel romanzo Il giorno della civetta (1961), l inchiesta sulla realtà siciliana e sul tema della mafia poggia su un particolare uso della struttura del giallo: contravvenendo ai canoni di genere, infatti, Sciascia dopo poche pagine svela al lettore l identità dei colpevoli, e costruisce la trama sullo sforzo ostinato e vano con cui il detective tenta di incriminarli, tra poteri e complicità che mirano a cancellare ogni traccia a essi riconducibile. Lo schema del giallo, tanto caro a Sciascia, viene utilizzato anche da Umberto Eco, che nel best seller Il nome della rosa (1980) lo mescola sapientemente con i moduli del romanzo storico, di quello filosofico e di quello di formazione: il ricorso a diversi piani compositivi ha inserito l opera nell alveo del postmoderno, che tende a contaminare alto e basso, colto e popolare. Anche le scelte linguistiche dell autore rientrano in questa definizione, in quanto l uso ricorrente di frasi latine, latinismi e riferimenti dotti esprime un gusto per la citazione di sapore tipicamente postmoderno. 843