Il primo Ottocento – L'opera: I promessi sposi Le tematiche e i problemi Il male nei si presenta innanzitutto come , sotto forma di sopruso compiuto da un nobile, con il sostegno di un pauroso sacerdote, ai danni di due popolani. Ma il romanzo offre un ben più vasto campionario di ingiustizie collegate alla condizione terrena: si va dalla esercitata nelle guerre alla , che può scatenarsi anche nella dimensione familiare, come avviene nel caso della monacazione forzata di Gertrude. E ancora, Manzoni mette in scena lo scatenarsi di una calamità come la , non riconducibile a colpe degli esseri umani, a meno di credere alla leggenda degli untori: è un male di ascendenza imperscrutabile, che costringe ancora una volta a fare i conti con la volontà divina. Promessi sposi ingiustizia sociale violenza fisica violenza psicologica peste Il male  «È stata un gran flagello questa peste; ma è stata anche una scopa; ha spazzato via certi soggetti, che, figlioli miei, non ce ne liberavamo più», sostiene don Abbondio nel finale del romanzo. In effetti il morbo ha una funzione risolutiva nella vicenda, poiché grazia i due fidanzati e condanna invece a una morte orribile il loro avversario, don Rodrigo. Sarebbe tuttavia semplicistico considerare l'epidemia un semplice strumento della Provvidenza. Quest'ultima viene continuamente evocata dai personaggi per giustificare o spiegare quanto capita, ma la loro ingenua fiducia non appartiene evidentemente al narratore, che evita di banalizzare la volontà divina e di piegarla ai fini di una vicenda esemplare. Manzoni, di fatto, non crede all'identificazione di rettitudine e felicità: , nella sua onnipotenza, , secondo tempi e modi a noi incomprensibili; , consapevoli che anche la sventura può essere «provvida», nella misura in cui consente all'uomo di assicurarsi un posto in Paradiso. È questo l'approdo dei percorsi di formazione dei due fidanzati. Renzo riesce a scacciare la tentazione di farsi giustizia da solo, con la violenza: dopo avere visto con i propri occhi, a Milano, la "follia della folla", bestialmente eccitata dalla violenza, e la degradazione della peste, concede il perdono a don Rodrigo. Lucia, per parte sua, scopre che l'innocenza non basta, come ingenuamente credeva: il male coinvolge anche chi è senza colpe. I guai arrivano anche se uno non se li va a cercare, «ma la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore»; è questo, commenta il narratore, « », che non si chiude su un tradizionale lieto fine, proprio perché i due protagonisti hanno fatto esperienza dell'ingiustizia. infatti : ad attendere Renzo e Lucia non è un idillio nel paese natio, ma il trasferimento nella Bergamasca, dove essi avviano una vita di famiglia operosa e serena. Dio colpisce anche gli innocenti è necessario abbandonarsi alla Grazia il sugo di tutta la storia Il finale del romanzo non ristabilisce le condizioni di partenza La Provvidenza  Per comprendere l'ideologia cattolica su cui si basano è necessario innanzitutto volgersi ai due ecclesiastici ritratti in chiave positiva, ovvero il cardinale Federigo Borromeo e fra Cristoforo, entrambi . La parabola del secondo, in particolare, risulta istruttiva. Egli si chiamava Lodovico ed era un giovane ricco e avventato, che diventa frate con il nome di Cristoforo per espiare l'assassinio di un nobile che per strada non aveva voluto cedergli il passo. Da borghese facoltoso, figlio di un mercante, si incammina sulla via della penitenza, cominciando con il chiedere perdono alla famiglia dell'ucciso. Riconosciuta la sincerità del suo pentimento, riceve in dono un pane, che conserva a ricordo dell'episodio. Tutto ciò spiega l'ira con cui si scaglia a più riprese contro i propositi violenti manifestati da Renzo. In quest'ottica, il perdono concesso da Renzo a don Rodrigo nel lazzaretto rappresenta il capolavoro di fra Cristoforo, che di lì a poco perderà la vita, infettato dagli appestati per i quali si spende generosamente. Prima, però, ha il tempo di impartire ai due fidanzati un'ultima lezione, avviandoli «sulla strada della consolazione che non avrà fine»: «Ringraziate il cielo che v'ha condotti a questo stato, [...] co' travagli e tra le miserie, per disporvi a una allegrezza raccolta e tranquilla». Manzoni torna dunque all'idea di «provvida sventura», in cui si condensa una volta ancora il suo messaggio religioso, nella . I promessi sposi incarnazione dello spirito di carità e di servizio verso il prossimo convinzione che soltanto la fede sia in grado di conferire senso all'infinito dolore che accompagna l'esistenza terrena La religione del perdono  >> pag. 727  Nei è rigorosamente evitata la rappresentazione del desiderio sessuale, che pure costituisce un elemento cruciale dell'intreccio, avviato da un tentato rapimento a scopi erotici e culminante nel voto di castità formulato da Lucia nel momento più drammatico. Convinto che al mondo ci sia amore «seicento volte più di quello che sia necessario alla conservazione della nostra riverita specie», come dice in un passo del (in seguito eliminato), Manzoni ritiene inopportuno stimolare in questo senso l'immaginazione, con il rischio di compromettere la serenità di potenziali lettori, tra i quali ipotizza «una vergine non più acerba, più saggia che avvenente», e «un giovane prete». La letteratura, prosegue, dovrebbe suscitare ben altri sentimenti, dei quali al mondo c'è penuria, come la pietà, «l'affetto al prossimo, la dolcezza, l'indulgenza, il sacrificio di se stesso». L'eccezione, rappresentata dal rapporto peccaminoso della monaca di Monza con il suo amante Egidio, è giustificata in nome del ravvedimento conclusivo, e verrà del resto eliminata nelle redazioni successive al . Lo scrittore milanese non chiede al lettore di "appassionarsi", ma di esercitare criticamente le proprie facoltà razionali sui caratteri e sui comportamenti messi in scena. La che immette nelle sue opere scoraggia immedesimazioni e trasporti emotivi. Promessi sposi Fermo e Lucia Fermo e Lucia carica pedagogica Il grande assente: l’eros  I , nei , appaiono quasi sempre , con la sola eccezione del cardinal Borromeo. La centralità della questione si riconosce sin dal primo sguardo all'intreccio, che si sviluppa a partire dal sopruso compiuto da un signorotto ai danni di due popolani. Sono le disavventure di Renzo, in particolare, che ci consentono di mettere meglio a fuoco la realtà di un mondo in cui domina l'ingiustizia sociale. Il giovane lo verifica nel corso del colloquio con l'avvocato Azzeccagarbugli, il quale prima lo scambia per un bravo, dimostrandosi ben disposto a difendere le sue prepotenze; e poi, non appena sente il nome dell'amico don Rodrigo, lo caccia in malo modo. Viceversa Renzo, pur innocente, si trova a essere arrestato, durante il tumulto di San Martino. Per evitare la prigione è costretto alla fuga, alla latitanza, all'espatrio. La vittima di un sopruso impunito è dunque perseguita senza tregua per un reato che non ha commesso. è potenziato dalle digressioni sulle leggi, severissime e altisonanti quanto inapplicate, e soprattutto dal racconto del processo agli untori, su cui verte la . Al tempo stesso Manzoni critica aspramente gli , vuoi per inettitudine, pigrizia o dissolutezza, vuoi in nome di una polverosa idea di onore cavalleresco, vuoi per l'interesse della casata, anteposto a tutto (è il caso del principe padre, che obbliga Gertrude a farsi monaca). L'unico nobile in grado di sottrarsi a queste dinamiche è il cardinal Borromeo, rappresentante in Terra dell'unica, vera, infallibile giustizia, quella divina, destinata però ad affermarsi soltanto nel regno dei cieli. potenti Promessi sposi sordi alle ragioni della giustizia L'attacco frontale al sistema giudiziario del XVII secolo Storia della colonna infame abusi commessi dalla classe nobiliare Giustizia e potere  L' , di Manzoni nei confronti della società, della politica, dell'economia è ben riconoscibile anche nei . Certo, la presenza del regime austriaco gli impedisce di affrontare di petto le questioni che più gli stanno a cuore, ovvero l'Unità d'Italia e la fine del potere temporale della Chiesa. D'altra parte le critiche rivolte all'amministrazione spagnola consentono di comprendere le sue e la , ai suoi tempi non ancora tramontata. Manzoni, , in effetti fa propri i princìpi della borghesia in ascesa nell'Europa del XIX secolo, a partire dal favore con cui sostiene l'economia di scambio e il libero mercato. Nel romanzo ciò risulta particolarmente evidente nella ricostruzione della carestia milanese, dove l'autore imputa gravi responsabilità all'operato del gran cancelliere Ferrer, che va contro la legge della domanda e dell'offerta. Il calmiere che egli impone al prezzo del pane induce i fornai a non fare il pane perché non è più conveniente e dà avvio alla spirale negativa che porta ai tumulti popolari. D'altra parte, certo , ma lasciandosi guidare dalla Chiesa, la quale deve spronare le classi dominanti alla carità cristiana, e lavorando con paziente operosità. In questo modo Renzo, abbandonato il paese d'origine, riesce alla fine a migliorare la propria posizione sociale, trasformandosi da modesto filatore di seta in piccolo imprenditore nel ramo tessile. approccio moderato, ma tutt'altro che conservatore Promessi sposi idee liberali sfiducia nei confronti dell'aristocrazia feudale nobile dalla mentalità aperta per Manzoni non è con la rivoluzione che il popolo potrà ottenere pane e giustizia Economia e politica   >> pag. 728  3 Stile e tecniche narrative Come scrive Manzoni Il patto narrativo proposto al lettore nell'introduzione ai prevede una sorta di . Nella finzione infatti c'è da una parte , che garantisce la veridicità del racconto avendolo ascoltato da Renzo (della cui testimonianza originaria non sopravvive nulla); e dall'altra parte , che sostiene di aver soltanto tradotto in italiano moderno e preparato il testo per la pubblicazione. Ciò gli consente di instaurare un dialogo a distanza con l'anonimo, tanto che più volte si discosta dalle sue affermazioni, o decide di riassumerle sommariamente. La sua mediazione è a conti fatti fortissima: siamo dinanzi a un classico , in grado di leggere nel cuore dei personaggi e sempre attento a giudicarne l'operato, ora proponendo articolate riflessioni a margine, ora limitandosi a una valutazione fulminea, a volte divenuta proverbiale. È il caso della lapidaria frase che sancisce la caduta nel peccato della monaca di Monza, non indifferente al corteggiamento di un giovane corruttore: «La sventurata rispose». Promessi sposi sdoppiamento della voce narrante l'anonimo secentesco autore del manoscritto il narratore narratore onnisciente L’anonimo e il narratore  Il tratto più riconoscibile del narratore dei è il , che lo distanzia molto dalla figura storica di Manzoni, tormentato come si è detto da inquietudini e nevrosi. Quest'ironia è rivolta in primo luogo a sé stesso, tramite scherzose ostentazioni di modestia, e ai suoi «venticinque lettori», con i quali si scusa più volte, immaginando la loro attesa impaziente di quei colpi di scena e di quelle azioni mozzafiato che nel romanzo scarseggiano, in contrasto con le aspettative legate al genere. Ma soprattutto l'ironia investe i personaggi, con la sola eccezione di Lucia. Viene così percorsa l'intera gamma che dall' , speso nei confronti degli spropositi di Renzo, conduce al più , che inchioda alle loro responsabilità i malvagi e i mediocri che consentono all'ingiustizia di trionfare. Promessi sposi tono ironico, sereno, comprensivo umorismo bonario sarcasmo tagliente L’ironia  Il narratore, naturalmente, non esercita l’onniscienza senza interruzioni. In diversi casi adotta la , in sequenze più o meno prolungate. Un esempio celebre è quello dell’angosciato cammino di Renzo verso l’Adda, in cui l’adozione del punto di vista del fuggiasco accresce la e restituisce la girandola delle sue emozioni. Non a tutte le sue creature, però, Manzoni concede questa opportunità. Il punto di vista dei malvagi, in atto di meditare o compiere cattive azioni, è radicalmente escluso dal romanzo. Non a caso l'unica, straordinaria scena in cui al lettore si apre l'universo mentale di don Rodrigo cade giusto nel momento in cui il signorotto, aggredito dalla peste, scopre nel delirio il bubbone e intravede alla porta il Griso, suo servitore, che lo tradisce. prospettiva di un personaggio suspense Punti di vista  >> pag. 729  Le scelte linguistiche Postosi al lavoro sul romanzo, Manzoni si trova dinanzi a difficoltà innanzitutto linguistiche. , nella scarna tradizione narrativa italiana, e non esisteva del resto . Nella vita quotidiana egli sentiva usare quasi soltanto il dialetto o tutt'al più il "parlar finito", ovvero un milanese aggiustato alla bell'e meglio con desinenze toscane. Come regolarsi, dunque? Come restituire la freschezza della conversazione orale? La soluzione non arriva subito. L'eclettismo della prima stesura lo lascia profondamente insoddisfatto: «Scrivo male a mio dispetto», sbotta nell'introduzione al , biasimando in una spietata autocritica quello che gli pare un «composto indigesto di frasi un po' lombarde, un po' toscane, un po' francesi, un po' anche latine; di frasi che non appartengono a nessuna di queste categorie, ma sono cavate per analogia e per estensione o dall'una o dall'altra di esse». Non esisteva un modello di riferimento neppure una lingua universalmente adottata nella penisola Fermo e Lucia Un «composto indigesto»  Nel riscrivere il romanzo Manzoni cerca dunque più saldi appigli nel toscano usato in ambito letterario, consultando varie fonti, a cominciare dal di Francesco Cherubini. A lungo l'autore crede nell'opportunità di valorizzare le convergenze fra italiano e dialetto locale, poi si rende conto che il risultato è artificiale, una lingua ricavata dai libri e non dal parlato vivo di una comunità. Il soggiorno a Firenze, subito dopo l'uscita della "ventisettana", lo convince ad adottare la lingua effettivamente usata in città nella vita quotidiana. Avvalendosi dei suggerimenti di Emilia Luti – istitutrice delle figlie, nativa del capoluogo toscano – nella "quarantana" Manzoni (scrivendo al posto di , al posto di , al posto di , e così via), sostituisce nell’imperfetto indicativo la prima persona in a quella in ( invece di ), , come i pleonasmi («La peste l’ho avuta») e gli anacoluti («il coraggio, chi non ce l’ha non se lo può dare»), in modo da conferire al romanzo maggiore vivacità. Vocabolario milanese-italiano elimina i lombardismi, sfronda le forme auliche aria aere materasso coltrice paura tema -o -a io facevo io faceva accresce la presenza di interiezioni e altri fenomeni tipici dell’oralità Dalla "ventisettana" alla "quarantana"  Frontespizio dell'edizione del 1827, con il visto della censura austriaca.