Il primo Ottocento – L'autore: Giacomo Leopardi LABORATORIO verso l'esame  TIPOLOGIA A    analisi del testo   Il tramonto della luna , 33 Canti Come , questa lirica è stata composta probabilmente nella primavera del 1836, durante il soggiorno in una villa sulle falde del Vesuvio, presso Torre del Greco. Il poeta riprende uno dei motivi più frequenti della sua poesia, il compianto della giovinezza e delle sue speranze e illusioni, tracciando un paragone tra il tramonto della luna e la fine di questa età. La ginestra          Quale in notte solinga,          sovra campagne inargentate ed acque,          là 've zefiro aleggia,          e mille vaghi aspetti       e ingannevoli obbietti          fingon l'ombre lontane          infra l'onde tranquille          e rami e siepi e collinette e ville;          giunta al confin del cielo,     dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno          nell'infinito seno          scende la luna; e si scolora il mondo;          spariscon l'ombre, ed una          oscurità la valle e il monte imbruna;     orba la notte resta,          e cantando, con mesta melodia,          l'estremo albor della fuggente luce,          che dianzi gli fu duce,          saluta il carrettier dalla sua via;     tal si dilegua, e tale          lascia l'età mortale          la giovinezza. In fuga          van l'ombre e le sembianze          dei dilettosi inganni; e vengon meno le lontane speranze,          ove s'appoggia la mortal natura.          Abbandonata, oscura          resta la vita. In lei porgendo il guardo,          cerca il confuso viatore invano     del cammin lungo che avanzar si sente          meta o ragione; e vede          che a sé l'umana sede,          esso a lei veramente è fatto estrano.          Troppo felice e lieta     nostra misera sorte          parve lassù, se il giovanile stato,          dove ogni ben di mille pene è frutto,          durasse tutto della vita il corso.          Troppo mite decreto     quel che sentenzia ogni animale a morte,          s'anco mezza la via          lor non si desse in pria          della terribil morte assai più dura.          D'intelletti immortali     degno trovato, estremo          di tutti i mali, ritrovàr gli eterni          la vecchiezza, ove fosse          incolume il desio, la speme estinta,          secche le fonti del piacer, le pene     maggiori sempre, e non più dato il bene. 5 10 15 20 25    30 35 40 45 50 come. Va unito a del v. 12. solitaria. là dove zefiro soffia e dove le ombre lontane creano mille forme indefinite e oggetti irreali, tra le onde calme e tra rami, siepi, collinette e ville, giunta (la luna) all’orizzonte ( ), dietro l’Appennino o dietro le Alpi, o nell’ampio golfo ( ) del Tirreno. perde colore e luminosità. un buio totale ( è latinismo). priva di luce. triste. l’ultimo chiarore della luce che se ne va, che fino a poco prima gli aveva fatto da guida. così, allo stesso modo; si riferisce al soggetto la del v. 22. tale: si riferisce invece al complemento oggetto del v. 21, cioè in questa condizione, priva di luce come la notte. sono le false immagini, piacevoli ma ingannevoli, già ricordate ai vv. 4-5. su cui la natura umana si appoggia. il viaggiatore, disorientato, cerca invano, nella vecchiaia, il termine o lo scopo del suo lungo cammino; e si accorge che la terra, durante la vecchiaia, gli si fa estranea e lui diventa estraneo alla terra. agli dèi. il decreto che sentenzia che ogni animale è destinato a morire (sarebbe parso) troppo mite (agli dèi), se essi, durante la vita degli uomini, non avessero dato loro un'età che è più terribile della morte stessa. Gli dèi escogitarono la vecchiaia, che è una degna invenzione di intelletti immortali e il peggiore di tutti i mali, nella quale il desiderio è ancora immutato, le speranze sono sparite, le fonti del piacere si sono esaurite, le pene sono sempre maggiori e il bene non è più dato. 1 Quale: scende la luna solinga: 3-11 là ’ve… seno: confin del cielo infinito seno 12 si scolora: 13-14 una oscurità: una 15 orba: 16 mesta: 17-18 l’estremo albor… gli fu duce: 20 Tal: giovinezza l'età mortale 23-24 le sembianze... inganni: 26 ove... natura: 28-33 In lei... estrano: 36 lassù: 39-50 Troppo... il bene:  >> pag. 883           Voi, collinette e piagge,          caduto lo splendor che all'occidente          inargentava della notte il velo,          orfane ancor gran tempo     non resterete; che dall'altra parte          tosto vedrete il cielo          imbiancar novamente, e sorger l'alba:          alla qual poscia seguitando il sole,          e folgorando intorno     con sue fiamme possenti,          di lucidi torrenti          inonderà con voi gli eterei campi.          Ma la vita mortal, poi che la bella          giovinezza sparì, non si colora     d'altra luce giammai, nè d'altra aurora.          Vedova è insino al fine; ed alla notte          che l'altre etadi oscura,          segno poser gli Dei la sepoltura. 55 60 65 spiagge. prive di luce. a oriente. ben presto. all'alba seguendo il sole. si riferisce alle e del v. 51. il cielo. dopo che. la vita rimane triste fino alla fine; e gli dèi posero fine alla vecchiaia ( ), che oscura tutte le altre età precedenti, con la morte ( ). 51 piagge: 54 orfane: 55 dall’altra parte: 56 tosto: 58 alla quale... sole: 62 voi: collinette piagge eterei campi: 63 poi che: 66-68 Vedova... sepoltura: notte sepoltura COMPRENSIONE Riassumi la poesia. 1 Come viene descritta l’esistenza degli esseri umani? 2 In che cosa sono simili e in che cosa differiscono la natura e la vita dell’uomo? 3 ANALISI Quali tipi di versi prevalgono? 4 Rintraccia le figure retoriche di suono della prima strofa. 5 Nella seconda strofa sono presenti ? Se sì, dove? Quale funzione espressiva svolgono? 6 enjambement Individua i vocaboli di registro più basso e spiegane la funzione stilistica. 7 INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Confronta questa lirica con ( T14, p. 847), evidenziando somiglianze e differenze sul piano tematico e stilistico. 8 Alla luna ►  Il motivo della natura è presente anche in altre poesie di Leopardi. Analizza e commenta l’importanza di questa poesia confrontandola con altri testi del poeta sul medesimo motivo. 9  TIPOLOGIA B    saggio breve   ARGOMENTO OTTIMISMO E PESSIMISMO IN LETTERATURA: DUE VISIONI DELLA VITA A CONFRONTO Sviluppa l’argomento in forma di saggio breve utilizzando i documenti forniti. Nella tua argomentazione fai riferimento a ciò che hai studiato e alle tue conoscenze. Documento 1 Come spiega lo storico francese Georges Minois (n. 1946), nel Rinascimento l'ottimismo era legato all'idea della mitica età dell'oro. Quando Erasmo annuncia l'imminente ritorno dell'età dell'oro, questa è già presente, sotto differenti forme e in differenti luoghi, da circa mezzo secolo. È essa infatti che fa da cornice al Rinascimento artistico del Quattrocento e, ben presto, dell'intera Europa; è essa, inoltre, che costituisce la tela di fondo del pensiero umanista. Sotto molti aspetti, ciò che chiamiamo Rinascimento non è che un ritorno dell'età dell'oro. Un ritorno in forze, che caratterizza tutti gli ambiti della vita intellettuale e artistica, e che corrisponde all'esplosione di un formidabile desiderio di felicità che covava dal XIV secolo, in una cristianità malata, sofferente e prostrata da tanti mali. La fine delle pesti e delle grandi carestie, la crescita economica e monetaria, la riscoperta  dei tesori intellettuali dell'Antichità, lo sviluppo delle corti principesche: tutto ciò viene percepito dalle élites come una trasformazione radicale del contesto e della qualità della vita, l'uscita da un lungo periodo di tenebre, in breve come il ritorno dell'età dell'oro. Georges Minois, , Dedalo, Bari 2010 1 5 10 La ricerca della felicità. Dall'età dell'oro ai giorni nostri il filosofo e umanista Erasmo da Rotterdam (1466 o 1469-1536). 1 Erasmo:  >> pag. 884  Documento 2 Dialogo di Malambruno e di Farfarello Nell'operetta morale il mago Malambruno evoca il diavolo Farfarello per ottenere la felicità, ma riceve una risposta inattesa. Fammi felice per un momento di tempo. Non posso. Come non puoi? Ti giuro in coscienza che non posso. In coscienza di demonio da bene. Sì certo. Fa conto che vi sia de' diavoli da bene come v'è degli uomini. Ma tu fa conto che io t'appicco qui per la coda a una di queste travi, se tu non mi ubbidisci subito senza più parole. Tu mi puoi meglio ammazzare, che non io contentarti di quello che tu domandi. Dunque ritorna tu col mal anno, e venga Belzebù in persona. Se anco viene Belzebù con tutta la Giudecca e tutte le Bolge, non potrà farti felice né te né altri della tua specie, più che abbia potuto io. Né anche per un momento solo? Tanto è possibile per un momento, anzi per la metà di un momento, e per la millesima parte; quanto per tutta la vita. Ma non potendo farmi felice in nessuna maniera, ti basta l'animo almeno di liberarmi dall'infelicità? Se tu puoi fare di non amarti supremamente. Cotesto lo potrò dopo morto. Ma in vita non lo può nessun animale: perché la vostra natura vi comporterebbe prima qualunque altra cosa, che questa. Così è. Dunque, amandoti necessariamente del maggiore amore che tu sei capace, necessariamente desideri il più che puoi la felicità propria; e non potendo mai di gran lunga essere soddisfatto di questo tuo desiderio, che è sommo, resta che tu non possi fuggire per nessun verso di non essere infelice. Giacomo Leopardi, , 6 MALAMBRUNO FARFARELLO MALAMBRUNO FARFARELLO 5 MALAMBRUNO FARFARELLO MALAMBRUNO FARFARELLO 10 MALAMBRUNO FARFARELLO MALAMBRUNO 15 FARFARELLO MALAMBRUNO FARFARELLO 20 MALAMBRUNO FARFARELLO MALAMBRUNO FARFARELLO 25 Operette morali  >> pag. 885  Documento 3 Il pensiero di Giacomo Leopardi non è mai statico e prevedibile, ma è sempre ricco di sfumature e di distinzioni. La mia filosofia, non solo non è conducente alla misantropia, come può parere a chi la guarda superficialmente, e come molti l'accusano; ma di sua natura esclude la misantropia, di sua natura tende a sanare, a spegnere quel mal umore, quell'odio, non sistematico, ma pur vero odio, che tanti e tanti, i quali non sono filosofi, e non vorrebbono  esser chiamati né creduti misantropi, portano però cordialmente a' loro simili, sia abitualmente, sia in occasioni particolari, a causa del male che, giustamente o ingiustamente, essi, come tutti gli altri, ricevono dagli altri uomini. La mia filosofia fa rea d'ogni cosa la natura, e discolpando gli uomini totalmente, rivolge l'odio, o se non altro il lamento, a principio più alto, all'origine vera de' mali de' viventi. ec. ec. Giacomo Leopardi, [4428] 5 Zibaldone Documento 4 L'arte di essere felici esposta in 50 massime In questa recensione di un volume di Arthur Schopenahauer (1788-1860), (Adelphi, Milano 1997) il poeta e giornalista Franco Marcoaldi (n. 1955) fornisce un ritratto insolito del filosofo tedesco. L'uomo che considerava l'esistenza alla stregua di una valle di lacrime, stretta tra le invalicabili pareti della noia e del dolore; lo scettico blu che con la falce della sua implacabile prosa tagliava regolarmente l'erba sotto qualunque barlume di speranza, ci viene a offrire niente meno che un trattato sulla felicità? Proprio così. E naturalmente  lo fa alla sua maniera; luciferino e persuasivo come sempre: certo, se stiamo al suo gioco, e se seguiamo i suoi consigli. Primo tra tutti: usare sempre e soltanto la ragione. Perché? Ma perché fantasticando su eventuali, future fortune, ci rendiamo ancora più indigesta la realtà: il successivo disinganno, infatti, ci farà pagare cari tutti quei castelli in aria che andavamo edificando. Quanto a coloro che passano il tempo immaginando soltanto possibili disgrazie, le conseguenze saranno ancor più negative: "In questo caso, la fantasia si può trasformare nel nostro carnefice domestico". Se al contrario affronteremo il nostro malessere e il nostro benessere attraverso una riflessione quanto più possibile fredda e asciutta, scopriremo molte cose interessanti. A partire da quella capitale: la felicità piena e positiva è impossibile, perché i piaceri sono pie illusioni, vere e proprie chimere. Soltanto il dolore è un dato di fatto concreto. Dunque, l'unica cosa sensata da fare, è cercare di contenerlo; di non alimentarlo ulteriormente, soggiacendo alla tirannia del desiderio. [...] Schopenhauer si mise a raccogliere appunti, massime, sentenze e citazioni in vista della stesura del suo trattatello sulla felicità; trattatello mai portato a compimento, ma che ora, grazie alla perizia filologica di Franco Volpi, vede luce postuma. "Siamo nati tutti in Arcadia", attacca il filosofo di Danzica. "Tutti veniamo al mondo pieni di pretese di felicità e di piaceri, e nutriamo la folle speranza di farle valere, fino a quando il destino ci afferra bruscamente e ci mostra che nulla è nostro, mentre tutto è suo, poiché esso vanta un 5 10 15 20  >> pag. 886  diritto incontestabile non solo su tutti i nostri possedimenti e i nostri guadagni, ma anche sulle nostre braccia e le nostre gambe, sui nostri occhi e le nostre orecchie". Il primo nemico da cui dovremmo guardarci, pertanto, è la volontà di affermazione. D'altronde, "è impossibile un totale non volere". E allora la vera saggezza consiste nel riconoscere "la quantità indispensabile di volere se non si vuol cercare di raggiungere l'ascetismo supremo, che è la morte per fame: tanto più il confine è stretto, tanto più si è veri e liberi". Già, ma come percorrere questa esile striscia di terra senza cadere di sotto? In primo luogo abbassando la soglia delle attese. Poi individuando con precisione ciò che siamo davvero capaci di fare, non essendoci niente di peggio che invidiare qualcosa per cui non siamo tagliati: "Imitare le qualità e le caratteristiche altrui è molto più vergognoso del portare abiti altrui, perché è il giudizio della propria nullità espresso da se stessi". Questa accresciuta consapevolezza, oltretutto, ci costringerà a fare finalmente i conti col sempiterno equivoco secondo cui i nostri dolori sarebbero causati da ragioni esterne. No, non è vero. Il mondo ci offre soltanto degli appigli negativi a cui si agganciano i nostri preesistenti "cattivi umori", che altrimenti vivrebbero sparpagliati. La dimostrazione sta nel fatto che se abbiamo una cattiva predisposizione d'animo, quand'anche una grande preoccupazione che ci angosciava finisce per avere un esito felice, subito al suo posto ne subentra un'altra, la quale evidentemente esisteva già prima. Gli mancava soltanto lo spazio d'azione necessario. Tutto questo per dire che "chi trascorre la vita senza dolori fisici o psichici eccessivi ha avuto la sorte più fortunata possibile; non colui al quale sono capitate le gioie e i piaceri più grandi". Vivere passabilmente: ecco il massimo a cui si può ambire. Un po' poco per chi va cercando la felicità? Certo che sì. Ma è meglio il poco vero, o il tanto finto? Nietzsche diceva che in Schopenhauer aveva trovato finalmente  il maestro di vita, l'amico che "rasserena e allieta sempre; senza atteggiamenti tetri, mani tremolanti, occhi acquosi, ma sicuramente e semplicemente, con coraggio e vigore, con fare cavalleresco e duro". Franco Marcoaldi, , "La Repubblica", 25 maggio 1997 25 30 35 40 45 50 Schopenhauer il pessimista che trovò la felicità Guida alla stesura Dopo un’attenta lettura di tutti i documenti, fai una breve sintesi di ognuno: l’ottimismo del Rinascimento è squisitamente laico (doc. 1); il pessimismo leopardiano è di tipo materialistico (doc. 2); il pessimismo non conduce necessariamente alla misantropia, ma può presupporre una solidarietà tra uomini (doc. 3); un uso accorto della ragione non comporta né ottimismo né pessimismo (doc. 4). Questo ti permetterà di avere un’idea complessiva.  Individua le parole chiave presenti in ogni documento e raggruppale in una serie di temi omogenei: posizioni ottimistiche (doc. 1); posizioni variamente pessimistiche (doc. 3); posizioni mediane (docc. 2, 4).  Individua i punti di contatto e quelli di divergenza fra i diversi temi. Mettili a confronto, spiegando come si sono sviluppati, modificati, e perché.  Ogni tua affermazione deve essere sempre argomentata. Usa un linguaggio chiaro e preciso, e, dove necessario, tecnico.