Il Trecento in sintesi Il volgare toscano è il modello linguistico di maggiore successo, anche grazie a motivi economici e politici. I capolavori di Dante, Petrarca e Boccaccio diventano il fondamento di una lingua letteraria nazionale, nettamente distinta da quella parlata. Nella Divina Commedia Dante si serve di una lingua molto ricca, che offre un ampia scelta di possibilità espressive. Il volgare poetico del Canzoniere di Petrarca diviene un modello per la sua eleganza e il lessico eccellente. La prosa del Decameron di Boccaccio si segnala per la notevole varietà del linguaggio, che si muove tra le parlate popolari e il vocabolario dell aristocrazia. Il volgare conquista sempre più spazio nelle opere storiografiche e nei trattati scientifici. 324 La lingua Il primato toscano Nel Trecento si afferma e si consolida sempre più il primato del toscano tra le lingue volgari. un successo a cui non sono estranee motivazioni economiche, se si tiene in conto l intraprendenza dei mercanti di Firenze, spesso in affari con le ricche famiglie del Nord Italia, e dei banchieri, attivi con le loro filiali un po ovunque. Non vanno trascurate neanche cause di natura politica: le lotte intestine che lacerano Firenze portano molti esuli (il caso di Dante non è isolato) a trovare accoglienza in diverse regioni, nelle quali essi finiscono per diffondere il proprio idioma. D altro canto, per rimanere in un ambito più strettamente letterario, non dobbiamo dimenticare che il modello linguistico toscano aveva attecchito già prima dello Stilnovo: i testi della Scuola siciliana avevano trovato un ampia circolazione grazie al lavoro dei copisti, che li avevano trascritti in toscano. L influenza delle tre corone Il ruolo assunto all interno della cultura italiana dalle cosiddette tre corone Dante, Petrarca e Boccaccio certifica ulteriormente questo processo. Letti nelle biblioteche di corte, i loro capolavori diventano le basi imprescindibili di una lingua letteraria nazionale, con caratteristiche e forme molto diverse da quelle della lingua effettivamente parlata. La Divina Commedia, per prima, innalza il volgare poetico a un livello d arte sublime, mostrando di possedere quella ricchezza e quella dignità letteraria che il suo autore aveva teorizzato nel trattato De vulgari eloquentia. Gli argomenti diversi e i livelli stilistici, talvolta perfino antitetici (ora aulici, ora plebei, come in certi passi dell Inferno), che Dante sperimenta nel poema evidenziano la piena maturità di una lingua estremamente ricca e capace di prestarsi a possibilità espressive di vario tipo, in ambiti e generi poetici differenti. D altro canto, come abbiamo visto, proprio per il suo plurilinguismo la Divina Commedia poco si presta all imitazione, a differenza del Canzoniere Dante mentre scrive la Divina Commedia, miniatura, XIV secolo. petrarchesco, destinato ben presto a diventare un modello grazie alla sua raffinata eleganza e a un lessico selezionato e per questo più facilmente riproducibile. Inoltre occorre considerare l incidenza di un aspetto filologico: mentre della Commedia non esiste l originale autografo e nei diversi codici che trasmettono il suo testo compaiono non di rado settentrionalismi a uso dei lettori delle città del Nord Italia (quelle, per esempio, dove il poeta aveva vissuto esule), il Canzoniere si presenta in diverse versioni scritte di pugno da Petrarca, ma sempre in un rigoroso volgare fiorentino. Infine, per quanto riguarda la prosa, anche prima del Decameron il toscano aveva prodotto risultati eccellenti: basti pensare al Convivio dantesco, alle parti non in versi della Vita nuova o anche al Novellino. Ma è con il capolavoro di Boccaccio che possiamo apprezzare una grande varietà di registri, con un lessico che spazia dalla parlata dei personaggi popolari ai discorsi e alle battute di quelli aristocratici. Contemporaneamente, il volgare