L’opera Ricordi Empirismo e senso pratico (35; 81; 110; 117; 125; 187; 207) T1 I concetti chiave del pensiero di Guicciardini (6; 30; 66; 118; 186; 218) T2 La natura umana (5; 15; 17; 24; 32; 41; 134; 145; 161) T3 in sintesi Solo quattordici anni separano la nascita di Francesco Guicciardini da quella di Niccolò Machiavelli. Eppure sembra passata un’epoca, tanto la stessa lezione di Machiavelli è stata assimilata e, al tempo stesso, almeno in parte superata. La passione, il carattere militante del , la fiducia nell’uomo e nella sua capacità di determinare il proprio destino: sono le caratteristiche di Machiavelli che la Storia, la crisi italiana e lo di Guicciardini dimostrano come ormai inattuali e impraticabili. Nell’opera di Machiavelli abbiamo incontrato un realismo senza consolazioni, ma ancora sostenuto dalle illusioni. In quella di Guicciardini lo stesso conduce ormai al . Il primo sogna grandi progetti, con l’urgenza di chi sente la frana avvicinarsi. Il secondo vi ha rinunciato, perché il crollo è già avvenuto. Principe scetticismo realismo disincanto La redazione e la struttura Scritti in un arco di tempo molto lungo (la prima redazione risale al 1512, l’ultima al 1530), i sono una serie di , condensate in 221 testi, che contengono il succo del pensiero guicciardiniano. Inizialmente considerati il frutto di una divagazione o degli «ozi» tra un incarico politico e l’altro, essi tuttavia presentano di stesura in stesura un’ sempre più : nella redazione definitiva, l’autore ridimensiona i riferimenti alla realtà fiorentina e all’attualità per meditare invece sui problemi universali del comportamento umano. Il titolo non va inteso nel significato che diamo oggi alla parola, ma nel senso di “ammonimenti, ”. Pubblicati postumi, i nascono come una scrittura privata, stimolata dalla riflessione su diversi argomenti e aspetti della vita (in primo luogo la politica). Una scrittura privata Ricordi brevi riflessioni argomentazione serrata e analitica consigli da ricordare Ricordi I Ricordi sono composti tra il 1512 e il 1530 ; nascono come una scrittura privata e saranno pubblicati postumi. Il titolo significa “consigli da ricordare”: si tratta di 221 brevi testi in cui Guicciardini riflette sulla politica e su vari aspetti della vita. Nella versione definitiva, l’attualità ha meno spazio ed è privilegiata la meditazione sui comportamenti umani . La struttura dell’opera non è unitaria: i pensieri sono scritti nell’arco di un ventennio e nella visione del mondo dell’autore non mancano le ambiguità . L’opera ha una natura frammentaria e non sistematica e presenta talvolta una certa , dovuta sia all’arco temporale in cui i pensieri vengono scritti, sia alla visione del mondo dell’autore, tutt’altro che prestabilita e dogmatica. I sono perciò l’opera che meglio esemplifica l’insofferenza di Guicciardini verso ogni tentativo di ricomporre le diverse sfaccettature della realtà, che si presentano sempre in forme specifiche e peculiari. Un antitrattato: la struttura frammentaria contraddittorietà Ricordi >> pagina 918 Il pensiero e la visione della realtà L’obiettivo che si propone Guicciardini è fare ordine nella complessità del reale per uscire dal confuso labirinto dei comportamenti umani. Le antiche certezze sono svanite per sempre ma questo non implica la rinuncia alla conoscenza o un abbandono al fatalismo: al contrario, tale consapevolezza lo induce a registrare l’aspetto mutevole della realtà («la varietà delle circunstanze»), ad analizzarlo senza sovrastrutture per quello che è, e a coglierne la natura specifica attraverso , per frammenti, tenendo presente che forze ingovernabili (la «fortuna») esercitano il proprio dominio sulle cose umane. Nei meandri della realtà singole ricognizioni Anche se le antiche certezze sono svanite, Guicciardini vuole fare ordine nella complessità delle cose umane: egli analizza per frammenti la realtà mutevole, avendo chiaro che essa è dominata da forze incontrollabili. Anche sul piano etico-religioso, Guicciardini si basa su una . Egli non nega l’esistenza di Dio, ma la religione rappresenta per lui una serie di dogmi incontrollabili: la Provvidenza divina non può essere afferrata dalla nostra mente; Dio rimane sullo sfondo, artefice di un disegno che occorre accettare senza farsi domande. La lontananza di Dio e la critica alla Chiesa prospettiva personale Le poche parole che Guicciardini dedica a tematiche religiose sono di aspra critica alla Chiesa, giudicata colpevole di aver tradito il messaggio evangelico. L’importanza sociale e politica che Machiavelli affidava alla religione viene meno del tutto. Come tutti gli altri modelli ideali di riferimento, anche l’ finisce con Guicciardini per ridursi a una tutta . orizzonte spirituale problematica individuale Guicciardini non nega l’esistenza di Dio, ma per lui la religione si riduce a una questione individuale, perché è basata su princìpi non dimostrabili. Critica duramente la Chiesa, accusandola di tradire gli insegnamenti del Vangelo. In questo ripiegamento nella sfera privata, la missione decisiva per l’individuo è salvaguardare la propria identità e dignità. Per riuscirvi, l’uomo deve sapersi orientare sulla base della « », un , qualità che non si ricava dalla lettura dei libri, ma dalla « », cioè da una , a sua volta esercitata e rafforzata grazie all’esperienza. La «discrezione» permette di cogliere lo sviluppo e il modificarsi degli avvenimenti senza proiezioni ideali nel futuro, ma solo attraverso un serrato confronto con il presente. È senza dubbio un , che vuole evitare i rischi e le avventure e invita invece a soppesare le circostanze, a impedire forzature, a far coincidere «saviezza» con «prudenza» e oculatezza. «Discrezione» e «prudenza» discrezione insieme di concretezza e moderazione prudenza naturale disposizione innata atteggiamento difensivo Secondo l’autore, l’uomo può orientarsi nel caos della realtà grazie alla «discrezione», cioè la capacità di giudicare bene le situazioni. Si tratta di una qualità che non si apprende dai libri, ma che scaturisce dalla «prudenza naturale». Guicciardini elogia dunque la cautela e la riflessione. In , Guicciardini esorta a inseguire il «particulare», l’altro concetto chiave del suo pensiero. Tale concezione non consiste nell’egoistica ricerca del beneficio personale e materiale, ma nel tentativo di salvaguardare, in mezzo a una realtà caotica, la capacità di «mantenersi la riputazione e el buono nome» (ricordo 218). Anche se questo non esclude la possibilità di cogliere vantaggiose opportunità di cariche, onori e retribuzioni, Guicciardini nobilita il concetto del «particulare» facendo sì che convenienza e benefici privati non siano in contrapposizione con gli interessi della comunità e il bene dello Stato. Ciò non toglie che una tale visione abbia poco o nulla di epico: lo stesso autore, per esempio, ammette senza remore di aver fatto carriera nello Stato pontificio seguendo il proprio «particulare», pur sognando un mondo affrancato dalla «tirannide di questi scelerati preti». Il «particulare» assenza di ideali collettivi Una prassi opportunistica? Forse, ma fare politica per Guicciardini significa accettare anche il e non disdegnare di collaborare con il potere tirannico, sia esso rappresentato dai Medici o dai «preti». È questo il prezzo, inevitabile, da pagare per agire davvero nel proprio tempo, senza condannarsi all’irrilevanza o a una sterile testimonianza. compromesso Per Guicciardini non ci sono ideali collettivi, e l’uomo deve inseguire il «particulare», cioè il miglioramento della propria condizione . Ma il beneficio privato passa attraverso la ricerca dell’ onore e della buona reputazione , e coinvolge anche gli interessi della comunità e il bene dello Stato. Per fare politica e raggiungere qualche risultato bisogna accettare i compromessi, e se necessario collaborare con il potere tirannico. >> pagina 919 Un lucido pessimismo Nel 1869 il critico Francesco De Sanctis, da uomo del Risorgimento qual era, diede un giudizio molto severo sul pensiero di Guicciardini. Cogliendovi le tracce di una che avrebbe contagiato gli italiani fino all’Ottocento, egli condannava Guicciardini come l’emblema del dissidio tra pensiero e azione e come degno rappresentante italico di un’antica . Al generoso Machiavelli, profeta e anticipatore dell’Unità d’Italia (con tutte le forzature del caso), veniva contrapposto il Guicciardini freddo calcolatore e abile trasformista. Ciò che ripugnava a De Sanctis (e, con lui, a un’intera generazione di patriottici idealisti) era lo , nonché la mancanza di slancio appassionato e di carattere. Guicciardini maestro di egoismo e passività? malattia morale tendenza al compromesso e al conformismo scetticismo verso ogni ipotesi di cambiamento Nel 1869, il critico Francesco De Sanctis giudica Guicciardini un opportunista e condanna la sua rassegnazione di fronte alla realtà. De Sanctis celebra invece Machiavelli, generoso e pronto all’azione per il bene dell’Italia. Su un punto almeno possiamo concordare con De Sanctis: positive né di lanciare un messaggio di risoluto antagonismo; atti di fede o gesti eroici non correggono, secondo lui, il corso degli eventi. Nella civiltà umana, tutto è destinato a cambiare e a perire, ma la sostanza del mondo rimane immodificabile: «El mondo fu sempre di una medesima sorte; e tutto quello che è e sarà, è stato in altro tempo, e le cose medesime ritornano, ma sotto diversi nomi e colori». Tuttavia, questo che lo pervade non comporta la rinuncia a operare. Anzi, è avvertibile, nei , l’autoritratto di un intellettuale sospinto dalla ricerca dell’«onore», della «riputazione», della «degnità». L’ambizione non è «dannabile» e non è biasimevole l’«ambizioso» se, stimolato da «appetito» di «gloria», a questa punta con «mezzi onesti e onorevoli». Non solo legittima, l’ è persino quando è caratterizzata da un forte valore civico; diventa invece riprovevole se chi detiene il potere non si fa scrupolo, per realizzare i propri scopi, di calpestare i valori fondamentali dell’uomo, quali la coscienza, l’onore e l’umanità. L’ineluttabilità degli eventi non esclude l’ambizione Guicciardini non è in grado di concepire alternative pessimismo Ricordi ambizione virtuosa Per Guicciardini, però, le possibilità di incidere sulla realtà e modificarla sono pressoché nulle. Da qui si alimentano una dolorosa e uno sconsolato esame dei comportamenti umani, in cui dominano egoismi e interessi personali. A differenza di Machiavelli, che lo reputava spregevole per natura, Guicciardini ritiene che l’uomo sia «inclinato» al bene, ma che la sua coscienza debole finisca per deviarlo verso il male. percezione della vanità della vita In effetti, Guicciardini non sa proporre alternative costruttive: per lui, la sostanza del mondo è immutabile. Nonostante il suo atteggiamento pessimista, però, egli loda l’ ambizione , se è alimentata dalla fame di gloria e se si agisce secondo correttezza, cioè nel rispetto di valori essenziali come la coscienza e l’umanità. Comunque, per Guicciardini i comportamenti umani sono governati dagli egoismi . Al contrario di Machiavelli, egli pensa che l’individuo sia orientato verso il bene, ma che la sua debolezza lo porti verso il male. La perentorietà di questo pensiero è dettata anche dal contesto politico in cui esso matura. La e gli alti e bassi della propria carriera politica accentuano il senso di sfiducia e di fallimento insito nel pensiero guicciardiano. La riflessione amara e disincantata dello storico, del politico e dell’analista dell’agire umano finisce per coincidere. Guicciardini è convinto che la politico-militare italiana sia ; ha conosciuto in prima persona gli uomini che hanno dominato la scena politica del tempo; ha assistito a quella sconvolgente tragedia che è stato il sacco di Roma: come potrebbe condividere ancora la foga eroica e vibrante di Machiavelli? Un pessimismo che riflette un’epoca tragica condizione italiana crisi irreversibile La profonda sfiducia di Guicciardini deriva anche dalla sua carriera politica altalenante e dalla rovinosa situazione dell’Italia, che egli giudica irreversibile. Rifiutando ogni prospettiva rivoluzionaria, a Guicciardini non rimane che cercare una condizione di dignitoso equilibrio, affidando lo scettro del comando agli «ottimati» (cioè ai cittadini di rango), a quegli uomini della sua stessa classe sociale che oggi definiremmo conservatori e che a suo giudizio sono gli unici dotati di esperienza e capacità amministrativa. , conoscendo dall’interno la macchina dello Stato: a questo programma, per quanto esclusivamente tecnico, Guicciardini è rimasto coerente per tutta la vita. Il moderatismo di un uomo d’ordine Salvaguardare l’ordine e il buon senso La proposta politica di Guicciardini è conservatrice: il potere va affidato ai cittadini di rango , perché hanno l’esperienza e le capacità per difendere l’ordine ed evitare le imprudenze. >> pagina 920 Lo stile La tradizione a cui l’autore si ricollega è quella, tipicamente fiorentina, dei “ricordi domestici”, testi miscellanei (cioè composti da elementi molto diversi: dai resoconti patrimoniali a riflessioni generali sulla vita) con i quali i grandi mercanti fiorentini tramandavano alle generazioni future la narrazione delle proprie esperienze. Non si tratta certamente di una scelta stilistica solo esteriore: la forma del “ricordo” (oggi diremmo della massima o dell’aforisma) è infatti congeniale, nella sua secca , a esprimere una visione del mondo del tutto aliena da teorizzazioni schematiche. Una forma che rispecchia il contenuto frammentarietà Guicciardini riprende la tradizione dei “ ricordi di famiglia ”, cioè brevi pensieri di vario genere che i mercanti fiorentini destinavano alle generazioni successive. La frammentarietà degli aforismi riflette l’impossibilità di elaborare regole generali. Negli anni, l’autore ha rielaborato i Ricordi . Vivacità e immediatezza caratterizano lo stile delle frasi; sono presenti espressioni della lingua popolaresca, ma anche latinismi tipici della scrittura burocratica. Guicciardini sottopone i a un continuo lavoro di limatura e revisione, come dimostrano le varianti e le correzioni apportate ai singoli testi. La struttura dell’aforisma è per sua natura veloce e sintetica, e infatti le frasi guicciardiniane si contraddistinguono per uno , che non rinuncia a incursioni nella lingua popolaresca. Non mancano i latinismi, ma ciò rientra nella pratica abituale della scrittura burocratica, usata nelle cancellerie per dare ai documenti un carattere di dignità e solennità. La scelta dell’aforisma Ricordi stile vivace e immediato I testi I ricordi che antologizziamo conservano il numero e l’ordine che hanno nella raccolta, ma vengono qui raggruppati secondo un criterio tematico. Temi e motivi dei testi antologizzati T1 Empirismo e senso pratico , 35; 81; 110; 117; 125; 187; 207 Ricordi il distacco fra teoria e pratica • la negazione della Storia come fonte di insegnamento • la necessità di considerare ogni aspetto della realtà • T2 I concetti chiave del pensiero di Guicciardini , 6; 30; 66; 118; 186; 218 Ricordi la comprensione dei fatti umani attraverso la valutazione caso per caso • l’impossibilità di elaborare regole di condotta universali • la ricerca dell’interesse personale quale scopo dell’uomo saggio • il peso decisivo della fortuna nelle vicende umane • T3 La natura umana , 5; 15; 17; 24; 32; 41; 134; 145; 161 Ricordi la fragilità dell’uomo alla base delle contraddizioni del suo comportamento • l’ambizione e la convenienza quali motori delle azioni umane • Quando il saggio sentenzia: la fortuna dell’aforisma Per approfondire L a parola aforisma viene dal greco aphorismós , che significa “definizione”. È una proposizione che riassume in modo chiaro il risultato di una precedente riflessione. In origine, l’aforisma concentrava ideali di saggezza riferiti soprattutto al campo medico: la prima raccolta di queste brevi massime fu attribuita al medico greco Ippocrate di Cos (ca 460-377 a.C.), autore di precetti nati dalla sua esperienza. Un carattere etico, più in linea con i contenuti dell’aforisma moderno, hanno i dell’imperatore romano Marco Aurelio (121-180). Ricordi La scrittura aforistica si diffonde negli ambiti più diversi soprattutto nel Seicento e nel Settecento. Nel corso dell’Ottocento, l’aforisma diviene anche lo strumento per esprimere in modo immediato il carattere soggettivo di un’illuminazione improvvisa: per frammenti, pensieri o aforismi scrivono i romantici tedeschi Friedrich Schlegel (1772-1829) e Novalis (1772-1801), oltre a Giacomo Leopardi (1798-1837), che fa dei e in parte anche dello l’officina in cui riversare meditazioni. Maestro dell’aforisma è soprattutto il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche (1844-1900), che si vanta di poter dire «in dieci proposizioni quel che ogni altro dice in un libro, quel che ogni altro non dice in un libro». Nel Novecento, il successo – anche commerciale – dell’aforisma diventa costante: maestri del genere, in Italia, sono stati Leo Longanesi (1905-1957) ed Ennio Flaiano (1910-1972). Pensieri Zibaldone