T20 La ginestra o il fiore del deserto , 34 Canti Canzone libera composta da 7 strofe di diversa misura, formate da endecasillabi e settenari liberamente rimati. Scritto nel 1836 durante il soggiorno in una villa sulle falde del Vesuvio, presso Torre del Greco,   rappresenta l’approdo finale della filosofia leopardiana. Collocata a chiusura dei   nell’edizione postuma del 1845, il componimento è una sorta di testamento spirituale da consegnare ai posteri, la meditazione estrema di un poe­ta straordinario, che, pur ribadendo con forza la condizione permanente di un pessimismo assoluto e abbracciando totalmente e con convinzione la ragione che vanifica ogni illusione di progresso, si appella all’umanità affinché abbandoni ogni vano orgoglio e si unisca contro la sua vera e implacabile nemica, la natura. La ginestra Canti Metro  della natura e   tra gli uomini Malvagità solidarietà PARAFRASI Kαὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι μ α ˜ λλον τὸ σκότος ἢ τὸ φ ω ˜ ς . E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce. * (Giovanni, III, 19) La citazione evangelica viene assunta dal poeta in senso polemicamente antifrastico. Nel Nuovo Testamento la luce è Cristo, mentre le tenebre rappresentano il regno del male. Invece per Leopardi la luce è quella della ragione e le tenebre simboleggiano l’ignoranza degli uomini che si affidano alle superstizioni religiose. * Qui su l’arida schiena del formidabil monte sterminator Vesevo, la qual null’altro allegra arbor né fiore, tuoi cespi solitari intorno spargi, 5      odorata ginestra, contenta dei deserti.  L’esordio: l’immagine della ginestra  Qui sulle aride pendici ( ) del terrificante ( ) e distruttore monte Vesuvio, che nessun altro albero o fiore rallegra, spargi intorno i tuoi cespugli solitari, o profumata ginestra, che ti appaghi ( ) dei luoghi deserti. 1-7 schiena formidabi l contenta in senso etimologico, dal latino (“timore”, “paura”), per sottolineare il carattere minaccioso del vulcano. formidabil: 2 formido forma latineggiante per il Vesuvio (da ). Vesevo: 3 Vesevus                                          Anco ti vidi de’ tuoi steli abbellir l’erme contrade che cingon la cittade la qual fu donna de’ mortali un tempo, 10     e del perduto impero par che col grave e taciturno aspetto faccian fede e ricordo al passeggero. Or ti riveggo in questo suol, di tristi lochi e dal mondo abbandonati amante, 15     e d’afflitte fortune ognor compagna. Questi campi cosparsi di ceneri infeconde, e ricoperti dell’impietrata lava, che sotto i passi al peregrin risona 20     dove s’annida e si contorce al sole la serpe, e dove al noto cavernoso covil torna il coniglio; fur liete ville e colti, e biondeggiàr di spiche, e risonaro 25     di muggito d’armenti; fur giardini e palagi, agli ozi de’ potenti gradito ospizio; e fur città famose che coi torrenti suoi l’altero monte 30     dall’ignea bocca fulminando oppresse con gli abitanti insieme. Or tutto intorno una ruina involve, dove tu siedi, o fior gentile, e quasi  i danni altrui commiserando, al cielo 35    di dolcissimo odor mandi un profumo, che il deserto consola.  La precarietà dell’uomo e delle sue realizzazioni  Ti ho già ( ) vista abbellire con i tuoi steli le solitarie ( ) campagne che circondano la città che in passato fu dominatrice ( ) degli uomini ( ) e che paiono, con il loro aspetto solenne ( ) e silenzioso ( ), dare a chi passa testimonianza ( ) e memoria ( ) del perduto impero. Ora ti rivedo su questo terreno, amante di luoghi tristi e abbandonati dal mondo, e sempre ( ) compagna di destini infelici ( ). Questi campi cosparsi di ceneri sterili ( ) e ricoperti di lava pietrificata ( ), che risuona sotto i passi del viandante ( ); dove la serpe si annida e si contorce al sole e il coniglio torna alla consueta tana sotterranea ( ),  7-37 Anco erme donna mortali grave taciturno fede ricordo ognor afflitte fortune infeconde impietrata peregrin noto cavernoso covil furono in passato poderi ridenti ( liete ville ) e campi coltivati ( colti ), biondeggiarono di spighe e risuonarono dei muggiti delle mandrie ( armenti ); furono giardini e palazzi, dimora ( ospizio ) gradita per il riposo ( ozi ) dei potenti; e furono città famose che il monte superbo ( altero ), eruttando fiamme ( fulminando ) dalla bocca infuocata ( ignea ), annientò ( oppresse ) con i suoi torrenti di lava, insieme con i loro abitanti. Ora, un’unica distruzione ( una ruina ) avvolge tutto il paesaggio intorno a dove tu stai ( sied i ), o fiore gentile, e quasi mostrando compassione ( commiserando ) per le sciagure ( danni ) capitate agli altri, mandi al cielo un’essenza di profumo dolcissimo, che consola il deserto. Leopardi torna con il ricordo al tempo del soggiorno romano. Anco ti vidi: 7 sottinteso Roma. cittade: 9 anticamente nella pianura campana sorgevano le case di villeggiatura dei romani più ricchi. allude evidentemente a Pompei, Ercolano, Stabio e le altre città distrutte dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. gradito ospizio: 29 città famose: Vesuvio. altero monte: 30 latinismo. ignea: 31 sembra che la ginestra, mossa a pietà di tanta sventura, diffonda nell’aria il suo profumo e in tal modo costituisca l’unica consolazione in questo deserto. gentile: 34                                             A queste piagge venga colui che d’esaltar con lode il nostro stato ha in uso, e vegga quanto è il gener nostro in cura 40     all’amante natura. E la possanza qui con giusta misura anco estimar potrà dell’uman seme, cui la dura nutrice, ov’ei men teme, con lieve moto in un momento annulla 45     in parte, e può con moti poco men lievi ancor subitamente annichilare in tutto. Dipinte in queste rive son dell’umana gente 50     le magnifiche sorti e progressive. La polemica contro l’ottimismo progressista  Chi è solito esaltare, con le sue lodi, la condizione umana ( ) venga in queste lande desolate ( ), e veda quanto il nostro genere è caro alla natura che ci ama. E potrà anche valutare ( ) esattamente la forza ( ) della stirpe umana ( ), che la crudele nutrice, quando meno se lo aspetta, in un momento, con un leggero movimento ( ), distrugge ( ) in parte e che può, con movimenti di poco meno leggeri, anche all’improvviso ( ) annientare ( ) del tutto. In queste terre ( ) sono raffigurate le sorti splendide e in continuo progresso ( ) del genere umano (   ). 37-51 il nostro stato piagge anco estimar potrà possanza uman seme lieve moto annulla ancor subitamente annichilare rive progressive umana gente inizia qui l’ironia che continua fino alla chiusura della strofa. A queste piagge… natura: 37-41 complemento oggetto. dura nutrice: la natura. Leggiamo in un passo dello (11 aprile 1829): «Nemica mortale di tutti gl’individui d’ogni genere e specie, ch’ella dà in luce […] comincia a perseguitarli dal punto medesimo in cui li ha prodotti». cui: 44 Zibaldone l’espressione, poi divenuta proverbiale, è ripresa da Leopardi dalla dedica degli (1832) di Terenzio Mamiani (1799-1885), patriota risorgimentale e cugino del poeta, che descrive così il progresso spirituale dell’umanità, facendosi interprete delle nuove idee piene di ottimismo allora condivise dagli spiritualisti cattolici (Manzoni, Gioberti, Rosmini). : 51 le magnifiche sorti e progressive Inni Sacri Qui mira e qui ti specchia, secol superbo e sciocco, che il calle insino allora dal risorto pensier segnato innanti 55     abbandonasti, e volti addietro i passi, del ritornar ti vanti, e procedere il chiami. Al tuo pargoleggiar gl’ingegni tutti, di cui lor sorte rea padre ti fece, 60     vanno adulando, ancora ch’a ludibrio talora t’abbian fra sé.  Critica del Romanticismo che ha rifiutato la luce della ragione  Guarda e specchiati qui, secolo arrogante e stupido, che hai abbandonato la strada ( ) segnata sin qui ( ) dal pensiero risorto, e, invertito il cammino ( ), ti vanti della tua svolta all’indietro ( ), e la chiami progresso ( ).  52-63 calle innanti volti addietro i passi del ritornar procedere Tutti gli intellettuali ( ingegni ), di cui la loro sorte sciagurata ( rea ) ti ha fatto padre, sono intenti ad adulare il tuo atteggiamento infantile ( pargoleggiar ), benché a volte, tra loro, si facciano beffe di te ( a ludibrio t’abbian ). l’autore si riferisce al XIX secolo e al Romanticismo, la cui dominante irrazionalistica e spiritualistica avrebbe determinato un regresso intellettuale rispetto alle conquiste dell’Illuminismo raggiunte grazie al suo pensiero razionalistico e scientifico. secol superbo e sciocco: 53 il Rinascimento. Il poe­ta riconosce una continuità tra pensiero rinascimentale e illuministico e considera le idee religiose del nuovo secolo un ritorno alla superstizione e all’ignoranza medievali. risorto pensier: 55 nella parola si assommano varie ascendenze, da Tasso a Marino a Metastasio. Senz’altro è presente anche una suggestione dantesca («piangendo e ridendo pargoleggia», , XVI, 87). pargoleggiar: 59 Purgatorio                                 Non io con tal vergogna scenderò sotterra; ma il disprezzo piuttosto che si serra 65     di te nel petto mio, mostrato avrò quanto si possa aperto: ben ch’io sappia che obblio preme chi troppo all’età propria increbbe. Di questo mal, che teco 70     mi fia comune, assai finor mi rido. La diversità del poeta-eroe  Io non morirò ( ) con tale vergogna; ma piuttosto avrò mostrato il più apertamente possibile il disprezzo nei tuoi confronti che è racchiuso ( ) nel mio cuore: anche se so che la dimenticanza ( ) annienta ( ) chi sia risultato troppo spiacevole ( ) al proprio tempo ( ). Di questo male, che avrò in comune con te, già sin d’ora mi faccio beffe. 63-71 scenderò sotterra si serra obblio preme troppo increbbe età Libertà vai sognando, e servo a un tempo vuoi di novo il pensiero, sol per cui risorgemmo della barbarie in parte, e per cui solo 75     si cresce in civiltà, che sola in meglio guida i pubblici fati. Così ti spiacque il vero dell’aspra sorte e del depresso loco che natura ci diè. Per questo il tergo 80     vigliaccamente rivolgesti al lume che il fe’ palese: e, fuggitivo, appelli vil chi lui segue, e solo magnanimo colui che se schernendo o gli altri, astuto o folle, 85     fin sopra gli astri il mortal grado estolle. Viltà della nuova filosofia  Vai sognando la libertà, e al tempo stesso ( ) vuoi che il pensiero sia di nuovo schiavo ( ), quel pensiero grazie al quale soltanto ci siamo in parte rialzati dalla barbarie, e grazie al quale soltanto si cresce in civiltà, che unica guida al meglio il destino comune ( ). Perciò ti è spiaciuta la verità sulla sorte amara ( ) e sulla bassa condizione ( ) che la natura ci ha assegnato ( ). Per questo motivo hai voltato, da vigliacco, le spalle ( ) alla luce che aveva mostrato tale verità ( ); e, mentre fuggi, chiami ( ) vile chi segue la verità e magnanimo soltanto chi, astuto o stolto, illudendo ( ) sé stesso o gli altri, eleva ( ) il genere umano ( ) fin sopra le stelle. 72-86 a un tempo servo pubblici fati aspra depresso loco diè tergo il fe’ palese appelli schernendo estolle mortal grado come è noto, è uno dei valori-cardine del pensiero romantico, in chiave sia spirituale, sia letteraria, sia politica. L’espressione riecheggia quella dantesca «libertà va cercando» ( , I, 71). Libertà: 72 Libertà vai sognando Purgatorio Uom di povero stato e membra inferme che sia dell’alma generoso ed alto, non chiama se né stima ricco d’or né gagliardo, 90     e di splendida vita o di valente persona infra la gente non fa risibil mostra; ma se di forza e di tesor mendico lascia parer senza vergogna, e noma 95     parlando, apertamente, e di sue cose fa stima al vero uguale. Magnanimo animale non credo io già, ma stolto, quel che nato a perir, nutrito in pene, 100  dice, a goder son fatto, e di fetido orgoglio empie le carte, eccelsi fati e nove felicità, quali il ciel tutto ignora, non pur quest’orbe, promettendo in terra 105  a popoli che un’onda di mar commosso, un fiato d’aura maligna, un sotterraneo crollo distrugge sì, che avanza a gran pena di lor la rimembranza. 110  Arroganza di chi si autoinganna nutrendosi di falsi miti  Un uomo di umili condizioni ( ) e fisicamente infermo, che sia generoso e nobile nell’anima ( ) ed elevato, non si definisce né si considera ricco di beni materiali ( ) o forte ( ), e fra la gente non fa ridicola ostentazione ( ) di una vita splendida o di un fisico possente ( ); ma senza vergogna lascia apparire sé stesso e, parlando, si dichiara apertamente privo ( ) di forze e di denaro ( ), e giudica la propria condizione ( ) conformemente alla realtà ( ). Io non ritengo davvero ( ) un essere animato ( ) nobile ( ), bensì ritengo sciocco, quello che, nato per morire ( ), cresciuto nel dolore ( ), 87-110 povero stato dell’alma d’or gagliardo risibil mostra valente persona mendico tesor sue cose al vero uguale già animale Magnanimo a perir in pene dice: «Sono stato creato per provare piacere», e riempie i suoi scritti ( ) di orgoglio disgustoso ( ), promettendo sulla Terra eccezionali ( ) destini e straordinarie ( ) felicità – quali non solo questo mondo ( ), ma anche il cielo intero ignora – a popoli che un maremoto ( ), un soffio d’aria infetta ( ), un terremoto ( ) distruggono in un modo tale che a stento ( ) sopravvive il loro ricordo. empie la carte fetido eccelsi nove orbe onda di mar commosso fiato d’aura maligna sotterraneo crollo a gran pena cioè un’epidemia. fiato d’aura maligna: 107-108 Nobil natura è quella che a sollevar s’ardisce gli occhi mortali incontra al comun fato, e che con franca lingua, nulla al ver detraendo, 115  confessa il mal che ci fu dato in sorte, e il basso stato e frale; quella che grande e forte mostra sé nel soffrir, né gli odii e l’ire fraterne, ancor più gravi 120  d’ogni altro danno, accresce alle miserie sue, l’uomo incolpando del suo dolor, ma dà la colpa a quella che veramente è rea, che de’ mortali madre è di parto e di voler matrigna. 125  Costei chiama inimica; e incontro a questa congiunta esser pensando, siccome è il vero, ed ordinata in pria l’umana compagnia, tutti fra sé confederati estima 130  gli uomini, e tutti abbraccia con vero amor, porgendo valida e pronta ed aspettando aita negli alterni perigli e nelle angosce della guerra comune. Ed alle offese 135  dell’uomo armar la destra, e laccio porre al vicino ed inciampo, stolto crede così qual fora in campo cinto d’oste contraria, in sul più vivo incalzar degli assalti, 140  gl’inimici obbliando, acerbe gare imprender con gli amici, e sparger fuga e fulminar col brando infra i propri guerrieri. Nobiltà d’animo di chi affronta la verità della condizione dell’uomo  È invece un’indole ( ) nobile quella di colui che ha il coraggio ( ) di alzare gli occhi mortali verso ( ) il destino ( ) comune, e che con franchezza ( ), senza togliere nulla alla verità ( ), riconosce ( ) la sofferenza ( ) e la bassa e fragile ( ) condizione ( ) che ci furono date in sorte; quella che si dimostra grande e forte nel soffrire, e che non aggiunge ( ) alle proprie miserie gli odi e le ire tra fratelli, ancora più gravi di ogni altro male ( ), incolpando della propria sofferenza gli altri esseri umani, ma attribuisce la responsabilità a colei che davvero è colpevole ( ), che è madre degli uomini, in quanto li ha generati, ma, per la sua cattiva disposizione verso di loro ( ), è una matrigna. Definisce ( ) nemica la natura; e ritenendo, come di fatto è accaduto, che la società umana ( ) si sia unita ( ) e organizzata nell’antichità ( ) per contrastare la natura ( ), considera tutti gli uomini come alleati fra loro, e abbraccia tutti con autentico amore, offrendo e a sua volta aspettandosi un aiuto efficace e sollecito ( ) nei pericoli ( ) alterni e nelle angosce della guerra comune. E ritiene che sia stolto armare la mano per colpire gli altri uomini ( ) e predisporre trappole ( ) e insidie ( ) ai propri simili ( ),  111-144 natura s’ardisce incontra fato franca lingua nulla al ver traendo confessa mal frale stato accresce danno rea di voler chiama umana compagnia congiunta esser ordinata in pria incontro a questa valida e pronta ed aspettando aita perigli alle offese dell’uom laccio porre inciampo al vicino così come sarebbe ( fora ) stolto in un campo circondato da nemici ( cinto d’oste contraria ), nel vivo dell’infuriare degli assalti, dimenticando ( obbliando ) i nemici, ingaggiare ( imprender ) feroci scontri ( acerbe gare ) con gli amici e seminare la fuga e gettarsi con la spada sguainata ( fulminar col brando ) in mezzo ai propri commilitoni. di colui che. quella: 111 l’espressione ricalca un passo del del poeta latino Lucrezio (I secolo a.C.) in cui si parla di Epicuro e della sua lotta coraggiosa per liberare attraverso la ragione l’umanità dalle paure che la opprimevano: (“osò sollevare contro la religione i propri occhi mortali”, I, 66-67). a sollevar… fato: 112-114 De rerum natura mortales tollere contra / est oculos ausus gli odi e le ire fraterne sono considerati da Leopardi passioni più gravi di ogni altro male. gli odii… danno: 119-121 la natura. quella: 123 colpevole dell’infelicità umana. Nello (2 gennaio 1829) Leopardi scrive: «La mia filosofia fa rea d’ogni cosa la natura, e discolpando gli uomini totalmente, rivolge l’odio, o se non altro il lamento, a principio più alto, all’origine vera de’ mali de’ viventi». rea: 124 Zibaldone la natura è madre perché fa nascere le sue creature, matrigna perché se ne disinteressa appena esse sono al mondo. Spiega Leopardi nello (11 marzo 1826): «L’uomo (e così tutti gli altri animali) non nasce per goder della vita, ma solo per perpetuare la vita, per comunicarla ad altri che gli succedano, per conservarla. […] il vero e solo fine della natura è la conservazione delle specie, e non la conservazione né la felicità degl’individui». madre… matrigna: 125 Zibaldone Così fatti pensieri 145  quando fien, come fur, palesi al volgo, e quell’orror che primo contra l’empia natura strinse i mortali in social catena, fia ricondotto in parte 150  da verace saper, l’onesto e il retto conversar cittadino, e giustizia e pietade, altra radice avranno allor che non superbe fole, ove fondata probità del volgo 155  così star suole in piede quale star può quel ch’ha in error la sede. Appello alla solidarietà  Quando tali pensieri saranno evidenti al popolo ( ), come lo sono stati in passato, e quando quel terrore che per la prima volta ( ) unì ( ) gli esseri umani tra loro ( ) con i legami sociali ( ) contro la natura ostile ( ) verrà parzialmente ripristinato ( ) da un sapere veritiero ( ), la convivenza civile ( ) onesta e corretta, la giustizia e la pietà, avranno ben altro fondamento ( ) che favole presuntuose ( ), sulle quali è basata ( ) l’onestà del popolo ( ), abituata a stare in piedi così come può stare in piedi ciò che ha il proprio fondamento ( ) sull’errore. 145-157 palesi al volgo primo strinse i mortali in social catena empia ricondotto in parte verace saper conversar cittadino radice superbe fole ove fondata probità del volgo la sede perché il (v. 151) – cioè la conoscenza scientifica fondata sull’uso dello strumento della ragione, da Galileo all’Illuminismo – priverà l’ del verso 147 (cioè lo spavento degli uomini primitivi di fronte ai fenomeni naturali che non sapevano spiegarsi) dei residui superstiziosi. in parte: 150 verace saper orror sono i miti religiosi sull’origine divina del mondo e dell’essere umano, in particolare quelli (come il cristianesimo) di orientamento provvidenzialistico, che considerano il mondo concepito in funzione dell’essere umano, di cui Dio si prende cura e al quale dona un’esistenza eterna (che va oltre la morte). superbe fole: 154 l’onestà intellettuale dell’umanità. probità del volgo: 155 Sovente in queste rive, che, desolate, a bruno veste il flutto indurato, e par che ondeggi, 160  seggo la notte; e su la mesta landa in purissimo azzurro veggo dall’alto fiammeggiar le stelle, cui di lontan fa specchio il mare, e tutto di scintille in giro 165  per lo vòto seren brillare il mondo. E poi che gli occhi a quelle luci appunto, ch’a lor sembrano un punto, e sono immense, in guisa che un punto a petto a lor son terra e mare 170  veracemente; a cui l’uomo non pur, ma questo globo ove l’uomo è nulla, sconosciuto è del tutto; e quando miro quegli ancor più senz’alcun fin remoti 175  nodi quasi di stelle, ch’a noi paion qual nebbia, a cui non l’uomo e non la terra sol, ma tutte in uno, del numero infinite e della mole, con l’aureo sole insiem, le nostre stelle 180  o sono ignote, o così paion come essi alla terra, un punto di luce nebulosa; al pensier mio che sembri allora, o prole dell’uomo?  185  L’estrema marginalità della Terra e dell’uomo rispetto all’universo  Spesso siedo di notte in queste lande, che, deserte, l’onda della lava solidificata ( ) ricopre di colore scuro ( ), e sembra muoversi ancora; e sul triste paesaggio, in un cielo terso ( ), vedo risplendere in alto ( ) le stelle, alle quali il mare, da lontano, fa da specchio, e tutto intorno ( ) il firmamento ( ) brilla di scintille nella vuota immensità dello spazio ( ). E quando fisso ( ) gli occhi su quegli astri, che a essi paiono un puntino, mentre ( ) sono immensi, in modo che rispetto a loro ( ) in realtà ( ) sono un punto la terra e il mare; e ai quali non solo l’uomo, ma anche questo pianeta, dove l’uomo non conta nulla, è completamente ignoto; e quando contemplo ( ) le costellazioni ( ) ancor più lontane senza limite ( ), che ci sembrano come una nebbia, alle quali non soltanto l’uomo 158-185 il flutto indurato a bruno in purissimo azzurro dall’alto in giro mondo per lo vòto seren appunto e a petto a lor veracemente miro nodi quasi di stelle fin e la terra, ma tutte insieme ( ) le nostre stelle, infinite per numero e per grandezza, insieme con il sole splendente ( ), o sono sconosciute o appaiono come esse appaiono alla terra, cioè un punto di luce fioca; allora che cosa sembri al mio pensiero, o stirpe umana? in uno aureo ai miei occhi. a lor: 168 agli astri. a cui: 171 la Terra. globo: 173 si riferisce alle galassie. essi: 182                        E rimembrando il tuo stato quaggiù, di cui fa segno il suol ch’io premo; e poi dall’altra parte, che te signora e fine credi tu data al Tutto, e quante volte favoleggiar ti piacque, in questo oscuro 190  granel di sabbia, il qual di terra ha nome, per tua cagion, dell’universe cose scender gli autori, e conversar sovente co’ tuoi piacevolmente, e che i derisi sogni rinnovellando, ai saggi insulta 195  fin la presente età, che in conoscenza ed in civil costume sembra tutte avanzar; qual moto allora, mortal prole infelice, o qual pensiero verso te finalmente il cor m’assale? 200  Non so se il riso o la pietà prevale. La polemica antireligiosa  E ricordando il tuo stato sulla Terra ( ), di cui dà testimonianza ( ) il suolo che io ora calpesto ( ); e poi, d’altra parte, (ricordando) che reputi di essere stata data come padrona e scopo all’universo e (ricordando) quante volte ti è piaciuto immaginare ( ) che i creatori dell’universo ( ) siano scesi su questo oscuro granello di sabbia, che ha il nome di Terra, e abbiano spesso conversato con familiarità ( ) con i tuoi simili, e (ricordando) che rinnovando illusioni ( ) già derise, perfino il nostro secolo ( ), che pure sembra essere superiore a tutti quelli precedenti in sapere e in civiltà, offende i saggi ( ); quale sentimento, o infelice stirpe umana, o quale pensiero nei tuoi confronti mi prende il cuore? Non so se prevalga il riso o la pietà. 185-201 quaggiù fa segno premo favoleggiar dell’universe cose… gli autori piacevolmente sogni la presente età ai saggi insulta abbiamo parafrasato “universo”, ma la maiuscola e il contesto suggeriscono una sfumatura più blasfema. Tutto: 189 l’idea, presente nel cristianesimo, che la divinità sia scesa sulla terra per amore degli uomini ( , v. 192) è per Leopardi indice della presunzione umana. favoleggiar ti piacque: 190 per tua cagion le credenze religiose irrise dal razionalismo illuminista. derisi sogni: 194-195 con il riproporre errori già smascherati in precedenza. ai saggi insulta: 195 non so se devo più schernirti o compatirti. Non so… prevale: 201 Come d’arbor cadendo un picciol pomo, cui là nel tardo autunno maturità senz’altra forza atterra, d’un popol di formiche i dolci alberghi, 205  cavati in molle gleba con gran lavoro, e l’opre e le ricchezze che adunate a prova con lungo affaticar l’assidua gente avea provvidamente al tempo estivo, 210  schiaccia, diserta e copre in un punto; così d’alto piombando, dall’utero tonante scagliata al ciel profondo, di ceneri e di pomici e di sassi 215  notte e ruina, infusa di bollenti ruscelli o pel montano fianco furiosa tra l’erba di liquefatti massi 220  e di metalli e d’infocata arena scendendo immensa piena, le cittadi che il mar là su l’estremo lido aspergea, confuse e infranse e ricoperse 225  in pochi istanti: onde su quelle or pasce la capra, e città nove sorgon dall’altra banda, a cui sgabello son le sepolte, e le prostrate mura l’arduo monte al suo piè quasi calpesta. 230  La caduta di un frutto da un albero provoca la distruzione di un formicaio, come l’eruzione del Vesuvio ha provocato la distruzione delle città vicine  Come cadendo da un albero un piccolo frutto ( ), che la maturazione, senza alcuna altra forza, in autunno inoltrato fa precipitare a terra ( ) in un certo luogo ( ), schiaccia, annienta ( ) e seppellisce ( ) in un attimo ( ) i cari nidi ( ) di una colonia ( ) di formiche, scavati nell’umida terra ( ) con molta fatica ( ), e le provviste ( ) che i tenaci insetti ( ) avevano con previdenza ( ) e fatica ( ) accumulato a gara (   ) durante l’estate; allo stesso modo piombando dall’alto, dopo essere stato scagliato verso il cielo profondo dalle viscere rombanti del vulcano ( ), un rovinoso turbine oscuro ( ) di ceneri, di pomici e di sassi, mescolato ( ) con bollenti ruscelli di lava,  202-230 pomo atterra là diserta copre in un punto dolci alberghi popo l molle gleba gran lavoro ricchezze l’assidua gente provvidamente lungo affaticar adunate a prova utero tonante notte e ruina infusa oppure un’immensa piena di sassi liquefatti e di metalli e di sabbia infuocata, scendendo furiosa lungo le pendici del monte tra la vegetazione, devastò ( confuse ), distrusse ( infranse ) e ricoprì in pochi istanti le città che il mare bagnava ( aspergea ) là sulla costa ( estremo lido ): per cui sopra quelle città sepolte oggi pascolano le capre, mentre ( e ) dall’altra parte ( banda ) sorgono nuove città, alle quali quelle sepolte fanno da base ( sgabello ), e il monte scosceso ( arduo ) è come se calpestasse ai suoi piedi le mura abbattute ( prostrate ). ha valore indeterminato. là: 203 la dittologia ha il significato di un’endiadi. notte e ruina: 216 la costiera napoletana, lungo la quale sorgevano le antiche città di Pompei, Ercolano e Stabia, distrutte dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. estremo lido: 223-224 distanti dal mare. dall’altra banda: 228 Non ha natura al seme dell’uom più stima o cura che alla formica: e se più rara in quello che nell’altra è la strage, non avvien ciò d’altronde 235  fuor che l’uom sue prosapie ha men feconde. La natura non ha conferito all’uomo una posizione di privilegio rispetto alle formiche  La natura non nutre verso la specie umana più considerazione ( ) o premura ( ) che verso le formiche: e se le stragi di uomini sono meno frequenti ( ) di quelle di formiche, ciò non avviene per altra ragione ( ) se non per il fatto che ( ) l’uomo ha generazioni ( ) meno feconde. 231-236 stima cura più rara d’altronde fuor che prosapie Ben mille ed ottocento anni varcàr poi che spariro, oppressi dall’ignea forza, i popolati seggi, e il villanello intento 240  ai vigneti, che a stento in questi campi nutre la morta zolla e incenerita, ancor leva lo sguardo sospettoso alla vetta fatal, che nulla mai fatta più mite 245  ancor siede tremenda, ancor minaccia a lui strage ed ai figli ed agli averi lor poverelli. E spesso il meschino in sul tetto dell’ostel villereccio, alla vagante 250  aura giacendo tutta notte insonne, e balzando più volte, esplora il corso dal temuto bollor, che si riversa dall’inesausto grembo su l’arenoso dorso, a cui riluce 255  di Capri la marina e di Napoli il porto e Mergellina. E se appressar lo vede, o se nel cupo del domestico pozzo ode mai l’acqua fervendo gorgogliar, desta i figliuoli, 260  desta la moglie in fretta, e via, con quanto di lor cose rapir posson, fuggendo, vede lontan l’usato suo nido, e il picciol campo, che gli fu dalla fame unico schermo, 265  preda al flutto rovente, che crepitando giunge, e inesorato durabilmente sovra quei si spiega. La minaccia costante del Vesuvio  Sono trascorsi ( ) ben milleottocento anni da quando ( ) le popolose città ( ) sparirono, sepolte dalla forza infuocata, e il povero contadino ( ), dedito a coltivare i vigneti, che in questi campi la terra ( ) morta e bruciata nutre a stento, ancora solleva lo sguardo guardingo ( ) verso la cima del vulcano da cui dipende il suo destino ( ), la quale, per nulla affatto ( ) divenuta più mite, ancora si innalza ( ) tremenda, ancora minaccia strage a lui, ai suoi figli e ai loro poveri averi ( ). E spesso il poveretto sul tetto della sua rustica dimora ( ), giacendo insonne all’aria aperta ( ) per tutta la notte, e balzando più volte in piedi, controlla ( ) il percorso della temuta lava ( ), che dalle instancabili profondità ( ) del monte si riversa sull’arido fianco ( ), al cui riflesso brillano la costa di Capri, il porto di Napoli e Mergellina. 237-268 varcàr poi che i popolati seggi villanello zolla sospettoso fata l nulla mai siede averi lor poverelli ostel villereccio alla vagante aura esplora bollor inesausto grembo arenoso dorso E se lo vede avvicinarsi, o se per caso ( ) ode l’acqua gorgogliare ribollendo ( ) nel fondo ( ) del pozzo domestico, sveglia i figli, sveglia in fretta la moglie, e fuggendo via con quanto possono afferrare ( ) delle loro cose, vede da lontano la sua abitazione consueta ( ), e il piccolo campo, che era per lui l’unico riparo dalla fame, preda dell’onda infuocata ( ), che giunge crepitando, e inesorabile si distende per sempre ( ) sopra di essi. mai fervendo cupo rapir l’usato suo nido flutto rovente durabilmente della lava. ignea: 239 ai tempi di Leopardi, era un sobborgo a nord di Napoli, mentre oggi è parte integrante della città partenopea. Il riferimento alle bellezze paesaggistiche (il profilo di Capri, il porto di Napoli, il quartiere di Mergellina) è posto in aperta contrapposizione allo scenario di devastazione descritto poco prima. Mergellina: 257 l’acqua che ribolle nel pozzo per il calore segnala l’avvicinarsi della lava. nel cupo… gorgogliar: 258-260 Torna al celeste raggio dopo l’antica obblivion l’estinta 270  Pompei, come sepolto scheletro, cui di terra avarizia o pietà rende all’aperto; e dal deserto foro diritto infra le file 275  dei mozzi colonnati il peregrino lunge contempla il bipartito giogo e la cresta fumante, che alla sparsa ruina ancor minaccia. E nell’orror della secreta notte 280  per li vacui teatri, per li templi deformi e per le rotte case, ove i parti il pipistrello asconde, come sinistra face che per vòti palagi atra s’aggiri, 285  corre il baglior della funerea lava, che di lontan per l’ombre rosseggia e i lochi intorno intorno tinge. Gli scavi di Pompei  La morta Pompei torna alla luce del sole ( ) dopo l’antico oblio, come uno scheletro sepolto, che ( ) l’avidità ( ) o la pietà restituisce da sotto terra all’aperto; e dalla piazza ( ) deserta il visitatore ( ), in piedi ( ) tra le file dei colonnati troncati, contempla da lontano ( ) la doppia vetta ( ) e la cima ( ) fumante, che ancora minaccia le sparse rovine. E nell’orrore della notte oscura ( ), attraverso i vuoti teatri, i templi distrutti ( ) e le case in rovina ( ), dove il pipistrello nasconde i figli ( ), come una sinistra fiaccola ( ) che si aggiri per vuoti palazzi con la sua luce fosca ( ), si insinua ( ) il bagliore della lava apportatrice di morte ( ), che in lontananza rosseggia attraverso le tenebre ( ) e colora ( ) i luoghi tutt’intorno. 269-288 celeste raggio cui avarizia foro peregrino diritto lunge il bipartito giogo cresta secreta deformi rotte i parti face atra corre funerea per l’ombre tinge gli scavi ar­cheo­logici a Pompei iniziarono nel 1748, per volontà di Carlo III di Borbone. Torna al celeste raggio… Pompei: 269-271 la doppia vetta del Vesuvio, ossia il Vesuvio propriamente detto e il monte Somma. il bipartito giogo: 277 Così, dell’uomo ignara e dell’etadi ch’ei chiama antiche, e del seguir che fanno 290  dopo gli avi i nepoti, sta natura ognor verde, anzi procede per sì lungo cammino che sembra star. Caggiono i regni intanto, passan genti e linguaggi: ella nol vede: 295  e l’uom d’eternità s’arroga il vanto. La presunzione di eternità dell’uomo  Così, incurante ( ) dell’uomo e delle epoche ( ) che egli chiama antiche, e del succedersi delle generazioni ( ), la natura resta sempre giovane ( ), anzi si muove per una via così lunga che sembra rimanere immobile ( ). Intanto cadono i regni, passano popoli e linguaggi: essa non se ne accorge ( ): eppure ( ) l’uomo si vanta di essere eterno. 289-296 ignara etadi del seguir che fanno dopo gli avi i nepoti ognor verde star nol vede e la natura cammina con un passo così lento che sembra ferma rispetto alla velocità con cui procedono gli uomini e le epoche storiche. sta natura… star: 292-294 E tu, lenta ginestra, che di selve odorate queste campagne dispogliate adorni, anche tu presto alla crudel possanza 300  soccomberai del sotterraneo foco, che ritornando al loco già noto, stenderà l’avaro lembo su tue molli foreste. E piegherai sotto il fascio mortal non renitente 305  il tuo capo innocente: ma non piegato insino allora indarno codardamente supplicando innanzi al futuro oppressor; ma non eretto con forsennato orgoglio inver le stelle, 310  né sul deserto, dove e la sede e i natali non per voler ma per fortuna avesti; ma più saggia, ma tanto meno inferma dell’uom, quanto le frali 315  tue stirpi non credesti o dal fato o da te fatte immortali. è sempre stato usato il termine strofa: uniformare? La ginestra verrà travolta dalla lava senza proteste  E tu, docile ( ) ginestra, che adorni con cespugli profumati ( ) queste campagne desertificate ( ), anche tu soccomberai presto alla potenza ( ) crudele della lava ( ), che ritornando sui luoghi già colpiti in passato (   ), stenderà il suo avido manto ( ) sulle tue cedevoli ( ) foreste. E senza ribellarti ( ) piegherai sotto il peso ( ) mortale della lava il tuo capo innocente: ma fino a quel momento ( ) non piegato invano ( ) con suppliche codarde ( ) davanti al futuro oppressore; non innalzato ( ) con orgoglio folle ( ) contro ( ) le stelle, né sul deserto, dove hai avuto la dimora e la nascita ( ) non per tua scelta ( ) ma per caso ( ); più saggia, e tanto meno insensata ( ) dell’uomo, nella misura in cui ( ) non hai mai creduto che le tue fragili ( ) stirpi fossero state rese immortali dal destino o da te stessa. 297-317 lenta selve odorate dispogliate possanza sotterrano foco già noto avaro lembo molli non renitente fascio insino allora indarno codardamente supplicando eretto forsennato inver la sede e i natali voler fortuna inferma quanto frali  >> pagina 987 Dentro il TESTO I contenuti tematici è il canto di Leopardi più esteso (ben 317 versi) e più importante dal punto di vista dell’impegno ideologico: la sua riflessione tutta negativa si propone come un nuovo fondamento della vita e della civiltà, indicando una possibile forma di resistenza e di convivenza per l’umanità. Al termine del suo viaggio intellettuale, lungo il quale ha percorso con coraggio i sentieri impervi della “verità”, ora il poeta intende presentare un messaggio che sintetizzi il proprio progetto di una morale laica coe­rente con un rigorosamente e . La ginestra pensiero materialistico contrario a ogni illusione provvidenzialistica L’epilogo di una straordinaria avventura intellettuale La meditazione morale e il suo approdo conclusivo passano attraverso una lunga serie di immagini e una complessa sequenza di concetti, con frequenti riprese, che rendono compatto lo svolgimento del discorso. Il titolo del canto riporta il nome di un fiore: e con il vocabolo “fiore” in vari punti dell’intero libro dei viene designata la parte migliore dell’esistenza umana, vale a dire la giovinezza (indicata, per esempio, al v. 49 delle come «dell’arida vita unico fiore ). Non a caso, la ginestra viene chiamata in causa dal poeta sia all’inizio sia alla fine del lungo ragionamento: di volta in volta definita (v. 6), (v. 7), (v. 34), (v. 297), (v. 314), costituisce l’immagine-ossatura del componimento, gli conferisce una struttura circolare ed esemplifica, con la sua forza priva di superbia e con la sua dignitosa pazienza, la capacità di opporsi alla furia devastatrice della natura. Canti Ricordanze » odorata contenta dei deserti gentile lenta saggia Un fiore tra le rovine del vivere  >> pagina 988  Dopo averla già vista a Roma, nell periferia della città, il poeta ritrova ora alle falde del Vesuvio l’umile ginestra, che, amante dei luoghi (v. 14) e (v. 15) pare comprendere le sofferenze altrui, consolando con il suo profumo lo squallore del paesaggio. Oggi, attorno al Vesuvio, essa fiorisce in lande deserte, un tempo sedi di ferventi attività agricole e di città popolose. Coloro che hanno una visione positiva della vita dovrebbero recarsi in quei luoghi per capire quanto poco la natura abbia a cuore il genere umano. Essa, infatti, con un piccolo sforzo può annientare in parte le opere dell’uomo e gli stessi esseri viventi, e, con uno sforzo soltanto di poco maggiore, distruggerli. La e la sono così rappresentate dal paesaggio petroso, che testimonia con la sconsolata realtà del suo panorama la vittoria della natura sulla Storia, sugli uomini e sulle loro povere creazioni, destinate a essere azzerate per sempre: (vv. 49-51). tristi abbandonati vanità caducità del tutto Dipinte in queste rive / son dell’umana gente / le magnifiche sorti e progressive Prima strofa: la ginestra e il vulcano , definito, in una secca apostrofe*, (v. 53). A partire dal Rinascimento ( , v. 55) e poi con l’Illuminismo, l’approccio razionale alla realtà era riuscito, almeno in parte, a sconfiggere la (v. 75) medievale, cioè – nella visione leopardiana – l’insieme delle credenze religiose, equiparate a mere superstizioni irrazionalistiche. Il Romanticismo mistifica infatti la realtà, autocelebrandosi in modo paradossale e ingannevole: esso chiama (v. 58) quello che è invece un (v. 57: un indietreggiare cioè verso il buio dell’ignoranza); annovera tra i propri valori la (v. 72), ma in realtà il pensiero contemporaneo sembra andare piuttosto stabilendo una nuova schiavitù della ragione nei confronti della fede e dei dogmi religiosi. Il poeta polemizza con il proprio tempo secol superbo e sciocco risorto pensier barbarie procedere ritornar Libertà La polemica dell’autore si appunta che pone l’uomo al centro della mente divina ( , v. 86). Tuttavia per Leopardi chi professa questa concezione della condizione umana illude sé stesso oppure è in malafede ( , v. 85; , vv. 61-63). Diversa è infatti la posizione del poeta, che, avverso a ogni metafisica, rifiuta la religione in quanto per lui espressione di viltà ( , vv. 63-64), pur essendo consapevole che chi va controcorrente rispetto al pensiero dominante è fatto oggetto di quella che gli antichi romani chiamavano “la condanna alla dimenticanza”. in particolare contro lo spiritualismo cattolico fin sopra gli astri se schernendo o gli altri, astuto o folle ancora / ch’a ludibrio talora / t’abbian fra sé Non io / con tal vergogna scenderò sotterra Seconda strofa: contro lo spiritualismo cattolico Dinanzi al male che domina l’esistenza, gli uomini si dividono per Leopardi in due categorie: quelli che si ostinano a ritenersi fortunati in quanto esseri privilegiati nell’universo e quelli che invece, guardando in faccia la realtà, riconoscono la miseria dello stato umano sulla Terra. Il poeta propende naturalmente per questa seconda visione, perché i primi a suo giudizio sono patetici e ricordano un uomo povero e malato che parli di sé stesso come di una persona ricca e sana: che neghi, cioè, l’evidenza. Quello di Leopardi, peraltro, non è soltanto puntiglio intellettuale, perché l’adesione alla verità ha una positiva ricaduta morale e sociale: una volta riconosciuta la tristezza della condizione umana, è possibile allearsi contro il nemico comune, la natura, […] (v. 125). In tal modo la concezione della vita avrà solide fondamenta razionali, in grado di promuovere la giustizia e la solidarietà. madre di parto e di voler matrigna Terza strofa: la solidarietà fra gli uomini Con la quarta strofa la dimensione spazio-temporale si allarga da una terrestre a una . Osservando il cielo dal paesaggio ricoperto dalla lava, il poeta è indotto a riflettere su come, rispetto all’universo, la Terra e l’uomo siano un nulla. Il panorama astrale non evoca più, come nell’ (   ), l’immensità in cui l’individuo può perdersi con l’immaginazione, ma diventa la metafora dell’irrilevanza dell’uomo, ridotto nel sistema universale a uno stato di assoluta e ininfluente marginalità. Per questo, a metà tra la derisione e la pena ( , v. 201), Leopardi attacca la cultura del proprio secolo, il quale ha riportato in auge miti e credenze religiose che la ragione illuministica sembrava aver sconfitto per sempre, perpetuando un’ingannevole immagine antropocentrica del mondo. prospettiva cosmica Infinito ▶ T12, p. 951 Non so se il riso o la pietà prevale Quarta strofa: il riso e la pietà  >> pagina 989  Il motivo dell’ viene ripreso anche in questa strofa, mediante una lunga similitudine*, che la occupa quasi per intero e che costituisce una sorta di apologo: come un frutto maturo cadendo da un albero annienta ( , v. 211) un’intera colonia di formiche, così l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. ha distrutto ( , vv. 224-225) le città limitrofe, facendo perire tragicamente tutti i loro abitanti. Ciò mostra come la sia allo stesso modo agli uomini e alle formiche; essa non si interessa né agli uni né alle altre, e dunque l’uomo non ha alcun privilegio particolare rispetto agli altri esseri viventi, dei quali condivide la sorte, ugualmente inserita nell’eterno ciclo di nascita, trasformazione e morte. insignificanza dell’uomo schiaccia, diserta e copre confuse e infranse e ricoperse natura indifferente Quinta strofa: la capacità distruttrice della natura Il personaggio, evocato a questo punto, di un contadino che scruta preoccupato i segni del Vesuvio, sembra prelevato a prima vista da una scena idillica (in questa direzione vanno, oltre che l’immagine del , v. 240, anche quelle dell’ , v. 250, e del , v. 264): in realtà la sua innocenza sottolinea per contrasto l’onnipotenza devastatrice della natura, che lo costringe a lasciare ogni avere pur di mettersi in salvo con la famiglia. Il destino che incombe su di lui è lo stesso che ha travolto l’antica Pompei, ora tornata alla luce grazie agli scavi archeo­logici e descritta con un gusto delle rovine e del macabro cimiteriale, influenzato dalla letteratura preromantica. villanello ostel villereccio picciol campo Qui però all’ puramente estetico si sostituisce quello : alla civiltà umana si contrappone la natura, insensibile all’uomo e alle sue realizzazioni. Essa si perpetua attraverso un tempo lunghissimo, incurante delle generazioni e delle epoche storiche. intento ideologico Sesta strofa: l’indifferenza della natura Infine il discorso torna al punto di partenza: il poeta si rivolge infatti nuovamente alla ginestra, meditando sulla sua situazione. Anch’essa, prima o poi, dovrà soccombere ancora una volta al furore distruttivo del vulcano, ma si piegherà sotto la lava senza protestare. Leopardi ammira nella ginestra la dote dell’umiltà: non – come accade con l’uomo – la sottomissione codarda e magari anche un po’ ipocrita alla divinità ( […] […] […] , vv. 306-309) e neppure, al contrario, la sciocca esaltazione di sé ( , vv. 309-310) nel credersi appartenente a una specie superiore alle altre. Il messaggio di Leopardi è chiaro: la constatazione del dolore e dell’infelicità che avvolgono la vita umana non deve condurre né alla falsa opinione di un’impossibile immortalità né a una resa rinunciataria, ma a un’ . il tuo capo   / non piegato / codardamente supplicando innanzi / al futuro oppressor eretto / con forsennato orgoglio inver le stelle accettazione dignitosa del destino Settima strofa: il coraggio della ginestra e la dignità dell’uomo Le scelte stilistiche Il testo è abilmente costruito sull’ . E a seconda delle situazioni, il poeta varia il ritmo della versificazione. Così troviamo, per esempio, nella sequenza della distruzione, nella quinta strofa, un ritmo incalzante ottenuto attraverso il ricorso a una serie di * ascendenti (spesso scanditi dal polisindeto): (v. 211); (v. 215); (vv. 220-221); (vv. 224-225). A fasi di forte tensione drammatica come questa, ne seguono altre in cui il periodare è meno concitato, come nella quarta strofa, in cui la meditazione sull’infinità dell’universo si distende nel movimento di periodi assai lunghi, caratterizzati dall’ipotassi*. L’autore riesce a conseguire i diversi effetti ritmici anche modulando di volta in volta quella successione di endecasillabi e settenari che la canzone libera gli consente con la massima flessibilità: prevalgono gli endecasillabi nelle fasi più distese (per esempio, per limitarci alla prima strofa, quando viene descritta la ginestra: vv. 4-8; 14-16; 34-37), mentre sono più frequenti i settenari nei passaggi dal ritmo più incalzante (a partire dai primi tre versi del testo, con la presentazione del vulcano minaccioso). alternanza tra fasi descrittive, squarci paesaggistici e momenti riflessivi climax schiaccia, diserta e copre di ceneri e di pomici e di sassi di liquefatti massi / e di metalli e d’infocata arena confuse / e infranse e ricoperse Le variazioni di ritmo  >> pagina 990  Alla variazione del ritmo corrisponde spesso un’analoga variazione del tono, che . Una delle modalità espressive più ricorrenti è quella dell’ , che a volte sconfina nel . Ciò avviene per esempio quando Leopardi vuole deridere la presunzione dell’uomo rispetto al suo ruolo nell’universo e alla supposta benevolenza nei suoi confronti da parte della divinità: si vedano, per esempio, i versi 49-51 ( ) e anche quelli che aprono la strofa immediatamente successiva ( , vv. 52-53). Altre volte, invece, troviamo un , come nei passi nei quali sono presentati la ginestra o il paesaggio (si vedano, all’inizio della quarta strofa, i vv. 158-166); oppure un tono drammatico, quando viene descritta l’attività del vulcano; e ancora un quando il poeta riflette su quanto sia piccola la Terra negli spazi infiniti dell’universo o sullo scorrere del tempo, come accade nella quarta strofa. alterna momenti ragionativi, accenti polemici e inflessioni liriche ironia sarcasmo Dipinte in queste rive / son dell’umana gente / le magnifiche sorti e progressive Qui mira e qui ti specchia, / secol superbo e sciocco tono elegiaco tono meditativo L’alternanza dei toni Ivan Konstantinovich Aivazovsky, , 1842. Teodosia (Ucraina), Galleria d’Arte Nazionale. Il golfo di Napoli in una notte di luna  >> pagina 991  Le scelte lessicali sono di , del resto adeguato all’importanza dei temi affrontati. Sono frequenti, infatti, gli arcaismi e i latinismi (per esempio, già nella prima strofa, ), che spesso, peraltro, rimandano a precisi echi letterari (da Virgilio, Petrarca, Foscolo), evidentemente presenti nella memoria di un poeta coltissimo come Leopardi. Altre volte, in alcuni squarci paesaggistici (come ai vv. 158-166), ritroviamo alcuni vocaboli “indefiniti” tipici della fase degli idilli: . Ma tali elementi lessicali tornano in una prospettiva radicalmente nuova in cui la percezione dell’infinito ormai genera solo la sgomenta consapevolezza della schiacciante sproporzione fra il cosmo e l’uomo (Gioanola). tono sostenuto ed elevato formidabil, Vesevo, erme, donna, liete, ville, armenti, ozi, ignea, ruina, siedi, annichilare mesta, landa, purissimo azzurro, di lontan, vòto, seren « » Il lessico Verso le COMPETENZE COMPRENDERE Quale significato assume la frase in esergo? 1 Che cosa intende il poeta con (v. 59)? A quale tendenza del pensiero del proprio tempo si riferisce? 2 pargoleggiar Che cos’è la del v. 135? 3 guerra comune A che cosa si riferisce l’espressione al v. 187? Perché questo suolo offre testimonianza della condizione dell’uomo sulla Terra (come viene detto al verso precedente)? 4 il suol ch’io premo A che cosa si riferisce al v. 268? 5 quei Spiega il significato dei vv. 271-273 ( ). 6 come sepolto  / scheletro, cui di terra / avarizia o pietà rende all’aperto Al v. 314 la ginestra viene definita . Più saggia di chi? Per quale motivo? 7 più saggia ANALIZZARE Rintraccia sei apostrofi presenti nel componimento. 8 Individua nel testo almeno tre esempi di costrutti sintattici classicheggianti con il verbo collocato alla fine del periodo. 9 Che funzione hanno, al v. 4, il pronome relativo e i sostantivi e ? 10 la qual arbor fiore Quale figura riconosci ai vv. 24-32? 11  Una metafora. a  Un’anafora. b  Un’epifora. c  Una sineddoche. d Quale connotazione è ravvisabile nell’espressione (v. 41)? 12 amante natura Ponendo attenzione al rapporto tra i concetti e la disposizione delle parole, quale figura possiamo riconoscere al v. 85 ( )? 13 sé schernendo o gli altri, astuto o folle Individua due antitesi presenti ai vv. 72-86. 14 Che complemento è al v. 88? 15 dell’alma Rintraccia i chiasmi presenti nella terza strofa. 16 Individua nella quinta strofa gli elementi di simmetria all’interno della similitudine tra le formiche e gli uomini. 17 Ai vv. 241-242 quali sono le funzioni logiche del pronome relativo e del sostantivo ? 18 che zolla INTERPRETARE A quale scopo viene introdotta un’anafora della congiunzione a inizio di periodi ai vv. 307-317? 19 ma Come ti sembra mutato l’atteggiamento psicologico e intellettuale di Leopardi da ( T19, p. 977) alla ? Spiegalo in un testo argomentativo di circa 20 righe. 20 A se stesso ▶ Ginestra Produrre   21 Scrivere per argomentare.   A partire dalla lettura della  Ginestra , ma ampliando la tua informazione con altre fonti, sviluppa un testo argomentativo di circa 30 righe sul rapporto tra Leopardi e l’Illuminismo. Dibattito in classe  Leopardi aveva in mente una  , che però non scrisse mai. Secondo il critico Walter Binni, «    può leggersi anche come la realizzazione suprema di questa  , mai stesa, ma vivamente pensata: messaggio, quello della  , che è, sulla asserita, amarissima realtà della sorte degli uomini tutta e solo su questa terra, tanto più l’invito urgente ad una lotta per una attiva e concorde prassi sociale, per una società comunitaria di tutti gli uomini, veramente libera, “eguale” giusta e aperta, veramente fraterna: lotta il cui successo non ha nessuna garanzia e che è tanto più doverosa proprio nella sua ardua difficoltà». Sei d’accordo con quanto afferma il critico? Perché? Confrontati con i compagni. 22 Lettera ad un giovane del XX secolo La g inestra Lettera a un giovane del ventesimo secolo Ginestra