Raccontare la Shoah La letteratura come un esigenza La necessit di comunicare: Se questo un uomo di Primo Levi Raccontare pu significare provare a liberare il proprio groviglio interiore e a concedersi un minimo sollievo: la penna, cio , pu essere usata come una terapia rigeneratrice o come un appiglio per tornare alla vita. La letteratura in grado quindi di salvare , consentendo, mediante la memoria soggettiva, di fare i conti con un ossessione che non potr mai sgombrare la mente. Primo Levi (1919-1987) percepisce l esigenza di mettere per iscritto l esperienza del lager quando ancora prigioniero, come racconta nella postfazione di Se questo un uomo: «Era talmente forte in noi il bisogno di raccontare, che il libro avevo incomincia- to a scriverlo l , in quel laboratorio tedesco pieno di gelo, di guerra e di sguardi indiscreti, bench sapessi che non avrei potuto in alcun modo conservare quegli appunti scarabocchiati alla meglio, che avrei dovuto buttarli via subito, perch se mi fossero stati trovati addosso mi sarebbero costati la vita». Levi si interroga se sia ancora «un uomo» il s stesso che vede riflesso nei volti dei propri compagni di deportazione e di prigionia. Il brano che presentiamo, tratto dal primo capitolo intitolato «Il viaggio», descrive la fine del trasferimento in treno dall Italia alla Polonia e l arrivo dei deportati in prossimit del campo di Auschwitz. ¥ T2 ¥ Verso Auschwitz Primo Levi Venne a un tratto lo scioglimento.1 La portiera fu aperta con fragore, il buio echeggi di ordini stranieri, e di quei barbarici latrati dei tedeschi quando comandano, che sembrano dar vento a una rabbia vecchia di secoli. Ci apparve una vasta banchina illuminata da riflettori. Poco oltre, una fila di autocarri. Poi tutto tacque di 5 nuovo. Qualcuno tradusse: bisognava scendere coi bagagli, e depositare questi lungo il treno. In un momento la banchina fu brulicante di ombre: ma avevamo paura di rompere quel silenzio, tutti si affaccendavano intorno ai bagagli, si cercavano, si chiamavano l un l altro, ma timidamente, a mezza voce. Una decina di SS2 stavano in disparte, l aria indifferente, piantati a gambe lar10 ghe. A un certo momento, penetrarono fra di noi, e, con voce sommessa, con visi di pietra, presero a interrogarci rapidamente, uno per uno, in cattivo italiano. Non interrogavano tutti, solo qualcuno. «Quanti anni? Sano o malato?» e in base alla risposta ci indicavano due diverse direzioni. Tutto era silenzioso come in un acquario, e come in certe scene di sogni. Ci sarem15 mo attesi qualcosa di pi apocalittico: sembravano semplici agenti d ordine. Era sconcertante e disarmante. Qualcuno os chiedere dei bagagli: risposero «bagagli dopo»; qualche altro non voleva lasciare la moglie: dissero «dopo di nuovo insieme»; molte madri non volevano separarsi dai figli: dissero «bene bene, stare con figlio». Sempre con la pacata sicurezza di chi non fa che il suo ufficio di ogni giorno; ma Renzo indu20 gi un istante di troppo a salutare Francesca, che era la sua fidanzata, e allora con un solo colpo in pieno viso lo stesero a terra; era il loro ufficio di ogni giorno. 1 lo scioglimento: dell attesa. Finito il viaggio di tra- sferimento verso Auschwitz, il treno si era fermato. 1090 2 SS: sigla di Schutz-Staffeln (squadre di protezio- ne), milizie armate del regime nazista.