Finestra sul CONTEMPORANEO Pascoli & Giorgio Caproni Due poeti tra realtà e suggestione L’influenza pascoliana Per molti decenni il dibattito critico intorno alla posizione storico-letteraria di Pascoli è stato dominato da una domanda ricorrente: In altre parole, la sua poesia va messa in relazione con le tendenze del tardo-Romanticismo, del Positivismo e del Simbolismo di fine secolo, è da considerare in una posizione di cerniera tra due epoche o va intesa come il fondamentale punto di avvio di alcuni, successivi filoni della lirica italiana novecentesca? l’autore di Myricae ha chiuso l’Ottocento o aperto il Novecento? Come suggerisce la studiosa Niva Lorenzini, cercare parentele vincolanti con la produzione successiva determina «confuse e interessate assimilazioni»: sottrarre Pascoli al suo tempo significa, per paradosso, togliere forza alla novità della sua poetica in una stagione della nostra letteratura ancora legata ai modelli classicheggianti della produzione carducciana. D’altro canto, se è vero che molti motivi e caratteri dei versi di Pascoli appartengono a un orizzonte geografico e cronologico limitato (si pensi alla rappresentazione del mondo contadino), è altrettanto vero che il debito che molti poeti delle generazioni successive scontano nei suoi confronti è innegabile: e oltre. dai Crepuscolari a Saba fino ad Ungaretti L’apparente semplicità di Caproni Nel cuore del Novecento, un poeta che presenta molte affinità con Pascoli è Giorgio Caproni, a partire da alcuni aspetti fondamentali: l’ ; la da cui scaturiscono improvvise folgorazioni; il affidato a un’acuta sensibilità visiva, acustica e olfattiva; il e i suoni della realtà circostante; le descrizioni di scenari a prima vista realistici, sui quali però aleggiano inquiete suggestioni psicologiche. attenzione al quotidiano raffigurazione minuta e folgorante di eventi semplici e situazioni autobiografiche ricordo vivido del passato lessico che richiama le voci della natura Giorgio Caproni nasce a nel ma a dieci anni si trasferisce con la famiglia a . Qui, dopo il diploma magistrale, si impiega come , professione scelta sacrificando un particolare talento per il violino. Nel 1936, a pochi giorni dalle nozze, muore la fidanzata Olga Franzoni. La crisi che ne segue viene superata grazie a un’altra donna, Rina (Rosa Rettagliata), che Caproni sposa nel 1938. A questi anni risalgono le prime raccolte poetiche: (1936) e (1938). Richiamato alle armi durante la Seconda guerra mondiale, combatte sulle Alpi Marittime e in Veneto; dopo l’8 settembre 1943 e si unisce a gruppi partigiani operanti in Val Trebbia, sui monti fra l’Emilia e la Liguria. Nel frattempo escono le poesie raccolte nel volume (1943). Livorno 1912 Genova maestro elementare Come un’allegoria Ballo a Fontanigorda aderisce alla Resistenza Cronistoria Panorama di Genova. >> pagina 393 Un falso realismo poetico Nel dopoguerra, Caproni si stabilisce a Roma, dove accosta alla sua professione di maestro il lavoro di , specie dal francese, e la collaborazione con giornali e riviste letterarie. Fino alla morte, avvenuta a nel , pubblica molte raccolte, le più importanti delle quali sono (1959), (1965), (1975). traduttore Roma 1990 Il seme del piangere Il muro della terra È tuttavia in un’opera precedente, edita nel 1956, che Caproni evidenzia appieno il proprio legame con la lirica pascoliana. Essa si intitola, significativamente, : il poeta si identifica con l’eroe virgiliano, condannato a un perenne esilio e a un futuro incerto, in fuga da un’infanzia segnata dai lutti e dalle perdite. Ora egli si muove in un paesaggio cittadino che è luogo e, allo stesso tempo, non-luogo: con precisione toponomastica, Caproni descrive vie e quartieri delle città più amate, Genova e Livorno, ambienti quotidiani come bar, androni e banchine, cose comuni come ascensori, lampadine, bicchieri. Il passaggio d’Enea Non si tratta di mero realismo: l’autore infatti trasfigura i singoli oggetti e li circonda di un’atmosfera nebbiosa, , isolandoli dal contesto, come . Mentre viaggia tra luoghi veri e insieme immateriali, , riflettendo sul valore dell’esistenza, concepita come una sorta di passaggio transitorio, un purgatorio destinato a scomparire, nel quale non è possibile riuscire ad afferrare veramente la verità delle cose. Leggiamo i versi del sonetto “monoblocco” (cioè senza gli spazi che di norma dividono quartine e terzine) , scritto nel 1945 e poi pubblicato in apertura de : tra il sogno e la visione evocazioni sospese a mezz’aria il poeta si interroga sul senso del suo vagare Alba Il passaggio di Enea Georgy Frangulyan, , 2007. La chiatta di Dante Amore mio, nei vapori d’un bar all’alba, amore mio che inverno lungo e che brivido attenderti! Qua dove il marmo nel sangue è gelo, e sa di rifresco anche l’occhio, ora nell’ermo 5 rumore oltre la brina io quale tram odo, che apre e richiude in eterno le deserte sue porte?… Amore, io ho fermo il polso: e se il bicchiere entro il fragore sottile ha un tremitío tra i denti, è forse 10 di tali ruote un’eco. Ma tu, amore, non dirmi, ora che in vece tua già il sole sgorga, non dirmi che da quelle porte qui, col tuo passo, già attendo la morte! assente nella lingua italiana, il vocabolo è probabilmente il calco imperfetto del genovese , termine che indica l’odore sgradevole delle stoviglie mal lavate. solitario. 5 rifresco: refrescûmme ermo: >> pagina 394 Un dialogo simbolico L’occasione della composizione della lirica verrà narrata dallo stesso Caproni: «A Roma, verso la fine del 1945. Ero in una latteria, solo, vicino alla stazione, e aspettavo mia moglie Rina che doveva arrivare da Genova. Una latteria di quelle con i tavoli di marmo, con le stoviglie mal rigovernate che sanno appunto di “rifresco”. Mia moglie non poteva stare con me a Roma perché non trovavo casa e dovevo stare in pensione. Erano tempi tremendi». L’alba non è, pascolianamente, intercettata nella quiete della campagna: qui siamo immersi tra i (v. 1) che annebbiano la vista e l’eco di qualcosa (ma che cosa?) che pare segnare lo ( , vv. 5-8), mentre la sensazione di gelo è amplificata dal (v. 4) dei tavoli del bar, finendo per penetrare nel (v. 4) del poeta. Tra l’illusione e il disincanto, l’io lirico spera di vedere la donna amata, a cui si rivolge in apostrofe sin dal primo verso, in attesa di un incontro che non sapremo mai se si realizzerà. L’unica certezza è appunto in questa , che può concretizzarsi solo in un brivido o nel rumore del bicchiere che trema tra i denti nonostante la fermezza della mano che lo tiene. vapori d’un bar scorrere inesorabile del tempo ora nell’ermo / rumore oltre la brina io quale tram / odo, che apre e richiude in eterno / le deserte sue porte? marmo sangue trepidante sospensione Non è detto, infatti, che le porte deserte del tram permettano il passaggio e il ricongiungimento degli amanti; anzi, esse sembrano aprirsi all’assenza ed escludere ogni soluzione consolatoria. : il poeta infatti teme ( , v. 12, 13) che, in questa , al suo posto sopraggiunga la morte, il simbolo di una definitiva separazione dalla vita e di un annullamento del tempo che conduce verso il nulla ( , v. 7). La speranza dell’arrivo della donna vacilla Non dirmi dimensione di vuoto metafisico in eterno Il significato dei suoni A Pascoli non rimanda solo la che attraversa il componimento, rivelandosi poi nella sua conclusione, ma anche e soprattutto i fenomeni fonici, decisivi nel conferire al testo la sua patina di sofferta ambiguità. Allitterazioni ( , vv. 5-6; , v. 10; , v. 14, solo per citare le più significative), assonanze e consonanze danno vita a un che richiama il fonosimbolismo e i nessi analogici tipici di e dei : non è casuale, per esempio, la frequenza dei fonemi , , (come nell’assonanza ), che alludono alla presenza della morte. Infine certe soluzioni retoriche (le sinestesie , vv. 4-5, e , vv. 9-10), le scelte lessicali (come il del v. 10) e il ritmo del verso, scandito, quasi sincopato dagli , confermano la presenza di precisi echi pascoliani. sinistra inquietudine mortuaria e rmo / r u m o r e olt r e la b r ina tr emi t ìo tr a i d enti a tt en d o la mor t e groviglio di suoni Myricae Canti di Castelvecchio m r t bar-tram sa / di rifresco anche l’occhio fragore sottile tremitìo enjambement Il fantasma della morte In Caproni, l’esistenza appare continuamente precaria e priva di certezze: come in Pascoli, la ricerca di una direzione da dare al proprio essere nel mondo costringe il poeta a cercare tra i moti dell’inconscio inconfessabili e misteriose pulsioni, ricordi traumatici dell’infanzia o comunque del passato, rievocazioni di figure ormai assenti (è il caso della madre o della fidanzata Olga). , che di tanto di tanto riemergono, continuando a vivere, sia pure come pura illusione, nell’incanto sorprendente dei versi di una poesia. Nella terza e ultima parte ( ) del poemetto che dà il titolo alla raccolta, , attraverso la realtà dei sensi e la precisione della toponomastica, l’io lirico si descrive carico di rancori personali mentre passeggia nella sera e si dirige verso il mare. Il lutto avvolge i nomi e i volti Epilogo Il passaggio d’Enea Sentivo lo scricchiolio, nel buio, delle mie scarpe: sentivo quasi di talpe seppellite un rodìo sul volto, ma sentivo 5 già prossimo ventilare anche il respiro del mare. Era una sera di tenebra, mi pare a Pegli, o a Sestri. Avevo lasciato Genova 10 a piedi, e freschi nel sangue i miei rancori bruciavano, come amori. M’approssimavo al mare sentendomi annientare 15 dal pigolio delle scarpe: sentendo già di barche al largo un odore di catrame e di notte sciacquante, ma anche 20 sentendo già al sole, rotte, le mie costole, bianche. Avevo raggiunto la rena, ma senza avere più lena. Forse era il peso, nei panni, 25 dell’acqua dei miei anni. un rodersi insistente. un rodìo: 4 quartieri del ponente genovese. Pegli… Sestri: 9 sabbia. rena: 23 respiro, fiato. lena: 24 >> pagina 395 Il faticoso cammino della vita I primi versi riecheggiano quelli dell’ pascoliano, con il verbo ripetuto in anafora («sentivo il cullare del mare, / sentivo un fru fru tra le fratte; / sentivo nel cuore un sussulto, com’eco d’un grido che fu», vv. 11-14): nella poesia di Caproni è possibile cogliere lo stesso gusto delle percezioni uditive, ma soprattutto la stessa capacità di scoprire il e la fisicità da ghermire con l’olfatto e con il tatto. Le consuete famiglie acustiche ( , v. 1; , v. 4; , v. 16) accompagnano il viaggio del poeta, destinato ad approdare finalmente a una riva dall’evidente significato simbolico, eppure infastidito da una sensazione abrasiva, il (vv. 4-5) provocato dai (v. 12) che lo consumano internamente. Assiuolo respiro segreto delle cose lo scricchiolio un rodìo il pigolio rodìo / sul volto rancori Ma ciò che sorprende è la , dal centro di Genova ai quartieri della città affacciati sul mare, Pegli e Sestri: l’io lirico non è, come ci aspetteremmo, un naufrago in mare, ma in terra, mentre si approssima al mare, da intendere come l’ in virtù delle sue grandi distese d’acqua ( , vv. 17-20). La meta però non può essere raggiunta: egli non riesce a procedere più, come si evince dalle sue , diventate (vv. 21-22) e scalcinate alla luce del sole. Toccata la (v. 23), infatti, le energie abbandonano definitivamente il poeta, appesantito dai (v. 25) imbevuti d’acqua, cioè, fuor di metafora, dagli anni vissuti. Il viaggio della vita termina qui: di fronte al mare, , alla stanchezza e ai limiti invalicabili posti all’agire umano. direzione del viaggio immagine della libertà e della salvezza sentendo già di barche / al largo un odore / di catrame e di notte / sciacquante costole rotte bianche rena panni ad Enea-Caproni non rimane che arrendersi alla vecchiaia William Turner, , 1840 ca. Leeds, Leeds Museum and Galleries. Mare grigio, barca corre verso la riva