LETTURE critiche Il tempo “misto” nella Coscienza di Zeno di Sandro Maxia Il critico Sandro Maxia (n. 1932) definisce la particolare consistenza del “tempomisto” sveviano in relazione alla complessità della “coscienza” del protagonistadel romanzo: una coscienza stratificata, nella quale sono compresenti diversi momentitemporali. Da qui deriva, nella strategia narrativa di Svevo, la svalutazionedei fatti con la loro fallimentare pretesa di oggettività: gli eventi contano soltantoin relazione al «gioco della memoria» su cui è concentrata tutta l’attenzione delloscrittore. Svevo fu tormentato a lungo dal problema del tempo, anche dal problema delle difficoltà sintattico-stilistiche che si devono superare per renderne il senso: «Avrò la sorpresa di trovare me che qui descrivo molto differente da colui che descrissi anni or sono. La vita, benché non descritta, lasciò qualche segno. Mi pare che col tempo un po’ si rasserenò. Mi mancano quegli sciocchi rimorsi, quelle spaventose paure del futuro. Come potrei spaventarmene? È quel futuro quello ch’io vivo. Va via senza prepararne un altro. Perciò non è neppure un vero presente. Sta fuori del tempo. Manca un tempo ultimo nella grammatica». Ma soprattutto fu consapevole del fatto che il vero tempo della coscienza è la durata, perché l’uomo non può sopprimere il ricordo del passato, e l’attesa del futuro. Nel romanzo che la morte gli impedì di portare a termine si legge questa lucidissima notazione:  1 «C’è… una grande differenza tra lo stato d’animo in cui l’altra volta raccontai la mia vita e quello attuale. La mia posizione s’è cioè semplificata. Continuo a dibattermi tra il presente e il passato, ma almeno fra i due non viene a cacciarsi la speranza, l’ansiosa speranza del futuro. Continuo dunque a vivere in un , com’è il destino dell’uomo…». tempo misto Il tempo misto è dunque il tempo della memoria, il tempo che fonda l’interiorità in opposizione al tempo oggettivo scandito dai fatti esteriori, e non è propriamente né passato né presente, perché risulta dall’intreccio e dalla sintesi, sempre insidiata e continuamente ricostruita, del passato, del presente, e dell’avvenire. Se proprio si volesse un’indicazione sintattica più precisa si potrebbe dire che il sentimento del tempo misto risulta da un uso particolare dell’imperfetto, ma tutto starebbe poi nell’indicare in che cosa è particolare quest’uso. Tornando al nostro passo, è facile osservare che alcune frasi restano come in bilico tra passato e presente, perché non si capisce bene se esse esprimano la coscienza attuale del narratore o quella passata. Queste frasi, qui e altrove molto spesso in tutto il romanzo, sono espresse all’imperfetto. Ciò non deve meravigliare, perché l’imperfetto si riferisce ad una vicenda che sta a mezzo tra l’accaduto nella sua immodificabilità ed il puro abbandonarsi al mondo della possibilità ed esprime un momento intermedio della riflessione-indagine, quello nel quale il dato non ancora cristallizzato è tuttavia disponibile per un attivo inserimento nel gioco della memoria. Ma è pure facile avvertire che questo significato di cui esso è carico gli proviene proprio dall’essere inserito con scelta abilissima in un contesto ricco di frequenti trapassi temporali. Gli elementi per mezzo dei quali Svevo ottiene quel particolare sentimento del tempo sono dunque molteplici e devono essere tenuti ugualmente presenti […]. Riassumendo le osservazioni fatte finora, noi abbiamo: un ordinamento a strati della coscienza (l’uomo non vive in un tempo , perché non può sopprimere il ricordo del passato e l’attesa del futuro; egli in ogni istante interpreta se stesso attraverso una sintesi di passato presente e avvenire); una coscienza che racconta e ordina i fatti svincolandoli dalla cronologia obiettiva ed accostandoli in modo consono al significato che di volta in volta si vuol far loro assumere; per conseguenza una radicale svalutazione dei fatti, che non interessano più in sé, ma in quanto appigli al variare del gioco della memoria. Di qui un atteggiamento nuovo dello scrittore di fronte alla realtà: poiché non ci sono accadimenti umani in cui si possa avere fiducia per penetrare dentro se stessi – cioè dentro la , o almeno la sola che valga la pena e, in fondo, che sia possibile esplorare – la realtà deve essere affrontata senza discriminazioni aprioristiche e lo scrittore non deve introdurre nella rappresentazione alcun criterio gerarchico. I fatti nella loro nuda materialità stanno tutti sullo stesso piano e da ognuno di essi può venire l’illuminazione che cerchiamo: il vizio del fumo e il matrimonio, la morte del padre e l’adulterio, tutto si dispone così su un’unica linea. Infine un atteggiamento costante di ricerca e di dubbio: l’autore non ha da riferire dei dati di fatto incontrovertibili, ma ha da disporre alcuni frammenti della realtà nel modo più favorevole perché si prestino docili alla funzione che è loro affidata. Appena essi hanno assolto il loro compito, vengono abbandonati, il più delle volte ancora carichi di ambiguità, ed essi si allontanano nello sfondo senza subir più un processo di appello che ne determini con certezza l’assoluzione o la condanna. La realtà più vera è quella della coscienza; la realtà esteriore non ha senso, o lo acquista solo se viene disciolta nel flusso della coscienza. «Io credo – ha scritto Svevo con lucida consapevolezza di questo mutamento di prospettiva – di sapere qualche cosa a questo mondo: su me stesso. Gli antichi facevano un gran caso del fatto che anche il proprio io è un mistero. Ma anche ogni altra cosa vivente è misteriosa e l’accesso ad essa è ben più difficile che al proprio essere».  puro attuale vera realtà Sandro Maxia, , Liviana, Padova 1985 Lettura di Italo Svevo si tratta delle , un romanzo che Svevo progettò di scrivere dopo la e del quale ci rimangono soltanto alcuni frammenti. 1 Nel romanzo… a termine: Confessioni del vegliardo Coscienza Comprendere il pensiero critico  Che cosa intende Maxia quando parla di “tempo misto”? 1  Che rapporto c’è tra la coscienza “attuale” e la memoria? 2  >> pagina 619 Chi è, davvero, il narratore della ? Coscienza di Zeno di Gino Tellini Contrariamente a quanto accade nel modello manzoniano, la finzione narrativa del manoscritto ritrovato non accresce l’attendibilità realistica della  . Nemmeno il genere autobiografico al quale appartiene il capolavoro di Svevo garantisce la perfetta sovrapponibilità del protagonista con l’autore. Su tali aspetti si concentrano le riflessioni di Gino Tellini (n. 1946), che individua proprio nell’alto tasso di ambiguità uno degli aspetti più originali della confessione di Zeno Cosini. Coscienza di Zeno Il classico del manoscritto ritrovato, in simile aggiornamento novecentesco, letteralmente ribalta il suo obiettivo originario, che intende certificare (come accade nel classico modello del romanzo manzoniano) la veridicità dei fatti riferiti. Qui si risolve invece in una preliminare astuzia narrativa che garantisce, e insieme esalta, l’intenzionale ambiguità del testo. Infatti non sappiamo in quale misura il narratore sia fededegno, non sappiamo in quale misura Zeno sia attendibile nella sua autoanalisi: 1) perché destinatario diretto del «manoscritto» è il medico, che Zeno disprezza e desidera ingannare, circuire (non solo per la dinamica del transfert); 2) perché Zeno, anche indipendentemente dal suo rapporto con lo psicanalista, ammette di non brillare per sincerità («come aprivo la bocca svisavo cose o persone perché altrimenti mi sarebbe sembrato inutile di parlare»); 3) perché Zeno rincara la dose della menzogna, speculando sulla propria dialettalità triestina. L’alibi dell’insufficienza linguistica è investito produttivamente, con mossa geniale, nell’ingranaggio dell’invenzione narrativa. Il lettore non può che addentrarsi con mille cautele e circospezioni in questo ambiguo, avvolgente, seduttivo, frastornante labirinto della memoria. L’investigazione dell’io è impresa improbabile, rischiosa, enigmatica. topos […] Certo è che «il sapore e il valore del ricordo» sono assicurati dalla persuasiva e coinvolgente affabulazione dell’io narrante che riesce a risuscitare l’«atmosfera» delle proprie fantasticate «avventure» con il sigillo della più schietta e credibile quotidianità vissuta. Questo l’autentico talento del grande narratore: credere nella «realtà» della propria «immaginazione». L’autobiografia di Zeno si sviluppa a modo suo, per liberi sondaggi su momenti e aspetti particolari del passato. La confessione è riservata e privata, ma non autocontemplativa né avvolta a spirale su se stessa, bensì si spalanca anche sull’esterno, sugli altri, sulla città, la società, la storia. Sono tuttavia disarticolati che illuminano segmenti o frammenti di vita, comunque inabilitati a ricomporre un quadro unitario, a dipanare il filo di una qualsivoglia organicità: «Ricordo tutto, ma non intendo niente». La totalità, la globalità, la logica dell’insieme sono infrante e le coordinate spazio-temporali rispondono a impulsi imprevedibili. L’inchiesta s’inoltra in cunicoli tortuosi e resta aperta, inconclusa. flashes Gino Tellini, , Salerno editrice, Roma 2013 Svevo Comprendere il pensiero critico  Qual è, nella  , la funzione del manoscritto ritrovato? 1 Coscienza di Zeno  Perché Zeno come narratore della propria vita non è attendibile? 2  I ricordi raccontati da Zeno, per quanto slegati, possono essere ricomposti in un quadro unitario e sensato? 3