III cornice (iracondi)
Canto XIII
II cornice (invidiosi)
I cornice (superbi)
Luogo e tempo
Purgatorio, II cornice; circa le 13 di lunedì 11 aprile 1300
Categoria di penitenti
e colpa
Gli invidiosi, che desiderarono in maniera spasmodica i beni o le qualità altrui
Pena
Siedono a terra appoggiati alla parete del monte e indossano un mantello ruvido; in vita accecati dal loro
peccato, hanno le palpebre cucite con fil di ferro e si sostengono a vicenda
I due poeti raggiungono la seconda cornice del monte,
caratterizzata da pietra grigia e uniforme e Virgilio, intuendo che attendere l’arrivo dei penitenti per domandare
la strada potrebbe richiedere troppo tempo, si rivolge al
Sole perché li guidi nel cammino. Dopo circa un miglio
di cammino, i pellegrini odono voci che cantano esempi
di carità: l’episodio delle nozze di Cana, l’amore fraterno
di Oreste e Pilade e il precetto evangelico di amare i propri
nemici. Il poeta latino spiega che lì sono puniti gli invidiosi, ricoperti – come Dante stesso osserva poco dopo – con
cappotti ruvidi che pungono la pelle; hanno le palpebre
cucite con il fil di ferro e per questo stanno accostati alla
parete della montagna e si sostengono vicendevolmente.
Rattristato dallo spettacolo, Dante chiede se tra i peniten-
ti ci sia qualche anima latina, cioè proveniente dall’Italia.
Si rivela lo spirito della senese Sapìa, talmente invidiosa
in vita da aver sperato nella sconfitta dei suoi a Colle Val
d’Elsa; spiega di non aver atteso nell’Antipurgatorio grazie
al pentimento in punto di morte e alle preghiere di un suo
concittadino, Pier Pettinaio. L’anima chiede a Dante chi
sia, avendo compreso che non fa parte della schiera dei
penitenti: il poeta risponde che è vivo ed è anch’egli un
peccatore; un giorno espierà le pene di quella cornice e,
per un tempo ben maggiore, quelle previste per i superbi.
Sapìa, infine, chiede di essere ricordata presso i suoi parenti (che a’ miei propinqui tu ben mi rinfami) che si trovano tra
i senesi, gente vana, e di essere rammentata nelle preghiere
di Dante stesso, visto che sembra essere caro a Dio.
III cornice (iracondi)
Canto XIV
II cornice (invidiosi)
I cornice (superbi)
Luogo e tempo
Purgatorio, II cornice; circa le 15 di lunedì 11 aprile 1300
Categoria di penitenti
e colpa
Gli invidiosi, che desiderarono in maniera spasmodica i beni o le qualità altrui
Pena
Siedono a terra appoggiati alla parete del monte e indossano un mantello ruvido; in vita accecati dal loro
peccato, hanno le palpebre cucite con fil di ferro e si sostengono a vicenda
Incuriosite dalla presenza di qualcuno che non subisce la
loro stessa pena, due anime chiedono a Dante di rivelar loro
chi è e da dove venga. Con una lunga perifrasi*, il poeta non
rivela il proprio nome – sicuramente, osserva, non abbastanza famoso – ma riferisce che la sua terra d’origine è collocata nella valle dell’Arno. Ciò scatena una violenta invettiva
anti-toscana nell’anima penitente, che accusa gli abitanti
della regione (in particolare casentinesi, aretini, fiorentini e
pisani paragonati a porci, botoli, lupi e volpi) di malvagità,
affermando che dalla sorgente fino alla foce il fiume Arno
è come una serpe da cui la virtù fugge inorridita. Dante domanda allora la loro identità: l’autore dell’acida requisitoria
dichiara di essere Guido del Duca e comunica che l’ombra
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vicino a sé è quella di Rinieri da Calboli. Non pago, Guido
esprime poi il proprio sdegno deplorando la recente degenerazione morale delle famiglie romagnole, un tempo virtuose
(le donne e’ cavalier, li affanni e li agi / che ne ‘nvogliava amore e cortesia, vv. 109-110), ora invece perfide e corrotte, tanto
che farebbero bene a estinguersi per non vedere peggiorare
la loro condizione e la loro fama. Mentre Dante e Virgilio si
apprestano a congedarsi dalle anime degli invidiosi, odono
improvvisamente alcune voci che – suscitando lo spavento
del pellegrino – gridano esempi di invidia punita: Caino, assassino del fratello Abele, e Aglauro, una fanciulla ateniese
pietrificata da Mercurio per la sua invidia nei confronti della
sorella, amata dal dio.