CANTI XXVII-XXIX
Paradiso terrestre
Canto XXVIII
Luogo e tempo
Purgatorio
VII cornice (lussuriosi)
Paradiso terrestre; prime ore del mattino di mercoledì 13 aprile 1300
I poeti entrano in un bosco dove spira una brezza leggera
e si diffondono il profumo di fiori e il canto melodioso
degli uccelli. Inoltratosi nella selva, Dante è costretto a
fermarsi davanti a un fiumicello dalle acque limpide: sulla sponda opposta appare una donna bellissima che canta
mentre raccoglie fiori, come Proserpina quando fu rapita
da Plutone. La fanciulla si avvicina alla sponda rivolgendo
a Dante gli occhi, brillanti come quelli di Venere quando
fu trafitta dalle frecce di Cupido. La donna, che si chiama Matelda, spiega che il motivo della sua letizia si trova
nel salmo Delectasti, in cui si osanna la bellezza del creato. Scioglie quindi i dubbi di Dante, perplesso perché la
presenza di acqua e vento sembra contraddire ciò che gli
aveva detto Stazio, circa l’assenza di perturbazioni atmosferiche nel Purgatorio. Matelda spiega che si trovano nel
giardino dell’Eden, creato da Dio come dimora beata per
gli uomini, ma perduto a seguito del peccato originale di
Adamo ed Eva. La dolce brezza che spira costantemente è
provocata dal movimento dei cieli; il pianoro che si estende di fronte a loro è ricco di ogni possibile specie vegetale
e possiede frutti che sulla Terra non si raccolgono. Matelda spiega ancora che l’acqua scaturisce per volere divino
da una sorgente perenne che si divide in due fiumicelli:
il Leté, presso cui si trovano, che cancella la memoria dei
peccati e l’Eunoè, che rievoca il bene compiuto. Alcuni
poeti antichi descrissero questo luogo come la mitica età
dell’oro: due di essi sono presenti, felici di scoprire quella verità che si rivela immensamente più bella delle loro
fantasie poetiche. All’udire queste parole, Dante si volge a
guardare Virgilio e Stazio che stanno sorridendo.
George Dunlop Leslie,
Matelda raccoglie i fiori, 1859.
Paradiso terrestre
Canto XXIX
Luogo e tempo
VII cornice (lussuriosi)
Paradiso terrestre; prime ore del mattino di mercoledì 13 aprile 1300
Matelda intona il Salmo XXXI, Beati coloro a cui vengono
perdonati i peccati, e avanza lungo il fiume Leté mentre
Dante la segue sulla sponda opposta. Improvvisamente
appare una luce abbagliante e si ode una dolce armonia,
che porta Dante al colmo dello stupore, inducendolo
contemporaneamente a deprecare il peccato di Eva che
ha impedito agli uomini di inebriarsi della beatitudine
di quel luogo meraviglioso. La melodia è in realtà un
canto corale e Dante invoca l’aiuto delle Muse, in particolare di Urania, per avere l’ispirazione necessaria a raccontare con i versi cose difficili anche solo da pensare.
Appare alla vista dei tre una processione di sette candelabri accesi, rappresentanti i doni dello Spirito Santo, che
tracciano dietro di sé scie luminose dai colori dell’iride
così lunghe da non vederne la fine. Seguono ventiquattro
seniori (i libri dell’Antico Testamento) vestiti di bianco e
incoronati di gigli, simbolo della fede, quattro animali
coronati con verdi fronde (i Vangeli), simbolo della speranza e con sei ali piene di occhi, a rappresentare l’onniveggenza, quindi un carro trionfale guidato da un grifone, simboli rispettivamente della Chiesa e di Cristo. Alla
destra del carro tre donne (le virtù teologali) danzano
e altre quattro (le virtù cardinali) fanno altrettanto alla
sinistra. Seguono altre figure umane: san Luca, san Paolo, san Giacomo, san Pietro, san Giovanni e san Giuda e
infine un vecchio in estasi, che rappresenta l’Apocalisse.
Quando il carro è di fronte a Dante, si ode un tuono e la
processione si arresta.
229