CANTI XXXI-XXXII
Paradiso terrestre
Canto XXXI
Luogo e tempo
VII cornice (lussuriosi)
Paradiso terrestre; mattina di mercoledì 13 aprile 1300
Dante, invitato da Beatrice a confessare la veridicità delle
accuse che gli ha rivolto, in preda a un forte sgomento
non riesce a parlare: la voce esce flebile e poi prorompe in
pianto. La beata lo sprona chiedendogli che cosa lo abbia
indotto a perdere di vista il Sommo Bene verso cui lei,
ancora viva, lo aveva guidato. Dante ammette di essersi
smarrito, inseguendo falsi piaceri dopo che la morte la
sottrasse al suo sguardo. Beatrice lo rimprovera nuovamente, spiegando come la propria morte avrebbe anzi dovuto mostrare la vacuità dei beni terreni, soprattutto a un
uomo maturo, non più un novo augelletto. Il poeta ascolta
in silenzio, con gli occhi bassi come un fanciullo quando
viene rimproverato; Beatrice lo incalza nuovamente, invitandolo a guardarla: solo così potrà capire quanto sia stata
grave la sua devianza. Dante, avvilito dalle ultime sferzate
e colpito dall’ineffabile bellezza di Beatrice, è indotto a un
pentimento così vivo e perfetto da perdere i sensi e cadere
svenuto. Al suo risveglio si trova immerso nel Leté, men-
tre Matelda, sostenendolo, lo conduce sull’altra sponda
del fiume. Al canto del salmo penitenziale intonato dagli
angeli, Matelda immerge la testa del pellegrino, obbligandolo a bere, nelle acque del fiume che dona l’oblio dei
peccati commessi; lo affida quindi alle quattro giovani
donne che stanno alla sinistra del carro (le virtù cardinali). Esse circondano Dante con le loro braccia e, cantando,
lo conducono a volgere di nuovo gli occhi verso Beatrice; per questo, però, saranno necessarie anche le altre tre
fanciulle (le virtù teologali). Il poeta, infine, condotto da
queste ultime davanti al grifone (Cristo), viene invitato a
guardare Beatrice: qui la felicità sembra toccare il culmine
nella contemplazione di Beatrice beata e beatificante, che
fissa gli occhi sul grifone. Su invito delle tre ninfe, Beatrice si toglie il velo che le nasconde il viso, mostrando la
luce del suo sorriso: nessuna ispirazione poetica potrebbe
mai essere sufficiente a descrivere la divina bellezza che in
quel momento si svela al poeta.
Paradiso terrestre
Canto XXXII
Luogo e tempo
Purgatorio
VII cornice (lussuriosi)
Paradiso terrestre; tra le 10 e le 12 di mercoledì 13 aprile 1300
Rapito dalla visione di Beatrice, Dante viene invitato dalle
tre virtù teologali a distogliere lo sguardo per osservare
la mistica processione, che inverte il proprio cammino: il
grifone (Cristo) traina il carro (la Chiesa) senza muovere
le penne (simbolo dell’armonia tra i due). Il corteo, accompagnato da Dante, Stazio e Matelda, si ferma davanti
a un albero spoglio (quello del Bene e del Male, simbolo
della giustizia divina), davanti al quale il pellegrino sente
mormorare “Adamo” e un elogio al grifone, che non ne
lacera con il becco il tronco. Non appena il carro viene
legato alla pianta, sbocciano dei fiori rossi sui rami. Dante, vinto dal sonno, cade addormentato; al suo risveglio
Matelda gli indica Beatrice che, scesa dal carro, è ai piedi
dell’albero, in compagnia delle virtù cardinali e teologali,
mentre la processione vola in cielo. Beatrice preannuncia a Dante che sarà con lei in Paradiso e che, una volta
tornato sulla Terra, dovrà raccontare ciò che ha visto per
il bene di tutta l’umanità. Il poeta accetta; in quel momento un’aquila (simbolo dell’Impero romano), si avventa sul carro; vi si avvicina anche una volpe emaciata
(simbolo delle eresie) che Beatrice (la Teologia) non esita
a scacciare. L’aquila piomba sul carro una seconda volta,
lasciandoci sopra alcune penne (simbolo della donazione
di Costantino), mentre una voce di rammarico scende dal
cielo. Infine la terra si apre e ne esce un drago che fende
il carro: così devastato, questo si trasforma in un mostro
a sette teste (i sette peccati capitali). Una meretrice (simbolo della curia papale) e un gigante (la corona francese)
siedono sopra il mostro in atteggiamenti lascivi, mentre
la donna, discinta, guarda cupidamente Dante. Il gigante
allora la frusta con violenza e la trascina nella foresta (la
cattività avignonese) allontanandosi dalla vista del poeta.
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