VII cielo (di Saturno)
Canto XVIII
V-VI cielo
IV cielo (del Sole)
Luogo e tempo
V cielo o cielo di Marte e VI cielo o cielo di Giove; sera di mercoledì 13 aprile 1300
Categoria di beati
Spiriti militanti per la fede; spiriti giusti
Condizione e aspetto
I primi appaiono come luci che si muovono lungo i bracci di una croce greca nella quale risplende Cristo;
i secondi, cantando, si dispongono a forma di lettere e poi di un’aquila
Intelligenze motrici
Virtù; Dominazioni
Mentre Dante e Cacciaguida tacciono (il primo pensando
alle parole appena pronunciate dall’avo, il secondo assorto nella visione di Dio), Beatrice invita il poeta a guardarla negli occhi, ricolmi dell’amore di Dio, che libera
l’uomo da ogni altro desiderio. Essa interrompe quindi i
pensieri di Dante, chiedendogli di ascoltare ancora il suo
antenato, perché la beatitudine non è solo negli occhi di
lei, ma in ogni anima santa. Cacciaguida presenta dunque
al discendente tutta una serie di celebri spiriti combattenti
per la fede che appaiono sulla croce e che intensificano la
propria luce man mano che i loro nomi vengono pronunciati: tra essi sono presenti Giosuè, Carlo Magno, Goffredo di Buglione e tanti altri.
Quando il pellegrino si volge nuovamente a Beatrice,
perdendosi nel suo sguardo, comprende di essere stato
trasportato dal cielo rosso di Marte a quello argenteo di
Giove. Qui le anime luminose si raggruppano tra loro a
formare le lettere del primo versetto del Libro della Sapienza, come in oro su sfondo argenteo: DILIGITE IUSTITIAM
QUI IUDICATIS TERRAM (“Amate la giustizia, o voi che
giudicate il mondo”). Appena formata la lettera finale
dell’ultima parola della frase, la M, le anime si fermano;
quindi, all’improvviso, riprendono a muoversi raffigurando prima un giglio, poi il collo e la testa di un’aquila. Spinto da questa visione simbolica della giustizia, Dante pronuncia un’aspra invettiva contro il papa, accusandolo di
aver dimenticato l’esempio dei santi Pietro e Paolo, martiri
per quella Chiesa che ora egli sta mandando in rovina.
VII cielo (di Saturno)
Canto XIX
VI cielo (di Giove)
V cielo (di Marte)
Luogo e tempo
VI cielo o cielo di Giove; sera di mercoledì 13 aprile 1300
Categoria di beati
Spiriti giusti
Condizione e aspetto
Cantando, si dispongono a forma di lettere e poi di un’aquila
Intelligenze motrici
Dominazioni
L’aquila formata dagli spiriti giusti appare a Dante con
le ali spiegate e come se fosse composta da innumerevoli rubini scintillanti. Le luci delle anime che formano
il becco dell’uccello si muovono e una voce, che parla
a nome di tutti i beati, informa il pellegrino che il sacro emblema imperiale è esaltato in questo cielo come
il simbolo della giustizia divina, mentre sulla Terra, sebbene ne sia preservata la memoria, il suo esempio non
viene seguito. Il poeta chiede all’aquila di spiegargli il
significato di tale giustizia, aiutandolo a risolvere un suo
antico dubbio: come può meritarsi la condanna eterna
un’anima retta la quale, senza colpa personale, non abbia udito di Cristo e non sia stata battezzata? L’aquila
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rimprovera Dante e gli uomini in generale per la loro presunzione nel voler giudicare l’operato di Dio: le creature
mortali sono imperfette e perciò incapaci di comprendere l’infinita saggezza del Padre. Mostrando disappunto,
l’uccello si muove circolarmente sopra al pellegrino e le
anime che lo compongono cantano un inno che Dante
non intende nei suoi contenuti, ma che verte sul mistero
del Giudizio finale, fuori dalla portata di comprensione
dei mortali. Infine l’aquila, passandoli in rassegna per
nome, pronuncia una decisa condanna di tutti i prìncipi
cristiani del tempo di Dante che governano senza giustizia, tra cui Filippo il Bello, Alberto d’Asburgo, Federico
II d’Aragona.