Divina CommeDia
Il poeta mira dunque, attraverso l’empatia suscitata dall’esperienza personale raccontata
nei suoi versi, a portare gli uomini sulla via della rettitudine attraverso la rappresentazione delle pene e dei premi eterni.
I tempi della scrittura
Dante inizia la composizione della Commedia nei primi anni dell’esilio (probabilmente
a partire dal 1306-1307) e vi lavora fino alla morte. Non sono certe le date di stesura delle singole cantiche, anche perché non possediamo autografi: l’Inferno fu probabilmente concluso intorno al 1312, il Purgatorio nel 1318 circa e il Paradiso poco prima del
1321. La prima cantica appare conosciuta già dal 1313-1314, come dimostra una nota
del poeta Francesco da Barberino che nel manoscritto dei Detti d’amore cita un’opera
di Dante scrivendo: «che si intitola Commedia e che tra le altre cose tratta dell’Inferno».
Alcune parti delle prime due cantiche, inoltre, sono trascritte sui Memoriali bolognesi
databili tra il 1317 e il 1319. Il Paradiso fu invece divulgato dopo la morte dell’autore.
Divina
L’aggettivo “divina”
– usato per la prima
volta da Giovanni
Boccaccio quando
nel 1373 commentò pubblicamente
il capolavoro dantesco nella badia
di Santo Stefano
a Firenze – diventò parte integrante
del titolo dopo la
sua apparizione sul
frontespizio dell’edizione veneziana
di Ludovico Dolce,
stampata nel 1555.
Un titolo enigmatico
Perché un’opera che ha per argomento il viaggio di un uomo nei tre regni ultraterreni
si intitola Commedia, termine che rimanda oggi a qualcosa di leggero e divertente, ben
lontano dalla profondità di questi versi?
È l’autore stesso a definire così il suo poema in due passi dell’Inferno (per le note / di
questa comedìa, lettor, ti giuro – Inf., XVI, vv. 127-128; Così di ponte in ponte, altro parlando
/ che la mia comedìa cantar non cura – Inf., XXI, vv. 1-2) per distinguerlo dall’alta tragedìa
di Virgilio, l’Eneide. Il motivo della scelta va ricercato nella classificazione dei generi
tramandata dalla tradizione ed esposta anche nel De vulgari eloquentia (II, IV, 5-6): essa
prevedeva una categorizzazione in base al soggetto trattato e, di conseguenza, all’utilizzo di stili diversi (tragico, comico o elegiaco). Nell’Epistola XIII a Cangrande della Scala,
Dante spiega che la sua opera deve essere definita comedìa per:
• il contenuto: se guardiamo alla materia, all’inizio essa è paurosa e fetida perché tratta
dell’Inferno, ma ha una fine buona, desiderabile e gradita, perché tratta del Paradiso;
• lo stile e il linguaggio: nel poema sono accostati toni e argomenti quotidiani ad altri
elevati e addirittura aulici. L’opera inoltre è scritta in volgare italiano, la lingua nella quale comunicano anche le donnette, non ritenuta adatta a trattare una materia così elevata.
Spazio e tempo nella Commedia
I regni ultraterreni sono rappresentati secondo la visione geocentrica che faceva capo
ad Aristotele e Tolomeo, poi accolta e condivisa da san Tommaso e da tutta la filosofia scolastica. Al centro della Terra, immobile nel cosmo, c’è Gerusalemme, collocata
nell’emisfero settentrionale; sotto di essa, disposta intorno a un asse ideale, si apre la
voragine infernale, che giunge fino al centro della Terra. In posizione diametralmente
opposta, nell’emisfero australe non abitato, sorge la montagna del Purgatorio, sulla
cui sommità si trova il Paradiso terrestre. Intorno alla Terra ruotano nove cieli concentrici; tutti sono poi contenuti in un decimo, l’Empireo, sede di Dio e di tutti i beati.
Il viaggio di Dante si svolge entro un preciso arco temporale, che ha inizio il Venerdì
Santo, l’8 aprile del 1300, e si conclude il giovedì dopo Pasqua.
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