Percorso 3 • Dante personaggio Inferno , XXXII, 73-111 Purgatorio , XI, 73-108 Paradiso , XXII, 112-138; 151-154 T 24 T25 T26 Il fascino della risiede nella sua , nella vastità dell’impianto filosofico e culturale, che riassume e ricapitola l’intero sapere medievale, rendendolo però attraverso una visione generale assolutamente originale e in una forma poetica nuovissima. Il viaggio nell’oltretomba che Dante descrive interessa ogni altro uomo: il suo libro assurge così a (“racconto esemplare”) per portare l’umanità alla salvezza. Per questo la si pone quale «vital nodrimento» ( , XVII, 131) per tutti gli uomini. Divina Commedia complessità exemplum Commedia Paradiso Tuttavia l’opera riguarda in primo luogo , come testimoniano i numerosi passi incentrati sulla tematica dell’esilio (una vicenda assai personale, seppure emblematica dal punto di vista storico e morale), nonché la solenne investitura poetica che, insieme con lo scioglimento delle profezie a mano a mano raccolte nei canti precedenti, il poeta riceve nei canti centrali del (XV-XVII) dal suo trisavolo Cacciaguida. il poeta nella sua individualità di persona Paradiso Di fatto nella Dante è insieme autore ( ) e personaggio ( ). : lo troviamo sperduto e timoroso già nei primi versi del primo canto dell’ . In tale veste egli ha una conoscenza parziale e limitata di quanto gli accade e delle esperienze che attraversa. invece e si è concluso, e che con la sua voce garantisce la verità della narrazione. La sua percezione dell’itinerario oltremondano è completa e così anche la sua interpretazione: Dante-autore assicura il significato provvidenziale del viaggio (Dio l’ha voluto per salvare lui e, insieme con lui, l’umanità intera) e il suo esito positivo (la salvezza è possibile per tutti come è stata possibile per la persona di Dante). Divina Commedia auctor agens Il personaggio Dante è colui che vive in prima persona le vicende narrate Inferno L’autore Dante è colui che trascrive il racconto del viaggio dopo che esso ha avuto luogo Quelli di Dante- agens e Dante- auctor sono due punti di vista diversi, che si intrecciano variamente nella narrazione. In generale possiamo dire che, mentre il viaggio si compie, diminuisce progressivamente la distanza tra il personaggio e l’autore, finché, al termine del percorso, le due entità finiranno per coincidere. Autore e personaggio >> pagina 368 Accanto ai tanti personaggi raffigurati nel poema, il vero protagonista è dunque Dante stesso anche per il fatto che egli si pone, nel suo viaggio, come che è . E con lui via via si fanno coprotagonisti, in svariate forme, coloro che egli incontra scendendo negli abissi dell’Inferno, scalando le balze del Purgatorio, ascendendo di cielo in cielo nel Paradiso. Nei tre brani che presentiamo qui di seguito cercheremo di evidenziare tale dimensione di partecipazione, anche su un piano emotivo, del poeta agli episodi narrati. un uomo alla ricerca della verità e del proprio destino Il poeta come protagonista T24 Bocca degli Abati XXXII, 73-111 Inferno , Avremmo potuto scegliere molti altri passi dell’ , anche più celebri, nei quali Dante tradisce la propria partecipazione psicologica di uomo alle vicende narrate (dall’episodio di Paolo e Francesca a quelli con Farinata o con Brunetto Latini). Ci siamo orientati invece, per l’alto grado di coinvolgimento emotivo da parte del poeta, sull’incontro con Bocca degli Abati, la cui anima è confinata nella seconda zona del nono cerchio, Antenora, riservata ai traditori della patria: conficcati nel ghiaccio del Cocito, questi hanno soltanto la testa al di fuori, rivolta verso il basso. Inferno Bocca degli Abati è il fiorentino che aveva tradito la propria città a Montaperti (1260), dove i guelfi fiorentini furono sconfitti dai ghibellini senesi, capeggiati dal fuoriuscito fiorentino Farinata degli Uberti. Le cronache raccontano che all’inizio dello scontro di Montaperti Bocca degli Abati tagliò con la spada la mano di colui che impugnava la bandiera di Firenze, favorendo così la sconfitta dei guelfi suoi concittadini: i quali, vedendo abbattuta la propria insegna, si ritennero vinti prima del tempo. Dante manifesta sdegno e disprezzo nei confronti di questo personaggio, macchiatosi di un peccato che egli ritiene tra i più gravi e ripugnanti, al punto che in Dante-autore sorge il dubbio che il violento gesto iniziale di Dante-personaggio – un colpo in faccia al dannato – non sia stato del tutto fortuito. Un colpo in faccia a un dannato Parafrasi E mentre ch’andavamo inver’ lo mezzo al quale ogne gravezza si rauna, e io tremava ne l’etterno rezzo; 75 se voler fu o destino o fortuna, non so; ma, passeggiando tra le teste, forte percossi ’l piè nel viso ad una. 78 Mentre procedevamo verso il centro della Terra ( ), al quale tendono tutti i corpi ( ), e io tremavo nel gelo ( ) eterno, non so se lo feci per mia volontà ( ) o per volere divino ( ) oppure per caso ( ), ma, mentre camminavo tra le teste dei dannati, sbattei con forza ( ) il piede contro la faccia di un’anima. 73-78 lo mezzo ogne gravezza si rauna rezzo voler destino fortuna forte secondo la scienza medievale, il centro della Terra era il fulcro della gravità universale. 74 al quale… si rauna: corrente fredda, da (a sua volta derivato dal latino ). 75 rezzo: orezzo aura nel ripercorrere l’episodio, Dante-autore formula tre ipotesi in merito all’origine dell’azione (il colpo a Bocca degli Abati) di Dante-personaggio: c’è stata una precisa intenzione da parte di quest’ultimo; è stata volontà della Provvidenza divina; si è trattato di un caso fortuito. Ma va ricordato che per Dante anche la “fortuna” (cioè il caso) dipende dall’influenza degli astri, a loro volta soggetti alla volontà di Dio (come spiegato in , VII, 77 ss.). 76-77 se voler… non so: Inferno «da notare il tono noncurante dell’osservazione, in dispregio dei peccatori di Cocito» (Merlante-Prandi). 77 passeggiando: Piangendo mi sgridò: «Perché mi peste? se tu non vieni a crescer la vendetta di Montaperti, perché mi moleste?». 81 Essa piangendo mi gridò: «Perché mi percuoti ( )? a meno che tu venga qui per aggravare ( ) la punizione ( ) per i fatti di Montaperti, perché mi fai male ( )?». 79-81 mi peste crescer vendetta moleste ricorda il «Perché mi schiante? […] Perché mi scerpi?» di Pier delle Vigne ( , XIII, 33-35). il verbo è usato transitivamente nel senso di “accrescere”. Lo stesso dannato ipotizza che Dante sia uno strumento della punizione divina. 79-81 Perché mi peste?… perché mi moleste?: Inferno crescer: E io: «Maestro mio, or qui m’aspetta, sì ch’io esca d’un dubbio per costui; poi mi farai, quantunque vorrai, fretta». 84 E io: «Mio maestro, aspettami qui, in modo che io possa togliermi un dubbio riguardo a ( ) costui; poi mi farai tutta la fretta che ( ) vorrai». 82-84 per quantunque fretta aspettami (imperativo). 82 m’aspetta: secondo altri “per mezzo di costui”. Dante vuole capire se abbia di fronte a sé il traditore di Montaperti. 83 per costui: non è la congiunzione concessiva dell’italiano moderno, bensì un aggettivo relativo che equivale a “quanto”. 84 quantunque: Lo duca stette, e io dissi a colui che bestemmiava duramente ancora: «Qual se’ tu che così rampogni altrui?». 87 La mia guida rimase ferma ( ), e io dissi a quello che ancora imprecava duramente: «Chi sei tu che rimproveri me ( ) in questo modo?». 85-87 stette altrui con valore determinativo (“me”). 87 altrui: «Or tu chi se’ che vai per l’Antenora, percotendo», rispuose, «altrui le gote, sì che, se fossi vivo, troppo fora?». 90 Rispose: «Chi sei tu, piuttosto ( ), che vai per l’Antenora colpendo le mie guance ( ), con una forza che sarebbe esagerata ( ) persino se tu fossi vivo?». 88-90 Or altrui le gote troppo fora altri interpretano diversamente da come abbiamo parafrasato sopra: “tanto che, se io fossi vivo, non potrei sopportare un affronto simile”. 90 sì che… fora: «Vivo son io, e caro esser ti puote», fu mia risposta, «se dimandi fama, ch’io metta il nome tuo tra l’altre note». 93 La mia risposta fu la seguente: «Difatti sono vivo, e ti può essere gradito ( ) che io annoti il tuo nome, se desideri essere ricordato ( ) sulla Terra». 91-93 caro esser ti puote se dimandi fama Dante riprende, nel rispondere, le parole di Bocca. potrebbe anche voler dire “ti può costar caro”, in quanto la fama che Dante procurerà al dannato sarà molto negativa. 91 Vivo son io: caro esser ti puote: Ed elli a me: «Del contrario ho io brama. Lèvati quinci e non mi dar più lagna, ché mal sai lusingar per questa lama!». 96 Ed egli a me: «In realtà desidero il contrario. Togliti di qui ( ) e non darmi ulteriormente fastidio ( ), perché le tue lusinghe non hanno potere in questo abisso ( )!». 94-96 quinci lagna lama Bocca desidera cioè essere dimenticato. 94 Del contrario ho io brama: afflizione, molestia. 95 lagna: letteralmente, “avvallamento” (la distesa ghiacciata del Cocito scende verso il centro). 96 lama: Allor lo presi per la cuticagna, e dissi: «El converrà che tu ti nomi, o che capel qui sù non ti rimagna». 99 Allora lo presi per la chioma ( ), e gli dissi: «Bisognerà che tu mi dica il tuo nome ( ), altrimenti non ti lascerò nemmeno un capello in testa ( )». 97-99 cuticagna che tu ti nomi qui sù nuca, da (dal latino tardo , che deriva a sua volta dal latino classico , “pelle”). 97 cuticagna: cotica cutica cutis Ond’elli a me: «Perché tu mi dischiomi, né ti dirò ch’io sia, né mosterrolti se mille fiate in sul capo mi tomi». 102 Ed egli a me: «Per quanto tu mi possa strappare i capelli ( ), non ti dirò né ti rivelerò ( ) la mia identità, neanche se mi percuoti ( ) sul capo mille volte ( )». 100-102 Perché tu mi dischiomi mosterrolti mi tomi fiate ha valore concessivo (“per quanto”, “sebbene”). 100 Perché: evidentemente il dannato continua a tenere il viso rivolto verso il basso ( sta per a causa del fenomeno fonetico della metatesi). 101 mosterrolti: mosterrolti mostrerolti Io avea già i capelli in mano avvolti, e tratto glien’avea più d’una ciocca, latrando lui con li occhi in giù raccolti, 105 quando un altro gridò: «Che hai tu, Bocca? non ti basta sonar con le mascelle, se tu non latri? qual diavol ti tocca?». 108 Io avevo già avvolti i capelli nella mano e gliene avevo già strappata qualche ciocca, mentre lui continuava a gridare ( ) con gli occhi rivolti in basso ( ), quando un altro dannato gridò: «Che cos’hai, Bocca? Non ti basta fare rumore battendo i denti ( ), senza dovere anche gridare? che diavolo ti prende ( )?». 103-108 latrando lui in giù raccolti sonar con le mascelle tocca costruzione sul modello dell’ablativo assoluto latino. L’uso del verbo aggiunge un tratto addirittura animalesco a un personaggio già privo di qualsiasi umanità. 105 latrando lui: latrare «Omai», diss’io, «non vo’ che più favelle, malvagio traditor; ch’a la tua onta io porterò di te vere novelle». 111 Dissi: «Ormai non voglio che tu parli ( ) oltre, malvagio traditore; poiché, a tua infamia, io porterò sulla Terra notizie certe ( ) su di te». 109-111 favelle vere novelle vergogna, disonore. 110 onta: Dante, cioè, riferirà sulla Terra la notizia certa della dannazione di Bocca. 111 io porterò di te vere novelle: >> pagina 370 T25 Oderisi da Gubbio XI, 73-108 Purgatorio , Nel canto XI del ci troviamo tra i superbi, che devono camminare circolarmente lungo la cornice, piegati sotto il peso di enormi macigni: i sassi abbassano, letteralmente, la tendenza all’esaltazione di sé, tipica del superbo. Purgatorio Il canto si apre con la recita del Padre nostro da parte delle anime purganti, alla quale Dante-personaggio assiste. Mentre anch’egli va chino con gli altri (seppure il suo capo non sia gravato da alcun masso), dialoga con alcuni di loro. Tra questi, un famoso miniatore del Duecento, Oderisi da Gubbio, morto nel 1299. L’incontro con un vecchio amico e la della caducità fama mondana Parafrasi Ascoltando chinai in giù la faccia; e un di lor, non questi che parlava, si torse sotto il peso che li ’mpaccia, 75 e videmi e conobbemi e chiamava, tenendo li occhi con fatica fisi a me che tutto chin con loro andava. 78 Ascoltando chinai in basso il viso; e uno di loro, non colui che parlava, si voltò ( ) sotto il peso che impedisce loro i movimenti ( ), mi vide, mi riconobbe e mi chiamò, tenendo gli occhi fissi ( ) con fatica su di me che andavo tutto chino insieme a loro. 73-78 si torse li ’mpaccia fisi per ascoltare meglio, ma il gesto indica anche un atteggiamento di umiltà. 73 chinai in giù la faccia: è il nobile Omberto Aldobrandeschi, protagonista del colloquio precedente a quello con Oderisi. 74 questi che parlava: il macigno che impedisce i loro movimenti. il pronome si riferisce a tutti i superbi della cornice. 75 il peso che li ’mpaccia: li: va rilevata la forte allitterazione in ( ). 78 che… andava: c che… chin con «Oh!», diss’io lui, «non se’ tu Oderisi, l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte ch’alluminar chiamata è in Parisi?». 81 Gli dissi: «Oh, non sei tu forse Oderisi, colui che ha dato lustro ( ) a Gubbio ( ) e a quell’arte che a Parigi ( ) è chiamata “miniare” ( )?». 79-81 l’onor Agobbio Parisi alluminar l’interiezione indica lo stupore di Dante nell’incontrare Oderisi in questa cornice. fu un miniatore di rilievo nel Duecento. Nato a Gubbio intorno al 1240, fu attivo a Bologna e forse anche a Roma, dove morì nel 1299. 79 Oh!: Oderisi: è termine tecnico che deriva dal francese , che significa “miniare”. Il francesismo e il riferimento a Parigi sono giustificati dal fatto che probabilmente Oderisi aveva appreso l’arte della miniatura proprio in quella città, dove fioriva un’importante scuola di miniaturisti. 81 alluminar: enluminer «Frate», diss’elli, «più ridon le carte che pennelleggia Franco Bolognese; l’onore è tutto or suo, e mio in parte. 84 Egli disse: «Fratello, oggi più risplendono ( ) le carte miniate da Franco Bolognese; ora l’onore è tutto suo, e mio soltanto in parte. 82-84 ridon fratello. È il modo tipico con cui si chiamano a vicenda le anime del Purgatorio, a sottolineare i sentimenti di fraterna solidarietà. 82 Frate: su questo miniatore non possediamo molte informazioni. Possiamo ipotizzare, con Oderisi, un divario generazionale oppure una differente affiliazione di scuola (cioè una diversità di stile). 83 Franco Bolognese: Ben non sare’ io stato sì cortese mentre ch’io vissi, per lo gran disio de l’eccellenza ove mio core intese. 87 Certamente ( ) io non sarei stato così benevolo ( ), mentre ero in vita, a causa del grande desiderio ( ) di eccellere, al quale il mio cuore era tutto proteso ( ). 85-87 Ben cortese disio ove mio core intese così generoso e benevolo da riconoscere la superiorità del collega. 85 sì cortese: il grande desiderio di gloria e di fama. 86-87 lo gran disio de l’eccellenza: Di tal superbia qui si paga il fio; e ancor non sarei qui, se non fosse che, possendo peccar, mi volsi a Dio. 90 Qui si paga la pena ( ) per questo genere ( ) di superbia; e non sarei ancora qui, se non fosse successo che mi convertii a Dio, quando avevo ancora la possibilità di peccare. 88-90 il fio tal vale a dire quando era ancora in vita, quindi in tempo per salvarsi. 90 possendo peccar: Oh vana gloria de l’umane posse! com’ poco verde in su la cima dura, se non è giunta da l’etati grosse! 93 91-93 Oh quanto è vano gloriarsi delle forze ( posse ) umane! quanto poco la gloria rimane ( dura ) verde sulla cima, se essa non è sopraggiunta da età di decadenza ( grosse )! quella della “pianta” della fama (metafora). 92 cima: Credette Cimabue ne la pittura tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, sì che la fama di colui è scura. 96 94-96 Cimabue credette di primeggiare ( tener lo campo ) nella pittura, ma ( e ) ora la celebrità ( il grido ) è tutta di Giotto, al punto che la fama del primo è stata oscurata ( è scura ). soprannome del pittore fiorentino Giovanni (o Cenni) di Pepo, nato intorno al 1240 e morto attorno al 1302. 94 Cimabue: Giotto di Bondone (1265 ca - 1337), allievo di Cimabue, è uno dei massimi pittori dell’epoca di Dante (di cui era coetaneo). 95 Giotto: Così ha tolto l’uno a l’altro Guido la gloria de la lingua; e forse è nato chi l’uno e l’altro caccerà del nido. 99 97-99 Così il secondo Guido ha tolto al primo Guido la gloria nella poesia in volgare ( la gloria de la lingua ); e forse è già nato chi caccerà entrambi dal loro primato ( del nido ). l’interpretazione tradizionale vede nei due personaggi, rispettivamente, Guido Cavalcanti e Guido Guinizzelli. C’è però chi ha fatto notare alcune incongruenze: Guinizzelli sarà salutato, in , XXVI, 97-99, come «padre / mio e de li altri miei miglior che mai / rime d’amore usar dolci e leggiadre», cioè come maestro di poesia; il che poco si accorderebbe con un “declassamento” come quello prospettato da un’identificazione con lui del primo Guido. Inoltre sembra strano che Dante assegni la supremazia poetica a Cavalcanti, che in tutta la è ricordato soltanto per l’eccessiva fiducia nella propria «altezza d’ingegno» ( , X, 59) e mai come maestro di poesia. Muovendo da tali perplessità, alcuni interpreti hanno formulato un’ipotesi alternativa: il primo Guido sarebbe in realtà, per ipocorismo (cioè per la modificazione fonetica di un nome di persona), Guittone d’Arezzo e il secondo Guido Guinizzelli. 97 l’uno a l’altro Guido: Purgatorio Commedia Inferno secondo la maggior parte dei commentatori Dante alluderebbe qui a sé stesso. indica il «seggio d’onore» (Casini-Barbi) occupato in sequenza dai due poeti sopra citati. 98-99 e forse è nato… del nido: Nido Non è il mondan romore altro ch’un fiato di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi, e muta nome perché muta lato. 102 100-102 La celebrità terrena ( mondan romore ) non è altro che un alito di vento, che spira ora da una parte ( quinci ) ora dall’altra ( quindi ), e cambia nome perché cambia direzione ( lato ). come il vento cambia nome a seconda della direzione da cui spira, «così la fama… si chiama ora Cimabue, Guinizzelli, domani Giotto, Cavalcanti» (Bosco-Reggio). 102 muta nome perché muta lato: Che voce avrai tu più, se vecchia scindi da te la carne, che se fossi morto anzi che tu lasciassi il “pappo” e ’l “dindi”, 105 pria che passin mill’anni? ch’è più corto spazio a l’etterno, ch’un muover di ciglia al cerchio che più tardi in cielo è torto. 108 […]». 103-108 Avrai forse una fama maggiore ( Che voce avrai tu più ) se morirai vecchio ( se vecchia scindi da te la carne ) di quella che avresti avuta se fossi morto prima di abbandonare il linguaggio infantile [cioè se fossi morto bambino], anche prima che siano trascorsi mille anni? che, in relazione all’eternità ( a l’etterno ), è un tempo più breve che un battito ( muover ) di ciglia rispetto al cielo ( cerchio ) che nei cieli si volge ( è torto ) più lentamente ( più tardi ). letteralmente, “se stacchi il corpo ( ) da te quando esso sarà vecchio”. 103-104 se vecchia scindi da te la carne: carne Dante indica il lessico puerile attraverso due termini che, nel linguaggio dei bambini, significavano rispettivamente “pane” e “denaro”. 105 “pappo”… “dindi”: è il cielo delle stelle fisse, che impiega 100 anni per ogni grado, quindi 360 secoli per l’intera rivoluzione. 108 cerchio… torto: >> pagina 372 T26 Invocazione alla costellazione dei Gemelli XXII, 112-138; 151-154 Paradiso , Sin da giovane precocemente consapevole del proprio talento, Dante ne scruterà i segni anche in cielo, credendo – come la maggior parte degli uomini medievali – nel potere delle stelle, nello zodiaco, cioè in quella che oggi chiamiamo astrologia. Nel canto XXII del ricorda di essere nato sotto la costellazione dei Gemelli, alla quale indirizza un’invocazione. Poi contempla dall’alto, con distacco, la Terra che, vista da lì, appare sotto tutto un altro aspetto: decisamente meno grandiosa e imponente. Paradiso Il poeta e la del proprio consapevolezza valore intellettuale Parafrasi O glorïose stelle, o lume pregno di gran virtù, dal quale io riconosco tutto, qual che si sia, il mio ingegno, 114 con voi nasceva e s’ascondeva vosco quelli ch’è padre d’ogne mortal vita, quand’io senti’ di prima l’aere tosco; 117 e poi, quando mi fu grazia largita d’entrar ne l’alta rota che vi gira, la vostra regïon mi fu sortita. 120 O stelle apportatrici di gloria ( ), o costellazione ( ) ricca di grande valore, alla quale riconosco il merito del mio ingegno, per quanto poco esso possa valere ( ), nel vostro segno ( ) sorgeva e tramontava il sole, che genera ogni forma di vita terrena, quando io respirai per la prima volta ( ) l’aria toscana; e poi, quando mi fu elargita la grazia di entrare nel cielo ( ) che presiede al vostro movimento circolare ( ), mi fu assegnata in sorte ( ) la vostra zona celeste ( ). 112-120 glor ï ose stelle lume qual che si sia vosco senti’ di prima alta rota vi gira mi fu sortita regïon è la costellazione dei Gemelli, che si credeva predisponesse coloro che nascevano sotto di essa agli studi e alle arti, cioè ad attività che portavano alla gloria. 112 lume: letteralmente, “con voi” (dal latino ). 115 vosco: vobiscum Dante sarebbe dunque nato nel periodo in cui il Sole si trova nella costellazione dei Gemelli, cioè tra il 21 maggio e il 21 giugno. 117 quand’io… tosco: letteralmente, “vi fa ruotare”. 119 vi gira: salito all’ottavo cielo, Dante-personaggio giunge proprio nella regione occupata dalla costellazione dei Gemelli. Il poeta interpreta tale circostanza non come una semplice coincidenza, bensì come il segno di un’alta predestinazione e di una preziosa occasione per una profonda rinascita spirituale. vale come “assegnata”, “predestinata”. 120 la vostra… sortita: Sortita A voi divotamente ora sospira l’anima mia, per acquistar virtute al passo forte che a sé la tira. 123 La mia anima ora innalza devote preghiere ( ) a voi, perché possa acquisire le capacità ( ) necessarie all’importante ( ) passo che la impegna completamente ( ). 121-123 divotamente ora sospira virtute forte a sé la tira Dante-autore invoca le proprie stelle per ricevere la virtù necessaria ad affrontare il del verso successivo. 121-122 A voi… l’anima mia: passo forte secondo la maggior parte dei commentatori è l’“arduo cimento” che consiste nella rimanente descrizione del Paradiso. Secondo altri sarebbe invece la morte: Dante, che ha avuto l’assistenza della costellazione dei Gemelli all’inizio della sua vita e a metà di essa, quando è salito in Paradiso, si augura che possa essere così anche nel momento estremo della vita, cioè in punto di morte. Sembra tuttavia preferibile la prima interpretazione: «coerenza vuole che da una costellazione invocata e ringraziata come datrice d’ingegno, il poeta si aspetti un aiuto al suo ingegno, non al suo coraggio e alla sua virtù morale» (Porena). 123 passo forte: «Tu se’ sì presso a l’ultima salute», cominciò Bëatrice, «che tu dei aver le luci tue chiare e acute; 126 e però, prima che tu più t’inlei, rimira in giù, e vedi quanto mondo sotto li piedi già esser ti fei; 129 sì che ’l tuo cor, quantunque può, giocondo s’appresenti a la turba trïunfante che lieta vien per questo etera tondo». 132 Disse ( ) Beatrice: «Tu sei così vicino alla suprema beatitudine ( ) che tu devi ( ) avere gli occhi ( ) sgombri ( ) e potenti ( ); e perciò ( ), prima che tu ti addentri maggiormente in essa ( ), guarda ( ) giù, e considera ( ) quanta parte del creato ( ) ti ho già fatto percorrere; così che il tuo cuore, quanto più gli è possibile ( ), si presenti lieto ( ) presso la schiera trionfante dei beati ( ) che si muove felice in questo cielo concavo ( )». 124-132 cominciò ultima salute dei le luci chiare acute però tu più t’inlei rimira vedi quanto mondo quantunque può giocondo s’appresenti a la turba tr ï unfante etera tondo perifrasi per indicare Dio, bene supremo che rappresenta la salvezza totale e definitiva per ogni essere umano. 124 ultima salute: i tuoi occhi liberi da ogni residuo di impurità, cioè di peccato, e dunque capaci di vedere oltre i normali limiti umani. 126 le luci tue chiare: entri in lei (nell’ del v. 124); il verbo è stato coniato da Dante ( , da più ; affine a di , IX, 73). 127 t’inlei: ultima salute inleiarsi in lei s’inluia Paradiso letteralmente, “ti ho già fatto essere sotto i piedi”. 129 sotto li piedi... ti fei: «sfera celeste, formata, come tutti i cieli, da una materia purissima e incorruttibile detta etere» (Merlante-Prandi). Il vocabolo è un latinismo (da , “etere”, “aria”, “cielo”). 132 etera tondo: etera aether Col viso ritornai per tutte quante le sette spere, e vidi questo globo tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante; 135 e quel consiglio per migliore approbo che l’ha per meno; e chi ad altro pensa chiamar si puote veramente probo. […] 138 Ripercorsi con la vista ( ) tutti i sette cieli, e vidi la Terra ( ) talmente piccola ( ) che io sorrisi della sua meschina apparenza ( ); e riconosco ( ) come migliore quel parere ( ) che la stima in minor misura ( ); e chi pensa al cielo ( ) si può davvero chiamare saggio ( ). […] 133-138 Col viso ritornai per questo globo tal vil sembiante approbo consiglio l’ha per meno ad altro probo sono i sette cieli inferiori (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno). è la Terra. 134 le sette spere: questo globo: è un termine tipico del lessico cavalleresco che significa, insieme, “giusto”, “virtuoso” e “saggio”. 138 probo: L’aiuola che ci fa tanto feroci, volgendom’io con li etterni Gemelli, tutta m’apparve da’ colli a le foci; 153 poscia rivolsi li occhi a li occhi belli. Mentre io giravo ( ) attorno a essa insieme all’eterna costellazione dei Gemelli ( ), quella porzione di Terra che ci rende così spietati ( ) apparve tutta alla mia vista dai monti ai mari ( ); poi volsi nuovamente ( ) gli occhi ai begli occhi. 151-154 volgendom’io con li etterni Gemelli L’aiuola che ci fa tanto feroci da’ colli a le foci rivolsi piccola area, zona ristretta, cioè la porzione abitata della Terra (ovvero le terre emerse, , v. 153). Dante allude qui genericamente alle guerre e alle discordie dei suoi tempi e non solo. 151 aiuola: da’ colli a le foci che ci fa tanto feroci: è il movimento di Dante insieme al cielo in cui si trova a rendere possibile la visione della Terra in tutta la sua estensione. 152 volgendom’io: sono quelli di Beatrice. 154 occhi belli: >> pagina 373 Dentro il TESTO I contenuti tematici In , XXXII, 73-111 (T24) ci troviamo fra i traditori politici. Il senso del contrappasso è chiaro: il ghiaccio (che è l’opposto del fuoco di carità) rimanda alla freddezza con cui costoro hanno tradito chi si fidava di loro. Un dannato si lamenta di essere stato urtato da Dante e ricorda la sconfitta dei guelfi a Montaperti. Il poeta gli si avvicina invitandolo a rivelare la propria identità. Poiché questi si rifiuta, Dante lo afferra per i capelli in modo minaccioso, finché un altro ne rivela il nome: Bocca degli Abati. Qui Dante partecipa così intensamente all’azione da non attendere – come è solito fare – l’assenso di Virgilio al colloquio con l’anima di Bocca e da lasciarsi andare a comportamenti decisamente violenti nei confronti del dannato. «Tale acredine […] è giustificata dal ricordo bruciante della sconfitta guelfa e fiorentina, dalla passionalità con cui Dante inscena la materia politica che lo tocca personalmente» (Pasquini-Quaglio). In altre parole, Dante-personaggio è qui completamente coinvolto in prima persona. Inferno Lo sdegno verso il traditore di Montaperti Se con i dannati dell’Inferno l’atteggiamento di Dante può essere di umana pietà (Paolo e Francesca, Brunetto Latini) o di polemica contrapposizione (si veda lo stesso episodio di Bocca degli Abati), nel Purgatorio il poeta si trova a condividere il cammino di espiazione delle anime. Dante-personaggio, cioè, partecipa al percorso di purificazione che lo renderà – come recita l’ultimo verso della cantica – «puro e disposto a salire a le stelle». Nelle varie cornici purgatoriali Dante prende sempre parte, indirettamente, alle pene e alle preghiere delle anime. Ma in alcuni casi più, in altri meno: in base a quanto sente di essere incline e cedevole nei confronti del particolare vizio che vi si espia. Evidentemente, conscio del proprio valore e del proprio talento, Dante rimproverava a sé stesso il peccato di superbia. La partecipazione purgatoriale di Dante-personaggio >> pagina 374 Quando in XI (T25) il poeta incontra Oderisi e ne tesse le lodi, questi con un’umiltà della quale – confessa – non sarebbe stato capace in vita, dominato com’era da uno smodato desiderio di eccellere, risponde che Franco Bolognese lo ha superato nell’arte di miniare le pergamene. Tale è la sorte della effimera gloria umana: così anche Cimabue è superato da Giotto nella pittura e Guido Guinizzelli (oppure, secondo un’altra interpretazione, Guittone d’Arezzo) da Guido Cavalcanti (o Guido Guinizzelli) nella poesia, e forse è già nato chi a sua volta li supererà entrambi. Purgatorio, L’onore del mondo è volubile come vento che muta nome a seconda che spiri da un lato o dall’altro dell’orizzonte. Non rimane alcuna differenza tra uno che sia morto vecchio e un altro che sia morto bambino, quando siano passati mille anni. Uno spazio di tempo che ci sembra lunghissimo, se paragonato all’eternità non è più che un batter di ciglia. In questa riflessione Dante è parte attiva (non a caso partecipa all’espiazione: , v. 78), in quanto è toccato personalmente dal dramma della brevità della vita di fronte all’eternità e dal rischio, che ancora sussiste per lui che è vivo, di inorgoglirsi per la fama senza considerarne la caducità. tutto chin con loro andava L’affetto per Oderisi, superbo pentito Quando Dante era entrato nel Purgatorio, l’angelo portiere gli aveva proibito di voltarsi. Adesso invece Beatrice lo spinge a guardare indietro. Ciò significa che il pellegrino ha conquistato una prospettiva sicura, grazie alla quale voltarsi indietro non rappresenta più, per lui, un pericolo. In altre parole, Dante ha raggiunto una libertà interiore dal peccato che lo mette al riparo dalle tentazioni terrene. Si tratta di un passaggio cruciale, quello dai cieli planetari, condizionati dalla Storia, a una zona celeste legata alla dimensione dell’eternità. Così, purificatosi dalle proprie colpe e con lo sguardo libero da condizionamenti materiali, egli è in grado di vedere la Terra nella sua giusta dimensione: un puntino nell’universo (anche se – per l’uomo medievale – quel puntino è al centro dell’universo stesso). La libertà interiore raggiunta dal pellegrino Dante riprende qui un classico già presente nel (Il sogno di Scipione) dello scrittore latino Cicerone (I secolo a.C.), l’unica parte nota nel Medioevo (capitoli 9-29 del VI libro) del trattato (Sullo Stato): Scipione l’Africano (il vincitore di Annibale a Zama nella seconda guerra punica) mostrava in sogno al nipote, Scipione Emiliano (il distruttore di Cartagine nella terza guerra punica), le sfere celesti e la Terra, e questi ricavava da tale visione dall’alto un analogo senso di svalutazione della supposta magnificenza del pianeta («mi apparve così piccola che mi venne una stretta al cuore nel vedere che il nostro impero non occupa che un piccolo punto di essa», , VI, 16). topos Somnium Scipionis De republica Somnium Scipionis Nel brano che abbiamo riportato (T26) Dante-personaggio, attraverso il suo lungo viaggio, ha raggiunto in prima persona tale consapevolezza. Tuttavia non si può trascurare una differenza fondamentale: il valore che assume la visione di Dante è diverso da quello presente nel testo ciceroniano, poiché il poeta cristiano sottintende «il concetto, tutto religioso, di liberazione e di distacco dalle passioni terrene come prerequisito indispensabile per poter accedere alla visione dei beati e di Dio» (Messina-Sarpi). La Terra vista dal cielo >> pagina 375 Verso le COMPETENZE Comprendere 1 Perché al v. 86 di Inferno , XXXII ( T 24 ) il dannato impreca contro Dante? 2 Qual era stata in vita l’attività di Oderisi da Gubbio (protagonista del brano di Purgatorio , XI, T 25 )? Poeta. a Musico. b Minatore. c Autore di miniature. d 3 Spiega il significato dei vv. 92-93 di Purgatorio , XI ( T 25 ). 4 Sintetizza le riflessioni che Dante compie contemplando la Terra dall’alto ( T 26 ). Analizzare 5 Come definiresti lo stile del brano di Inferno , XXXII ( T 24 )? Tragico. a Elegiaco. b Comico-realistico. c Lirico. d 6 Ai vv. 79-81 di Purgatorio , XI ( T 25 ) Dante saluta Oderisi da Gubbio e ne indica l’arte con un iperbato. a un’anastrofe. b una metafora. c una perifrasi. d 7 Al v. 76 di Purgatorio , XI ( T 25 ) si trova un asindeto. a un polisindeto. b una subordinata temporale. c una subordinata causale. d 8 Quale figura sintattica puoi individuare al v. 115 di Paradiso , XXII ( T 26 )? Un chiasmo. a Un parallelismo. b Un’anafora. c Una metonimia. d Interpretare 9 Il contrappasso della pena di Inferno , XXXII ( T 24 ) è per analogia o per contrasto? 10 Il contrappasso della pena di Purgatorio , XI ( T 25 ) è per analogia o per contrasto? 11 Perché nel brano di Inferno , XXXII ( T 24 ) Bocca degli Abati non vuole svelare a Dante la propria identità? 12 Perché al v. 105 di Inferno , XXXII ( T 24 ) il personaggio tiene gli occhi in giù raccolti ? 13 Come possiamo spiegare l’epiteto di Frate (“fratello”) con cui al v. 82 di Purgatorio , XI ( T 25 ) Oderisi apostrofa Dante? 14 Nei vv. 98-99 di Purgatorio , XI, T 25 ( e forse è nato / chi l’uno e l’altro caccerà del nido ) molti interpreti hanno visto un’allusione di Dante a sé stesso. Ti sembra possibile? Una simile interpretazione non sarebbe contraddittoria rispetto alla generale tematica del canto (Dante esalterebbe sé stesso e il proprio valore artistico mentre si stigmatizza il peccato di superbia)? Motiva la tua risposta. 15 Quale concetto sottolinea il paragone presente ai vv. 106-108 di Purgatorio , XI ( T 25 )? COMPETENZE LINGUISTICHE 16 In Inferno XXXIII, v. 94, Dante usa il termine brama , che indica un desiderio molto intenso. Con l’aiuto del dizionario dei sinonimi individua almeno cinque sinonimi di “desiderio”, disponili secondo una gradazione d’intensità e poi scrivi una frase per ciascuno di essi. Produrre 17 Scrivere per esprimere. Prendendo come spunto il brano di Purgatorio , XI ( T 25 ), rifletti sulla presenza della superbia nella società contemporanea. Chi sono i superbi di oggi? Un simile atteggiamento si manifesta anche tra le persone che conosci e frequenti? In quali modi si esprime? Di contro: nel mondo di oggi l’umiltà ti sembra sia ancora considerata un valore? Scrivi un testo argomentativo di circa 30 righe XIII secolo. Venezia, Biblioteca Marciana. Dante e Beatrice contemplano la costellazione dei Gemelli, i pianeti e la Terra,