T4 La mia sera Canti di Castelvecchio Composta nel 1900 e pubblicata lo stesso anno sulla rivista “Il Marzocco”,   è la descrizione della fine di una giornata di pioggia, quando ogni cosa sembra risvegliarsi a nuova vita. E come la sera è attraversata da dolci suoni e voli di rondini, così anche la vecchiaia del poeta sembra consolata dai voli della fantasia e del ricordo, che acuiscono in lui il desiderio di addormentarsi come quando era bambino, di sentire la presenza della madre chinata a dargli il bacio della buonanotte e poi di immergersi nel sonno. La mia sera Cinque strofe composte da 7 novenari e 1 senario, che si chiude sempre con la parola sera. Le rime sono alternate secondo lo schema ABABCDCd. Metro Il  del passato e la  del presente tumulto  pace  Il giorno fu pieno di lampi; ma ora verranno le stelle, le tacite stelle. Nei campi c’è un breve di ranelle. gre gre  Le tremule foglie dei pioppi 5      trascorre una gioia leggiera. Nel giorno, che lampi! che scoppi! Che pace, la sera! Si devono aprire le stelle nel cielo sì tenero e vivo. 10     Là, presso le allegre ranelle, singhiozza monotono un rivo. Di tutto quel cupo tumulto, di tutta quell’aspra bufera, non resta che un dolce singulto 15     nell’umida sera. È, quella infinita tempesta, finita in un rivo canoro. Dei fulmini fragili restano cirri di porpora e d’oro. 20     O stanco dolore, riposa! La nube nel giorno più nera fu quella che vedo più rosa nell’ultima sera. silenziose. tacite: 3 perché senza eco, smorzato. breve: 4 perché mosse dal vento. tremule: 5 attraversa, fa vibrare. Il verbo è usato transitivamente. trascorre: 6 il rimbombo dei tuoni. scoppi: 7 il cielo appare così umido a causa della pioggia ( ) e vibrante che le stelle sicuramente dovranno spuntare. Il verbo sottintende un’analogia tra l’accendersi delle stelle e lo sbocciare dei fiori. Si devono… vivo: 9-10 tenero aprire ci si riferisce al forte rumore del temporale. quel cupo tumulto: 13 violenta. aspra: 14 il singhiozzo (ossia il rumore del ruscello, il del v. 12) è definito, tramite un ossimoro, per sintetizzare il passaggio dal pianto di dolore del giorno alla quiete riposante della sera, in cui del pianto resta, nel , un residuo, un’eco. dolce singulto: 15 rivo dolce singulto che sembrava non dover mai finire. infinita: 17 ruscello che produce un suono simile a un canto. rivo canoro: 18 l’attributo sembra riferirsi alla forma (a zig-zag, come se dessero l’impressione di spezzarsi nel cielo) e alla breve durata dei fulmini. Secondo un’altra interpretazione, andrebbe collegato al sostantivo cirri del verso successivo. fulmini fragili: 19 fragili fragili nuvole sfilacciate e leggere di alta quota. cirri: 20 si tratta del dolore dell’uomo vinto dalla Storia e da un presente angoscioso. plàcati! stanco dolore: 21 riposa!: la nube che ora, a sera inoltrata, vedo del colore più rosa è la stessa che, durante il giorno, era la più nera. Giunto alla sera della vita, il poeta può dunque ricordare con maggior distacco le sofferenze passate. La nube… ultima sera: 22-24 Che voli di rondini intorno! 25     che gridi nell’aria serena! La fame del povero giorno prolunga la garrula cena. La parte, sì piccola, i nidi nel giorno non l’ebbero intera. 30     Né io… e che voli, che gridi, mia limpida sera! … E mi dicono, Dormi! Don… Don mi cantano, Dormi! sussurrano, Dormi! bisbigliano, Dormi! 35     là, voci di tenebra azzurra… Mi sembrano canti di culla, che fanno ch’io torni com’era… sentivo mia madre… poi nulla… sul far della sera. 40     la fame patita in un giorno povero di cibo a causa della tempesta allunga la durata della cena dei rondinini, che continuano a garrire per la felicità. La fame… cena: 27-28 i piccoli nel nido non hanno avuto, durante il giorno, tutta la parte di cibo, per quanto piccola, di cui avevano bisogno. La parte… intera: 29-30 neanche io. Né io: 31 il soggetto di questo verbo, al plurale come i seguenti, è il suono delle campane. dicono: 33 dove suonano le campane. voci… azzurra: il suono delle campane è assimilato a voci misteriose provenienti dalle profondità azzurre del cielo. là: 36 fanno sì che io. cioè fanciullo. fanno ch’io: 38 com’era:  >> pagina 453  Dentro il TESTO I contenuti tematici Dopo un giorno di tempesta, con la sera sopraggiunge la quiete e una gioia tranquilla e (v. 6) pare contagiare la natura. Nella calma ritrovata, il poeta rivive le vicende dolorose del proprio passato, ora decantate in una serenità nuova, finalmente assaporata al tramonto di una vita segnata da tanti dolori. leggiera Tutta la lirica è strutturata su questo confronto – l’infuriare degli elementi durante il giorno e il placarsi della tempesta nella pace della sera – che sottintende a sua volta il confronto riguardante l’esistenza del poeta, tra la giovinezza inquieta e la vecchiaia finalmente serena. Così il componimento sviluppa, al di là dell’apparenza di bozzetto idillico, un’intensa meditazione autobiografica. Non a caso, la sera è per il poeta un possesso esclusivo: quella cantata da Pascoli è la “sua” sera, vale a dire la “sua” vita che, nell’estremo ritorno all’innocenza infantile, gli permette di abbandonarsi al sonno, alla quiete e all’oblio del dolore e del male. L’agitazione del giorno si spegne nella pace della sera Al tempo stesso, il costante sottofondo del suono delle campane ( , v. 33), quasi assorbito nella dimensione naturale della campagna, e l’anafora del (come una nenia, un’eco cullante della voce delle campane) preparano prima il ricongiungimento del poeta con la madre e con l’infanzia, poi lo sprofondamento nel sonno, quasi a dire nel nulla, nell’abisso riservato al destino umano. Don… Don… Dormi L’immersione nel nulla  >> pagina 454 Le scelte stilistiche Nel gioco di rimandi tra immagini concrete e significati simbolici, offre un esempio tra i più efficaci dell’espressività poetica pascoliana. Lo stacco tra passato e presente è suggerito subito nel primo verso, dove il verbo al passato remoto ( ) e il punto e virgola segnano una cesura netta con i versi successivi: all’agitazione della tempesta subentra l’inerzia pacata della sera, sulla quale pare coricarsi la luce delle (vocabolo che Pascoli ripete due volte – , vv. 2-3–, come a indugiare sul loro atteso sopraggiungere). La mia sera fu stelle le stelle, le tacite stelle La gioia, appena accennata, per la pace serale è indotta dal gracidio delle rane (poi chiamate , v. 11), dal tessuto di suoni reso armonico grazie al ricorrere della e della ( , , , vv. 5-6, fino alla parola chiave ), dalla lieve brezza che fa tremare le foglie, dall’analogia sottintesa tra le stelle nel cielo, che (v. 9), e le corolle dei fiori su un prato. allegre ranelle e r tremule trascorre leggiera sera Si devono aprire Il suono e i simboli della pace (vv. 1-12) Come l’uomo, abituato al pianto per le sofferenze patite, anche la natura non dimentica il proprio turbamento e, ora che la tempesta è passata, il suo (v. 15) rivela ancora una sottile inquietudine; d’altro canto, la sera (vale a dire, metaforicamente, la vecchiaia) suggerisce al poeta di guardare con maggiore distacco ai dolori vissuti: (vv. 22-24). Ma questo non è l’unico richiamo autobiografico che è possibile cogliere sotto la superficie della descrizione naturalistica di un momento del giorno. Anzi, si può dire che in questa seconda parte del componimento l’esperienza personale si mostra chiaramente. dolce singulto La nube nel giorno più nera / fu quella che vedo più rosa / nell’ultima sera Alla fine della terza strofa Pascoli esprime la propria stanchezza, cercando nella sera il riposo che le sofferenze della vita gli hanno precluso ( , v. 21). Poi, nella penultima strofa, assistiamo a un altro parallelismo: la vita del poeta viene infatti assimilata alla giornata, priva di cibo, vissuta dalle piccole rondini, alle quali si allude per metonimia ( , v. 29). Anche il poeta, come loro, non ha avuto nel corso degli anni la porzione di felicità che gli spettava: il reticente (v. 31) sintetizza la sua autoesclusione dalla vita e la solitudine patita dopo la violazione del «nido»-casa dell’infanzia, privato per sempre del cibo dell’amore. O stanco dolore, riposa! i nidi Né io… Le risonanze autobiografiche (vv. 13-32) L’ultima strofa è infine caratterizzata, ma sarebbe meglio dire dominata, dall’evocazione fonosimbolica: l’onomatopea del suono delle campane e l’insistita allitterazione (con la ricorrenza della , accentuata dall’invito ) creano un’atmosfera di sonnolenza che fa scivolare il soggetto lirico verso l’infanzia e, al tempo stesso, verso il (il sonno, la morte). Il tono di voce delle campane si fa sempre più basso; l’ dei verbi , , , sembra suggerire proprio questa lenta, silenziosa e progressiva discesa verso l’incoscienza. d Dormi! nulla anticlimax dicono cantano sussurrano bisbigliano L’esperienza di questa immersione è complicata dall’uso simultaneo di una sinestesia (le , v. 36) e di un ossimoro (l’oscurità è paradossalmente azzurra, come accade al buio del cielo notturno quando sfuma in un imprevedibile chiarore): le voci risucchiano indietro verso il nulla, che è insieme la culla della nascita e il vuoto della fine. Il suono delle campane, innocente ricordo dell’infanzia, diventa allo stesso tempo un sinistro suono di morte. voci di tenebra azzurra La voce del nulla (vv. 33-40)  >> pagina 455  L’aspetto metrico ribadisce la grande originalità della poesia di Pascoli, il quale, pur mantenendosi all’interno di schemi consolidati, scompone e reinterpreta con grande libertà le forme chiuse della tradizione. Qui fa uso di novenari e di senari: si tratta già di una scelta per molti versi innovativa, dal momento che di solito si privilegiano l’endecasillabo e il settenario. Ma l’aspetto più importante è legato alla modalità, assolutamente personale, con cui il poeta utilizza questi metri. Il novenario, per esempio, presenta un’accentazione alquanto variata, che ritmicamente produce scansioni diverse: alcuni versi si aprono con l’accento tonico sulla prima sillaba ( , v. 11), altri sulla seconda ( , v. 12). Inoltre la presenza delle cesure determina la frattura del verso: il v. 3, , più che un novenario, è la somma di un senario ( ) e un trisillabo ( ). Là , presso le allegre ranelle sin ghioz za monotono un rivo le tacite stelle. Nei campi le tacite stelle Nei campi Una disgregazione delle forme canoniche ancora più evidente è operata poi dalle esclamazioni: il v. 7, , per esempio, è interrotto da pause continue, per cui il metro non si concilia più con la sintassi (in questo caso, nominale). La stessa cosa può dirsi per l’ultima strofa, dove l’unità metrica è ostacolata da molteplici fratture, determinate ancora da esclamativi, ma anche da virgole e puntini di sospensione. Infine vanno segnalati i due versi sdruccioli (vv. 19 e 34): la loro sillaba finale ( ; ) viene conteggiata come parte del verso seguente, che così da ottonario diventa anch’esso novenario. Nel giorno, che lampi! che scoppi! re-sta- no sus-sur-ra- no La sperimentazione metrica Verso le COMPETENZE Comprendere Dai un titolo a ogni strofa della poesia. 1 ANALIZZARE 2 Individua nel componimento i termini e le espressioni afferenti al capo semantico del suono, distinguendo quelli connotati positivamente e quelli connotati negativamente: che cosa puoi osservare? 3 Quale funzione hanno le onomatopee presenti nel testo? 4 Quali elementi concorrono alla messa in evidenza della vitalità di ciascun elemento naturale? 5 Individua nel testo almeno un esempio delle seguenti figure retoriche: a allitterazione; b ossimoro; c sinestesia; d metonimia. INTERPRETARE 6 In che modo e perché, a tuo parere, le campane sono umanizzate? La poesia presenta una forte componente autobiografica. Quali riferimenti alla vita del poeta pos 7 sono esservi colti? è u enti al testo. 8 La mia sera no dei componimenti in cui Pascoli più chiaramente mette in pratica gli enunciati teo­rici del Fanciullino . Motiva questa affermazione facendo opportuni riferim Produrre  Il tema della sera è un  : su un motivo analogo si è soffermato Ugo Foscolo nel sonetto  . In un testo espositivo di circa 30 righe evidenzia analogie e differenze con   di Pascoli, prendendo in considerazione gli aspetti metrici, contenutistici e stilistici. 9 Scrivere per confrontare. topos Alla sera La mia sera Caspar David Friedrich, , 1830 ca. Amburgo, Hamburger Kunsthalle. Campo arato