Dolore e sentimento della morte nella fase “notturna” 5 Oltre all’immagine ufficiale, spettacolarizzata in miriadi di esposizioni eroiche e autocelebrative, d’Annunzio ha manifestato nella vita e nell’opera letteraria anche una più , che compare – a prima vista stridente e insospettabile – tra le pieghe dell’uomo d’eccezione abituato a indossare esclusivamente gli abiti del vate, dell’eroe, dell’istrione. Questa componente della sua personalità emerge soprattutto durante la e nelle prose autobiografiche che la costellano, ma traspare anche prima, quando una traccia di affiora nel vitalismo del superuomo (il tema della malattia e della morte si presenta, per esempio, in romanzi come e ). segreta e dolorosa interiorità vecchiaia nichilismo Giovanni Episcopo L’innocente Il lato malinconico di d’Annunzio Non c’è dubbio, tuttavia, che sono proprio gli scritti autobiografici redatti negli ultimi anni a proporre questi aspetti, tipici della cultura decadente: l’ , la (che è poi, non a caso, il titolo di una raccolta di prose, del 1912), l’ , l’immersione nelle tenebre dell’oscurità. ossessione per la vecchiaia contemplazione della morte esplorazione dell’ignoto Di questo risvolto della personalità dannunziana offre una testimonianza rivelatrice soprattutto il , l’originale prosa lirica scritta durante il periodo di convalescenza dopo l’incidente aereo. Qui d’Annunzio sembra rinunciare alle pose eroiche e superomistiche di tanta sua produzione, lirica e oratoria al tempo stesso. La sua voce, liberatasi dagli eccessi retorici, si modula in frammenti sofferti e privi del tipico vitalismo e acquista così un tono naturale, sfumato, diafano con cui esprime il mistero funereo della natura e il rimpianto di una giovinezza perduta per sempre. Notturno Un viaggio decadente nella malattia e nella morte Tuttavia, anche in questa posa così debole e stanca, d’Annunzio rimane sempre d’Annunzio. Proprio perché privato del rapporto sensoriale con la realtà, , saggiando le inedite sensazioni di chi scopre la nuova fisicità di una «creatura terrestre» insonne e sofferente, che vive – e sente – il proprio corpo costretto in una sorta di letto-bara. il poeta cerca di scandagliare la propria interiorità Al mito – sebbene mito rovesciato – egli, insomma, non rinuncia: il “Comandante” senza vista che scrive al buio le sue sensazioni possiede invero la vista lunga del , dell’ che legge la realtà sotto le apparenze, la scompone e la porge in frammenti ai comuni mortali. La componente sublime dell’arte dannunziana, apparentemente consumata, si mantiene invece intatta: sotto altra veste questo straordinario illusionista della parola conserva gli attributi del a cui è permesso esprimere ogni esperienza, anche la più oscura. vaticinatore oracolo poeta artefice e veggente La cecità come privilegio creativo Ritratto di d’Annunzio ferito, 1916 ca.