I temi In questo poema dell’estate, d’Annunzio torna a sviluppare il motivo del panismo, la già presente nelle poesie giovanili. Tale comunione si compie qui in termini mitici, quale completa astrazione da tutto ciò che è umano. Mentre le figure femminili si trasfigurano in ninfe dei boschi, il poeta si spoglia dei residui della civiltà moderna da cui si sente contaminato e recupera un’originaria e profonda dimensione interiore che fa coincidere la sua vita con quella dell’universo. Egli cioè conosce la gioia istintiva e vitale trasmessa dall’ . Da tale metamorfosi, dal suo fondersi con il mare, i fiumi, la pioggia, gli alberi, il poeta ricava una : impadronendosi attraverso i sensi della segreta e pulsante energia naturale, egli acquista una nuova forza, manifestando così la propria facoltà di oltrepassare i limiti umani e di «indiarsi», cioè deificarsi nell’unione perfetta con la natura. comunione dell’io con la natura immedesimarsi con il Tutto straordinaria ebbrezza Il panismo Solo apparentemente il processo che amalgama il soggetto umano e quello naturale avviene grazie a una disposizione genuina ed elementare e purificata da ogni artificio, immune da sovrastrutture ideologiche. Il mito del superuomo, così come lo abbiamo visto nei romanzi intrisi di torbida sensualità e di eroismo dai toni esasperati, è certamente qui decantato, tra i silenzi dei boschi, nell’ozio immobile sulla sabbia e sotto la canicola mitigata dalla pioggia estiva. Al tempo stesso, però, il non rinuncia alla propria prerogativa di “ ”, al quale è accordato il con le più recondite fibre del mondo naturale: la fusione tra l’elemento umano e l’elemento naturale rappresenta un evento quasi soprannaturale, capace di collocarlo in una dimensione sovrumana di contatto con la natura, di cui diventa parte integrante. poeta essere superiore privilegio dell’immedesimazione divina Il privilegio del superuomo Questa illusione, tuttavia, non sempre può realizzarsi compiutamente e la comunione panica può trasformarsi in un’ . Il tentativo di depurare il proprio mondo interiore e di assaporare pienamente le sensazioni suscitate da ogni aspetto della natura viene infatti frustrato dall’inevitabile , simbolo della consunzione e del rapido trascorrere del tempo. Non a caso, il declino estivo annunciato alla fine della quarta sezione del libro è suggellato miticamente dal ricordo della tragica impresa di Icaro: nel il fallimento della sua ambizione di volare fino al Sole coincide con la disfatta del mito stesso e il conseguente abbandono da parte del poeta di ogni aspirazione agonistica e con un desiderio di inabissarsi per sempre, come l’imprudente eroe, nel profondo del mare. utopia passaggio dall’estate all’autunno Ditirambo IV Il sogno di recuperare una dimensione immortale, incorrotta e innocente si scontra dunque con la consapevolezza dell’impossibilità di attuarlo, quando il presagio della fine imminente dell’estate procura un , di estenuazione, di malattia e di morte. Ciò non impedisce comunque al rito di compiersi, rinnovando il gioco illusorio e sottile (la «favola bella» a cui d’Annunzio fa allusivamente cenno nella , T9, p. 593) che promette, fra la stagione del grano e quella dell’uva, di godere del paesaggio estivo come se fosse una sorta di paradiso terrestre. senso di stanchezza Pioggia nel pineto ▶ L’illusione estiva Descrivere questo sogno è il compito che d’Annunzio assegna alla propria poesia. Anche tale esperienza è vissuta come uno stato di grazia e come un mezzo per vincere la morte, capace di generare parole e versi figli delle ninfe, scaturiti dal suono delle foreste, dal rumore delle onde e del vento, dal fruscio delle foglie mosse dal vento. In tal modo, il poeta ambisce ad assumere il ruolo di interprete di Pan e a esprimere, grazie alla capacità magica della sua parola, l’armonia misteriosa che vive e palpita nell’universo. In questo senso, d’Annunzio ripropone la figura del ▶ poeta orfico , che sa comprendere e rivelare il canto segreto (e quindi l’essenza più profonda) della natura. Il cantore orfico La parola L’aggettivo “orfico” si riferisce a tutto ciò che è relativo a Orfeo, mitico cantore greco, considerato per tradizione il primo poeta dell’umanità. Dal culto di Orfeo nacque intorno al VI secolo a.C. in Grecia una dottrina religiosa di carattere mistico: l’orfismo, che propugnava la credenza nell’immortalità dell’anima e la necessità di condurre una vita pura. In ambito letterario, è detto “orfico” tutto ciò che allude a una misteriosa iniziazione e che rimanda a qualcosa di esoterico, con riferimento soprattutto a forme di espressione lirica in cui viene esaltato il valore magico dei segni con cui l’ispirazione si esprime. Orfico >> pagina 587 Lo stile Coerentemente con le funzioni evocative che d’Annunzio assegna alla propria parola poetica, egli collauda in tutte le soluzioni stilistiche immaginabili, come se volesse esaurire lo spettro delle possibilità espressive. Un primo ambito in cui si esercita pienamente la sua sperimentazione è quello metrico, dove possiamo registrare una . Abbandonando le strutture tipiche della poesia tradizionale, d’Annunzio «rompe gli schemi strofici, li dilata e li restringe, riducendo a volte il verso a una parola singola» (Beccaria). Alcyone straordinaria varietà di soluzioni Anche se in alcune liriche (per esempio nella ) è ancora presente un sistema di strofe e non mancano sonetti, madrigali, forme metriche di ascendenza classica, come le strofe saffiche e alcaiche, l’autore predilige l’uso della , lunga, talvolta lunghissima, composta di , di misura sillabica diseguale, variamente alternati e legati tra loro in modo del tutto irregolare da rime, ma più spesso da assonanze e consonanze. Sera fiesolana strofa libera versi liberi La sperimentazione metrica Altrettanto ricco è il repertorio lessicale: l’autore presenta frequenti arcaismi, in più di un caso recuperati dai dizionari (come alcuni nomi di piante: , , ecc.) e si compiace – con un atteggiamento che potremmo definire manieristico – del ; abbiamo così citazioni attinte da semisconosciuti poeti dei primi secoli della letteratura italiana, forme ortografiche anacronistiche, tecnicismi ecc. crambe pancrazio terebinto gusto del raro e del desueto L’intenzione di d’Annunzio di suggerire sensazioni e dissolvere la parola in una pura è resa magistralmente grazie agli , prodotti da giochi di rime, allitterazioni e anafore. Il risultato è una sequela di immagini che compariranno anche nei versi di buona parte dei poeti italiani del Novecento, destinati – come riconoscerà Eugenio Montale – ad attraversare la poesia dannunziana e ad accoglierne evidenti influenze. evocazione musicale effetti fonosimbolici Un’enciclopedia della parola poetica Lettura critica p. 620 Caricatura di d’Annunzio, in Max Beerbohm, , Londra 1913. Fifty Caricatures