il CARATTERE  La lotta di una donna contro la ruvida faccia del mondo   Una giovinezza non felice Negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, l’arcaica quiete domestica è dominata dalla figura del padre Antonio, verso il quale Grazia dovette avere un importante trasporto, superiore a quello verso la madre, Francesca Cambosu, “angelo del focolare” descritta in   come «melanconica, taciturna, chiusa in un mondo tutto suo», tutta dedita ai figli e alle cose di casa, ma «con una freddezza quasi meccanica», legata per dovere, più che per amore, a «un uomo di venti anni più vecchio di lei, che la circondava di cure, che viveva solo per lei e la famiglia, ma che non poteva darle il piacere e la soddisfazione sensuale dei quali tutte le donne giovani hanno bisogno». Cosima Sempre dalle pagine di  , apprendiamo che la giovinezza della Deledda fu segnata da una ininterrotta catena di sciagure. Il fratello maggiore, Santus, precipita nell’alcolismo sino al  . Il secondogenito, Andrea, viene arrestato, anche se per piccoli furti, provocando la morte di crepacuore del padre e la conseguente perdita dell’agiatezza della famiglia. La sorella Giovanna muore di angina in tenera età, e un’altra sorella più grande, Enza, perde la vita a ventun’anni tentando di abortire. Una terza sorella, Beppa, viene invece atrocemente beffata dopo la promessa di fidanzamento fattale da un pretendente “continentale”. Cosima delirium tremens Desiderio di fuga e senso di colpa In virtù di questa non facile situazione familiare e del clima di generale arretratezza della società isolana del tempo, si comprende facilmente l’anelito alla fuga coltivato sin da giovane dalla scrittrice. Tale desiderio si realizzerà nel 1900 attraverso il matrimonio, ma probabilmente tale scelta non fu vissuta in maniera psicologicamente pacificata: una causa possibile del senso di colpa che aleggia un po’ ovunque nei romanzi deleddiani può essere cercata proprio in questo “peccato di sradicamento”. L’abbandono dell’isola-terra-madre sembra essere stato vissuto dall’autrice come peccato originale del tradimento degli affetti nativi. S’innesca così la necessità dell’espiazione di una supposta indegnità: penitenza da condurre, magari, attraverso la stessa letteratura. Una personalità schiva Anche una volta trasferitasi a Roma, Grazia Deledda conduce una vita austera, lontana dalla mondanità salottiera della capitale, chiusa nel ristretto cerchio di famiglia e lavoro. Scrive soltanto, e pubblica romanzi e racconti con una cadenza quasi annuale, in un’esistenza ritiratissima, come se la sua vita di donna non meritasse più di avere uno spazio proprio. Consegnatasi a un uomo, a un marito, costituito il nucleo familiare, la donna che era stata sino a quel momento cede il posto alla sposa, alla madre, alla scrittrice, la quale si proietta con tutto il potere della fantasia nel passato abbandonato con la partenza dalla Sardegna e con il matrimonio. Quando nel 1928 riconobbe i primi segni della malattia (un tumore) che l’avrebbe condotta alla morte, la tenne nascosta a tutti, persino ai suoi figli, senza mai smettere di lavorare, sino alla fine. Le opere La prima fase della narrativa deleddiana Dopo l’esordio del 1892 con il romanzo Fior di Sardegna , la prima notorietà viene alla Deledda dal romanzo Anime oneste (1895), cui seguono, tra gli altri, La giustizia (1898), Elias Portolu (1903), Cenere (1904; da questo romanzo verrà tratto nel 1916 un film di Febo Mari, con l'unica interpretazione cinematografica della grande attrice Eleonora Duse ), L’edera (1908), Canne al vento (1913). In questa prima fase della sua opera, di sapore veristico , si trova il motivo dell’ ansia di riscatto dal male – riscatto in realtà impossibile – inserito in una visione religiosa e a tratti cupa della vita e sullo sfondo di una rappresentazione, più lirica che realistica, della natura e del paesaggio della sua Sardegna . T2 In particolare, il romanzo rappresenta bene la sintesi dei temi e dei motivi della prima fase della narrativa deleddiana. , e sono sorelle, discendenti di un nobile casato, ormai economicamente decaduto, del paese di Galte (nel Nuorese c’è un centro di nome Galtellì al quale l’autrice si ispirò). Le tre donne  Canne al vento Ester Ruth Noemi Pintor vivono quasi da recluse nell’antica casa in rovina, assistite dall’anziano servo Efix, che coltiva l’ultimo podere rimasto loro degli immensi possedimenti di un tempo. Con la sua devozione alle “padrone”   Efix   intende espiare la colpa di aver ucciso molti anni prima, seppure involontariamente, il padre delle donne, don Zame: il servo aveva infatti cercato di agevolare la fuga di una quarta sorella, la più giovane,   Lia , dalla tirannia del padre, che teneva le figlie segregate in casa affinché non si mischiassero con la gente del paese. Un giorno, d’improvviso, giunge dal continente Giacinto, il figlio di Lia, rimasto orfano e licenziato per un furto dal suo impiego alle Dogane. Il ragazzo – che Efix inizialmente sperava potesse essere di sostegno alle zie – si rivela invece scioperato e spendaccione, al punto da sperperare un’ingente somma di denaro prestatagli da un’usuraia. Intanto il giovane si innamora di  , un’umile paesana, ma le zie si oppongono al loro matrimonio; a essere contraria è soprattutto Noemi, morbosamente attratta dal nipote. Questi, per poter ottenere altro denaro, giunge a falsificare su una cambiale le firme delle zie. Morta improvvisamente Ruth, le due sorelle rimaste, per salvare  , sono costrette a vendere il podere al ricco cugino    , che in questo modo le salva dalla rovina. Grixenda Giacinto don Predu Intanto Giacinto ha lasciato il paese per cercare lavoro a Nuoro ed Efix si è messo a vagabondare vivendo di elemosine. Quando l’anziano servo torna al paese apprende che Giacinto sposerà Grixenda, mentre Noemi diventerà moglie di don Predu, sanando così la precaria situazione economica delle Pintor. Ora, finalmente, Efix può morire in pace, proprio il giorno delle nozze di Noemi. Canne al vento   Testi plus: L'eredità di donna Lia  >> pagina 640  La seconda fase Con le novelle della raccolta (1912) e con i romanzi successivi – tra i quali (1920), (1921), (1922), (1927), (1932), (romanzo autobiografico uscito postumo nel 1937) – si delineano i tratti distintivi del secondo periodo della scrittrice. Affrancatasi ormai da ogni regionalismo, Grazia Deledda fa suoi certi aspetti della sensibilità e del gusto propri del . Fra gli autori da lei prediletti, del resto, non vi sono soltanto Verga e i veristi, ma anche i romanzieri russi (da Lev Tolstoj a Fëdor Dostoevskij) e Gabriele d’Annunzio. Chiaroscuro La madre Il segreto dell’uomo solitario Il Dio dei viventi Annalena Bilsini La vigna sul mare Cosima Decadentismo T1, T3 In una notte di vento, scopre che suo figlio, , venerato parroco di Aar, ha una relazione con una donna. La madre lo sente uscire e lo segue finché non lo vede entrare in casa di , una giovane bella e senza parenti. Tornata a casa, la donna decide di aspettare il figlio, ma la sua è un’attesa dolorosa, affollata di pensieri angosciosi e di presenze inquietanti, tra le quali quella del demonio in persona, che assume le sembianze dell’antico parroco di Aar, uomo dissoluto che beveva e bestemmiava, amico dei briganti, che i paesani credono non sia morto ma viva ancora nascosto in una grotta sotto il fiume. Ma la sua fede è forte, è la corazza che la protegge dagli assalti del maligno. Maddalena don Paulo Agnese Quando il figlio rincasa, Maddalena trova il coraggio di parlargli. L’uomo, profondamente toccato dalle parole della madre, giura che non tornerà mai più da Agnese. La battaglia spirituale che attende il prete è dura, ma l’uomo ha la forza di resistere alla tentazione. Agnese, però, non si rassegna all’abbandono e minaccia di rivelare a tutti la relazione con il sacerdote, se egli non si allontanerà per sempre dal paese: don Paulo, però, non cede al ricatto. Quando la mattina, salito all’altare per celebrare la Messa, vede che Agnese si è alzata per parlare, sente la sua pena sciogliersi in rassegnazione: se lo scandalo avverrà, esso sarà la giusta punizione per la sua colpa. Agnese si incammina verso l’altare ma a un certo punto, incapace di proseguire, «come se una muraglia le si fosse d’improvviso alzata davanti»,  cade in ginocchio e tace, Maddalena – che ha assistito a tutta la scena – non regge alla tensione e si accascia a terra, stroncata dalla paura e dal dolore. Il figlio la trova morta in fondo alla chiesa, con i denti ancora stretti nello sforzo di non gridare. La madre  >> pagina 641  I grandi temi La Sardegna arcaica 1 Scriveva una giovane Grazia Deledda: «Avrò tra poco vent’anni; a trenta voglio aver raggiunto il mio radioso scopo quale è quello di creare da me sola una letteratura completamente ed esclusivamente sarda» (lettera a Maggiorino Ferraris, 1890). Effettivamente ci sarebbe riuscita: tramite il suo lavoro artistico, la Sardegna sarebbe entrata a far parte dell’immaginario europeo. La narrativa della Deledda muove in effetti dal costituiscono il materiale di fondo delle sue prove narrative. I personaggi dei suoi primi racconti e romanzi sono i servi pastori delle , i garzoni delle remote fattorie alle falde del Gennargentu o dell’Ortobene, le operose massaie del Nuorese. Verismo a fondo regionale e folcloristico: cronache e leggende paesane, storie di passioni elementari e di esseri primitivi ▶  tancas La scrittrice inizia infatti «il suo percorso di formazione nella temperie culturale e morale tipica del villaggio, del microcosmo antropologicamente connotato, con proprie lingue, propri saperi, proprie consuetudini», muovendo «i primi passi dentro una comunità educante i cui tipi, miti e archetipi» diventano per lei quasi subito «fonte di ispirazione e oggetto inesauribile di scrittura» (Manca). Lei stessa, rievocando gli anni della sua formazione, ebbe modo di affermare in un’intervista del 1933: «Ho vissuto coi venti, coi boschi, colle montagne. Ho guardato per giorni, mesi ed anni il lento svolgersi delle nuvole sul cielo sardo. Ho mille e mille volte poggiato la testa ai tronchi degli alberi, alle pietre, alle rocce per ascoltare la voce delle foglie, ciò che dicevano gli uccelli, ciò che raccontava l'acqua corrente. Ho visto l’alba e il tramonto, il sorgere della luna nell’immensa solitudine delle montagne, ho ascoltato i canti, le musiche tradizionali e le fiabe e i discorsi del popolo». Per poi aggiungere: «Così si è formata la mia arte, come una canzone, o un motivo che sgorga spontaneo dalle labbra di un poeta primitivo». La formazione regionale La parola  Voce sarda, di origine catalana, che indica un appezzamento di terreno, di solito recintato con muretti a secco o con siepi di fichi d’India, destinato soprattutto al pascolo ovino, con ricoveri per i pastori. Tanca Fin quasi ai trent’anni, del resto, l’autrice aveva vissuto in un mondo in cui superstizione e magia, lungi dall’essere demonizzati (come accade nei contesti urbano-industriali), facevano parte dell’orizzonte quotidiano, all’interno del quale erano pienamente accettate e assorbite. Nell’ambito delle ricerche etnografiche condotte per la “Società italiana del folklore” Grazia Deledda aveva raccolto e studiato molti , con una particolare attenzione ai rituali magici. In un suo articolo intitolato si legge di preti che evocavano diavoli per farsi da loro servire e di sacerdoti che erano anche un po’ maghi, capaci com'erano – nella credenza comune – di disperdere le cavallette, i bruchi, gli insetti e di annientare le epidemie e le pestilenze. usi e costumi del Nuorese Magie e incantesimi Gli interessi folclorici La Sardegna arcaica della Deledda è un ambiente barbarico in cui domina una spiccata tendenza al meraviglioso e al miracolistico. Ponendosi a cavallo tra Verismo e Decadentismo, del resto, l’arte della scrittrice è difficile da collocare in modo univoco nel panorama letterario italiano. Le stesse definizioni di autrice verista o decadente sono problematiche; da una parte, infatti, l’interesse per il folclore e il regionalismo sembra essere l’espressione, più che di un approccio verista, di  , che mira a una  , raffigurati in modo pittoresco e stilizzato come parte di un ; sull’altro versante, il suo lirismo deriva da una concezione della vita intrisa di , e senso della . un romanticismo di fondo rappresenta zione lirica di ambienti, paesaggi e personaggi mondo primitivo e favoloso superstizione religione magia Nell’ultima fase della sua produzione, Grazia Deledda presenta la   una sorta di  : la terra del mito diventa metafora di una condizione esistenziale, quella “primitiva”, che la cultura del Novecento cercherà di recuperare come soluzione all’angoscia e al disagio derivanti dal difficile rapporto con la società industriale e dalle conseguenze del progresso scientifico. Sardegna come luogo archetipico Una terra tra Verismo e Decadentismo  >> pagina 642  T1 Un grido nella notte Chiaroscuro La novella che presentiamo è tratta dalla raccolta   (1912), un volume importante nel percorso artistico di Grazia Deledda, in quanto segna il parziale superamento dei moduli tardoromantici e veristi, con un più deciso accostamento al gusto decadente. Il racconto di un vecchio sardo rievoca un’esperienza traumatica, ancora segnata dal senso di colpa. Chiaroscuro e  Indifferenza  rimorso Tre vecchioni a cui l’età e forse anche la consuetudine di star sempre assieme han dato una somiglianza di fratelli, stanno seduti tutto il santo giorno e quando è bel tempo anche gran parte della sera, su una panchina di pietra addossata al muro d’una casetta di Nuoro. Tutti e tre col bastone fra le gambe, di tanto in tanto fanno un piccolo buco per 5       seppellirvi una formica o un insetto o per sputarvi dentro, o guardano il sole per indovinare l’ora. E ridono e chiacchierano coi ragazzetti della strada, non meno sereni e innocenti di loro. Intorno è la pace sonnolenta del vicinato di Sant’Ussula, le tane di pietra dei contadini e dei pastori nuoresi: qualche pianta di fico si sporge dalle muricce dei 10     1 cortili e se il vento passa le foglie si sbattono l’una contro l’altra come fossero di metallo. Allo svolto della strada appare il monte Orthobene grigio e verde fra le due grandi ali azzurre dei monti d’Oliena e dei monti di Lula. Fin da quando ero bambina io, i tre vecchi vivevano là, tali e quali sono ancora adesso, puliti e grassocci, col viso color di ruggine arso dal soffio degli anni, i capelli 15     e la barba d’un bianco dorato, gli occhi neri ancor pieni di luce, perle lievemente appannate nella custodia delle palpebre pietrose come conchiglie. Una nostra serva andava spesso, negli anni di siccità, ad attinger acqua ad un pozzo là accanto: io la seguivo e mentr’ella parlava con questo e con quello come la Samaritana, io 2 mi fermavo ad ascoltare i racconti dei tre vecchi. I ragazzi intorno, chi seduto sulla 20     polvere, chi appoggiato al muro, si lanciavano pietruzze mirando bene al viso, ma intanto ascoltavano. I vecchi raccontavano più per loro che per i ragazzetti: e uno era tragico, l’altro comico, e il terzo, ziu Taneddu, era quello che più mi piaceva 3 perché nelle sue storielle il tragico si mescolava al comico, e forse fin da allora io sentivo che la vita è così, un po’ rossa, un po’ azzurra, come il cielo in quei lunghi 25     crepuscoli d’estate quando la serva attingeva acqua al pozzo e ziu Taneddu, ziu Jubanne e ziu Predumaria raccontavano storie che mi piacevano tanto perché non le capivo bene e adesso mi piacciono altrettanto perché le capisco troppo. muri a secco che delimitano terreni, cortili, orti o giardini. muricce: 1 donna dell’antica città di Samaria, in Palestina. Il riferimento è a un passo del Vangelo di Giovanni (4, 5 ss.), in cui si narra che Gesù, di passaggio presso il pozzo di Giacobbe, chiese a una donna samaritana dell’acqua da bere. Samaritana: 2 zio; il termine non indica qui una precisa relazione di parentela, bensì una prolungata familiarità. ziu: 3 Fra le altre ricordo questa, raccontata da ziu Taneddu. – Bene, uccellini, ve ne voglio raccontare una. La mia prima moglie, Franzisca 30     Portolu, tu l’hai conosciuta, vero, Jubà, eravate , ebbene, era una donna ghermanitos 4 coraggiosa e buona, ma aveva certe fissazioni curiose. Aveva quindici anni appena, quando la sposai, ma era già alta e forte come un soldato: cavalcava senza sella, e se vedeva una vipera o una tarantola, eran queste che avevan paura di lei. Fin da bambina era abituata ad andar sola attraverso le campagne: si recava all’ovile di 35     suo padre sul monte e se occorreva guardava il gregge e passava la notte all’aperto. Con tutto questo era bella come un’Immagine: i capelli lunghi come onda di mare 5 e gli occhi lucenti come il sole. Anche la mia seconda moglie, Maria Barca, era bella, tu la ricordi, Predumarì, eravate cugini; ma non come Franzisca. Ah, come Franzisca io non ne ho conosciuto più: aveva tutto, l’agilità, la forza, la salute; era abile 40     in tutto, capiva tutto; non s’udiva il ronzio d’una mosca ch’ella non l’avvertisse. Ed era allegra, ohiò, fratelli miei; io ho passato con lei cinque anni di contentezza, 6 come neppure da bambino. Ella mi svegliava, talvolta, quando la stella del mattino era ancora dietro il monte, e mi diceva: «Su, Tanè, andiamo alla festa, a Gonare, oppure a San Francesco o più lontano 45     ancora fino a San Giovanni di Mores». Ed ecco in un attimo balzava dal letto; preparava la bisaccia, dava da mangiare alla cavalla, e via, partivamo allegri come due gazze sul ramo al primo cantar del gallo. Quante feste ci siamo godute! Ella non aveva paura di attraversar di notte i boschi e i luoghi impervi; e in quel tempo ricordate, fratelli miei, in terra di Sardegna 50     cinghialetti a due zampe, ohiò! ce n’erano ancora: ma di questi banditi 7 qualcuno io lo conoscevo di vista, a qualche altro avevo reso servigio, e insomma paura non avevamo. Ecco, Franzisca aveva questo ch’era quasi un difetto: non temeva nessuno, era attenta, ma indifferente a tutto. Ella diceva: «Ne ho viste tante, in vita mia, che nulla 55     più mi impressiona, e anche se vedessi morire un cristiano non mi spaventerei». E non era curiosa come le altre donne: se nella strada accadeva una rissa, ella non apriva neanche la porta. Ebbene, una notte ella stava ad aspettarmi, ed io tardavo perché la cavalla m’era scappata dal podere ed ero dovuto tornare a piedi. Oh dunque Franzisca aspettava, seduta accanto al fuoco poiché era una notte d’autunno 60     inoltrato, nebbiosa e fredda. A un tratto, ella poi mi raccontò, un grido terribile risuonò nella notte, proprio dietro la nostra casa: un grido così disperato e forte che i muri parvero tremare di spavento. Eppure ella non si mosse: disse poi che non si spaventò, che credette fosse un ubbriaco, che sentì un uomo a correre, qualche 8 finestra spalancarsi, qualche voce domandare «cos’è?» poi più nulla. 65     Io rientrai poco dopo; ma lì per lì Franzisca non mi disse nulla. L’indomani dietro il muro del nostro cortile fu trovato morto ucciso un giovine, un fanciullo quasi, Anghelu Pinna, voi lo ricordate, il figlio diciottenne di Antoni Pinna: e per questo delitto anch’io ebbi molte noie perché, come vi dico, il cadavere del disgraziato ragazzo fu trovato accanto alla nostra casa, steso, ricordo bene, in mezzo a una gran 70     macchia di sangue coagulato come su una coperta rossa. Ma nessuno seppe mai nulla di preciso, sebbene molti credano che Anghelu avesse relazioni con una nostra vicina di casa e che sieno stati i parenti di lei ad ucciderlo all’uscir d’un convegno. 9 Basta, questo non c’importa: quello che c’importa è che la perizia provò essere il malcapitato morto per emorragia: aiutato a tempo, fasciata la ferita, si sarebbe salvato. 75     cugini di terzo grado. : 4 ghermanitos un’immagine della Madonna. come un’Immagine: 5 interiezione che esprime gioia. ohiò: 6 metafora utilizzata per indicare i banditi. cinghialetti a due zampe: 7 che correva. a correre: 8 incontro amoroso. convegno: 9 Ebbene, fratelli miei, questo terribile avvenimento distrusse la mia pace. Mia moglie diventò triste, dimagrì, parve un’altra, come se l’avessero stregata, e giorno e notte ripeteva: «se io uscivo e guardavo e alle voci che domandavano rispondevo, – il grido è stato dietro il nostro cortile, – il ragazzo si salvava…». Diventò un’altra, sì! Non più feste, non più allegria; ella sognava il morto, e alla 80     notte udiva grida disperate e correva fuori e cercava tremando. Invano io le dicevo: «Franzisca, ascoltami: sono stato io quella notte a gridare, per provare se ti spaventavi. Un caso disgraziato ha voluto che nella stessa notte accadesse il delitto: ma l’infelice non ha gridato e tu non hai da rimproverarti nulla». Ma ella s’era fissata in mente quell’idea, e deperiva, sebbene per farmi piacere 85     fingesse di credere alle mie parole, e non parlasse più del morto. Così passò un anno; ero io adesso a volerla condurre alle feste e a divagarla. Una volta, due anni 10 circa dopo la notte del grido, la condussi alla festa dei santi Cosimu e Damianu, dove una famiglia amica ci invitò a passare qualche giornata assieme. La sera della festa ci trovavamo tutti nello spiazzo davanti alla chiesetta. Era agli 90     ultimi di settembre ma sembrava d’estate, la luna illuminava i boschi e le montagne, e la gente ballava e cantava attorno ai fuochi accesi in segno d’allegria. A un tratto mia moglie sparì ed io credetti ch’ella fosse andata a coricarsi, quando la vidi uscir correndo di chiesa, spaventata come una sonnambula che si sia svegliata durante una delle sue escursioni notturne. 95     «Franzisca, agnello mio, che è stato, che è stato?». Ella tremava, appoggiata al mio petto, e volgeva il viso indietro, guardando verso la porta della chiesa. La trascinai dentro la capanna, l’adagiai sul giaciglio, e solo allora ella mi raccontò che era entrata nella chiesetta per pregare pace all’anima del povero Anghelu 100  Pinna quando a un tratto, uscite di chiesa alcune donnicciuole di Mamojada, si trovò sola, inginocchiata sui gradini ai piedi dell’altare. «Rimasi sola», ella raccontava con voce ansante, aggrappandosi a me come una bambina colta da spavento. «Continuai a pregare, ma all’improvviso sentii un sussurro come di vento e un fruscio di passi. Mi volsi, e nella penombra, in mezzo alla 105  chiesa, vidi un cerchio di persone che ballavano tenendosi per mano, senza canti, senza rumore; erano quasi tutti vestiti in costume, uomini e donne, ma non avevano testa. Erano i morti, maritino mio, i morti che ballavano! Mi alzai per fuggire, ma fui presa in mezzo, due mani magre e fredde strinsero le mie… ed io dovetti ballare, maritino mio, ballare con loro. Invano pregavo e mormoravo: 110  Santu Cosimu abbocadu, ogademinche dae mesu… 11 quelli continuavano a trascinarmi ed io continuavo a ballare. A un tratto il mio ballerino di destra si curvò su di me, e sebbene egli non avesse testa, io sentii distintamente queste parole: 115  «Lo vedi, Franzì? Anche tu non hai badato al mio grido!». distrarla dai pensieri. divagarla: 10 “San Cosimo avvocato, levatemi di mezzo”. Il termine “avvocato” è un epiteto attribuito ai santi, in quanto mediatori tra gli esseri umani e Dio. Santu… mesu: 11 Era lui, marito mio, il malcapitato fanciullo. Da quel momento non ci vidi più. Ecco il momento, pensavo, adesso mi trascinano all’inferno. È giusto, è giusto, pensavo, perché io vivevo senza amore del prossimo e non ho ascoltato il grido di chi moriva. Eppure sentivo una forza straordinaria; mentre, continuando a ballare, sfioravamo 120  la porta, riuscii a torcere fra le mie le mani dei due fantasmi e mi liberai e fuggii; ma Anghelu Pinna mi rincorse fino alla porta e tentò di afferrarmi ancora: egli però non poteva metter piedi fuori del limitare, mentre io l’avevo già varcato. Il lembo della mia tunica gli era rimasto in mano; per liberarmi io slacciai la tunica, gliela lasciai e fuggii. Marito mio bello, io muoio… io muoio… Quando sarò morta ricordati di far 125  celebrare tre messe per me e tre per il povero Anghelu Pinna… E va a guardare se trovi la mia tunica, prima che i morti me l’abbiano ridotta in lana scardassata». 12 Sì, uccellini, – concluse il vecchio zio Taneddu – mia moglie delirava; aveva la febbre, e non stette più bene e morì dopo qualche mese, convinta di aver ballato coi morti, come spesso si sente a raccontare: e, cosa curiosa, un giorno un pastore 130  trovò davanti alla porta di San Cosimo un mucchio di lana scardassata, e molte donne credono ancora che quella fosse la lana della tunica di mia moglie, ridotta così dai morti. Sì, ragazzini, che state lì ad ascoltarmi con occhi come lanterne accese, il fatto è stato questo: e quel che è più curioso, sì, ve lo voglio dire, è che il grido lo feci io 135  davvero, quella notte, per provare se mia moglie era indifferente com’essa affermava. Quando essa fu morta feci dire le messe, ma pensavo anch’io: se non gridavo, quella notte malaugurata, mia moglie non moriva. E mi maledicevo, e gridavo a me stesso: che la giustizia t’incanti, che i corvi ti pilucchino gli occhi come due 13 14 acini d’uva, va alla forca, Sebastiano Pintore, tu hai fatto morir tua moglie… 140  Ma poi tutto passò: dovevo morire anch’io? Eh, fratelli miei, ragazzini miei, e tu, occhi di lucciola, Grassiedd’ ’Elè, che ne dite? Non ero una donnicciuola, io, e d’altronde morrò lo stesso, quando zio Cristo Signore Nostro comanda… cardata (la cardatura è l’operazione con cui vengono tolte le impurità dalle fibre della lana). scardassata: 12 espressione fraseologica sarda che significa letteralmente “che la giustizia ti inebetisca”. La è quella umana, in questa società arcaica talora più temuta di quella divina. che la giustizia t’incanti: 13 giustizia becchino. pilucchino: 14  >> pagina 645  Dentro il TESTO I contenuti tematici La moglie di ziu Taneddu, Franzisca, sembra essere impazzita a causa del senso di colpa: se avesse risposto al grido di Anghelu Pinna, accorrendo in suo aiuto, forse il ragazzo non sarebbe morto dissanguato ( , rr. 119-120). La sua visione dei morti che ballano dentro la chiesa e che la costringono a partecipare alla macabra danza viene appunto interpretata da Taneddu, in modo rassicurante, come un delirio ( […] , r. 128). Tuttavia, il ritrovamento di (r. 131) davanti alla porta della chiesa rappresenta un particolare inquietante, interpretabile come una prova della veridicità dell’esperienza riferita dalla donna. io vivevo senza amore del prossimo e non ho ascoltato il grido di chi moriva Sì, uccellini, mia moglie delirava un mucchio di lana scardassata Delirio o realtà?  >> pagina 646 Le scelte stilistiche Nella novella è possibile cogliere i tratti peculiari dell’ispirazione artistica della Deledda: da una parte una rappresentazione dai contorni realistici, erede della tradizione regionalistica verista; dall’altra il senso di inquietudine che attraversa la narrazione, più vicino alla sensibilità decadente. In realtà, come si è detto, il Verismo deleddiano è più formale che sostanziale: nel quadretto che raffigura i tre vecchi seduti sulla panchina a raccontare storie, infatti, è ravvisabile un intento bozzettistico più che la volontà di proporre una descrizione realistica; analogamente, nel racconto di ziu Taneddu la descrizione dell’ambiente sardo e dei suoi tipi, resi con un’attitudine folclorica, non risponde a un intento documentario, dando piuttosto vita a un’atmosfera magica e fiabesca. Più che da Verga e dagli altri maestri del Verismo, infatti, la Deledda è influenzata dal gusto per il barbaro e per il primitivo del primo d’Annunzio (quello di e delle ); di qui l’attenzione della scrittrice per gli aspetti selvaggi, passionali e patriarcali della sua Sardegna e, sul piano dello stile, una tensione favolistica che trasfigura in chiave fantastica le espressioni concrete della vita popolare, interpretate più alla luce di una visione magica dell’esistenza che con gli occhi della Storia. Terra vergine Novelle della Pescara Tra intento bozzettistico e atmosfera magica Verso le COMPETENZE Comprendere Come viene descritto, all’inizio, il carattere di Franzisca? In seguito a quale fatto esso muta radicalmente? 1 Con quale argomento Taneddu cerca di consolare la moglie? Perché lei non gli crede? 2 Perché il ritrovamento di 3 un mucchio di lana scardassa ta (r. 131) davanti alla porta della chiesa di San Cosimo potrebbe essere la prova della veridicità del ballo dei morti riferito da Franzisca? ANALIZZARE Individua le similitudini e le metafore presenti nella novella. A quale campo semantico appartengono? 4 Come definiresti il tessuto lessicale del testo? Più letterario o più gergale? In che modo queste due componenti entrano qui in reciproca relazione? 5 Individua nel racconto di ziu Taneddu le espressioni che contribuiscono a conferirgli un tono colloquiale. 6 INTERPRETARE I racconti e i romanzi di Grazia Deledda narrano spesso di passioni forti e distruttive. In quali elementi della trama di questa novella possiamo cogliere tale aspetto? 7 Il motivo tipicamente deleddiano della colpa non riguarda solo Franzisca ma, come si scopre alla fine del testo, anche Taneddu. Tuttavia, tale senso di colpa è vissuto dai due personaggi in modo radicalmente diverso e con conseguenze opposte. Perché? 8 Produrre In quale personaggio, secondo te, si rispecchia maggiormente l’autrice? Rispondi in un testo argomentativo di circa 20 righe. 9 Scrivere per argomentare. Illustrazione da . Edizione illustrata con acquaforti realizzate dagli studenti dell’Istituto Statale d’Arte di Urbino, 1961. Chiaroscuro