I grandi temi La visione politica 1 Gli anni trascorsi da Pasolini a Casarsa – nell’ultima fase della guerra e poi nell’immediato dopoguerra – segnano per lui il momento dell’acquisizione di una consapevolezza ideologica. Inizialmente è un episodio legato alla pubblicazione, nel 1942, di a stimolare in lui – a quanto egli stesso ci dice – una più definita. Una quindicina di giorni dopo l’uscita del libro, Pasolini riceve una cartolina postale di Gianfranco Contini, giovane ma già brillante critico, il quale gli dice che le poesie gli sono molto piaciute e che le recensirà presto. Contini infatti scrive subito un articolo per la rivista “Primato”, che però viene bloccato e potrà uscire soltanto l’anno dopo in Svizzera sul “Corriere del Ticino”, poiché l’orientamento di esasperato nazionalismo della cultura ufficiale della dittatura mussoliniana disdegna la poesia dialettale. L’esperienza diretta della censura di regime vissuta sulla propria pelle determina in Pasolini una netta scelta antifascista. Poesie a Casarsa coscienza politica L’antifascismo Una tematica apertamente politica compare nelle poesie degli anni successivi, raccolte nei volumi (1954) e (1958). La sezione finale (del 1949) di quest’ultimo si intitola : ciò prelude alla centralità della tematica politica che sarà propria della raccolta successiva, significativamente intitolata (1957), la quale comprende componimenti degli anni Cinquanta. Il di Pasolini sarà sempre, però, piuttosto . Quello che gli interessa, infatti, non è tanto il proletariato, cui si rivolge il Pci, ma il , ovvero il popolo prima dell’avvento di una coscienza di classe. La meglio gioventù L’usignolo della Chiesa Cattolica La scoperta di Marx Le ceneri di Gramsci comunismo eterodosso sottoproletariato La scoperta di Marx Nel poemetto che dà il titolo alla raccolta , in un immaginario colloquio con l’urna dell’autore dei , Pasolini esprime tutta l’ambiguità della propria appartenenza politica: « , dell’essere / con te e contro te; con te nel cuore, / in luce, contro te nelle buie viscere». E alcuni versi più avanti il poe­ta spiega tale contraddizione: «attratto da una vita proletaria / a te anteriore, è per me religione // la sua allegria, non la millenaria / sua lotta: la sua natura, non la sua / coscienza». Le ceneri di Gramsci Quaderni del carcere Lo scandalo del contraddirmi Davanti a Gramsci, assurto a simbolo dell’ortodossia marxista, Pasolini dichiara che il suo amore per il mondo popolare è viscerale, estraneo a ogni ideologia. La conquista della coscienza di classe, che il comunismo indicava come l’obiettivo prioritario, in quanto preliminare alla possibilità di una lotta di massa finalizzata alla rivoluzione proletaria, avrebbe significato per il proletariato una maggiore consapevolezza politica, civile e culturale. Ma questo avrebbe finito con il compromettere l’autenticità, la genialità, la spontaneità, la libertà che Pasolini vede come caratteristiche fondamentali di quel popolo che nei suoi anni friulani prima e in quelli romani poi ha imparato a conoscere. Da qui la sua : da una parte razionalmente desidera, insieme con il Partito e aderendo al suo programma, l’evoluzione culturale e il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori; ma dall’altra intimamente teme che quel processo di cambiamento possa determinare la corruzione, in senso borghese, della candida essenza popolare. sofferta posizione politica Di fronte a Gramsci Nel film (1966) l’ideologia, che assume le sembianze di un corvo parlante, incalza con mille domande gli attori Totò e Ninetto Davoli, straordinaria coppia  Uccellacci e uccellini sulla scena. È proprio il corvo a declamare ai signori Innocenti (Totò padre e Ninetto figlio) una sorta di apologo cristiano-marxista, quello, appunto, degli uccellacci e degli uccellini, per parlare della   conflittualità di classe : gli uccellacci e gli uccellini (vale a dire i falchi e i passeri) sono gli oppressori e gli oppressi. L’ideologia marxista, però, si rivela un discorso puramente moralistico e retorico, incapace di fare presa sulle coscienze dei proletari. Per questo Totò e Ninetto uccideranno il corvo per cibarsene: l’  vede entrare in crisi il proprio ruolo, ed è divorato, cioè fagocitato dalla società dei consumi di massa. intellettuale comunista La crisi dell’ideologia  >> pagina 1058  T1 Il pianto della scavatrice Le ceneri di Gramsci Nella seconda parte delle sei di cui è costituita la lirica  e, in alcuni dei suoi versi più belli ed emotivamente più intensi, Pasolini rievoca l’esperienza delle borgate romane e soprattutto illumina il lettore sulla propria particolare concezione del popolo. Il pianto della scavatric Terzine di endecasillabi non rimati. Sono frequenti versi ipometri o ipermetri (cioè con un minore o maggiore numero di sillabe rispetto alla misura endecasillabica). Metro L’ del  autenticità  popolo  Asset ID: 228 ( )  let-altvoc-il-pianto-della-scavat280.mp3 Audiolettura Povero come un gatto del Colosseo, vivevo in una borgata tutta calce e polverone, lontano dalla città e dalla campagna, stretto ogni giorno   in un autobus rantolante: 5     e ogni andata, ogni ritorno era un calvario di sudore e di ansie. Lunghe camminate in una calda caligine, lunghi crepuscoli davanti alle carte ammucchiate sul tavolo, tra strade di fango, 10     muriccioli, casette bagnate di calce e senza infissi, con tende per porte… Passavano l’olivaio, lo straccivendolo, venendo da qualche altra borgata, con l’impolverata merce che pareva 15     frutto di furto, e una faccia crudele di giovani invecchiati tra i vizi di chi ha una madre dura e affamata . Rinnovato dal mondo nuovo, libero – una vampa, un fiato 20     che non so dire, alla realtà che umile e sporca, confusa e immensa, brulicava nella meridionale periferia, dava un senso di serena pietà. Un’anima in me, che non era solo mia, 25     una piccola anima in quel mondo sconfinato, cresceva, nutrita dall’allegria di chi amava, anche se non riamato. E tutto si illuminava, a questo amore. Forse, ancora di ragazzo, eroicamente, 30     e però maturato dall’esperienza che nasceva ai piedi della storia. Ero al centro del mondo, in quel mondo di borgate tristi, beduine, di gialle praterie sfregate 35     da un vento sempre senza pace, l’affanno del motore richiama un rantolo (vale a dire il respiro del moribondo). rantolante: 5 arsura polverosa. calda caligine: 8 i fogli dell’attività letteraria. carte: 9 venditore ambulante di olive. olivaio: 13 che sembrano accampamenti di nomadi del deserto, più che quartieri di una capitale dell’Occidente avanzato. beduine: 34 venisse dal caldo mare di Fiumicino, o dall’agro, dove si perdeva la città fra i tuguri; in quel mondo che poteva soltanto dominare, 40     quadrato spettro giallognolo nella giallognola foschia, bucato da mille file uguali di finestre sbarrate, il Penitenziario tra vecchi campi e sopiti casali. 45     Le cartacce e la polvere che cieco il venticello trascinava qua e là, le povere voci senza eco di donnette venute dai monti Sabini, dall’Adriatico, e qua 50     accampate, ormai con torme di deperiti e duri ragazzini stridenti nelle canottiere a pezzi, nei grigi, bruciati calzoncini, i soli africani, le piogge agitate 55     che rendevano torrenti di fango le strade, gli autobus ai capolinea affondati nel loro angolo tra un’ultima striscia d’erba bianca e qualche acido, ardente immondezzaio… 60     era il centro del mondo, com’era al centro della storia il mio amore per esso: e in questa maturità che per essere nascente era ancora amore, tutto era 65     per divenire chiaro – era, chiaro! Quel borgo nudo al vento, non romano, non meridionale, non operaio, era la vita nella sua luce più attuale: 70     vita, e luce della vita, piena nel caos non ancora proletario, come la vuole il rozzo giornale della cellula, l’ultimo sventolio del rotocalco: osso 75     dell’esistenza quotidiana, pura, per essere fin troppo prossima, assoluta per essere fin troppo miseramente umana. comune ai confini di Roma, alle foci del Tevere. Fiumicino: 37 campagna. agro: 38 le catapecchie che costituiscono le borgate. tuguri: 39 è complemento oggetto del predicato , di cui è soggetto (v. 44), cioè il carcere di Rebibbia. che: 40 poteva dominare il Penitenziario è apposizione di . quadrato… giallognolo: 41 Penitenziario le masserie che sembrano come addormentate. sopiti casali: 45 i monti della Sabina, a nord di Roma. -50 monti Sabini: 49 induriti dalle loro esperienze di vita. duri: 52 vocianti. stridenti: 53 molto caldi. africani: 55 perché ricoperta di polvere. bianca: 59 dall’odore acre, pungente. acido: 60 in base a quanto si legge nel di Marx ed Engels (1848), il proletariato è la «classe degli operai moderni, che vivono solo fintantoché trovano lavoro, e che trovano lavoro solo fintantoché il loro lavoro aumenta il capitale». Si tratta dunque di una classe sociale funzionale all’economia capitalistica, una classe assai diversa dal sottoproletariato, che vive lontano dai meccanismi del sistema produttivo. E se il proletariato può elaborare una coscienza politica, il sottoproletariato è ben lontano dal condividerla. non ancora proletario: 72 Manifesto del Partito comunista la definisce. Pasolini attribuisce l’espressione negativa a qualche giornale di partito ( : sezione di partito). la vuole: 73 caos non ancora proletario cellula la metafora dice la scarna essenzialità della condizione di vita della gente del popolo, che vegeta ai limiti della sopravvivenza, in un’esistenza ridotta, appunto, all’osso. osso: 75 per il fatto di essere (proposizione causale), come anche al verso successivo. per essere: 77 Pasolini davanti alla tomba di Antonio Gramsci, 1954.  >> pagina 1060 Dentro il TESTO I contenuti tematici In questi versi l’autore rievoca il momento del suo primo contatto con il mondo delle borgate romane e con la loro grande carica umana. La borgata è una zona intermedia, lontana / (vv. 3-4), che non possiede la struttura dell’agglomerato urbano né quella della comunità rurale. Essa è una sorta di terra di nessuno, abbandonata dalla politica e dalle istituzioni, sostanzialmente disinteressate alla vita e ai problemi di chi vi abita. dalla città e dalla campagna Pasolini, invece, sceglie consapevolmente di condividere l’esistenza di queste persone. Lo fa perché in tale ambiente egli può finalmente ritrovare sé stesso e una nuova gioia di vivere, che si esplica all’insegna di una condizione di libertà dai vincoli moralistici piccolo-borghesi ( , v. 19). L’istintiva (v. 27) della gente del popolo si comunica al poeta, che si sente intimamente vicino a quel mondo sottoproletario al quale si accosta. In lui, così, cresce il senso di appartenenza all’anima popolare ( […] , vv. 25-27). Poco importa se il suo amore (che andrà inteso qui anche in senso erotico, nei confronti dei ragazzi del popolo) non è del tutto ricambiato ( , v. 28), perché (v. 29). Rinnovato dal mondo nuovo allegria Un’anima in me, che non era solo mia, cresceva di chi amava, anche se non riamato tutto si illuminava, a questo amore A contatto con la borgata La borgata romana diventa così il (vv. 33 e 61), il luogo dove il giovane “di buona famiglia” può finalmente maturare a contatto con un’esperienza (v. 32), vale a dire la vita degli ultimi in queste (v. 34), di coloro, cioè, che sono abbandonati a sé stessi da quanti detengono le leve della grande Storia collettiva. E su questo mondo emerge di nuovo l’ (il vocabolo torna al v. 62) del poeta per il popolo. centro del mondo che nasceva ai piedi della storia borgate tristi, beduine amore L’amore per il popolo Il popolo per Pasolini è puro nella misura in cui non è contaminato né dai distorti valori borghesi né dalle ideologie politiche. La (v. 64) equivale a un’involuzione interiore e può esprimersi come solo finché è allo stato iniziale ( / , vv. 64-65). Quando l’ideologia ha il sopravvento e il popolo ne viene corrotto, esso rischia di perdere la propria essenza, fatta di un’ingenuità che è / (vv. 69-70). maturità amore per essere nascente era ancora amore la vita nella sua luce più attuale Per Pasolini la forza più viva e autentica della Storia non è dunque il proletariato consapevole della propria condizione e della necessità di rivendicare i propri diritti (come riteneva l’ortodossia comunista, qui emblematizzata dal / , vv. 73-74), ma – appunto – questo sottoproletariato primitivo e ignaro, un (v. 72) niente affatto negativo, bensì dotato di una straordinaria energia vitale, (v. 77) e (v. 78). rozzo giornale della cellula caos non ancora proletario pura assoluta L’essenza prepolitica del sottoproletariato Le scelte stilistiche In questa come nelle altre liriche della raccolta Pasolini tenta una sintesi tra lirismo e impegno civile. Infatti egli non rinuncia ad affrontare certi nodi politici e ideologici (come quello relativo alla visione del proletariato e alle prospettive di una sua azione), ma insieme pone sé stesso e il proprio io poetico – con tutte le sue tensioni, le sue angosce, i suoi slanci, i suoi entusiasmi, i suoi sentimenti – in rapporto dialettico con la real­tà che rappresenta. Alla marginalità del sottoproletariato romano corrisponde la marginalità personale del poeta, finché queste due condizioni finiscono quasi con il sovrapporsi. Le ceneri di Gramsci Impegno e soggettivismo  >> pagina 1061  Dal punto di vista prettamente formale, va notato come a una forma metrica, la terzina, di tipo tradizionale – sebbene rivisitata con una certa libertà – si unisca qui un linguaggio semplice e discorsivo, perfettamente funzionale agli intenti narrativi e dimostrativi che l’autore si propone di perseguire. I due elementi sembrerebbero in contraddizione, ma la scelta pasoliniana risponde a una motivazione precisa: affinché i contenuti concettualmente impegnativi (sul piano storico, logico, razionale) di questi versi potessero trovare una loro poeticità era necessario «imprigionarli dentro istituzioni stilistiche codificate, dentro ritmi, rime e suoni saldamente impiantati nella tradizione, […] preesistenti e tali da costituire un margine alla violenza dell’autobiografia» (Cerami). Metrica e linguaggio Verso le COMPETENZE Comprendere Riassumi il contenuto del testo in circa 10 righe. 1 Analizzare 2 Rintraccia tutti i riferimenti alla povertà dell’ambiente e della gente della borgata. Quale figura retorica troviamo nel sintagma 3 frutto di furto (v. 16)? Interpretare Perché il poeta ripete l’aggetti in due versi consecutiv osa intende sottolineare in questo modo? 4 vo “giallognolo” i (vv. 41-42)? Che c In che senso il carcere di Rebibbia domina la borgata? 5 COMPETENZE LINGUISTICHE  Nei versi che hai letto Pasolini fa largo uso di alterati. Quale valore connotativo assumono? 6  (v. 3)     (v. 11)     (vv. 41-42)     (v. 46)     (v. 47)     (v. 49)     (v. 52). polverone • muriccioli • giallognolo • cartacce • venticello • donnette • ragazzini Produrre  La critica ha rimproverato a Pasolini di aver mitizzato il sottoproletariato. Sulla scorta della lettura di questo testo, sei d’accordo con tale giudizio? Argomenta la tua risposta in un testo di circa 30 righe. 7 Scrivere per argomentare. La “vita” romana 2 All’inizio del lo scrittore e la madre Susanna si trasferiscono a Roma. Nella capitale Pasolini entra in contatto con la realtà del sottoproletariato urbano, che metterà a fuoco in particolare in due romanzi: (1955) e (1959). Sono opere che risentono del , ma che per molti versi vanno oltre i modelli di quella corrente letteraria. 1950 Ragazzi di vita Una vita violenta clima neorealista Il racconto delle borgate Appena arrivato a Roma, Pasolini, subito innamoratosi della città, conduce in prima persona ricerche “sul campo”, frequentando il mondo delle e facendosi aiutare dalle persone del posto per risolvere i dubbi linguistici in cui si imbatte. Il critico Alberto Asor Rosa ha sottolineato «la minuziosa opera di raccoglitore linguistico di Pasolini, che, taccuino in tasca, va di borgata in borgata, di strada in strada, alla ricerca dei ragazzi di vita, dei loro padri e delle loro madri, colloquia, scherza, ride con loro, e nel frattempo accuratamente ». borgate li studia In effetti quello di Pasolini è uno studio “dal vivo”, quasi da sociologo o da antropologo prima ancora che da scrittore: dei ragazzi delle borgate osserva e annota il lessico, gli atteggiamenti e i comportamenti, ma non lo fa con il distacco dello scrittore naturalista, bensì con un forte coinvolgimento umano ed emotivo. Racconta egli stesso, in un testo del 1958 intitolato : «Spesse volte, se pedinato, sarei colto in qualche pizzeria di Torpignattara, della Borgata Alessandrina, di Torre Maura o di Pietralata, mentre su un foglio di carta annoto modi idiomatici, punte espressive o vivaci, lessici gergali  La mia periferia presi di prima mano dalle bocche dei “parlanti” fatti parlare apposta». Lui, di estrazione borghese, decide di avvicinarsi a una realtà molto diversa da quella del suo ambiente di appartenenza, con rispetto e con capacità di ascolto. Anche negli anni seguenti, quando e le opere successive gli hanno procurato una certa fama nell’ambiente letterario, egli non si concede più di tanto alla mondanità culturale, ma preferisce continuare a frequentare la Roma delle borgate più che quella dei salotti. «Il mio realismo», spiega Pasolini sempre nello scritto , «io lo considero un atto d’amore: e la mia polemica contro l’estetismo novecentesco, intimistico e para-religioso, implica una presa di posizione politica contro la borghesia fascista e democristiana che ne è stata l’ambiente e il fondo culturale». Ragazzi di vita La mia periferia Studio “dal vivo” e partecipazione emotiva  >> pagina 1062  Ancora Pasolini spiega così la sua : «Non c’è stata scelta da parte mia, ma una specie di coazione del destino: e poiché ognuno testimonia ciò che conosce, io non potevo che testimoniare la “borgata” romana. Alla coazione biografica si aggiunge la particolare tendenza del mio eros, che mi porta inconsciamente, e ormai con la coscienza dell’incoscienza, […] a cercare le amicizie più semplici, normali presso i “pagani” (la periferia di Roma è completamente pagana: i ragazzi e i giovani sanno a stento chi è la Madonna), che vivono a un altro livello culturale». scelta linguistica del dialetto romanesco La “regressione” pasoliniana Il critico Cesare Garboli ha avanzato un suggestivo accostamento tra il Pasolini romano e Caravaggio, vedendo nel Riccetto, il protagonista di , una sorta di Bacco caravaggesco trasferito nel XX secolo. Come l’artista del Seicento sceglieva i modelli e le modelle tra i frequentatori delle taverne e tra le prostitute, al punto da raffigurare la Vergine Maria ispirandosi al corpo di una popolana annegata nel Tevere, così Pasolini va a cercare i modelli della sua rappresentazione nel mondo della miseria, del disagio, del degrado più spinto. Si capisce in tal modo anche la sua tendenza a ingaggiare per i suoi film . Ragazzi di vita attori non professionisti Pasolini e Caravaggio T2 La maturazione del Riccetto , capp. 1 e 8 Ragazzi di vita Del primo romanzo romano di Pasolini riportiamo due passi: la conclusione del capitolo iniziale e l’epilogo dell’ultimo. Nel primo brano il Riccetto, ancora ragazzo, è sul Tevere, in una barca, a giocare con alcuni amici. Nel secondo, ormai cresciuto, si trova invece a essere spettatore, sulle rive dell’Aniene, di un evento tragico: un ragazzo, Genesio, tenta la traversata a nuoto, ma viene travolto dalla corrente, annegando sotto lo sguardo angosciato dei due fratellini, Mariuccio e Borgo Antico. L’ e la  avventura  morte Il Riccetto continuava a starsene disteso, senza dar retta ai nuovi venuti, ammusato, 1 2 sul fondo allagato della barca, con la testa appena fuori dal bordo: e continuava sempre a far finta di essere al largo, fuori dalla vista della terraferma. «Ecco li pirata!» gridava con le mani a imbuto sulla sua vecchia faccia di ladro uno dei trasteverini, in piedi in pizzo alla barca: gli altri continuavano scatenati a cantare. 5      3 A un tratto il Riccetto si voltò su un gomito, per osservare meglio qualcosa che aveva attratto la sua attenzione, sul pelo dell’acqua, presso la riva, quasi sotto le arcate di Ponte Sisto. Non riusciva a capir bene cosa fosse. L’acqua tremolava, in quel punto, facendo tanti piccoli cerchi come se fosse sciacquata da una mano: e difatti nel centro vi si scorgeva come un piccolo straccio nero. 10     si tratta di un gruppo di ragazzi che si sono aggiunti agli amici del Riccetto. ai nuovi venuti: 1 imbronciato. ammusato: 2 sull’orlo della barca. in pizzo alla barca: 3 «Ched’è», disse allora rizzandosi in piedi il Riccetto. Tutti guardarono da quella 4 parte, nello specchio d’acqua quasi ferma, sotto l’ultima arcata. «È na rondine, vaffan…», disse Marcello. Ce n’erano tante di rondinelle, che volavano rasente 5 i muraglioni, sotto gli archi del ponte, sul fiume aperto, sfiorando l’acqua con il petto. La corrente aveva ritrascinato un poco la barca indietro, e si vide infatti c’era 15     proprio una rondinella che stava affogando. Sbatteva le ali, zompava. Il Riccetto 6 era in ginocchioni sull’orlo della barca, tutto proteso in avanti. «A stronzo, nun vedi che ce fai rovescià?», gli disse Agnolo. «An vedi», gridava il Riccetto, «affoga!». Quello dei trasteverini che remava restò coi remi alzati sull’acqua e la corrente spingeva piano la barca indietro verso il punto dove la rondine si stava sbattendo. Però 20     dopo un po’ perdette la pazienza e ricominciò a remare. «Aòh, a moro», gli gridò il Riccetto puntandogli contro la mano, «chi t’ha detto de remà?» L’altro fece schioccare la lingua con disprezzo e il più grosso disse: «E che te frega». Il Riccetto guardò verso la rondine, che si agitava ancora, a scatti, facendo frullare di botto le ali. 7 Poi senza dir niente si buttò in acqua e cominciò a nuotare verso di lei. Gli altri si 25     misero a gridargli dietro e a ridere: ma quello dei remi continuava a remare contro corrente, dalla parte opposta. Il Riccetto s’allontanava, trascinato forte dall’acqua: lo videro che rimpiccioliva, che arrivava a bracciate fin vicino alla rondine, sullo specchio d’acqua stagnante, e che tentava d’acchiapparla. «A Riccettooo», gridava Marcello con quanto fiato aveva in gola, «perché nun la piji?». Il Riccetto dovette 30     sentirlo, perché si udì appena la sua voce che gridava: «Me pùncica!». «Li mortacci 8 tua», gridò ridendo Marcello. Il Riccetto cercava di acchiappare la rondine, che gli 9 scappava sbattendo le ali e tutti e due ormai erano trascinati verso il pilone dalla corrente che lì sotto si faceva forte e piena di mulinelli. «A Riccetto», gridarono i compagni dalla barca, «e lassala perde!». Ma in quel momento il Riccetto s’era 35     deciso ad acchiapparla e nuotava con una mano verso la riva. «Torniamo indietro, daje», disse Marcello a quello che remava. Girarono. Il Riccetto li aspettava seduto sull’erba sporca della riva, con la rondine tra le mani. «E che l’hai sarvata a ffà», gli disse Marcello, «era così bello vedella che se moriva!». Il Riccetto non gli rispose subito. «È tutta fracica», disse dopo un po’, «aspettamo che s’asciughi!». Ci volle 40     10 poco perché s’asciugasse: dopo cinque minuti era là che rivolava tra le compagne, sopra il Tevere, e il Riccetto ormai non la distingueva più dalle altre. *** Genesio allora s’alzò all’impiedi, si stirò un pochetto, come non usava fare mai, e poi gridò: «Conto fino a tre e me butto». Stette fermo, in silenzio, a contare, poi guardò fisso l’acqua con gli occhi che gli ardevano sotto l’onda nera ancora tutta 45     11 ben pettinata; infine si buttò dentro con una panciata. Arrivò nuotando alla svelta fin quasi al centro, proprio nel punto sotto la fabbrica, dove il fiume faceva la cur- va svoltando verso il ponte della Tiburtina. Ma lì la corrente era forte, e spingeva indietro, verso la sponda della fabbrica: nell’andata Genesio era riuscito a passare facile il correntino, ma adesso al ritorno era tutta un’altra cosa. Come nuotava lui, 50     alla cagnolina, gli serviva a stare a galla, non a venire avanti: la corrente, tenendolo sempre nel mezzo, cominciò a spostarlo in giù verso il ponte. che cos’è (in romanesco). Ched’è: 4 un amico del Riccetto. Marcello: 5 faceva dei balzi, dei salti. zompava: 6 all’improvviso. di botto: 7 mi becca (romanesco). Me pùncica: 8 esclamazione in romanesco che qui significa qualcosa come “accidenti a te”. Li mortacci tua: 9 bagnata. fracica: 10 la frangia dei capelli. l’onda nera: 11 «Daje, a Genè», gli gridavano i fratellini da sotto il trampolino, che non capivano perché Genesio non venisse in avanti, «daje che se n’annamo!». 12     Ma lui non riusciva a attraversare quella striscia che filava tutta piena di schiume, 55 di segatura e d’olio bruciato, come una corrente dentro la corrente gialla del fiume. Ci restava nel mezzo, e anziché accostarsi alla riva, veniva trascinato sempre in giù verso il ponte. Borgo Antico e Mariuccio col cane scapitollarono giù dalla gobba del 13 trampolino, e cominciarono a correre svelti, a quattro zampe quando non potevano con due, cadendo e rialzandosi, lungo il fango nero della riva, andando dietro a 60     Genesio che veniva portato sempre più velocemente verso il ponte. Così il Riccetto, mentre stava a fare il dritto con la ragazza che però continuava, confusa come un’ombra, a strofinare le lastre, se li vide passare tutti e tre sotto i piedi, i due piccoli che 14 ruzzolavano gridando tra gli sterpi, spaventati, e Genesio in mezzo al fiume, che non cessava di muovere le braccine svelto svelto nuotando a cane, senza venire avanti 65     di un centimetro. Il Riccetto s’alzò, fece qualche passo ignudo come stava giù verso l’acqua, in mezzo ai pungiglioni e lì si fermò a guardare quello che stava succedendo sotto i suoi occhi. Subito non si capacitò, credeva che scherzassero; ma poi capì e si buttò di corsa giù per la scesa, scivolando, ma nel tempo stesso vedeva che non 15 c’era più niente da fare: gettarsi nel fiume lì sotto il ponte voleva proprio dire esser 70     stanchi della vita, nessuno avrebbe potuto farcela. Si fermò pallido come un morto. Genesio ormai non resisteva più, povero ragazzino, e sbatteva in disordine le braccia, ma sempre senza chiedere aiuto. Ogni tanto affondava sotto il pelo della corrente e poi risortiva un poco più in basso; finalmente quand’era già quasi vicino al ponte, 16 dove la corrente si rompeva e schiumeggiava sugli scogli, andò sotto per l’ultima volta, 75     senza un grido, e si vide solo ancora un poco affiorare la sua testina nera. Il Riccetto, con le mani che gli tremavano, s’infilò in fretta i calzoni, che teneva sotto il braccio, senza più guardare verso la finestrella della fabbrica, e stette ancora un po’ lì fermo, senza sapere che fare. Si sentivano da sotto il ponte Borgo Antico e Mariuccio che urlavano e piangevano, Mariuccio sempre stringendosi contro il 80     petto la canottiera e i calzoncini di Genesio; e già cominciavano a salire aiutandosi con le mani su per la scarpata. «Tajamo, è mejo», disse tra sé il Riccetto che quasi piangeva anche lui, incamminandosi 17 in fretta lungo il sentiero, verso la Tiburtina; andava quasi di corsa, per arrivare sul ponte prima dei due ragazzini. «Io je vojo bene ar Riccetto, sa!», pensava. 85     18 S’arrampicò scivolando, e aggrappandosi ai monconi dei cespugli su per lo scoscendimento coperto di polvere e di sterpi bruciati, fu in cima, e senza guardarsi indietro, imboccò il ponte. dai che ce ne andiamo. daje che se n’annamo: 12 si precipitarono a rotta di collo. scapitollarono: 13 prima di accorgersi del dramma di Genesio, il Riccetto, dopo aver fatto il bagno nel fiume, stava cercando di attirare l’attenzione di una ragazza intenta a lavare i vetri delle finestre di un edificio vicino. mentre stava… le lastre: 14 discesa. scesa: 15 riemergeva. risortiva: 16 è meglio svignarsela. Tajamo, è mejo: 17 io al Riccetto voglio bene! Io je vojo bene ar Riccetto, sa!: 18  >> pagina 1065 Dentro il TESTO I contenuti tematici Nel primo episodio il Riccetto si butta dalla barca, a proprio rischio e pericolo (la corrente del fiume potrebbe portarlo via), per salvare una rondinella finita in acqua. Questo comportamento potrebbe essere ritenuto piuttosto inverosimile da un punto di vista sociologico: la preoccupazione del Riccetto per le sorti della povera rondinella risulta in effetti alquanto improbabile, data la rappresentazione d’insieme del personaggio. Lo psicanalista e saggista Aldo Carotenuto ha offerto però una suggestiva interpretazione dell’episodio: «Tutto ciò che vola e che appartiene all’aria esprime, nella simbologia psicologica, un elemento spirituale, qualcosa che è capace di elevarsi da terra, dalla superficie delle cose. Tuffandosi in acqua e salvando la rondine, Riccetto compie un gesto che lo èleva dalla squallida condizione in cui ordinariamente si trova». Il valore di un gesto Tra il primo e il secondo brano sono passati sei anni. Il Riccetto, che prima aveva quattordici anni, ora ne ha venti: da ragazzo che era, è diventato uomo, ha un lavoro, è inserito nella società. Se nel primo brano egli è pronto a rischiare la vita per aiutare un animaletto, nel secondo, di fronte all’annegamento di Genesio, non è certo indifferente, anzi è addolorato ( , r. 83); probabilmente ha anche preso in considerazione, almeno per un momento, l’ipotesi di buttarsi e di tentare il tutto per tutto al fine di salvare il povero Genesio, ma poi prevalgono l’istinto di autoconservazione, il calcolo, una certa prudenza: (r. 85). Nelle ultime righe del testo, oltre a non aver prestato soccorso, il Riccetto si allontana veloce dal luogo in cui Genesio è affogato. Perché lo fa? Nel corso delle vicende raccontate nel romanzo è stato per un certo tempo in carcere: nella sua situazione – avrà pensato – è sempre meglio non avere a che fare con le forze dell’ordine, neppure in qualità di testimone di una morte accidentale. quasi piangeva anche lui Io je vojo bene ar Riccetto, sa! La “deformazione” del protagonista Quello della morte di ragazzi e giovani uomini è un motivo affrontato da Pasolini sempre all’insegna di una sobria commozione, dai toni quasi elegiaci. Da un punto di vista narratologico, aggiungiamo che se i «ragazzi di vita» sono i protagonisti del romanzo, la morte potrebbe essere vista come la loro vera antagonista. A proposito della ricorrenza ossessiva di questo motivo si potrebbe sottolineare come esso si leghi, per così dire, all’incapacità di Pasolini di seguire i suoi personaggi oltre la soglia dell’età adulta. O, meglio, al suo disinteresse nei confronti del mondo adulto, che gli appare tanto corrotto quanto quello dell’infanzia e dell’adolescenza gli appare puro. In altre parole, facendo morire i suoi giovani personaggi, è come se li salvasse dalla degenerazione a cui, crescendo, sarebbero inevitabilmente destinati. Perché la maturazione equivale alla perdita di caratteristiche positive come la spontaneità e la generosità, sostituite da una più adulta e borghese morale dell’egoismo e dell’autoconservazione. Il significato della morte Le scelte stilistiche Alla rappresentazione della morte si connette spesso in una tonalità patetica, tesa a suscitare commozione nel lettore. Sono queste le parti del romanzo meno apprezzate da alcuni critici, che le hanno giudicate strappalacrime. Se soprattutto nel secondo brano è innegabile che Pasolini calchi il pedale del (per esempio attraverso l’insistito ricorso ai diminutivi, con valore vezzeggiativo, riferiti alla persona di Genesio: , r. 65; , r. 72; , r. 76; , r. 81), tuttavia un simile giudizio negativo è assai discutibile: più che cercare effetti melodrammatici fini a sé stessi, l’autore non fa altro – qui come in tante pagine del libro – che manifestare profonda simpatia e intima adesione nei confronti del mondo e dei personaggi rappresentati. Ragazzi di vita pathos braccine ragazzino testina calzoncini I toni patetici  >> pagina 1066 Quanto all’aspetto specificamente linguistico, bisogna notare come Pasolini incroci e spesso sovrapponga due universi linguistici, che sono anche due universi psicologici e due punti di vista assai diversi e lontani tra loro: quello dell’autore (raffinato, dotato di una notevole cultura e di una spiccata consapevolezza letteraria) e quello dei personaggi (semplici, incolti, che tendono a esprimersi in maniera rozza ed elementare). In tal modo l’italiano si mescola a un dialetto romanesco fatto di espressioni volgari che spesso sfociano nel turpiloquio ( , r. 13; , r. 17; , r. 23; , rr. 31-32). vaffan… A stronzo E che te frega Li mortacci tua Linguaggi e punti di vista Verso le COMPETENZE Comprendere Riassumi i due brani in circa 5 righe ciascuno. 1 Analizzare Individua nei due brani alcune frasi chiaramente legate al punto di vista e al modo di esprimersi dell’autore. 2 Interpretare A tuo parere, perché nel secondo brano è assente il turpiloquio, che invece abbonda nel primo? 3 COMPETENZE LINGUISTICHE  Pasolini sceglie consapevolmente di adottare uno stile ed una lingua che rifletta la realtà sociale che descrive. Per questo, oltre a parole ed espressioni in romanesco, nel brano sono presenti tratti linguistici tipici del parlato colloquiale. Riscrivi le espressioni che seguono in un registro linguistico medio-standard. 4   Continuava a starsene disteso   Senza   ai nuovi venuti dar retta   il Riccetto   su un gomito si rivoltò   disse allora   il Riccetto rizzandosi in piedi   « » E che te frega   Gli altri   e a ridere si misero a gridargli dietro   lo videro  che rimpiccioliva   tentava di  acchiapparla   Produrre  Traccia in un testo espositivo di circa 20 righe due distinti ritratti psicologici del Riccetto nel primo e nel secondo brano, evidenziando soprattutto analogie e differenze tra i due momenti. 5 Scrivere per esporre. Il rifiuto del presente 3 A mano a mano che, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, il trasforma in profondità il tessuto economico e sociale del paese, insieme alle abitudini, agli stili di vita, alla mentalità delle persone, Pasolini si sente sempre più nei confronti di una realtà in cui non si riconosce e che disapprova. Strumento principe attraverso cui sta avvenendo questa trasformazione, che equivale a una , è per Pasolini la , per la sua intrinseca capacità di persuasione occulta. boom economico estraneo manipolazione delle coscienze televisione La condanna della cultura di massa Nel 1964 esce un saggio del semiologo Umberto Eco destinato a diventare celeberrimo. Si intitola Apocalittici e integrati e definisce, in relazione alle «comunicazioni di massa» e Come uno schiavo malato, o una bestia,  vagavo per un mondo che mi era assegnato in sorte, con la lentezza che hanno i mostri  del fango – o della polvere – o della selva – alle «teorie della cultura di massa» (come recita il sottotitolo), i due tipi di atteggiamento che gli intellettuali tendono ad assumere. Gli « integrati » sono coloro che valorizzano gli aspetti positivi della nuova realtà: la democratizzazione della comunicazione, l’accesso alla cultura consentito a gruppi sociali che prima ne erano esclusi, l’abbassamento del costo economico dei prodotti culturali ecc. Gli « apocalittici » sono invece coloro che evidenziano i risvolti negativi di tale situazione: l’omologazione, la persuasione occulta della pubblicità, il conformismo dilagante, l’assenza di pensiero critico ecc. Ebbene, è chiaro che Pasolini sta nettamente con gli «apocalittici». Soprattutto nella fase finale della sua produzione artistica (dalla metà degli anni Sessanta in poi) è fortissima l’insistenza sulla negatività della moderna società dei consumi e degli strumenti di comunicazione attraverso cui essa diffonde la propria perversa ideologia. È un degrado totale dell’intelligenza e dei valori autentici, da cui sembra non esistere via d’uscita: da qui i che caratterizzano le sue ultime opere. toni cupi e disperati La fase «apocalittica»  >> pagina 1067  Mentre constata l’abbrutimento del mondo capitalistico-occidentale, la corruzione che il benessere materiale e la società dei consumi stanno producendo nelle coscienze, la fine dell’autenticità psicologica e culturale della civiltà contadina, Pasolini sente sempre più la necessità di rivolgersi a un “altrove”. Si tratta di un (i paesi extraeuropei, l’Africa e l’Asia) (il passato medievale e classico). «Per l’Italia è finita, ma lo Yemen può essere ancora interamente salvato»: così recita la voce di Pasolini nel commento al documentario (1971). altrove nello spazio e nel tempo Le mura di Sana’a È, in realtà, un unico altrove spazio-temporale: non a caso spesso i film che parlano di quel passato tanto vagheggiato da Pasolini ( , e ) sono girati nel cosiddetto Terzo Mondo, cioè nei paesi in via di sviluppo. È questo un vero e proprio : Pasolini idealizza il passato e l’Oriente, cercandovi ciò che non è più a disposizione in Occidente, per poi dichiarare la propria quando neanche lì trova quello che da noi è venuto a mancare. Perché tutto il mondo si è occidentalizzato (oggi diremmo globalizzato) e perché, a ben guardare, anche le epoche remote conoscevano i drammi della violenza e dell’esclusione. Edipo Re Medea Il fiore delle Mille e una notte mito delusione Nostalgie passatiste e aperture terzomondiste T3 La mancanza di richiesta di poesia Poesia in forma di rosa Questo testo, tratto dalla raccolta   (1964), è un documento della crisi che colpisce Pasolini nell’ultima fase del suo lavoro, quando gli sembra che la sua arte sia ormai inutile e incapace di incidere in un contesto storico-sociale profondamente lontano da quello in cui si era formato e aveva cominciato a muovere i primi passi come poe­ta e come scrittore. Poesia in forma di rosa Versi liberi. Metro Il   dell’ dramma esclusione Come uno schiavo malato, o una bestia, vagavo per un mondo che mi era assegnato in sorte, con la lentezza che hanno i mostri del fango – o della polvere – o della selva – strisciando sulla pancia – o su pinne 5      vane per la terraferma – o ali fatte di membrane… C’erano intorno argini, o massicciate, o forse stazioni abbandonate in fondo a città di morti – con le strade e i sottopassaggi della notte alta, quando si sentono soltanto 10     treni spaventosamente lontani, e sciacquii di scoli, nel gelo definitivo, nell’ombra che non ha domani. Così, mentre mi erigevo come un verme, molle, ripugnante nella sua ingenuità, 15     qualcosa passò nella mia anima – come se in un giorno sereno si rabbuiasse il sole; sopra il dolore della bestia affannata, si collocò un altro dolore, più meschino e buio, e il mondo dei sogni si incrinò. 20     «Nessuno ti richiede più poesia!» E: «È passato il tuo tempo di poeta…». «Gli anni cinquanta sono finiti nel mondo!» «Tu con le Ceneri di Gramsci ingiallisci, e tutto ciò che fu vita ti duole 25     come una ferita che si riapre e dà la morte!» dunque come qualcosa di inutile, che non serve a nulla. Come… malato: 1 nel quale mi trovavo a vivere mio malgrado, senza averlo scelto. che mi era… in sorte: 2 in tutta questa descrizione di un notturno urbano ci sono molti elementi riconducibili alla poetica di Charles Baudelaire (1821-1867), nel senso di una sottolineatura dell’ansia e del disgusto che l’ambiente cittadino riesce a trasmettere. C’erano intorno… non ha domani: 7-13 il poeta confessa che credeva ancora, ingenuamente, di essere in grado di offrire un contributo alla società e che questa fosse in grado di apprezzarlo. nella sua ingenuità: 15 al dolore personale, fatto del disagio di trovarsi in un mondo che sente non appartenergli più, si aggiunge un dolore più profondo, di tipo civile, legato alla percezione della propria incapacità di incidere sul reale. sopra il dolore della bestia affannata, si collocò un altro dolore: 18-19 la voce interiore fa notare al poeta la sua obsolescenza, come quella della sua raccolta poetica del 1957 ( ), nella quale traspariva ancora la fiducia in un possibile cambiamento della società. Tu… ingiallisci: 24 Le ceneri di Gramsci  >> pagina 1068  Analisi ATTIVA I contenuti tematici Il poeta descrive sé stesso come confinato a una condizione di inutilità e di estraneità rispetto a un mondo in cui aveva un tempo creduto di poter operare attivamente; eppure anche nelle ore della notte (allusione a un buio dell’intelligenza per lui difficile da decifrare), sebbene la città sia una / (vv. 8-9: i consumatori perfettamente integrati nella società di massa ai quali è stata tolta la coscienza?) e il dello spirito appaia (v. 12), egli cerca di muoversi, di risalire faticosamente la china di un presente agli occhi del quale appare come un mostro ( , v. 3), di ergersi ancora sopra le brutture da cui si sente circondato ( , v. 14). A complicare tale situazione e a esacerbare il suo stato d’animo si affaccia, a partire dal v. 16, una drammatica intuizione: il disagio che l’autore prova è determinato dal fatto che il suo tempo è ormai trascorso ed egli è come postumo a sé stesso. Nessuno è più interessato a quanto egli ha da dire come poeta, gli anni Cinquanta sono finiti e lui è destinato a ingiallire insieme con la sua opera. città di morti gelo definitivo con la lentezza che hanno i mostri mi erigevo come un verme  Con quali espressioni si autodescrive il poeta? Che tipo di connotazione hanno? 1  A che cosa viene paragonata l’improvvisa presa di coscienza? perché, secondo te? 2 La tragica percezione di un’incolmabile distanza  >> pagina 1069  Per comprendere in profondità i significati del componimento, bisogna guardare alle vicende storico-sociali degli anni in cui è stato scritto. Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio del decennio successivo l’Italia cambia a ritmi vorticosi: il boom economico, il benessere materiale, la televisione, nuovi miti e nuovi riti (tutti laici). Se nel (poesia compresa nelle , ma scritta nel 1952-1953) del popolo scriveva «non l’abbaglia / la modernità», nel (l’ultima poesia della raccolta , 1961) Pasolini annota, commentando i grandi cambiamenti in atto e la propria lontananza spirituale da quanto vede intorno a sé: «Il mondo mi sfugge, ancora, non so dominarlo / più, mi sfugge, ah, un’altra volta è un altro… // Altre mode, altri idoli, / la massa, non il popolo, la massa / decisa a farsi corrompere / al mondo ora si affaccia, / e lo trasforma, a ogni schermo, a ogni video / si abbevera, orda pura che irrompe / con pura avidità, informe / desiderio di partecipare alla festa. / E s’assesta là dove il Nuovo Capitale vuole. / Muta il senso delle parole: / chi finora ha parlato, con speranza, resta / indietro, invecchiato». Il «popolo» è diventato una «massa» con cui non c’è più alcuna possibilità di dialogo. Canto popolare Ceneri di Gramsci Glicine La religione del mio tempo  Come viene descritto il mondo in cui il poeta si muove? 3  Quale significato puoi attribuire all’espressione   (vv. 8-9)? 4 città di morti Il contesto storico e la visione pasoliniana Le scelte stilistiche Sono, quelli qui antologizzati, versi estremamente drammatici, tra il grido e la rassegnazione, espressi da Pasolini in uno stile fortemente prosaico, come se – di fronte all’urgenza dei temi trattati – la poesia non potesse più indulgere a rivestirsi di abbellimenti stilistici e retorici, come faceva ancora certo estetismo novecentesco, intimistico e parareligioso: ciò implica anche una presa di posizione politico-ideologica contro la borghesia prima fascista e poi democristiana che, secondo il severo giudizio pasoliniano, era stata l’ambiente e la base culturale di quelle tendenze letterarie. Anche il lessico qui è molto spoglio e quotidiano. Soltanto alcuni vocaboli sembrano accendere il componimento in senso espressionistico. Ci riferiamo alle immagini sgradevoli che connotano la sensazione di irrimediabile diversità che il poeta percepisce in sé stesso in relazione al mondo che lo circonda: (v. 1), (v. 1), (v. 3), / (vv. 14-15), (v. 18). Lo stato di prostrazione psicologica in cui egli versa si estrinseca dunque attraverso la forza delle metafore. schiavo malato bestia mostri verme, molle, ripugnante bestia affannata  Individua nel testo tutti i termini che hanno connotazione negativa. 5  Pasolini lamenta qui l’inutilità della poesia nella società contemporanea, distratta e incapace di comprenderla. Il motivo della crisi di identità del poeta inizia però già con il Decadentismo. Ripensando agli autori che hai incontrato nello studio della letteratura nel corso di questo anno scolastico, sintetizza le diverse posizioni di quanti nei loro testi hanno affrontato questo tema. Scrivi quindi un testo di circa 40 righe. 6 Scrivere per esporre.  Secondo Pasolini la poesia può contribuire ad un miglioramento della società: sei d’accordo con lui? perché? Confrontati con i compagni. 7 Dibattito in classe. Prosaicità ed espressionismo