LETTURE critiche La felicità di un mondo anarchico e senza istituzioni di Carlo Sgorlon Nelle opere della Morante la civiltà, così come siamo soliti concepirla, con le sue leggi, le sue strutture burocratiche, le sue istituzioni, sembra quasi assente, evaporata a contatto con la natura e i suoi abitanti. La dimensione storica è soverchiata da quella fantastica: persino le vicende più chiaramente collegabili a un determinato contesto storico alludono a una dimensione altra, assoluta, estranea a ogni effimera contingenza. Su questo aspetto ragiona lo scrittore friulano Carlo Sgorlon (1930-2009), che qui evidenzia la dimensione mitica in cui sono calate le storie narrate dalla Morante. La Morante sente tanto poco la storia che non ha calato le sue vicende in un tempo storicamente definito, ma le ha collocate dentro cornici atemporali, appena vagamente riconoscibili. In esse le strutture storiche e le istituzioni non contano nulla; ciò che conta sono i sentimenti eterni dell’uomo, proiettati su uno sfondo mitico e remoto. Quando un personaggio esce dall’illusione e dal mito per entrare nella storia, come accade al protagonista del , alla fine del libro, egli cessa immediatamente di essere interessante per la scrittrice. L’isola di Arturo La astoricità della Morante è determinata anche e soprattutto dal suo anarchismo, dal rifiuto, o incapacità di accettazione, di quel complesso di istituzioni politiche, sociali, religiose, militari, burocratiche, familiari, ideologiche che formano la società civile. Chi simboleggia in qualche modo questo aspetto della scrittrice è Rimbaud. Ella sente che tutte le istituzioni sono mortificanti e che «il potere degli uni sugli altri viventi [...] è la cosa più squallida, miserabile e vergognosa della terra» (dalla presentazione de . Torino, Einaudi, 1968). Il mondo salvato dai ragazzini Il rifiuto delle istituzioni e della storia è evidente in tutta la sua opera: nei primi libri le nega col silenzio, rappresentando un mondo in cui esse sembrano non esistere; nell’ultimo, come vedremo, l’anarchismo è diventato più esplicito, anzi arrabbiato, ed ella vi appare come disancorata cantastorie di una contestazione radicale. Ma le espressioni più fresche di quel suo sentimento sono da cercare nelle pagine in cui rappresenta personaggi che vivono educandosi da sé, a contatto con una natura selvatica come loro, incontaminata e misteriosa: come Arturo nella sua isola. In questi casi il personaggio – simbolo della fantasia morantiana – è Achille, e la scrittrice, attraverso le sue figure coglie gli aspetti freschi e intatti della realtà, per ciò stesso mitica, fanciullesca, preistorica. Anche la predilezione della Morante per scrittori quali Stendhal, Saba e Penna, e per i loro adolescenti personaggi passionali, o incantati e trasognati, è la spia di questo lato della sua personalità- Ma l’anarchia è solo un mito e anche la Morante, ovviamente, lo sa. Solo Robinson può essere veramente anarchico nella sua isola deserta, e la sua libertà è già finita quando incontra Venerdì. Poiché vivere soli è impossibile, fatalmente i personaggi della Morante, anche quelli che hanno vocazione all’anarchia, diventano tiranni o servi, o l’una e l’altra cosa nello stesso tempo, a seconda della persona con cui vengono a contatto. Anarchismo, astoricità e gusto della fiaba concorrono tutti e tre, in pari misura, a far sì che la Morante descriva in un mondo stranamente feudale, dove esistono soltanto schiavi e dominatori o, nel migliore dei casi, servi fedeli e splendidi signori. La struttura storica che più evidentemente fa notare la sua assenza nell’universo della Morante, anche e soprattutto come forma mentale, è la democrazia. La libido feudale dei suoi personaggi si scatena senza freni: troviamo individui tirannici e capricciosi come dei, e servi devastati da una masochistica volontà di annientamento di fronte ad essi. Buona parte di consiste in una complessa rete di signorie e schiavitù, di idolatrie amorose e feudali soggezioni. Menzogna e sortilegio Misura, buon senso, equilibrio sembrano assenti. I personaggi odiano o amano appassionatamente, fino ai limiti della morbosità. Dal primo istante di ogni rapporto umano scatta in loro un meccanismo viscerale che determina le scelte fondamentali, esasperate sino alla più vertiginosa tirannia, o all’idolatria più irritante. Se questa è la struttura psicologica degli uomini (e, forse, della stessa scrittrice) è chiaro che la Morante non può ritenere che le istituzioni storiche possano servire a modificarla, a reprimerne anche soltanto le più vistose manifestazioni. Forse la democrazia non ha posto nel mondo della scrittrice anche perché essa non si addice alla favola. Quest’ultima non può essere ambientata che in un mondo antico e lontano, e la democrazia è una forma troppo moderna per essa. I personaggi della favola sono re, regine, principi, duchi, feudatari, sultani, vizir, margravi, servi fedeli, non presidenti di repubbliche, giudici di tribunale o sindaci di città. Perciò nella fiaba non esistono giustizia e diritti, ma solo concessioni, generosità e arbitri del signore. Nelle favole i rapporti tra gli uomini sono regolati da strutture essenzialmente feudali. Le parole «feudo», «feudale» e simili sono tra le più frequenti e significative del linguaggio morantiano. La scrittrice è interessata, come si è detto, soltanto da ciò che può essere trasfigurato dalla sua fantasia: ed è quanto accade, appunto, per ciò che è regale, signorile, araldico, aristocratico. Per questi motivi la narrativa della Morante non poteva che essere assai lontana da ogni legame con il suo tempo. Carlo Sgorlon, , Mursia, Milano 1972 Invito alla lettura di Elsa Morante Comprendere il pensiero critico Da dove deriva la astoricità della Morante? Quale autore, secondo Sgorlon, simboleggia questo atteggiamento? 1 In che modo il gusto per la favola incide sulla poetica morantiana? 2