T5 Il vizio del fumo e le «ultime sigarette» Cap. 3 Il fumo è una specie di sintomo “riassuntivo” della malattia di Zeno, che invano tenta di rinunciare a questo vizio. Esso rappresenta la sua tendenza a restare sempre al di qua delle decisioni, ad appagarsi del piacere derivante dai buoni propositi senza mai passare alla fase concreta del dovere. Il vero male che lo attanaglia non è dunque tanto la sigaretta in sé, ma la nevrosi causata dal proposito di smettere e dall’incapacità di farlo.  e  Mistificazione autoinganno Il dottore al quale ne parlai mi disse d’iniziare il mio lavoro con un’analisi storica della mia propensione al fumo: «Scriva! Scriva! Vedrà come arriverà a vedersi intero». Credo che del fumo posso scrivere qui al mio tavolo senz’andar a sognare su quella poltrona. Non so come cominciare e invoco l’assistenza delle sigarette tutte 5       tanto somiglianti a quella che ho in mano. Oggi scopro subito qualche cosa che più non ricordavo. Le prime sigarette ch’io fumai non esistono più in commercio. Intorno al ’70 se ne avevano in Austria di quelle che venivano vendute in scatoline di cartone munite del marchio dell’aquila bicipite. Ecco: attorno a una di quelle scatole s’aggruppano subito varie persone 10     1 2 con qualche loro tratto, sufficiente per suggerirmene il nome, non bastevole però 3 a commovermi per l’impensato incontro. Tento di ottenere di più e vado alla 4 poltrona: le persone sbiadiscono e al loro posto si mettono dei buffoni che mi deridono. Ritorno sconfortato al tavolo. Una delle figure, dalla voce un po’ roca, era Giuseppe, un giovinetto della stessa  15     mia età, e l’altra, mio fratello, di un anno di me più giovine e morto tanti anni or sono. Pare che Giuseppe ricevesse molto denaro dal padre suo e ci regalasse di quelle sigarette. Ma sono certo che ne offriva di più a mio fratello che a me. Donde la necessità in cui mi trovai di procurarmene da me delle altre. Così avvenne che rubai. D’estate mio padre abbandonava su una sedia nel tinello il suo panciotto 20     nel cui taschino si trovavano sempre degli spiccioli: mi procuravo i dieci soldi occorrenti  per acquistare la preziosa scatoletta e fumavo una dopo l’altra le dieci sigarette  che conteneva, per non conservare a lungo il compromettente frutto del furto. Tutto ciò giaceva nella mia coscienza a portata di mano. Risorge solo ora perché  non sapevo prima che potesse avere importanza. Ecco che ho registrata l’origine  25     della sozza abitudine e (chissà?) forse ne sono già guarito. Perciò, per provare, 5 accendo un’ultima sigaretta e forse la getterò via subito, disgustato. Poi ricordo che un giorno mio padre mi sorprese col suo panciotto in mano. Io, con una sfacciataggine che ora non avrei e che ancora adesso mi disgusta (chissà  che tale disgusto non abbia una grande importanza nella mia cura) gli dissi che 30     m’era venuta la curiosità di contarne i bottoni. Mio padre rise delle mie disposizioni  alla matematica o alla sartoria e non s’avvide che avevo le dita nel taschino del suo panciotto. A mio onore posso dire che bastò quel riso rivolto alla mia innocenza  quand’essa non esisteva più, per impedirmi per sempre di rubare. Cioè… rubai ancora, ma senza saperlo. Mio padre lasciava per la casa dei sigari virginia 35     6 fumati a mezzo, in bilico su tavoli e armadi. Io credevo fosse il suo modo di gettarli  via e credevo anche di sapere che la nostra vecchia fantesca, Catina, li buttasse 7 via. Andavo a fumarli di nascosto. Già all’atto d’impadronirmene venivo pervaso da un brivido di ribrezzo sapendo quale malessere m’avrebbero procurato. Poi li fumavo finché la mia fronte non si fosse coperta di sudori freddi e il mio stomaco 40     si contorcesse. Non si dirà che nella mia infanzia io mancassi di energia.  un’aquila a due teste ( ) era sullo stemma degli Asburgo, la dinastia che regnò sull’Impero austro-ungarico fino al 1918.  aquila bicipite: 1 bicipite  la narrazione procede attraverso il meccanismo della libera associazione mentale, per cui al ricordo della scatola di sigarette si aggiunge quello di un gruppo di persone.  Ecco… s’aggruppano: 2  caratteristica.  tratto: 3  Zeno ostenta qui distacco e indifferenza emotiva di fronte al ricordo di queste figure del passato.  non bastevole però… incontro: 4  sporca, sudicia.  sozza: 5  così chiamati perché fatti di tabacco originario dello stato americano della Virginia.  sigari virginia: 6  domestica (vocabolo letterario).  fantesca: 7 So perfettamente come mio padre mi guarì anche di quest’abitudine. Un giorno  d’estate ero ritornato a casa da un’escursione scolastica, stanco e bagnato di sudore. Mia madre m’aveva aiutato a spogliarmi e, avvoltomi in un accappatoio, m’aveva messo a dormire su un sofà sul quale essa stessa sedette occupata a certo 45     lavoro di cucito. Ero prossimo al sonno, ma avevo gli occhi tuttavia pieni di sole 8 e tardavo a perdere i sensi. La dolcezza che in quell’età s’accompagna al riposo 9 dopo una grande stanchezza, m’è evidente come un’immagine a sé, tanto evidente come se fossi adesso là accanto a quel caro corpo che più non esiste. 10 Ricordo la stanza fresca e grande ove noi bambini si giuocava e che ora, in 50     questi tempi avari di spazio, è divisa in due parti. In quella scena mio fratello non appare, ciò che mi sorprende perché penso ch’egli pur deve aver preso parte a quell’escursione e avrebbe dovuto poi partecipare al riposo. Che abbia dormito anche lui all’altro capo del grande sofà? Io guardo quel posto, ma mi sembra vuoto.  Non vedo che me, la dolcezza del riposo, mia madre, eppoi mio padre di cui 55     sento echeggiare le parole. Egli era entrato e non m’aveva subito visto perché ad alta voce chiamò: «Maria!». La mamma con un gesto accompagnato da un lieve suono labbiale accennò a 11 me, ch’essa credeva immerso nel sonno su cui invece nuotavo in piena coscienza. Mi 60     piaceva tanto che il babbo dovesse imporsi un riguardo per me, che non mi mossi. Mio padre con voce bassa si lamentò: «Io credo di diventar matto. Sono quasi sicuro di aver lasciato mezz’ora fa su quell’armadio un mezzo sigaro ed ora non lo trovo più. Sto peggio del solito. Le cose mi sfuggono». 65     Pure a voce bassa, ma che tradiva un’ilarità trattenuta solo dalla paura di destarmi,  12 mia madre rispose: «Eppure nessuno dopo il pranzo è stato in quella stanza». Mio padre mormorò: «È perché lo so anch’io, che mi pare di diventar matto!». 70     Si volse ed uscì. Io apersi a mezzo gli occhi e guardai mia madre. Essa s’era rimessa al suo lavoro,  ma continuava a sorridere. Certo non pensava che mio padre stesse per ammattire  per sorridere così delle sue paure. Quel sorriso mi rimase tanto impresso che lo ricordai subito ritrovandolo un giorno sulle labbra di mia moglie. 75     13 Non fu poi la mancanza di denaro che mi rendesse difficile di soddisfare il mio vizio, ma le proibizioni valsero ad eccitarlo.  ancora.  tuttavia: 8  addormentarmi.  perdere i sensi: 9  è un’espressione poetica e patetica per indicare la madre ormai morta.  quel… esiste: 10  emesso a fior di labbra, sottovoce.  labbiale: 11  allegria, senso di divertimento.  ilarità: 12  mi tornò subito alla mente.  lo ricordai subito: 13 Ricordo di aver fumato molto, celato in tutti i luoghi possibili. Perché seguito da un forte disgusto fisico, ricordo un soggiorno prolungato per una mezz’ora in una cantina oscura insieme a due altri fanciulli di cui non ritrovo nella memoria 80     altro che la puerilità del vestito: due paia di calzoncini che stanno in piedi perché 14 dentro c’è stato un corpo che il tempo eliminò. Avevamo molte sigarette e volevamo  vedere chi ne sapesse bruciare di più nel breve tempo. Io vinsi, ed eroicamente celai il malessere che mi derivò dallo strano esercizio. Poi uscimmo al sole e all’aria.  Dovetti chiudere gli occhi per non cadere stordito. Mi rimisi e mi vantai della 85     vittoria. Uno dei due piccoli omini mi disse allora: «A me non importa di aver perduto perché io non fumo che quanto m’occorre». Ricordo la parola sana e non la faccina certamente sana anch’essa che a me doveva essere rivolta in quel momento. Ma allora io non sapevo se amavo o odiavo la sigaretta e il suo sapore e lo stato 90     in cui la nicotina mi metteva. Quando seppi di odiare tutto ciò fu peggio. E lo seppi a vent’anni circa. Allora soffersi per qualche settimana di un violento male di gola accompagnato  da febbre. Il dottore prescrisse il letto e l’assoluta astensione dal fumo. Ricordo questa parola ! Mi ferì e la febbre la colorì. Un vuoto grande e niente assoluta per resistere all’enorme pressione che subito si produce attorno ad un vuoto. 95     Quando il dottore mi lasciò, mio padre (mia madre era morta da molti anni) con tanto di sigaro in bocca restò ancora per qualche tempo a farmi compagnia. Andandosene, dopo di aver passata dolcemente la sua mano sulla mia fronte scottante,  mi disse: «Non fumare, veh!». 100  Mi colse un’inquietudine enorme. Pensai: «Giacché mi fa male non fumerò mai più, ma prima voglio farlo per l’ultima volta». Accesi una sigaretta e mi sentii subito liberato dall’inquietudine ad onta che la febbre forse aumentasse e che ad 15 ogni tirata sentissi alle tonsille un bruciore come se fossero state toccate da un tizzone  ardente. Finii tutta la sigaretta con l’accuratezza con cui si compie un voto. 105  16 E, sempre soffrendo orribilmente, ne fumai molte altre durante la malattia. Mio padre andava e veniva col suo sigaro in bocca dicendomi: «Bravo! Ancora qualche giorno di astensione dal fumo e sei guarito!». Bastava questa frase per farmi desiderare ch’egli se ne andasse presto, presto, per permettermi di correre alla mia sigaretta. Fingevo anche di dormire per indurlo 110  ad allontanarsi prima. Quella malattia mi procurò il secondo dei miei disturbi: lo sforzo di liberarmi dal primo. Le mie giornate finirono coll’essere piene di sigarette e di propositi di non fumare più e, per dire subito tutto, di tempo in tempo sono ancora tali. La ridda   17 delle ultime sigarette, formatasi a vent’anni, si muove tuttavia. Meno violento 115  18 è il proposito e la mia debolezza trova nel mio vecchio animo maggior indulgenza. Da vecchi si sorride della vita e di ogni suo contenuto. Posso anzi dire, che da qualche  tempo io fumo molte sigarette… che non sono le ultime. Sul frontispizio di un vocabolario trovo questa mia registrazione fatta con bella scrittura e qualche ornato: 120  «Oggi, 2 Febbraio 1886, passo dagli studii di legge a quelli di chimica. Ultima sigaretta!!».  foggia infantile.  puerilità: 14  malgrado.  ad onta che: 15  qui “un rito”.  un voto: 16  moto disordinato, continuo susseguirsi.  ridda: 17  tuttora.  tuttavia: 18 Era un’ultima sigaretta molto importante. Ricordo tutte le speranze che l’accompagnarono.  19 M’ero arrabbiato col diritto canonico che mi pareva tanto lontano  20 dalla vita e correvo alla scienza ch’è la vita stessa benché ridotta in un matraccio.   125  21 Quell’ultima sigaretta significava proprio il desiderio di attività (anche manuale) e di sereno pensiero sobrio e sodo. 22 Per sfuggire alla catena delle combinazioni del carbonio cui non credevo ritornai  23 alla legge. Pur troppo! Fu un errore e fu anch’esso registrato da un’ultima 24 sigaretta di cui trovo la data registrata su di un libro. Fu importante anche questa e 130  mi rassegnavo di ritornare a quelle complicazioni del mio, del tuo e del suo coi 25 migliori propositi, sciogliendo finalmente le catene del carbonio. M’ero dimostrato  poco idoneo alla chimica anche per la mia deficienza di abilità manuale. Come avrei potuto averla quando continuavo a fumare come un turco? 26 Adesso che son qui, ad analizzarmi, sono colto da un dubbio: che io forse 135  abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacità? Chissà se cessando di fumare io sarei divenuto l’uomo ideale e forte che m’aspettavo? Forse fu tale dubbio che mi legò al mio vizio perché è un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente. Io avanzo 27 tale ipotesi per spiegare la mia debolezza giovanile, ma senza una decisa convinzione.  140  Adesso che sono vecchio e che nessuno esige qualche cosa da me, passo tuttavia da sigaretta a proposito, e da proposito a sigaretta. Che cosa significano 28 oggi quei propositi? Come quell’igienista vecchio, descritto dal Goldoni, vorrei 29 morire sano dopo di esser vissuto malato tutta la vita? Una volta, allorché da studente cambiai di alloggio, dovetti far tappezzare a 145  mie spese le pareti della stanza perché le avevo coperte di date. Probabilmente lasciai quella stanza proprio perché essa era divenuta il cimitero dei miei buoni propositi e non credevo più possibile di formarne in quel luogo degli altri. Penso che la sigaretta abbia un gusto più intenso quand’è l’ultima. Anche le altre  hanno un loro gusto speciale, ma meno intenso. L’ultima acquista il suo sapore 150  dal sentimento della vittoria su sé stesso e la speranza di un prossimo futuro di forza e di salute. Le altre hanno la loro importanza perché accendendole si protesta la propria libertà e il futuro di forza e di salute permane, ma va un po’ più lontano. Le date sulle pareti della mia stanza erano impresse coi colori più varii ed anche  ad olio. Il proponimento, rifatto con la fede più ingenua, trovava adeguata 155  espressione nella forza del colore che doveva far impallidire quello dedicato al proponimento anteriore. Certe date erano da me preferite per la concordanza delle cifre. Del secolo passato ricordo una data che mi parve dovesse sigillare per sempre la bara in cui volevo mettere il mio vizio: «Nono giorno del nono mese del 1899». Significativa nevvero? Il secolo nuovo m’apportò delle date ben altrimenti musicali:  160  «Primo giorno del primo mese del 1901». Ancor oggi mi pare che se quella data potesse ripetersi, io saprei iniziare una nuova vita. nell’uso dell’articolo indeterminativo si coglie tutta l’autoironia di Zeno, come se dicesse non l’ultima, ma una delle tante sigarette che si era proposto di fumare come ultime, pur sapendo in partenza che non sarebbe stato così. un’ultima sigaretta: 19 il diritto ecclesiastico, anche se qui simboleggia in genere gli studi di Giurisprudenza. diritto canonico: 20 vaso di vetro, di forma sferica, che si usa nei laboratori chimici. La metafora dice che la scienza è sì la vita stessa, ma ridotta in forme schematiche e astratte. matraccio: 21 lineare e concreto. sobrio e sodo: 22 elemento fondamentale nella chimica organica. carbonio: 23 agli studi di Giurisprudenza. alla legge: 24 i complicati concetti del diritto, che regolano i rapporti tra gli individui e le loro proprietà. complicazioni… del suo: 25 visto che. quando: 26 nascosta, inespressa. latente: 27 continuamente. tuttavia: 28 igienista è una persona che osserva scrupolosamente e maniacalmente tutte le norme dell’igiene personale e ambientale. Quello ricordato da Goldoni è il patrizio veneziano Alvise Correr (1482-1566), che l’autore menziona nelle sue (II, cap. 30). quell’igienista… dal Goldoni: 29 Memorie Ma nel calendario non mancano le date e con un po’ d’immaginazione ognuna di esse potrebbe adattarsi ad un buon proponimento. Ricordo, perché mi parve contenesse un imperativo supremamente categorico, la seguente: «Terzo giorno 165  30 del sesto mese del 1912 ore 24». Suona come se ogni cifra raddoppiasse la posta. 31 L’anno 1913 mi diede un momento d’esitazione. Mancava il tredicesimo mese per accordarlo con l’anno. Ma non si creda che occorrano tanti accordi in una data per dare rilievo ad un’ultima sigaretta. Molte date che trovo notate su libri o quadri preferiti, spiccano per la loro deformità. Per esempio il terzo giorno del secondo 170  32 mese del 1905 ore sei! Ha un suo ritmo quando ci si pensa, perché ogni singola cifra nega la precedente. Molti avvenimenti, anzi tutti, dalla morte di Pio IX alla 33 nascita di mio figlio, mi parvero degni di essere festeggiati dal solito ferreo proposito.  Tutti in famiglia si stupiscono della mia memoria per gli anniversarii lieti e tristi nostri e mi credono tanto buono! 175  Per diminuirne l’apparenza balorda tentai di dare un contenuto filosofico alla malattia dell’ultima sigaretta. Si dice con un bellissimo atteggiamento: «mai più!». Ma dove va l’atteggiamento se si tiene la promessa? L’atteggiamento non è possibile  34 di averlo che quando si deve rinnovare il proposito. Eppoi il tempo, per me, non è quella cosa impensabile che non s’arresta mai. Da me, solo da me, ritorna. 180  un ordine con cui la ragione piega la volontà, nella terminologia del filosofo tedesco Immanuel Kant (1724-1804). un imperativo supremamente categorico: 30 il valore della scommessa che Zeno avrebbe smesso di fumare. la posta: 31 qui “irregolarità”, “asimmetria”. deformità: 32 papa dal 1846 al 1878 (Giovanni Maria Mastai Ferretti). Pio IX: 33 si mantiene. si tiene: 34  >> pagina 170 Analisi ATTIVA I contenuti tematici Un tratto che connota il carattere di Zeno è senza dubbio la sua debolezza psicologica, che si esprime nella mancanza di volontà. È sintomatica in tal senso la sua incapacità di smettere di fumare. Paradossalmente il vizio si radica ancora di più in lui nel momento in cui il fumo gli viene espressamente vietato dal medico, in concomitanza con una seria infiammazione delle vie respiratorie. Come accadeva già al protagonista in età infantile, la proibizione eccita il gusto della trasgressione, in base a una dinamica psicologica piuttosto facile da decodificare: il desiderio di smettere di fumare accresce il piacere mediante l’emozione suscitata dall’infrazione del divieto, sempre disatteso e continuamente riproposto, come in un circolo vizioso di false promesse puntualmente eluse. Il fumo, inoltre, diventa quasi un alibi per non impegnarsi seriamente in un concreto programma di vita (un preciso percorso di studi e una professione determinata). Soltanto ora, al momento della scrittura del diario, Zeno ne prende finalmente coscienza: (rr. 135-137). Non a caso, al vizio sono associati vocaboli negativi quali (rr. 30 e 79), (r. 26), (r. 136): eppure ciò non spinge il protagonista a un cambiamento delle proprie abitudini, bensì soltanto a una autoironica indulgenza verso sé stesso e i suoi limiti irrimediabili. Il senso di colpa provato per le proprie inadeguatezze non sfocia insomma in atti concreti capaci di sfidare le pulsioni dell’inconscio: l’unica risorsa a disposizione di Zeno – e ciò che lo distingue dagli altri personaggi sveviani – è la consapevolezza della propria inettitudine e dell’impossibilità di vincerla. che io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacità? disgusto sozza abitudine colpa  Quali trasgressioni compie il giovane Zeno per riuscire a fumare? 1  Perché l’“ultima sigaretta” è così speciale? 2  Perché le date sono tanto importanti per Zeno? 3 La malattia  della volontà  >> pagina 171  Soffermiamoci sulla scena di raccolta intimità domestica in cui si colloca il ricordo di Zeno bambino. Il padre crede di ammattire, non sapendo raccapezzarsi di fronte alla continua sparizione dei suoi sigari. La moglie sorride dinanzi alle sue paure e questo sorriso della madre rimane impresso in Zeno, che se ne ricorderà da adulto. Il protagonista scrive infatti a un certo punto, in una breve prolessi: (rr. 74-75). Quel sorriso mi rimase tanto impresso che lo ricordai subito ritrovandolo un giorno sulle labbra di mia moglie Si può dire che in tutto il romanzo le figure femminili – qui la madre e la moglie di Zeno – rappresentano un costante richiamo alla concretezza della vita, verso la quale esprimono un atteggiamento diverso rispetto a quello, spesso nevrotico, delle loro controparti maschili: la donna ha la capacità di rasserenare l’uomo, di ricondurlo alla tranquillità interiore, di farlo uscire dal gorgo dei pensieri fissi e ossessivi.  In che modo la madre di Zeno si era occupata di lui al rientro da un’escursione scolastica? 4  Quale termine ricorrente descrive lo stato d’animo con cui il protagonista rievoca l’episodio? 5 La presenza rasserenante della figura femminile Le scelte stilistiche Il romanzo del Novecento si caratterizza per una nuova concezione del tempo, che qui troviamo bene espressa nelle ultime due frasi del brano. Scrive Zeno nel suo diario: (rr. 179-180). Il tempo, in altre parole, non ha un andamento lineare e univoco, e non è vero che il suo flusso non possa arrestarsi. Esso, al contrario, può essere fissato nella memoria attraverso i ricordi personali e in tal modo “ritornare” al soggetto. C’è infatti un tempo “esterno”, misurabile in anni, mesi e giorni, e un tempo “interno”, la cui estensione si valuta in base alla maggiore o minore intensità con cui gli eventi sono percepiti dal soggetto. il tempo, per me, non è quella cosa impensabile che non s’arresta mai. Da me, solo da me, ritorna Zeno afferma che questa possibilità di un “ritorno” del tempo è un suo speciale privilegio ( , r. 180), ma va detto che in realtà essa è condivisa da molti personaggi dei romanzi contemporanei, per i quali il passato e il presente convivono in quello che viene chiamato “tempo misto”. Nella (e nel brano che abbiamo qui presentato) tale tempo misto si esprime nel continuo intersecarsi tra i diversi piani temporali della narrazione mediante le libere associazioni che si sviluppano  solo da me Coscienza di Zeno alogicamente e in modo ellittico nella mente e nella “coscienza” del protagonista (che infatti sceglie un particolare qualsiasi per iniziare la stesura del memoriale:   Non so come cominciare , r. 5). Attraverso questo rinnovamento del tempo narrativo, sembra disgregarsi la trama tradizionale con il suo ordine cronologico. Il tempo non viene più inteso, come avveniva nel romanzo realista e naturalista, come un fenomeno oggettivo, ma è filtrato dalla percezione che ne hanno i personaggi.  Quando Zeno rievoca l’episodio della gara di sigarette, descrivendo i suoi compagni scrive:   (rr. 81-82). Che cosa significa questa frase? Come spieghi l’alternanza di tempi verbali? 6 due paia di calzoncini che stanno in piedi perché dentro c’è stato un corpo che il tempo eliminò  Che differenza c’è tra i propositi del giovane Zeno e quelli di Zeno anziano? 7  La malattia di Zeno rimanda a un insieme di acquisizioni scientifiche e filosofiche proprie della sua epoca. Svolgi una ricerca sullo stato della medicina agli inizi del XX secolo e raccogli i risultati in un testo espositivo di circa 30 righe. 8 Scrivere per esporre. La nuova concezione del tempo Juan Gris, , 1913. Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza. Il fumatore  >> pagina 172  intrecci   letteratura Alessandro Mezzena Lona  La morte danza in salita Svevo investigatore alle prese con una morte sospetta Un recente romanzo,  La morte danza in salita  (2014), scritto da un concittadino di Svevo, il triestino Alessandro Mezzena Lona (n. 1958), pone al centro della narrazione Ettore Schmitz nei panni di un investigatore. La morte di Ottavio Bottecchia è uno dei misteri irrisolti delle cronache italiane degli anni Venti. Campione di ciclismo, per due volte vincitore del Tour de France, Bottecchia muore in Friuli, sulla strada che porta a Peo­nis, il 3 giugno 1927. Viene trovato a terra con il volto coperto di sangue, poco lontano dalla sua bicicletta. All’ipotesi più banale, quella di una caduta accidentale, se ne sovrappongono altre: Bottecchia è stato vittima della violenza di un marito geloso; oppure è stato ucciso da qualche anarchico o socialista dopo che, per quieto vivere, aveva preso la tessera del Partito fascista; o ancora, al contrario, potrebbe essere stato un gruppo di squadristi, che voleva fargli pagare certe incaute dichiarazioni di indifferenza politica. Fin qui la realtà storica. Ma il narratore immagina che a indagare sul caso sia appunto Svevo, che si trova a Peonis per una vacanza terapeutica, volta, tra l’altro, a disintossicarlo dal vizio del fumo. A Svevo la verità ufficiale non quadra, ed eccolo allora interrogarsi sulle diverse incongruenze della vicenda, fino a scoprire una verità che, un anno dopo, gli costerà la vita in un incidente d’auto, il quale forse, anche nel suo caso, non sarà un vero incidente. “ Al momento di frenare, l’autista si era accorto che la vettura non rispondeva più ai comandi. Impossibile, a quel punto, non andare a sbattere. […] Lui, il signor Ettore, con un femore fratturato, si era spento all’ospedale poche ore più tardi. “Crisi cardiaca”, sentenziò il dottor Mali, che era accorso da Trieste a Motta di Livenza indossando la sua migliore faccia da funerale. “Troppe sigarette, non si curava della propria salute”. Prima di chiudere gli occhi, Italo Svevo aveva detto alla figlia: “Non piangere Letizia, non è niente morire”. Sulle labbra gli era rimasto un sorriso. L’ultimo. Era stato più facile morire che scrivere. ”