Il primo Novecento La lingua Italiano lingua della borghesia Come abbiamo visto nel volume precedente, i decenni successivi all unificazione politica mettono in moto il processo di quella linguistica. Alcuni fattori determinano condizioni favorevoli per la diffusione dell italiano presso strati più ampi della popolazione e in contesti locali o culturali rimasti per secoli dominio esclusivo dei dialetti. Lo sviluppo della rete ferroviaria, la costituzione dell esercito con la leva obbligatoria e di una burocrazia nazionale, l introduzione dell obbligo scolastico, la crescita dell industria e delle realtà urbane, le prime forme di mobilitazione politica delle masse consentono una maggiore integrazione tra persone di diversa provenienza: la conseguenza è che i dialetti escono dal loro isolamento per entrare in contatto con le parlate più cittadine, finendo così per modificarsi e acquistare una coloritura più vicina all italiano. Fondamentale si rivela, in tal senso, il pur doloroso fenomeno dell emigrazione interna che, a partire dalla fine dell Ottocento, interessa la penisola battendo due strade diverse: quella che dalla campagna conduce alla città e quella che porta dal Mezzogiorno al Nord. Gli effetti linguistici del processo migratorio sono vasti e duraturi. In un altra realtà rispetto a quella da cui provengono, gli emigranti devono misurarsi con la necessità di capire e farsi capire dagli autoctoni: come scrive lo studioso Pietro Trifone, «ciascuno deve faticosamente rinunciare alle peculiarità più marcate del proprio dialetto e tesaurizzare ai fini relazionali gli elementi comuni con i dialetti degli altri . Possiamo dunque dire che nei primi anni del Novecento in Italia vivano uomini e donne italofoni , parlanti cioè la lingua italiana? Naturalmente no: l aspirazione di Manzoni di assistere in poco tempo a una compiuta omogeneizzazione linguistica è infatti, all alba del nuovo secolo, tutt altro che realizzata. D altra parte, il desiderio di integrarsi all interno di un orizzonte nazionale coinvolge soprattutto le classi medio-alte: a esse, per esempio, si rivolge la variegata schiera di letterati impiegati nel sistema dell editoria e pronti ad assecondare le aspettative di un pubblico nuovo, fatto di studenti (si pensi ai romanzi per i ragazzi o a giornali come Il Corriere dei Piccoli ) e di donne, oltre che di borghesi di buona cultura (tra la fine dell Ottocento e l inizio del Novecento si registra una straordinaria fioritura di quotidiani e periodici di varia natura). Analfabetismo e scolarizzazione Grazie all impegno dello Stato, il livello di scolarizzazione del paese aumenta sensibilmente, ma ancora nel 1911 la percentuale degli analfabeti tocca il 40%, mentre in Germania non supera l 1% e in Francia oscilla intorno al 10-15%. Nonostante gli sforzi per allargarne la base, infatti, la scuola rimane un istituzione non per tutti e l istruzione continua a essere percepita alla stregua di «un bisogno voluttuario , come testimonia un inchiesta ministeriale promossa nel 1910. La maggior parte della popolazione frequenta al massimo i primi due o tre anni delle elementari, utili a favorire l accostamento alla lettura e ai rudimenti della scrittura, ma a niente di più. Ciò spiega perché più dell 80% degli italiani continua a esprimersi in dialetto, come ben documentano le lettere inviate dai soldati di ogni parte d Italia ai propri parenti, che attestano un passo avanti compiuto nell alfabetizzazione ma non una marcata familiarità con la lingua nazionale. La politica linguistica del fascismo Negli anni tra le due guerre la politica linguistica del regime fascista mira a favorire la crescente alfabetizzazione dei ceti popolari riducendo sensibilmente lo spazio dei dialetti. L inquadramento degli studenti e dei giovani nelle organizzazioni di partito, la partecipazione alle competizioni sportive, i riti collettivi e le occasioni pubbliche create ai fini del consenso, la politica assistenziale e ricreativa a favore dei meno abbienti (si pensi alle 48