La vita Carlo Emilio Gadda è il figlio primogenito di Francesco Ippolito, un industriale tessile attento al buon nome della casa (il fratello era stato ministro dei Lavori pubblici) ma poco capace negli affari, e Adele Lehr, insegnante di origini ungheresi. Nato a nel , trascorre nella città lombarda «un’infanzia tormentata e un’adolescenza anche più dolorosa», a causa delle condizioni economiche della famiglia, rese precarie dai pessimi investimenti del padre, rovinatosi con la coltivazione del baco da seta in un momento di crisi della sericoltura italiana dovuto alla concorrenza giapponese. Milano 1893 Ad aggravare la situazione concorre inoltre la costruzione di una casa di campagna in Brianza, presso Longone al Segrino, che la madre non vorrà mai vendere nonostante le difficoltà, accresciutesi in seguito alla morte del marito avvenuta nel 1909. Carlo Emilio sconta le conseguenze di queste ristrettezze, poiché vorrebbe approfondire gli studi letterari, ma la madre glielo impedisce, imponendogli di iscriversi alla del Politecnico di Milano, che a suo giudizio offre maggiori opportunità di lavoro. facoltà di Ingegneria I “disastri” paterni e l’autorità materna Allo scoppio della Prima guerra mondiale, Gadda si arruola volontario negli alpini, con l’intento dichiarato di dare un senso alla sua vita. Tuttavia si rivela subito durissima: «vita fangosa», «squallore spirituale», «paralisi della volontà e del desiderio», una realtà insomma molto lontana dalla visione idealizzata con cui era partito per il fronte. Partecipa in prima linea alla disastrosa battaglia di Caporetto e nell’ottobre del 1917 viene fatto prigioniero e trasferito in Germania. l’esperienza della guerra Rientrato a casa nel 1919, apprende della morte dell’amato fratello Enrico, precipitato con il suo velivolo durante uno scontro aereo. È un altro trauma, che si aggiunge ai sacrifici patiti fino ad allora e che lo getta in uno stato di , da cui non si riprenderà mai del tutto: . depressione profonda «Orrore nelle ore di sera e di notte, nel sole, e sempre. Nessuna sosta al dolore. Nessuna emozione per l’Italia e le cose. Nessun sogno per il futuro» La guerra e la morte del fratello: l’inizio del «male oscuro» Il ritorno alla vita normale non si rivela dunque semplice; ciononostante, Gadda riesce a riprendere gli studi interrotti e a laurearsi in Ingegneria elettrotecnica nel 1920, oltre a intraprendere . Per gli impegni legati alla sua professione, viaggia molto, studi filosofici sia in Italia sia all’estero. L’esperienza più lunga e significativa è rappresentata dal periodo vissuto in Argentina, dal 1922 al 1924, nel corso della quale Gadda matura il convincimento che la carriera da ingegnere non faccia per lui, e cerca in tutti i modi di liberarsi dalla «schiavitù» di un lavoro che considera arido e impersonale. Al rientro in Italia si dedica perciò agli studi di filosofia e decide di tentare l’avventura letteraria, impiegandosi contemporaneamente come al liceo classico Parini di Milano, dove lui stesso aveva studiato. Le necessità economiche lo costringono però a proseguire la professione di , che svolgerà . docente di matematica e fisica ingegnere fino al 1931 Trasferitosi nel 1925 a Roma, dove lavora anche per conto del Vaticano, Gadda assiste con crescente disgusto alle cerimonie e ai riti del fascismo trionfante, a cui pure aveva inizialmente aderito. Sono anni fondamentali per l’ispirazione dello scrittore: a questo periodo risalgono infatti la stesura della e della e la pubblicazione delle prime raccolte di racconti. Meditazione milanese Meccanica La vita da ingegnere: gli anni del fascismo Nell’aprile del Adele, un evento traumatico che lo lascia «in un grande dolore e in una disperata solitudine». Nel 1937 Gadda vende la villa in Brianza ma, nonostante la volontà di liberarsi del passato, non riesce ad affrancarsi dalla disperazione. Si alimenta anzi in lui il : . Queste sensazioni saranno il tema portante del romanzo , pubblicato a puntate sulla rivista “Letteratura” fra il 1938 e il 1941. 1936 muore la madre senso di colpa verso la madre «La nevrosi che ho dominato (come ho potuto) per anni e anni è nuovamente esplosa: il ricordo di mia madre è diventato una ossessione. Tutti i nodi vengono al pettine, e, orribile fra tutti, il rimorso» La cognizione del dolore Abbandonata la professione di ingegnere per dedicarsi totalmente alla letteratura, Gadda si trasferisce nel a , dove infittisce la sua attività editoriale, pubblicando la prima versione del romanzo , uscito in cinque puntate sulla rivista “Letteratura” (1946). 1940 Firenze Quer pasticciaccio brutto de via Merulana La morte della madre e la Seconda guerra mondiale Nel Gadda , assunto alla Rai: qui lavora come giornalista fino al 1955, quando si licenzia per potersi dedicare interamente alla stesura definitiva del , che esce in volume nel 1957 riscuotendo un grande successo di critica e di pubblico. 1950 torna a Roma Pasticciaccio Ormai famoso, ma stanco e infastidito dalla notorietà, lo scrittore si chiude in uno scontroso e angosciato , occupandosi della riedizione di romanzi e scritti pubblicati in precedenza. Muore a nel , a ottant’anni. isolamento Roma 1973 Gli ultimi anni: dal successo al volontario esilio romano Gadda in divisa (a destra) con il fratello Enrico nella primavera del 1917. il CARATTERE Un signore educato ma umorale Riservato fino alla misantropia, ma al tempo stesso ricco di humour e sarcastica giovialità, Gadda è noto in tutte le sue eccentriche stravaganze grazie agli aneddoti e ai ricordi lasciati dai suoi amici. Umorale e nevrotico La qualità del suo carattere che più risalta è l’umoralità che lo faceva repentinamente passare da violentissimi attacchi d’ira a stati di depressione e infelicità profonda. A questi stati d’animo alternava però momenti di ilarità altrettanto intensi, che lo rendevano una compagnia ricercata e apprezzata dalle persone che ebbero modo di frequentarlo. Un curioso e “antico” signore Altri aspetti del suo carattere che contrastavano con quelli più cupi e sofferti erano da un lato la sua irrefrenabile curiosità, essendo egli interessato ai fatti altrui (era un lettore quasi morboso di cronaca); dall’altro un comportamento sociale basato su una leggendaria «oltranza di buoneducazione» (termine usato dai suoi amici fiorentini), un esempio di «urbanità» d’altri tempi, come scrisse il suo amico e critico Gianfranco Contini. Si comportava, quasi, da signore borghese dell’Ottocento, vestito in modo impeccabile e «poco meno che austero», rispettoso della conversazione altrui, prodigo di complimenti e di «saluti ai cari» o di «ossequi alla Signora», come immancabilmente chiudeva le sue lettere ad amici e conoscenti. CRONACHE dal PASSATO L’ingegnere e lo scrittore Una professione ideale… per la madre Lo scrittore Goffredo Parise (1929-1986) definì Gadda «l’ingegnere aneddotico». La vita timida, riservata e molto privata dell’autore dispensa, infatti, quasi paradossalmente, una serie infinita di situazioni, episodi, nomi, tipi e personaggi. Disinteressato - almeno a parole - alla politica, alla sociologia, alla religione, egli riversava nella battuta pungente il proprio temperamento da «inchiostratore maligno e pettegolo» (come si autodefiniva), finendo poi, per vendetta o per divertimento, al centro di storie, dicerie e narrazioni vere o false. «Ingegnere, non scrittore!» L’aneddoto più noto ed emblematico che riguarda la vita di Gadda è senza dubbio quello raccontato dal giornalista e critico Giancarlo Vigorelli che, recatosi un giorno a casa sua per un’intervista e avendone incontrato la madre, le chiese se fosse in casa lo scrittore Gadda. La madre rispose che forse stava cercando l’ingegnere Gadda e, all’insistenza del visitatore, che ne ribadì la qualifica di scrittore, gli si avventò contro prendendolo per la cravatta e gridando: «Ah, lei è uno di quelli che montano la testa a mio figlio…». L’invadenza della figura materna In questo episodio emerge, in maniera tragicomica, un tratto che contraddistingue la biografia e alcune tematiche narrative dello scrittore lombardo: la carenza affettiva e la durezza della madre, che pretende dal figlio una carriera e una vita diverse da quelle a cui lui aspira. Come lo stesso Gadda rivelò in un’intervista, uno dei peggiori momenti della sua vita era stato provocato dalla madre: era colpa sua se al liceo aveva studiato la matematica e non il greco; egli voleva diventare filosofo, mica ingegnere! Le opere I romanzi La suddivisione e la catalogazione dell’opera gaddiana risultano per molti versi convenzioni editoriali e critiche, in quanto il continuo riutilizzo fatto dall’autore di interi brani o capitoli fa sì che le stesse pagine compaiano sia in romanzi sia in raccolte di racconti o all’interno di scritti di altro genere. Sebbene si tratti di opere mai pienamente compiute, comunque . è tra i romanzi che si trovano le creazioni più originali di Gadda La meccanica La dell’opera risale agli anni compresi . Alcuni brani escono prima sulla rivista “Solaria”, quindi vengono inseriti nella raccolta di racconti , ma il romanzo esce solo nel , con l’aggiunta di tre capitoli, solo abbozzati. stesura tra il 1924 e il 1929 Novelle dal Ducato in Fiamme in volume 1970 La trama si incentra sul triangolo amoroso tra la popolana Zoraide, suo marito Luigi e l’amante Franco. Le vite dei due uomini si incrociano al fronte, durante la Grande guerra, quando Franco salva Luigi, malato di tisi, dal fuoco dell’artiglieria nemica. Questi, durante una licenza per far visita alla moglie, la scopre in compagnia dell’amante. Sconvolto, l’uomo muore, e poco dopo il suo funerale Franco viene insignito della medaglia d’argento al valor militare. Il pretesto narrativo dell’adulterio, tipico di molti romanzi e drammi borghesi, serve a Gadda per descrivere la società milanese di quel tempo, concentrandosi sul contrasto tra due classi sociali: il proletariato , rappresentato dal falegname socialista Luigi, e l’ alta borghesia , rappresentata da Franco e della quale l’autore denuncia l’ipocrisia e l’angusta mentalità. Pur con una lingua semplice, non ancora “espressionista”, Gadda impiega qui una molteplicità di registri stilistici , tra inserti dialettali e squarci lirici. Popolo e borghesia La cognizione del dolore Il romanzo, la cui prima composizione risale alla fine degli anni Trenta (subito dopo la morte della madre), esce in sulla rivista “Letteratura” . È però solo dopo una vera e propria avventura editoriale, durata più di trent’anni, che esso trova la forma che conosciamo e leggiamo oggi: il è infatti la data dell’u prima edizione tra il 1938 e il 1941 1963 scita in volume , ma solo nel 1970 Gadda aggiunge gli ultimi due capitoli , che tuttavia non presentano un finale compiuto. Il titolo già dichiara il senso e la sostanza del romanzo. Il termine «cognizione», infatti, non indica un dato acquisito per via teorica o una conoscenza appresa una volta per tutte, ma piuttosto un , un percorso conoscitivo interiore doloroso e amaro, che può avvenire anche attraverso le esperienze di vita più strazianti. processo T2-T3 >> pagina 920 mamma (dietro la quale non è difficile scorgere la figura reale della madre dell’autore) ( di Gadda, con le sue stesse manie e fobie) Il testo è diviso in due parti. La prima, a sua volta ripartita in quattro capitoli o «tratti», si concentra su una sorta di introduzione sociale, geografica e antropologica del contesto in cui si dipana la linea narrativa, un contesto rappresentato da un immaginario stato latinoamericano, il Maradagàl , che richiama la Lombardia e, ancor di più, la Brianza degli anni Trenta. La seconda parte, suddivisa in cinque «tratti», è incentrata sulla figura della che vive, insieme al figlio, l’ingegnere quarantenne Don Gonzalo Pirobutirro d’Eltino alter ego , nella villa di Lukones, il luogo irreale che corrisponde però alla località di Longone, dove la famiglia Gadda trascorreva le vacanze. La struttura Profondamente , la vortice di ire e di nevrosi, di depressioni e di inquietudini incomunicabili. Il romanzo racconta infatti lo scontro quotidiano tra l’anziana donna, insensatamente prodiga di aiuti ed elemosine per la folla di questuanti che ogni giorno l’assedia, e il figlio, insofferente di questa generosità esagerata, del degrado, non solo economico, della vita familiare, dell’opportunismo di quanti frequentano una casa sempre più povera, spacciandosi per servitori fedeli. autobiografico C ognizione rappresenta un angoscioso ritratto familiare, drammaticamente travolto da un L’azione inizia con la descrizione del Maradagàl e della villa di Lukones, proseguendo con la rassegna delle guardie del «Nistitúo provincial de vigilancia para la noche» (“Istituto provinciale di vigilanza notturna”, in spagnolo), che allude neanche troppo velatamente all’autoritarismo oppressivo del regime fascista: a questa fosca organizzazione è affidato il compito di garantire protezione armata agli abitanti. Unico a non volersi servire della sorveglianza di questi , Don Gonzalo è guardato con sospetto dall’umanità che lo circonda, una volgare accozzaglia di arricchiti, arrampicatori sociali e sciocchi contadini, che lo fa oggetto di chiacchiere e insinuazioni a causa del suo carattere delirante e misantropo, facile agli attacchi d’ira e a sfoghi violentissimi. Proprio intorno alla villa si susseguono da tempo furti notturni: una notte, mentre Gonzalo è fuori per lavoro, vengono avvertiti rumori inquietanti provenire dalla sua proprietà. Quando i vicini entrano in casa, trovano sul letto il corpo della madre, moribonda in seguito dell’aggressione da parte di uno sconosciuto. vigilantes I nuclei narrativi Villa Longone, in Brianza, residenza di campagna della famiglia Gadda. >> pagina 921 Chi ha colpito a morte la donna? Una guardia del Nistitúo? Uno dei falsi collaboratori di cui essa si circondava, oppure lo stesso Gonzalo? Il romanzo si interrompe qui, chiudendosi : una qualunque soluzione non spiegherebbe la natura più profonda dei fatti, che prescinde da singole responsabilità e dipende invece, secondo Gadda, dalla complessità dei rapporti umani. L’unica certezza sono il e il che attanagliano il protagonista e lo obbligano ad analizzare i più inconfessabili desideri e stati d’animo che dominano la sua esistenza, ma anche quella del prossimo. La conoscenza di sé lo porta a cercare le radici delle proprie nevrosi e dell’odio per una società ottusa e crudele, senza tuttavia riuscire a comprendere i propri rancori (soprattutto quelli riversati sulla madre), a sintonizzarsi con il mondo che lo circonda e a dare una spiegazione razionale al « », a quel misterioso disagio interiore, cioè, che si traduce per lui in un’insopprimibile . senza risposta rimorso senso di colpa male oscuro angoscia esistenziale La nevrosi come unica certezza , L’abilità stilistica di Gadda trova nella Cognizione una delle sue vette più elevate: pur nella sostanza drammatica del romanzo, l’autore non rinuncia a un registro comico deformante e parodico , con punte ferocemente grottesche (come quando descrive la dilagante stupidità della classe borghese o allude alla violenza del potere fascista), bilanciata sapientemente da squarci di altissimo e tragico lirismo , soprattutto nelle parti dedicate alla figura materna e al ricordo del fratello del protagonista, caduto in guerra. Lo stile Quer pasticciaccio brutto de via Merulana Al capolavoro di Gadda, pubblicato in rivista nel 1946 e in volume nel 1957, è dedicata la seconda parte dell’Unità ( ). ▶ p. 940 T4-T6 Racconto italiano di ignoto del Novecento Scritto tra il 1924 e il 1925 e pubblicato postumo nel 1983, è un romanzo incompiuto: delle tre «sinfonie», ovvero parti, previste dallo scrittore, solo la prima assume un aspetto definito. Il racconto degli intrecci amorosi tra alcune coppie di giovani serve all’autore per descrivere l’Italia che sta per scivolare nella dittatura: un paese in crisi, lacerato dagli scontri tra socialisti e fascisti. I racconti e gli scritti vari La tormentosa incapacità di portare a compimento opere di ampio respiro ha fatto sì che la gran parte degli scritti di Gadda sia costituita da brevi prose e racconti, a cui si aggiungono diari, saggi e altri scritti, difficilmente classificabili. Presentiamo le prove più significative, in ordine di pubblicazione. La Madonna dei filosofi Il volume, pubblicato nel 1931, comprende 4 racconti veri e propri e 8 frammenti descrittivi (chiamati dall’autore «studi imperfetti»). Già in quest’opera, che segna l’esordio letterario ufficiale di Gadda, si riconosce la sua tendenza a soffermarsi sui particolari della realtà più che a costruire intrecci narrativi coerenti e organici. Il castello di Udine Edita nel 1934, questa seconda raccolta presenta 16 prose, tra racconti e frammenti autobiografici, divise in tre parti. Gadda rievoca i giorni di guerra e i viaggi in qualità di ingegnere, concentrando l’attenzione su vicende ambientate a Roma. >> pagina 922 L’Adalgisa Si tratta di 10 racconti usciti in rivista tra il 1938 e il 1943, poi raccolti nel 1944. Il sottotitolo «Disegni milanesi» già introduce il contenuto: con l’eccezione di due prose che confluiranno nella , sono affreschi sulla città natale dell’autore, soprattutto ritratti spietatamente satirici di personaggi della media e alta borghesia. Con ogni probabilità i racconti dovevano comporre un romanzo, in quanto ben sei di essi presentano tratti omogenei e, in alcuni casi, gli stessi personaggi, a partire da Adalgisa, popolana che ha coronato il sogno di diventare una “signora” sposando un ricco ragioniere. Cognizione del dolore Un ritratto pungente della borghesia lombarda Giornale di guerra e di prigionia Pubblicato prima nel 1955 e poi nel 1965, è un diario scritto da Gadda con costanza durante la Prima guerra mondiale, nel tentativo di ricomporre la razionalità e l’ordine in un mondo interiore sconvolto dal caos e dalla distruzione. È una testimonianza di grande importanza sia sul piano letterario sia su quello storico, che descrive l’incapacità, l’irresponsabilità e il cinismo dei comandi militari italiani durante il conflitto. Accoppiamenti giudiziosi Questa raccolta, edita nel 1963, comprende 19 racconti, di cui 14 già pubblicati nel 1953 sotto il titolo (riferimento all’Italia negli anni della Seconda guerra mondiale). Novelle dal Ducato in Fiamme T1 Tra questi ne segnaliamo in particolare due. Nel primo, intitolato , Gadda descrive le attenzioni “pedagogiche” che una famiglia conservatrice della Milano degli anni Venti rivolge al giovane rampollo, il quale però è più interessato a una bella cameriera che non alle dissertazioni di etica e filosofia. L’insofferenza dell’autore verso il perbenismo borghese trova qui una forma di grande efficacia. San Giorgio in casa Brocchi Un’altra prosa, scritta nei primi anni Trenta, è ( T1, ), racconto significativo soprattutto per l’aspetto stilistico: Gadda introduce qui per la prima volta in modo sistematico il suo tipico , ricco di dialetti, di voci, di neologismi onomatopeici, allestendo una struttura accumulatoria dal notevole effetto comico. L’incendio di via Keplero ▶ p. 924 stile espressionistico Due racconti-capolavoro Eros e Priapo (Da furore a cenere) Scritto tra il 1944 e il 1945 e pubblicato nel 1967, dopo una lunga opera di revisione, è un testo difficile da classificare: libello? satira? saggio psicanalitico? Sicuramente è l’ultima opera di rilievo a cui Gadda rimette mano. Con questo scritto egli fa i conti – dal punto di vista storico e personale – con Mussolini e con il fascismo, un’ideologia alla quale inizialmente aveva aderito e che verso la fine degli anni Trenta era stata da lui avversata in modo rabbioso e iconoclasta. Il libro offre un’analisi del rapporto squallidamente «erotico» (l’aggettivo è dell’autore) che si instaura tra la figura del duce e il popolo italiano , cioè tra la maschera vitalistica di un potere spietato e al tempo stesso da operetta e una società appiattita e resa passiva dalla propaganda martellante e dall’indottrinamento culturale. L’invettiva costituisce una prova magistrale di invenzione linguistica, assemblando un lessico insieme classicheggiante e scurrile , ricco di giochi verbali, inserti dialettali dal romanesco al lombardo, neologismi e tecnicismi. Contenuto e tratti stilistici >> pagina 923 La vita Le opere Nasce a Milano • 1893 Muore il padre • 1909 Si arruola volontario nella Prima guerra mondiale • 1915 A Caporetto è fatto prigioniero e trasferito in Germania • 1917 Torna in Italia e apprende della morte in guerra del fratello Enrico • 1919 Si laurea in Ingegneria • 1920 Lavora come ingegnere in Argentina • 1922-1924 1924-1929 (pubblicata in volume nel 1970) La meccanica Si trasferisce a Roma • 1925 Abbandona definitivamente la professione di ingegnere • 1931 La Madonna dei filosofi 1934 Il castello di Udine Muore la madre • 1936 1938-1941 (pubblicato in volume nel 1963) La cognizione del dolore 1938-1943 (pubblicata in volume nel 1944) L’Adalgisa Si trasferisce a Firenze • 1940 1944-1945 (pubblicato nel 1967) Eros e Priapo 1946 (pubblicato in volume nel 1957) Quer pasticciaccio brutto de via Merulana Si sposta a Roma con un impiego alla Rai • 1950 1955 Giornale di guerra e di prigionia Muore a Roma • 1973 I grandi temi Lo stile espressionistico 1 Quando ci si accosta a Gadda per la prima volta, ciò che colpisce è una certa difficoltà di lettura, sostanzialmente a causa di due fattori di ordine stilistico. , la della frase , con soggetto, predicato e complemento collocati in posizioni diverse da quelle consuete, e con la frequente presenza di incisi, digressioni, commenti. , la scrittura offre un’impressionante varietà di elementi linguistici: di diverse discipline (ingegneria, filosofia, matematica, medicina ecc.), e vocaboli presi dai diversi repertori letterari del passato, inserti in , citazioni latine e greche, e . Dal punto di vista sintattico costruzione è spesso stravolta Dal punto di vista lessicale tecnicismi arcaismi lingua straniera lemmi dialettali neologismi Il linguistico pastiche La lingua di Gadda mescola aulico e comico, alternando momenti lirici a espressioni sconce e oscene: per tale contaminazione essa si inserisce all’interno della , che annovera autori come Folengo e Rabelais, e in quella più ampia linea espressionistica che si fa risalire fino a Dante. Attraverso questo filtro linguistico Gadda intende rappresentare la realtà in modo deformato, osservandola da e spesso contraddittori, perché la complessità del mondo si può rendere solo con pari complessità di stili e registri. Egli stesso, parlando in terza persona, scrive che la sua scrittura è la riproduzione del ridondante disordine della realtà: «Barocco è il mondo, e il Gadda ne ha percepito e ritratto la baroccaggine». tradizione maccheronica punti di vista molteplici Una lingua barocca per una realtà barocca >> pagina 924 La forma più efficace per esprimere il caos e la molteplicità del reale è – agli occhi dello scrittore lombardo – quella dell’elenco. Egli procede infatti per accumulazione, . Questo impulso alla catalogazione può talvolta risultare eccessivo e forzato, ma Gadda non intende rinunciare mai all’obiettivo di cogliere “enciclopedicamente” la totalità degli aspetti, convinto che la comprensione delle cose possa avvenire solo all’interno di una sintesi ideale di tutto il sapere. La sua scrittura tende in tal modo a procedere dall’enumerazione all’onnicomprensività o, per usare i termini del critico Gian Carlo Roscioni, dal (enumerare i singoli elementi uno per uno) all’ (abbracciare tutte le cose con lo sguardo): la smania di registrare e inventariare i segni, anche minimi, del mondo significa impossessarsene linguisticamente, accatastando tutte le possibili forme nelle quali esso si manifesta. In questo contesto, assume un significato profondo , a tutto ciò che a una prima lettura appare come secondario e poco rilevante. giustapponendo nomi, aggettivi, verbi singula enumerare omnia circumspicere la propensione ai dettagli, alle digressioni, alle note Al contrario, l’attenzione ossessiva per il particolare significa per Gadda cercare di , di contatti, di somiglianze, nella convinzione che un qualsiasi fatto non sia conoscibile nella sua interezza se non dopo averlo scomposto negli elementi che lo costituiscono e averlo messo in rapporto con altri fatti, altri contesti, altre realtà. sbrogliare un groviglio di relazioni Enumerazione e onnicomprensività T1 L’incendio di via Keplero Accoppiamenti giudiziosi Uscito per la prima volta nel 1940 sulla rivista “Il Tesoretto”, ma scritto tra il 1930 e il 1935, questo racconto – di cui riportiamo una parte – offre il primo esempio, dal punto di vista cronologico, della straordinaria creatività linguistica gaddiana. La di un evento descrizione espressionistica Se ne raccontavano di cotte e di crude sul fuoco del numero 14. Ma la verità è che neppur Sua Eccellenza Filippo Tommaso Marinetti avrebbe potuto simultanare 1 quel che accadde, in tre minuti, dentro la ululante topaia, come subito invece gli riuscì fatto al fuoco: che ne disprigionò fuori a un tratto tutte le donne che ci abitavano seminude nel ferragosto e la lor prole globale, fuor dal tanfo e dallo spavento 5 2 repentino della casa, poi diversi maschi, poi alcune signore povere e al dir d’ognuno alquanto malandate in gamba, che apparvero ossute e bianche e spettinate, 3 in sottane bianche di pizzo, anzi che nere e composte come al solito verso la chiesa, poi alcuni signori un po’ rattoppati pure loro, poi Anacarsi Rotunno, il poeta italoamericano, poi la domestica del garibaldino agonizzante del quinto piano, 10 poi l’Achille con la bambina e il pappagallo, poi il Balossi in mutande con in braccio la Carpioni, anzi mi sbaglio, la Maldifassi, che pareva che il diavolo fosse dietro a spennarla, da tanto che la strillava anche lei. Poi, finalmente, fra persistenti urla, angosce, lacrime, bambini, gridi e strazianti richiami e atterraggi di fortuna e fagotti di roba buttati a salvazione giù dalle finestre, quando già si sentivano arrivare 15 4 i pompieri a tutta carriera e due autocarri si vuotavano già d’un tre dozzine di 5 guardie municipali in tenuta bianca, ed era in arrivo anche l’autolettiga della Croce Verde, allora, infine, dalle due finestre a destra del terzo, e poco dopo del quarto, il fuoco non poté a meno di liberare anche le sue proprie spaventose faville, tanto attese!, e lingue, a tratti subitanei, serpigne e rosse, celerissime nel manifestarsi 20 6 7 e svanire, con tortiglioni neri di fumo, questo però pecioso e crasso come d’un 8 arrosto infernale, e libidinoso solo di morularsi a globi e riglobi o intrefolarsi 9 10 11 come un pitone nero su di se stesso, uscito dal profondo e dal sottoterra tra sinistri barbagli; e farfalloni ardenti, così parvero, forse carta o più probabilmente stoffa 12 o pegamoide bruciata, che andarono a svolazzare per tutto il cielo insudiciato da 25 13 quel fumo, nel nuovo terrore delle scarmigliate, alcune a piè nudi nella polvere 14 della strada incompiuta, altre in ciabatte senza badare alla piscia e alle polpette di 15 cavallo, fra gli stridi e i pianti dei loro mille nati. Sentivano già la testa, e i capegli, vanamente ondulati, avvampare in un’orrida, vivente face. 16 17 neologismo che allude al concetto di “simultaneità”, caro ai canoni estetici e formali dell’arte letteraria e pittorica dei Futuristi, di cui viene chiamato in causa il fondatore, Filippo Tommaso Marinetti, che ha il titolo di Eccellenza, in quanto da poco nominato da Mussolini Accademico d’Italia (1929). simultanare: 1 l’insieme numeroso dei figli. prole globale: 2 nelle gambe. in gamba: 3 per salvarli. a salvazione: 4 a gran velocità. a tutta carriera: 5 improvvisi. subitanei: 6 simili a serpi. serpigne: 7 termini rari e letterari che rimandano alla pece e alla densità del fumo. pecioso e crasso: 8 desideroso. libidinoso: 9 moltiplicarsi. Come spiega lo stesso Gadda in un racconto del , “morulazione” è termine tecnico della biogenesi che sta a indicare «il processo de’ consecutivi sdoppiamenti d’una cellula fecondata […]. I nùvoli d’incenso o di fumo vengono a morularsi in quanto un globo ne dà due, i due ne dàn quattro, ecc. ecc.» (Imagine di Calvi). morularsi: 10 Castello di Udine avvolgersi. intrefolarsi: 11 bagliori che incutono timore e paura. sinistri barbagli: 12 prodotto simile al cuoio. pegamoide: 13 l’aggettivo sostantivato designa le donne, ritratte non di rado da Gadda in riferimento ai loro capelli. scarmigliate: 14 escrementi. polpette: 15 il capriccio dell’acconciatura è vanificato dalle fiamme. vanamente ondulati: 16 termine aulico per “torcia”, “fiaccola”. face: 17 Urlarono le sirene dalle ciminiere o dagli stabilimenti vicini verso il cielo torrefatto: 30 18 e la trama criptosimbolica delle cose elettriche perfezionò gli appelli disperati dell’angoscia. Dalle stazioni lontane, spalancatesi, le batterie delle autopompe 19 20 fuoruscirono in corsa, impulsi pronti e celeri a sovvenire a ogni sùbito male delle fiamme, nel mentre l’ultimo pompiere del quinto drappello, spiccato 21 un salto, gli riuscì d’abbrancare con la sinistra l’ultimo ferro del reggiscala dell’autoscala 35 di coda già in voltata fuori dal portone, e viceversa con la destra si finiva ancora d’abbottonare la bottoniera della giacca di servizio. La sonnolenza impomatata dei guidatori d’automobili che falciano via con il 22 parafango i ginocchi de’ claudicanti vecchi alle svolte e, svaccati dentro macchina, 23 ma saette pazze di fuori, stracciano via i cantoni ai più garibaldofrusti marciapiedi 40 24 25 della metropoli, ecco sonerie elettriche premonitrici li bloccarono improvvisamente ai cantoni, poi, subito, l’avvento delle trasvolanti sirene. Inchiodati i tram, i cavalli trattenuti al morso dal cavallaro, disceso di serpa: i cavalli col carro 26 contro il culo, l’occhio, all’angolo, imbiancato da un ignoto motivo di terrore. […] così denso di fumo da sembrare abbrustolito. torrefatto: 18 probabile ironica perifrasi tecnica per indicare il telefono, in grado di comunicare in modo più efficace la richiesta d’aiuto ai vigili del fuoco. trama… angoscia: 19 le squadre. le batterie: 20 intervenire a ogni danno improvviso ( ) provocato dal fuoco. sovvenire… fiamme: 21 sùbito imbrillantinata; in Gadda ricorre spesso la descrizione dei capelli maschili acconciati con la brillantina. impomatata: 22 nelle curve. Le macchine vanno così veloci che nell’affrontare le curve rischiano di investire i passanti. alle svolte: 23 gli automobilisti sono seduti in modo scomposto e rilassato nelle auto, ma corrono come fulmini. svaccati dentro macchina, ma saette pazze di fuori: 24 rompono gli angoli (dei marciapiedi). Deriva dal milanese , epiteto che viene riferito ad «autisti trasandati o maldestri» ( ). I marciapiedi sono così vecchi ( ) che sembrano risalire ai tempi di Garibaldi. stracciano via i cantoni ai più garibaldofrusti: 25 strasciacantón L’Adalgisa frusti il sedile della carrozza dove si siede il cocchiere. serpa: 26 «L’incendio», dissero poi tutti, «è una delle cose più terribili che sia». Ed è vero: fra 45 la generosità e la perplessità de’ pompieri d’oro: fra cataratte d’acqua potabile sopra 27 28 le ottomane pisciose e verdi, ma stavolta minacciate da un ben brutto rosso, e, 29 sopra i cifoni e i credenzoni, custodi magari d’un mezz’etto di gorgonzola sudato, 30 31 ma leccati già dalla fiamma come il capriolo dal pitone: con zampilli, spilli liquidi, dai serpi inturgiditi e fradici dei tubi di canapa, e lunghe, lancinanti zagaglie dagli 50 32 33 idranti d’ottone, che finiscono in bianche zazzere e nube nel cielo dell’agosto 34 torrido: e isolatori di porcellana semiusti 35 cader giù a pezzi a frantumarsi del tutto contro il marciapiede patatràf!: e fili di telefoni bruciati che svolavano via nella sera dalle lor mensole fatte roventi, con penisole nere e volanti di cartone e mongolfiere di tappezzeria carbonizzata, e giù, tra i piedi degli uomini, e dietro le scale mobili, 55 anse e rigiri e impennate di tubi che sprizzano zampilli parabolici da tutte le parti nella mota della strada, vetri in briciole in un pantano d’acque e di melma, pitali 36 37 di ferro smaltato ripieni di carote buttati giù di finestra, ancora adesso!, contro gli stivaloni dei salvatori, i gambali dei genieri, dei carabinieri, degli ingegneri comandanti 38 dei pompieri: e il protervo e indefesso cicciàc, 60 39 e cicìc e ciciàc, delle ciabatte femminine a raccoglier pezzi di pettine, o schegge di specchio, e immagini benedette di San Vincenzo de’ Liguori dentro lo sguazzo di quella catastrofica lavanderia. 40 41 l’oro allude sia al colore dell’elmetto, sia all’espressione “avere un cuore d’oro”. pompieri d’oro: 27 cascate. cataratte: 28 tipo di divano. si riferisce al fatto che grondano acqua in seguito all’intervento dei pompieri e è il loro colore originale. ottomane pisciose e verdi: 29 Pisciose verdi italianizzazione del milanese , “comodino”, “tavolino da notte”. cifoni: 30 cifòn il formaggio a temperatura ambiente o al calore genera delle bollicine d’acqua sulla superficie, come se “sudasse”. gorgonzola sudato: 31 i tubi assomigliano a serpenti resi duri e rigidi ( ) dall’acqua che vi passa attraverso. serpi inturgiditi: 32 inturgiditi armi simili a corte lance. La metafora suggerisce il paragone tra il getto d’acqua e il colpo delle lance. zagaglie: 33 capigliature disordinate. zazzere: 34 materiale per l’isolamento elettrico, fatto di porcellana, e che l’incendio ha in parte bruciato. isolatori di porcellana semi-usti: 35 fango. mota: 36 vasi da notte. pitali: 37 soldati appartenenti al corpo del genio militare. genieri: 38 superbo e instancabile. protervo e indefesso: 39 si tratta di un incrocio tra due diversi santi: san Vincenzo de’ Paoli (1581-1660) e sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787). San Vincenzo de’ Liguori: 40 il diluvio provocato dall’intervento dei vigili del fuoco. catastrofica lavanderia: 41 >> pagina 926 Dentro il TESTO I contenuti tematici L’ cala il lettore in una sorta di aura mitica: (r. 1). Subito dopo il richiamo ironico alle tecniche futuriste, incapaci di descrivere il fulmineo precipitare degli eventi, si entra direttamente e bruscamente nell’azione. Lo sconvolgimento provocato dall’improvviso incendio viene reso con la fuga caotica e terrorizzata dall’ (r. 3) da parte degli inquilini, presentati genericamente o esplicitamente (nome e/o cognome), per dare il senso del simultaneo accavallarsi delle persone spinte all’esterno e in qualche modo rese simili dall’infuriare del fuoco. incipit Se ne raccontavano di cotte e di crude ululante topaia Sul finire della prima parte antologizzata entrano in scena i pompieri, che – anch’essi frettolosamente – si dirigono verso il luogo del disastro. La loro azione viene poi riportata nella seconda parte, nella quale si descrivono la lotta dell’acqua contro il fuoco e il palazzo avvolto dal fumo e immerso in una enorme pozza di fango. L’irrompere del fuoco e l’intervento dei pompieri: un quadro d’insieme All’interno di questa rappresentazione frenetica non mancano gli attacchi comici al perbenismo borghese e alle sue ipocrisie: la (r. 5), che sta sottilmente a indicare i figli legittimi e illegittimi; le signore che, normalmente ben vestite e ordinate nell’atto di dirigersi in chiesa, vengono raffigurate in frivole (r. 8); il riferimento alla (r. 25), sorta di succedaneo più economico del cuoio (fatto di una sostanza a base di celluloide); l’elemento scatologico degli escrementi di cavallo; l’accenno fugace ai capelli che sono (r. 29), sia perché segno di civetteria femminile, sia perché ormai l’acconciatura è rovinata dalla fretta e dalla paura; l’accorrere (r. 60) per cercare di salvare da quella catastrofe oggetti che mescolano il profano (la vanità di pettini e di specchi) al sacro (l’immagine votiva del santo). prole globale sottane bianche di pizzo pegamoide vanamente ondulati vanamente protervo e indefesso La ridicolizzazione della borghesia Le scelte stilistiche L’aspetto più interessante del racconto non sta però nello sviluppo della trama, di per sé molto semplice, bensì nello stile utilizzato dall’autore. Già dalle prime righe si possono cogliere appieno alcuni degli aspetti caratteristici dell’espressionismo gaddiano: la frenesia e la confusione sono rese da una inesauribile elencazione di persone, cose, azioni, con una tecnica paratattica che accosta elementi diversi in lunghissime sequenze, da leggersi tutte d’un fiato. Il periodo che va da (r. 4) a (r. 13) si interrompe per un breve attimo con il punto fermo, per riprendere subito in un altro lunghissimo elenco, da (rr. 13-14) fino a (r. 28); lo stesso procedimento si trova anche in seguito. Se nella prima sequenza la tecnica dell’accumulo si basa sull’uso dell’avverbio , nella seconda viene utilizzata la congiunzione . La differenza è sottile, ma in grado di rendere nel primo caso l’impressione di una velocissima catena di azioni, nel secondo la contemporaneità di un confuso e ingarbugliato quadro d’insieme: tutta la seconda parte del brano è infatti racchiusa in un periodo lungo e articolato, da (r. 45) a (r. 62), interrotto solo da virgole e due punti. che ne disprigionò fuori la strillava anche lei Poi, finalmente, fra persistenti urla i pianti dei loro mille nati poi e Ed è vero catastrofica lavanderia Il procedimento per accumulazione La punteggiatura è, come sempre accade in Gadda, usata senza risparmio, a volte sovvertendo le regole. Peculiare della sua scrittura è per esempio l’uso dei due punti, allo scopo non solo di introdurre un elenco, ma anche di segnare una pausa nel lungo periodo, assumendo così il valore della virgola o del punto e virgola (come si vede dalla r. 45 alla r. 60). Di rilievo sono anche gli elementi linguistici più tipici del , come il frequente ricorso a vocaboli fuori dal comune. Gadda non disdegna né il prestito di termini tecnici da altre discipline (il , r. 22, che deriva dalla genetica), né la variante aulica di alcuni vocaboli ( per “avvolgersi”, r. 22; per “capelli”, r. 28; per “bruciacchiati”, r. 52), né ancora il ricorso a dialettismi ( per “comodini”, r. 48), neologismi e invenzioni linguistiche: il ironico verso i Futuristi (r. 2), il (r. 7) che richiama la locuzione “essere (male) in gamba”, i (r. 22) come ripetizione di globi, i marciapiedi (r. 40). pastiche morularsi intrefolarsi capegli semi-usti cifoni simultanare malandate in gamba riglobi garibaldofrusti Il ricorso alla parola rara Non meno ricca è la presenza di figure retoriche, dalle metafore (le lingue di fuoco che sono , r. 20), alle similitudini (il fumo che si attorciglia , r. 23), alle iperboli (i pianti dei , r. 28), alle onomatopee che rendono la dimensione auditiva del brano: il (r. 53) che riproduce il rumore degli isolatori di porcellana caduti a terra, e il (r. 60) che descrive il ciabattare delle donne. A volte ne viene utilizzata più d’una nello stesso sintagma: (r. 3), per esempio, ha sia aspetti metonimici (a ululare non è il palazzo, ovviamente, ma chi vi abita) che metaforici (gli inquilini vengono assimilati a tanti topi che fuggono dalla propria tana), rendendo efficacemente, a livello uditivo e visivo, la concitazione di quegli attimi. serpigne come un pitone nero su di se stesso mille nati patatràf! cic-ciàc, e cicìc e ciciàc ululante topaia L’uso delle figure retoriche >> pagina 928 Verso le COMPETENZE Comprendere In quante scene è suddiviso il brano? Prova a riassumerle brevemente e dai a ciascuna un titolo. 1 Analizzare Le sequenze di questo brano hanno come protagonisti prima il fuoco e poi l’acqua. Evidenzia le frasi in cui ci si riferisce all’uno e all’altra. 2 Riporta nella tabella i termini che ritieni più significativi per ogni registro linguistico. 3 Registro basso Registro medio Registro alto Nel brano sono presenti diverse parole composte. Rintracciale e spiegane la funzione espressiva. 4 Interpretare Perché l’autore esordisce citando il futurista Filippo Tommaso Marinett 5 i (r. 2)? A quale scopo, secondo la tua opinione, Gadda si sofferma sull’ 6 ultimo pompiere del quinto drappello (r. 34)? COMPETENZE LINGUISTICHE Dei seguenti neologismi gaddiani, prima individua l’origine, poi prova a darne una definizione, come se fossero dei lemmi di dizionario. 7 simultanare • morularsi • intrefolarsi • trasvolante Produrre Sull’esempio di Gadda prova a creare 10 neologismi relativi alla vita a scuola. Danne la definizione e spiegane brevemente l’origine. 8 Scrivere per raccontare. Il groviglio psicanalitico 2 Come si è visto, Gadda è stato un autore molto prolifico, avendo scritto tanto, al limite della grafomania, sia per la pubblicazione della sua produzione narrativa e saggistica sia per motivi privati (i diari e i moltissimi carteggi). Ancor prima della letteratura, si può affermare che sia in sé ad assumere per lui un ruolo particolare. Già prima di comprendere la propria natura di letterato, per esempio, durante l’esperienza della Prima guerra mondiale, egli sembra utilizzare la scrittura per cercare di ritrovare un ordine nella realtà che lo circonda, o meglio per opporre al caos dominante sequenze razionali di pensieri, descrizioni, concetti o persino operazioni di analisi matematica che egli traccia sulla pagina. Il rapporto di Gadda con il mondo è dettato infatti da un’ finalizzata a restituire razionalità al groviglio delle cose e a dare loro un senso. Tale tentativo di ricostruzione concettuale viene applicato dall’autore sia alla sfera dell’esteriorità sia a quella dell’interiorità, e – per quanto concerne quest’ultima – all’essere umano in generale e a sé stesso. l’atto dello scrivere esigenza conoscitiva La critica ha sottolineato, a più riprese, come l’irrefrenabile impulso di Gadda all’autobiografismo si traduca nei suoi scritti nella proiezione costante delle proprie nevrosi e ossessioni: tale processo svela i suoi sforzi di psicanalizzare, spiegare, comprendere la propria vita e dare un senso ai traumi che l’hanno così fortemente condizionata. È in questo impegno gnoseologico che la sua prova a farsi , in quanto si pone l’obiettivo di scavare a fondo nei disturbi psicologici del proprio io (l’autore allude a un «male oscuro» che lo attanaglia) e nel labirinto di un mondo degenerato e insensato. scrittura terapia La scrittura come strumento di ordine e comprensione di sé In particolare, il centro di gravità della nevrosi dello scrittore è rappresentato dal , a sua volta tristemente condizionato dalla morte del fratello Enrico. Gadda percepisce in lei una “carenza affettiva”, un’incapacità a donarsi a lui che è il figlio sopravvissuto, quello meno bello, meno energico, meno vitale; ciò lo induce a considerare sé stesso una «prova difettiva di natura», come se egli non fosse idoneo a meritare l’amore e le carezze della madre. Parla a più riprese, in molti saggi e articoli dedicati ad altre figure emblematiche della Storia o della letteratura (Baudelaire, Leopardi, Rimbaud ecc.), di esempi di «delusione filiale», di madri che verso i figli mostrano una «certa ritenutezza»; e legge in questo rapporto la base di «quell’aggrovigliato complesso di cause e concause biologiche e mentali che Freud ha tentato appunto di sgrovigliare» ( ). Un verso virgiliano, tratto dalla IV egloga, torna con frequenza nelle sue dissertazioni a suggellare e dare forza a questo discorso: , tradotto da lui stesso come « ». conflitto con la madre Psicanalisi e letteratura Cui non risere parentes colui a cui i genitori non hanno potuto sorridere Il dramma affettivo >> pagina 929 Dalla negazione affettiva deriva un sentimento aspramente conflittuale verso quella figura che viene vista come «madre sbagliata», «castrante». Durante tutta la vita, l’immagine di questa donna austera e severa permane nell’immaginario dello scrittore lombardo; anche se nel periodo successivo alla sua morte si scatena in lui un assillo diverso ma altrettanto doloroso: il . La distanza e l’odio provati in vita vengono trasfigurati in colpa, come se le ragioni di quella negazione e di quella morte fossero da addossarsi a lui, alla sua imperfezione, alle sue incapacità. Gadda si sente allora completamente solo; ed è anche per questo, per provare a lenire quella ferita, che dedica alla madre un capolavoro assoluto come . rimorso La cognizione del dolore La «madre sbagliata» T2 La mamma , II, cap. 5 La cognizione del dolore Il luogo in cui trova migliore espressione il complesso rapporto tra Gadda e la madre è il romanzo , che somiglia molto a un processo in cui l’autore interpreta «tutte le parti: di pubblico accusatore, di colpevole, di innocente, di difensore e di giudice» (Citati), esagerando le proprie colpe fino al punto di calunniarsi e descriversi come patricida e matricida. Tra queste pagine di disperata violenza, ad apertura della seconda parte del romanzo, emerge proprio la figura sulla quale si appunta tutta la rabbia dello scrittore: la madre. La cognizione del dolore L’ e il dolore per la uragano morte del figlio Vagava, sola, nella casa. Ed erano quei muri, quel rame, tutto ciò che le era rimasto? 1 di una vita. Le avevano precisato il nome, crudele e nero, del monte: dove era caduto: e l’altro, desolatamente sereno, della terra dove lo avevano portato e dimesso, col 2 volto ridonato alla pace e alla dimenticanza, privo di ogni risposta, per sempre. Il figlio che le aveva sorriso, brevi primavere! che così dolcemente, passionatamente, 5 l’aveva carezzata, baciata. Dopo un anno, a Pastrufazio, un sottufficiale d’arma le 3 4 si era presentato con un diploma, le aveva consegnato un libercolo, pregandola di voler apporre la sua firma su di un altro brogliaccio: e in così dire le aveva porto 5 una matita copiativa. Prima le aveva chiesto: «è lei la signora Elisabetta François?». 6 Impallidendo all’udir pronunziare il suo nome, che era il nome dello strazio, aveva 10 7 risposto: «sì, sono io». Tremando, come al feroce rincrudire d’una condanna. A cui, 8 dopo il primo grido orribile, la buia voce dell’eternità la seguitava a chiamare. pentole, padelle e utensili da cucina, che all’epoca erano spesso in rame e che venivano appesi al muro. quel rame: 1 condotto e sepolto. portato e dimesso: 2 è la capitale del Maradagàl e corrisponde nella realtà a Milano. Pastrufazio: 3 della gendarmeria territoriale (N.d.A.). d’arma: 4 registro. brogliaccio: 5 nella prima versione, apparsa sulla rivista “Letteratura”, il nome della donna è Adelaide François, in esplicito riferimento ai nomi veri della madre (Adele) e del padre (Francesco) dello scrittore. Elisabetta François: 6 perché la identificava come la madre del ragazzo morto. il nome dello strazio: 7 inasprirsi. rincrudire: 8 Avanti che se ne andasse, quando con un tintinnare della catenella raccolse a 9 sé, dopo il registro, anche la spada luccicante, ella gli aveva detto come a trattenerlo: «posso offrirle un bicchiere di Nevado?»: stringendo l’una nell’altra le mani 15 10 scarne. Ma quello non volle accettare. Le era parso che somigliasse stranamente a chi aveva occupato il fulgore breve del tempo: del consumato tempo. I battiti del cuore glie lo dicevano: e sentì di dover riamare, con un tremito dei labbri, la riapparita presenza: ma sapeva bene che nessuno, nessuno mai, ritorna. Vagava nella casa: e talora dischiudeva le gelosie d’una finestra, che il sole 20 11 12 entrasse, nella grande stanza. La luce allora incontrava le sue vesti dimesse, quasi povere: i piccoli ripieghi di cui aveva potuto medicare, resistendo al pianto, l’abito umiliato della vecchiezza. Ma che cosa era il sole? Quale giorno portava? sopra i latrati del buio. Ella ne conosceva le dimensioni e l’intrinseco, la distanza dalla 13 14 15 terra, dai rimanenti pianeti tutti: e il loro andare e rivolvere; molte cose aveva 25 16 imparato e insegnato: e i matemi e le quadrature di Keplero che perseguono nella 17 vacuità degli spazî senza senso l’ellisse del nostro disperato dolore. 18 19 Vagava, nella casa, come cercando il sentiero misterioso che l’avrebbe condotta ad incontrare qualcuno: o forse una solitudine soltanto, priva d’ogni pietà e d’ogni imagine. Dalla cucina senza più fuoco alle stanze, senza più voci: occupate da poche 30 mosche. E intorno alla casa vedeva ancora la campagna, il sole. Il cielo, così vasto sopra il tempo dissolto, si adombrava talora delle sue cupe 20 nuvole; che vaporavano rotonde e bianche dai monti e cumulate e poi annerate 21 ad un tratto parevano minacciare chi è sola nella casa, lontani i figli, terribilmente. 22 Ciò accadde anche nello scorcio di quella estate, in un pomeriggio dei primi 35 di settembre, dopo la lunga calura che tutti dicevano sarebbe durata senza fine: trascorsi una diecina di giorni da quando aveva fatto chiamare la custode, con le chiavi: e, da lei accompagnata, era voluta discendere al Cimitero. Quella minaccia 23 la feriva nel profondo. Era l’urto, era lo scherno di forze o di esseri non conosciuti, e tuttavia inesorabili alla persecuzione: il male che risorge ancora, ancora e 40 24 sempre, dopo i chiari mattini della speranza. Ciò che più la soleva sgomentare fu sempre il malanimo impreveduto di chi non avesse cagione alcuna da odiarla, o 25 da offenderla: di quelli a cui la sua fiducia così pura si era così trasportatamente 26 rivolta, come ad eguali e a fratelli in una superiore società delle anime. Allora ogni soccorrevole esperienza e memoria, valore e lavoro, e soccorso della città e della 45 gente, si scancellava a un tratto dalla desolazione dell’istinto mortificato, l’intimo vigore della consapevolezza si smarriva: come di bimba urtata dalla folla, travolta. 27 La folla imbarbarita degli evi persi, la tenebra delle cose e delle anime erano 28 un torbido enigma, davanti a cui si chiedeva angosciata – (ignara come smarrita bimba) – perché, perché. 50 prima di andarsene. Avanti che se ne andasse: 9 qualità di vino bianco. Nevado: 10 persiane. gelosie: 11 affinché. che: 12 la sinestesia fa riferimento al buio della morte. sopra i latrati del buio: 13 si riferisce al sole. ne: 14 la natura chimica e fisica. l’intrinseco: 15 girare. rivolvere: 16 i hanno il significato di formule e calcoli molto difficili, mentre “quadratura” è un antico termine tecnico che indica la soluzione delle equazioni differenziali. i matemi e le quadrature di Keplero: 17 matemi destituiti di apparato sensorio e quindi di sensitiva (N.d.A.), ossia incapaci di provare sensazioni. che perseguono… senza senso: 18 la misurazione dell’orbita della Terra diventa metaforicamente la misura del dolore umano. l’ellisse… dolore: 19 consumato. dissolto: 20 le nuvole fanno ombra al cielo stesso, rendendolo più cupo. si adombrava talora delle sue cupe nuvole: 21 le nuvole, prima bianche e rotonde, diventano improvvisamente nere, minacciando il temporale. Il verbo “cumulare” infatti indica la trasformazione delle nuvole in cumuli-nembi, tipici dei temporali. che vaporavano… ad un tratto: 22 l’incombere del temporale. Quella minaccia: 23 nella. alla: 24 ragione. cagione: 25 con trasporto. trasportatamente: 26 tutte le certezze della donna (la di ciò che aveva fatto per gli altri) vengono meno di fronte al terrore. Allora ogni soccorrevole… si smarriva: 27 consapevolezza le genti barbare del passato ( ). La folla… persi: 28 evi persi L’uragano, e anche quel giorno, soleva percorrere con lunghi ululati le gole paurose delle montagne, e sfociava poi nell’aperto contro le case e gli opifici degli 29 uomini. Dopo ogni tetro accumulo di sua rancura, per tutto il cielo si disfrenava alle folgori, come nel guasto e nelle rapine un capitanaccio dei lanzi a gozzovigliare tra sinistre luci e spari. Il vento, che le aveva rapito il figlio verso smemoranti cipressi, 55 30 31 ad ogni finestra pareva cercare anche lei, anche lei, nella casa. Dalla finestretta delle scale, una raffica, irrompendo, l’aveva ghermita per i capegli: scricchiolavano da 32 33 parer istiantare i pianciti e le loro intravature di legno: come fasciame, come di nave 34 in fortuna: e gli infissi chiusi, barrati, gonfiati da quel furore del di fuori. Ed ella, 35 simile ad animale di già ferito, se avverta sopra di sé ancora ed ancora le trombe efferate 60 36 della caccia, si raccolse come poteva nella sua stremata condizione a ritrovare 37 un rifugio, da basso, nel sottoscala: scendendo, scendendo: in un canto. Vincendo 38 paurosamente quel vuoto d’ogni gradino, tentandoli uno dopo l’altro, col piede, aggrappandosi alla ringhiera con le mani che non sapevano più prendere, scendendo, scendendo, giù, giù, verso il buio e l’umidore del fondo. 65 39 fabbriche. opifici: 29 dopo aver raccolto la sua rabbia e il suo rancore ( ), l’uragano esplode violentemente in una tempesta di fulmini, come avrebbe potuto fare un losco capitano dei lanzichenecchi ( ) intento alle sue razzie tra lampi e spari di pistola. Anche in questo caso il verbo “accumulare” rimanda al cumulo-nembo. Dopo… spari: 30 rancura lanzi il vento della morte che le aveva portato via il figlio conducendolo verso il cimitero. I sono poiché simboleggiano l’oblio causato dalla morte. Il vento… cipressi: 31 cipressi smemoranti afferrata. ghermita: 32 capelli. capegli: 33 le liste di legno (le ) del pavimento ( ) scricchiolavano tanto da sembrare che stessero per cedere e schiantarsi ( ). scricchiolavano… legno: 34 intravature pianciti istiantare come il rivestimento della struttura di una nave che si trova in pericolo, in balia della sorte. È una citazione dantesca («ond’ el piegò come nave in fortuna», , XXXII, 116). come fasciame… fortuna: 35 Purgatorio quando sente. se avverta: 36 i crudeli suoni dei corni da caccia. le trombe… caccia: 37 in un angolo. in un canto: 38 umidità. umidore: 39 >> pagina 931 Dentro il TESTO I contenuti tematici In questo capitolo la madre entra per la prima volta direttamente sulla scena del romanzo: in precedenza era stata soltanto evocata nei discorsi degli abitanti di Lukones o nelle parole di Gonzalo. Le prime due sequenze sono incentrate sulla rievocazione accorata della perdita del figlio in guerra, un ricordo che sembra tormentare senza requie la povera donna, incapace di trovare altra ragione di vita. Il dolore è così devastante da essere ormai indissolubilmente racchiuso in semplici nomi: quello del monte su cui l’aereo del soldato è precipitato e quello del luogo in cui è stato seppellito il corpo (rr. 2-3). È sufficiente ascoltare quei nomi perché essa ripiombi nell’abisso dell’assenza del figlio prediletto e perché si scatenino in lei il pianto e lo strazio. Il ricordo del figlio morto La donna si muove nella casa senza sapere dove andare o cosa fare: il termine viene usato ben tre volte, nel primo, terzo e quarto capoverso, a esprimere la mancanza di scopo e di direzione. Sia le cose sia i gesti denotano una quotidianità ormai privata, per sempre, di senso: le pentole di rame appese al muro ( , rr. 1-2), le persiane aperte per far entrare il sole ( , rr. 23-24), la cucina vuota ( , r. 30), regno ormai soltanto delle mosche, sinistre presenze che Gadda evoca molto spesso come simbolo di morte. vagava tutto ciò che le era rimasto? di una vita Ma che cosa era il sole? Quale giorno portava? sopra i latrati del buio senza più fuoco alle stanze, senza più voci Vagare senza una meta >> pagina 932 Nel secondo capoverso compare un elemento che cela un significato psicanalitico profondo. La donna sembra riconoscere nel sottufficiale il figlio perduto, tanto che risorge in lei il desiderio di amare. Si tratta però di un’illusione, in quanto non soltanto quel figlio non tornerà più (rapito dal vento , r. 55), ma anche l’altro – Gonzalo – è ormai lontano, lontano (rr. 34-35). I due figli, per ragioni diverse, sono sullo stesso piano, ormai irraggiungibili, e nel suo destino di madre perduta, nel suo (r. 28) ci sono esclusivamente tristezza e abbandono. Non a caso, mentre un uragano si avvicina, la donna viene descritta come una bimba indifesa e sgomenta davanti all’infuriare della tempesta che incombe drammaticamente, emblema di una vita straziata e agonizzante. È rimasta sola ad affrontare la vita, perché il figlio sopravvissuto non è che un estraneo, un misantropo incapace di affetto, a sua volta vittima disgraziata di un oscuro e incomunicabile rovello interiore. verso smemoranti cipressi terribilmente sentiero misterioso Una speranza disattesa Le scelte stilistiche La figura tragica della donna viene avvolta da un linguaggio dolente ed evocativo, fatto di avverbi e termini rari e preziosi ( , r. 4; , rr. 18-19; , r. 30; , r. 33; , r. 43; , r. 65), sintagmi di lirica bellezza che prediligono la struttura aggettivo-nome-complemento ( , r. 11; , r. 12) o nome-aggettivo-complemento ( , r. 17; , rr. 22-23). La prosa tende al verso poetico, con la ripetizione di alcuni vocaboli a rafforzare l’ineluttabilità della perdita ( , r. 19; , rr. 40-41) e l’impiego anaforico di quel posto a inizio di tre capoversi per richiamare l’ossessiva ripetizione dei gesti e dei comportamenti in cui la donna è piombata dopo la tragedia, incapace di uscire dall’orbita di quella sofferenza ( , r. 27). dimenticanza riapparita imagine vaporavano trasportatamente umidore feroce rincrudire d’una condanna buia voce dell’eternità fulgore breve del tempo abito umiliato della vecchiezza nessuno, nessuno mai, ritorna il male che risorge ancora, ancora e sempre vagava l’ellisse del nostro disperato dolore Un lirico omaggio alla madre È uno stile che si mantiene alto e che lascia poco spazio al : uno stile che al tempo stesso omaggia la madre, i suoi gusti di donna colta e di insegnante, e la immerge in un tessuto lessicale ricchissimo, in una cadenza ritmica che sembra ripeterne il pianto, con l’uso intenso della punteggiatura che spezza continuamente la frase come in un continuo singhiozzo: , / , / . / , / , / / (rr. 1-2). Soltanto dopo queste prime sequenze, e poi nel resto del capitolo, i periodi diventano più lunghi, dando di nuovo spazio al racconto. pastiche Vagava sola nella casa Ed erano quei muri quel rame tutto ciò che le era rimasto? di una vita Come in un pianto Da notare è anche il tempo verbale scelto. L’imperfetto infatti, specialmente nei primi capoversi, rende l’azione in movimento e confonde i momenti temporali in un fluire continuo di passato, presente e futuro, restituendo il senso del non finito e il groviglio di sensazioni e dolore che segna la madre nella sua progressiva «cognizione del dolore» della vita. Il tempo imperfetto Verso le COMPETENZE Comprendere Suddividi il brano in sequenze e riassumilo. 1 Analizzare Il testo è ricco di ripetizioni e di anafore. Individuane almeno cinque e specificane il significato. 2 Quali sono gli elementi stilistici che accentuano il tono poetico e struggente del brano? Fai qualche esempio. 3 Interpretare Quali sono gli elementi autobiografici che Gadda inserisce in queste pagine? 4 A un certo punto Gadda parla di ’interno del brano? 5 tempo d issolto (r. 32): perché? Che significato ha il tempo all Come descriveresti la figura della madre dal punto di vista emotivo e psicologico? 6