T4 Il commissario Ingravallo Cap. 1 Riportiamo le prime pagine del romanzo, nelle quali viene introdotto il protagonista. o  ? Investigatore  filosofo Tutti oramai lo chiamavano don Ciccio. Era il dottor Francesco Ingravallo comandato alla mobile: uno dei più giovani e, non si sa perché, invidiati funzionari della 1 sezione investigativa: ubiquo ai casi, onnipresente su gli affari tenebrosi. Di statura 2 media, piuttosto rotondo della persona, o forse un po’ tozzo, di capelli neri e folti e cresputi che gli venivan fuori dalla metà della fronte quasi a riparargli i due 5       bernoccoli metafisici dal bel sole d’Italia, aveva un’aria un po’ assonnata, un’andatura 3 greve e dinoccolata, un fare un po’ tonto come di persona che combatte con una laboriosa digestione: vestito come il magro onorario statale gli permetteva 4 di vestirsi, e con una o due macchioline d’olio sul bavero, quasi impercettibili però, quasi un ricordo della collina molisana. Una certa praticaccia del mondo, 10     del nostro mondo detto latino, benché giovine (trentacinquenne), doveva di certo avercela: una certa conoscenza degli uomini: e anche delle donne. La sua padrona di casa lo venerava, a non dire adorava: in ragione di e nonostante quell’arruffio strano d’ogni trillo e d’ogni busta gialla imprevista, e di chiamate notturne e d’ore 5 senza pace, che formavano il tormentato contesto del di lui tempo. «Non ha 15     orario, non ha orario! Ieri mi è tornato che faceva giorno!». Era, per lei, lo statale 6 distintissimo lungamente sognato, preceduto da cinque A sulla inserzione del Messaggero, evocato, pompato fuori dall’assortimento infinito degli statali con 7 8 quell’esca della «bella assolata affittasi» e non ostante la perentoria intimazione 9 in chiusura: «Escluse donne»: che nel gergo delle inserzioni del Messaggero offre, 20     com’è noto, una duplice possibilità d’interpretazione. E poi era riuscito a far 10 chiudere un occhio alla questura su quella ridicola storia dell’ammenda… sì della multa per la mancata richiesta della licenza di locazione… che se la dividevano a metà, la multa, tra governatorato e questura. «Una signora come me! Vedova del 11 commendatore Antonini! Che si può dire che tutta Roma lo conosceva: e quanti 25     lo conoscevano, lo portavano tutti in parma de mano, non dico perché fosse mio 12 marito, bon’anima! E mo me prendono per un’affittacamere! Io affittacamere? Madonna santa, piuttosto me butto a fiume». Nella sua saggezza e nella sua povertà molisana, il dottor Ingravallo, che pareva vivere di silenzio e di sonno sotto la giungla nera di quella parrucca, lucida come 30     pece e riccioluta come d’agnello d’Astrakan, nella sua saggezza interrompeva talora 13 codesto sonno e silenzio per enunciare qualche teoretica idea (idea generale s’intende) 14 sui casi degli uomini: e delle donne. A prima vista, cioè al primo udirle, sembravano banalità. Non erano banalità. Così quei rapidi enunciati, che facevano sulla sua bocca il crepitio improvviso d’uno zolfanello illuminatore, rivivevano poi nei 35     15 timpani della gente a distanza di ore, o di mesi, dalla enunciazione: come dopo un misterioso tempo incubatorio. «Già!» riconosceva l’interessato: «il dottor Ingravallo me l’aveva pur detto». Sosteneva, fra l’altro, che le inopinate catastrofi non sono 16 mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza 40     17 del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti. 18 Diceva anche nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo. Ma il termine giuridico «le causali, la causale» gli sfuggiva preferentemente 19 di bocca: quasi contro sua voglia. L’opinione che bisognasse «riformare in noi il senso della categoria di causa» quale avevamo dai filosofi, da Aristotele o da Emmanuele 45     20 Kant, e sostituire alla causa le cause era in lui una opinione centrale e persistente: una fissazione, quasi: che gli evaporava dalle labbra carnose, ma piuttosto 21 bianche, dove un mozzicone di sigaretta spenta pareva, pencolando da un angolo, 22 accompagnare la sonnolenza dello sguardo e il quasi-ghigno, tra amaro e scettico, a cui per «vecchia» abitudine soleva atteggiare la metà inferiore della faccia, sotto quel 50     sonno della fronte e delle palpebre e quel nero pìceo della parrucca. Così, proprio 23 così, avveniva dei «suoi» delitti. «Quanno me chiammeno!… già. Si me chiammeno 24 a me… può sta ssicure ch’è nu guaio: quacche gliuommero… de sberretà…» 25 diceva, contaminando napolitano, molisano, e italiano. Ingravallo presta servizio nella squadra mobile della polizia. comandato alla mobile: 1 sempre presente nei vari casi su cui indaga la polizia. ubiquo: che è ovunque, onnipresente (latinismo). ubiquo ai casi: 2 le sporgenze laterali della fronte che, secondo la fisiognomica, indicherebbero la propensione al pensiero, e sono dunque dette qui “metafisiche”. bernoccoli metafisici: 3 il misero stipendio di poliziotto. il magro onorario statale: 4 la confusione dovuta ai continui squilli del telefono ( ) e alla consegna delle buste gialle della polizia. arruffio strano… imprevista: 5 ogni trillo il dipendente statale. statale: 6 nelle pagine degli annunci presenti sui giornali si mettono più A in fila (per es. AAAAA), in modo da apparire tra i primissimi della lista, in quanto questi vengono elencati in ordine alfabetico. “Il Messaggero” è un quotidiano di Roma. preceduto… Messaggero: 7 scovato tra i tanti dipendenti statali in cerca di alloggio. pompato fuori: 8 nel gergo tipico delle inserzioni, è sottintesa la parola “camera”. bella assolata affittasi: 9 la dicitura “Escluse donne” avrebbe potuto riferirsi a una casa d’appuntamenti per soli uomini. duplice possibilità d’interpretazione: 10 durante il ventennio fascista indicava il Comune, inteso come istituzione. governatorato: 11 romanesco per “palmo della mano”. Inizia con la vedova Antonini l’uso del dialetto. Si vedano anche i successivi (“adesso mi”) e (“mi butto nel fiume”, ovvero “mi uccido”). parma de mano: 12 mo me me butto a fiume la pelliccia di questo animale ricorda la capigliatura di Ingravallo, nera, lucida e riccioluta. (o Astrachan) è il nome della città russa dove, sin dall’Ottocento, si è diffusa l’industria della concia delle pelli. agnello d’Astrakan: 13 Astrakan teorica. teoretica: 14 fiammifero. zolfanello: 15 latinismo per “inattese”, “impreviste”. inopinate: 16 in meteorologia indica una bassa pressione atmosferica, segno dunque di maltempo. L’autore allude al venir meno di tutte le convinzioni. punto di depressione ciclonica: 17 cause concomitanti. causali convergenti: 18 di preferenza. preferentemente: 19 così come era stata teorizzata dai filosofi. quale avevamo dai filosofi: 20 usciva fuori. evaporava: 21 penzolando. pencolando: 22 come la pece. pìceo: 23 chiamano. chiammeno: 24 qualche groviglio da sbrogliare. quacche gliuommero… de sberretà: 25 La causale apparente, la causale principe, era sì, una. Ma il fattaccio era l’effetto 55     26 di tutta una rosa di causali che gli eran soffiate addosso a molinello (come i sedici 27 venti della rosa dei venti quando s’avviluppano a tromba in una depressione 28 ciclonica) e avevano finito per strizzare nel vortice del delitto la debilitata «ragione del mondo». Come si storce il collo a un pollo. E poi soleva dire, ma questo 29 un po’ stancamente, «ch’i femmene se retroveno addò n’i vuò truvà». Una tarda 60     30 riedizione italica del vieto «cherchez la femme». E poi pareva pentirsi, come 31 d’aver calunniato ’e femmene, e voler mutare idea. Ma allora si sarebbe andati nel difficile. Sicché taceva pensieroso, come temendo d’aver detto troppo. Voleva significare che un certo movente affettivo, un tanto o, direste oggi, un quanto 32 33 di affettività, un certo «quanto di erotia», si mescolava anche ai «casi d’interesse»,   65     34 35 36 ai delitti apparentemente più lontani dalle tempeste d’amore. Qualche collega un tantino invidioso delle sue trovate, qualche prete più edotto dei molti 37 danni del secolo, alcuni subalterni, certi uscieri, i superiori, sostenevano che leggesse dei libri strani: da cui cavava tutte quelle parole che non vogliono dir nulla, 38 o quasi nulla, ma servono come non altre ad accileccare gli sprovveduti, gli ignari. 70     39 Erano questioni un po’ da manicomio: una terminologia da medici dei matti. 40 Per la pratica ci vuol altro! I fumi e le filosoficherie son da lasciare ai trattatisti: 41 la pratica dei commissariati e della squadra mobile è tutt’un altro affare: ci vuole della gran pazienza, della gran carità: uno stomaco pur anche a posto: e, quando non traballi tutta la baracca dei taliani, senso di responsabilità e decisione sicura, 75     42 moderazione civile; già: già: e polso fermo. Di queste obiezioni così giuste lui, don Ciccio, non se ne dava per inteso: seguitava a dormire in piedi, a filosofare a stomaco 43 vuoto, e a fingere di fumare la sua mezza sigheretta, regolarmente spenta. 44 principale. principe: 26 in un vortice. a molinello: 27 si arrotolano a formare una tromba d’aria. s’avviluppano a tromba: 28 un delitto riduce (“strizza”) ancora peggio di quel che è la già di per sé debole ( ) (ovvero il senso e la motivazione di ciò che accade nella realtà), rendendola insensata. strizzare nel vortice… del mondo: 29 debilitata ragione del mondo le donne si ritrovano anche dove non ci si aspetta di trovarle. i femmene… truvà: 30 versione italiana ( ) del vecchio ( ) adagio francese (“cercate la donna”), che indica la presenza della passione amorosa anche nei casi in cui sembra non avere rilievo. Il concetto viene spiegato qualche riga dopo. riedizione… la femme: 31 italica vieto cherchez la femme dire, intendere. significare: 32 dal linguaggio della fisica. è l’unità minima di una grandezza fisica, per esempio l’energia. quanto: 33 Quantum ciò che è riconducibile alla sfera degli affetti. In psicologia indica il complesso dei sentimenti. affettività: 34 neologismo gaddiano che rimanda al linguaggio psicanalitico e indica la pulsione sessuale. erotia: 35 interesse economico, a indicare il movente per soldi. interesse: 36 a conoscenza. edotto: 37 tirava fuori. cavava: 38 abbagliare, abbindolare. accileccare: 39 termine dispregiativo per indicare coloro che si occupano di psichiatria e psicanalisi. medici dei matti: 40 le complessità fumose dei filosofi. I fumi e le filosoficherie: 41 l’Italia, vista come una baracca traballante. è voce dialettale per “italiani”. baracca dei taliani: 42 Taliani fingeva di non accorgersene. non se ne dava per inteso: 43 variante dialettale di “sigaretta”. sigheretta: 44  >> pagina 947  Dentro il TESTO I contenuti tematici Il si apre in modo piuttosto tradizionale, descrivendo il protagonista innanzitutto dal punto di vista esteriore, un po’ come accade nei romanzi dell’Ottocento. Veniamo a conoscenza del suo lavoro, del suo aspetto fisico, del modo in cui si presenta (l’aria assonnata, l’andatura stanca), della condizione economica (vestito in maniera dignitosa ma poveramente, abita a pensione e dunque non ha una casa sua), del suo luogo d’origine, dell’età. Lo osserviamo poi da un punto di vista particolare, quello della padrona di casa, che ne esalta il ruolo (lo , rr. 16-17) e la solerzia sul lavoro (spesso torna a casa tardi). Pasticciaccio statale distintissimo Una descrizione “classica” Dal secondo capoverso, lo sguardo si sposta dall’esterno all’interno, e apprendiamo qualcosa di più sul modo di pensare di Ingravallo. In particolare, viene enucleato in queste prime pagine un concetto cardine della sua visione del mondo: alla base del suo pensiero (e, di conseguenza, della sua metodologia operativa) sta la convinzione che i fatti non sono mai la conseguenza di una sola causa, ma sono il risultato di più cause, che rendono ogni evento un (r. 42) intricato. garbuglio La teoria del commissario corrisponde alla filosofia dell’autore, secondo il quale la realtà è un insieme caotico o una trama indissolubile di fili: le (r. 41) di Ingravallo, destinate a sfociare negli imprevedibili accidenti dell’esistenza, simboleggiano il «pasticciaccio» di un assurdo mondo moderno, in cui l’impresa di giungere a forme stabili di conoscenza risulta impossibile. causali convergenti La filosofia del commissario e dell’ingegnere  >> pagina 948 Nell’ultimo capoverso si passa alla percezione che del commissario hanno gli altri, il coro di colleghi, preti e uscieri che – tutti insieme – lo considerano astratto, inconcludente, privo del necessario pragmatismo: quanto dice don Ciccio è frutto di strambe (r. 72), che poco hanno a che fare con (r. 73), la quale esigerebbe sicurezza e determinazione, mentre lui dà l’idea di essere irresoluto e sbadato (ha , r. 6, , r. 7, un , r. 49). Questo coro rappresenta il senso comune, che non sa o non vuole andare oltre l’apparenza delle cose, che si ferma alle grandezze visibili: si possono cogliere in esso quei tratti di faciloneria e pressapochismo che Gadda rinfacciava agli esponenti del fascismo. Il riferimento alla sconquassata (r. 75), in opposizione alla declamata (r. 76) e al (r. 76), lascia già trapelare l’insofferenza di Ingravallo (e di Gadda) verso il regime, un’insofferenza che nelle pagine successive si trasformerà in rabbiosa violenza. filosoficherie la pratica dei commissariati un’aria un po’ assonnata un fare un po’ tonto quasi-ghigno, tra amaro e scettico baracca dei taliani moderazione civile polso fermo Uno sguardo corale Le scelte stilistiche L’impressione suggerita dalle prime righe del brano che la descrizione sia affidata dall’autore a una voce onnisciente, sia pure lievemente ironica, secondo una modalità tipicamente manzoniana, è destinata presto a cadere. La frequenza dei sintagmi dubitativi testimonia il venir meno di ogni sua certezza e l’affacciarsi di ipotesi e opinioni ambigue: (r. 2) (r. 4), (r. 9). Chi narra, insomma, non solo testimonia l’incrinarsi di ogni visione oggettiva della realtà, ma anche mostra di conoscere in modo parziale il protagonista, oscillando tra la bonaria canzonatura (come appare nelle righe iniziali del brano), la descrizione pittoresca (per esempio, i capelli vengono paragonati a una , a una e a una pelliccia di , rr. 30-31) e la complice simpatia ( , rr. 33-34). non si sa perché , o forse un po’ tozzo una o due macchioline d’olio giungla parrucca Astrakan A prima vista, cioè al primo udirle, sembravano banalità. Non erano banalità D’altra parte, il narratore non è uno solo. Il gioco intricato delle focalizzazioni interne presenta infatti punti di vista diversi mediante il ricorso al discorso diretto, indiretto e indiretto libero. In tal modo le impressioni o le idee di alcuni personaggi si innestano sulla voce narrante principale, senza che lo scrittore ricorra necessariamente a una punteggiatura che indichi in modo chiaro e netto la separazione tra narratore e parlanti: l’effetto che ne deriva è una straordinaria polifonia, che registra fedelmente il contorto gomitolo di fatti, pensieri e sentimenti che costituisce la realtà quotidiana. La voce narrante polifonica Anche dal punto di vista stilistico, il romanzo offre un’iniziale “normalità” formale, appena complicata da qualche latinismo ( , r. 3) o arcaismo (la separazione della preposizione in (r. 2), l’apocope del verbo in (r. 5), la forma (r. 11) invece di ). Questa prassi tuttavia cede gradualmente il posto a una delle peculiarità del , ovvero il ricorso al dialetto. Con la vedova Antonini entra in scena il romanesco, mescolato con l’italiano senza soluzione di continuità; con Ingravallo, Gadda introduce il campano e il molisano. ubiquo ai casi sugli su gli venivano venivan giovine giovane Pasticciaccio Ad arricchire ulteriormente il linguistico contribuisce poi l’utilizzo di termini appartenenti a registri diversi e soprattutto ad ambiti e linguaggi specifici: vocaboli colti ( , r. 32), espressioni rare o ricercate ( , r. 5; , r. 37; , r. 38), neologismi ( , r. 65) sono affiancati a termini filosofici, medici, scientifici (abbondano le metafore meteorologiche), giuridici, in una commistione barocca che riflette degnamente il teatro del mondo. pastiche teoretica cresputi tempo incubatorio inopinate catastrofi erotia Il plurilinguismo  >> pagina 949  Verso le COMPETENZE Comprendere Riassumi quanto Ingravallo sostiene circa il rapporto tra causa ed effetto. 1 Descrivi il carattere di Ingravallo, aiutandoti con espressioni prese direttamente dal testo. 2 Perché viene usata l’immagine della (r. 40 e rr. 57-58)? 3 depressione ciclonica Analizzare Rintrac erimento all’idea di groviglio e suddividile in base al linguaggio utilizzato. 4 cia termini ed espressioni che fanno rif  Italiano standard Dialetto Linguaggi specialistici                                     Identifica e trascrivi i sintagmi che rendono la narrazione dubitativa e non onnisciente. 5 Interpretare Perché Ingravallo dice che ? A che cosa si riferisce? Contestualizza l’affermazione all’interno del brano. 6 i femmene se retroveno addò n’i vuò truvà (r. 60) COMPETENZE LINGUISTICHE  Il   linguistico gaddiano è ricco non solo di termini provenienti da diversi gerghi, registri e parlate locali, ma anche di effetti fonici (allitterazioni, rime, paronomasie…). Rintracciane almeno cinque nel brano che hai letto. 7 pastiche Produrre  Immagina Ingravallo commissario ai giorni nostri: adatta il carattere, l’aspetto fisico, il modo di pensare del personaggio al contesto della società attuale. Scrivi un testo narrativo di circa 20 righe. 8 Scrivere per raccontare. T5 Il cadavere di Liliana Cap. 2 Ingravallo era già stato nel palazzo di via Merulana a seguito di un furto di gioielli. Dopo pochi giorni vi ritorna per un altro caso: questa volta si tratta di omicidio, e la vittima è la sua amica Liliana Balducci. I molteplici  sguardi  sulla  morte «Dottor Ingravallo, senta. Me manna er commissario capo», abbassò ancora la 1 2 voce: «a via Merulana… è successo un orrore… stamattina presto. Hanno telefonato ch’ereno le dieci e mezza. Lei era appena uscito. Il dottor Fumi lo cercava. 3 4 Tratanto m’ha mannato subbito a vede, co due agenti. Credevo quasi de trovallo 5 6 là… Poi ha mannato a casa sua a cercallo». 5         «Be’, che è stato?». «Lei ce lo sa già?». mi manda il. In romanesco la coppia consonantica si trasforma in . Si vedano oltre (mandato), (andato), (mutande) ecc. Me manna er: 1 nd nn mannato annato mutanne il soggetto è Pompeo Porchettini, un agente della squadra mobile. abbassò: 2 erano. ereno: 3 il commissario capo di Ingravallo. dottor Fumi: 4 nel frattempo mi ha mandato subito a vedere. Tratanto… a vede: 5 trovarlo. In romanesco, la particella pronominale proclitica (lo, la, li, le) si unisce al verbo precedente trasformando la in . Più avanti troviamo , , ecc. trovallo: 6 r l cercallo trovalla salutalla «C’aggia sapé? mo me ne jevo a spasso…». 7 8 «Hanno tajato la gola, ma scusi… so che lei è un po’ parente». 9 «Parente ’e chi?…», fece Ingravallo accigliandosi, come a voler respingere ogni 10     10 propinquità con chi si fosse. 11 «Volevo dire, amico…». «Amico, che amico! amico ’e chi?». Raccolte a tulipano le cinque dita della mano destra, altalenò quel fiore nella ipotiposi digito-interrogativa tanto in uso 12 13 presso gli Apuli. 15     14 «S’è trovato la signora… la signora Balducci…». «La signora Balducci?». Ingravallo impallidì, afferrò Pompeo per il braccio. «Tu sei pazzo!», e glielo strinse forte, che a lo Sgranfia parve glielo stritolasse una 15 morsa, d’una qualche macchina. «Sor dottó, l’ha trovata suo cugino, il dottor Vallarena… Valdassena. Hanno 20     16 17 telefonato subbito in questura. Mo è là puro lui, a via Merulana. Ho dato disposizzioni. 18 Mi ha detto che lo conosce. Dice», alzò le spalle, «dice ch’era annato a trovalla. Pe salutalla, perché ha d’annà a Genova. Salutalla a quell’ora? dico io. Dice che l’ha 19 trovata stesa a terra, in un lago de sangue, Madonna! dove l’avemo trovata puro 20 noi, sul parquet, in camera da pranzo: stesa de traverso co le sottane tirate su, come 25     chi dicesse in mutanne. Il capo rigirato un tantino… Co la gola tutta segata, tutta tajata da una parte. Ma vedesse che tajo, dottó!». Congiunse le mani come implorando, si passò la destra sulla fronte: «E che faccia! ch’a momenti svengo! già fra poco dovrà vedello. Un tajo! che manco er macellaro. Mbè, un orrore: du occhi! che 21 guardaveno fisso fisso la credenza. Una faccia stirata, stirata, bianca da paré un panno 30     risciacquato… che, era tisica?… come si avesse fatto una gran fatica a morì…». 22 Ingravallo, pallido, emise un mugolo strano, un sospiro o un lamento da 23 ferito. Come se sentisse male puro lui. Un cinghiale co una palla in corpo. 24 «La signora Balducci, Liliana…», balbettò, guardando negli occhi lo Sgranfia. Si tolse il cappello. Sulla fronte, in margine al nero cresputo dei capelli, un allinearsi 35     di gocciole: d’un sudore improvviso. Come un diadema di terrore, di dolore. Il volto, per solito olivastro-bianco, lo aveva infarinato l’angoscia. «Andiamo, va’!». 25 Era madido, pareva esausto. 26 Giunti a via Merulana, la folla. Davanti il portone il nero della folla, con la sua corona de rote de bicicletta. Fate passare, polizia. Ognuno si scostò. Er portone 40     27 era chiuso. Piantonava un agente: con due pizzardoni e due carabinieri. Le donne 28 li interrogavano: loro diceveno a le donne: Fate largo! Le donne voleveno sapé. 29 Tre o quattro, deggià, se sentì che parlaveno de nummeri: ereno d’accordo p’er 30 dicissette, ma discuteveno sur tredici. 31 adesso (dialettale). mo: 7 Che devo sapere? Me ne stavo andando a spasso. è termine del dialetto molisano. C’aggia… spasso: 8 Jevo tagliato. tajato: 9 di chi? ’e chi?: 10 prossimità, parentela con chiunque. propinquità… fosse: 11 è una figura retorica che serve a rappresentare visivamente qualcosa o qualcuno in modo ricco e pieno di dettagli. ipotiposi: 12 neoformazione gaddiana che sta a indicare al tempo stesso le dita della mano ( ) e la funzione di quel gesto (il movimento altalenante della mano) che ribadisce la domanda appena fatta . digito-interrogativa: 13 digito amico ’e chi? popolazione indoeuropea che si stabilì tra il II e il I millennio a.C. nell’attuale Puglia. La frase è un riferimento ironico alle origini meridionali di Ingravallo. Apuli: 14 è il soprannome popolare dato all’agente Pompeo. Sgranfia: 15 signor dottore. La forma apocopata della parola è una delle peculiarità del dialetto romanesco. Vedi oltre per andare, per sapere ecc. Sor dottó: 16 annà sapé l’agente vuol dire Valdarena, il cugino di Liliana, che sarà sospettato dell’omicidio. Vallarena… Valdassena: 17 pure. puro: 18 deve andare. ha d’annà: 19 l’abbiamo. l’avemo: 20 che nemmeno il macellaio (sottinteso “avrebbe tagliato così in profondità”). che manco er macellaro: 21 malata di tubercolosi. tisica: 22 gemito, lamento. mugolo: 23 proiettile. palla: 24 il volto era diventato bianco come farina a causa dell’angoscia. infarinato: 25 bagnato di sudore. madido: 26 ruote. rote: 27 è il nome dato in romanesco ai vigili urbani. pizzardoni: 28 volevano sapere. voleveno sapé: 29 di già. deggià: 30 le donne discutono dei numeri da giocare al lotto il giorno dopo l’omicidio. P’er è contrazione romanesca di “per il”. ereno… sur tredici: 31 I due salirono in casa Balducci, l’ospitale casa che Ingravallo conosceva, si può 45     dire, col cuore. Su le scale un parlottare di ombre, il susurro delle casigliane. Un 32 bimbo piangeva. In anticamera… nulla di particolarmente notevole (il solito odore di cera, l’ordine abituale) eccettoché due agenti, muti, attendevano disposizioni. Sopra una seggiola un giovane col capo tra le mani. Si alzò. Era il dottor Valdarena. Apparve poi la portiera, emerse, cupa e cicciosa, dall’ombra del corridoio. Nulla 50     33 di notevole si sarebbe detto: entrati appena in camera da pranzo, sul parquet, tra la tavola e la credenza piccola, a terra… quella cosa orribile. Il corpo della povera signora giaceva in una posizione infame, supino, con la 34 gonna di lana grigia e una sottogonna bianca buttate all’indietro, fin quasi al petto: come se alcuno avesse voluto scoprire il candore affascinante di quel dessous, o 55     35 indagarne lo stato di nettezza. Aveva mutande bianche, di maglia a punto gentile, 36 sottilissimo, che terminavano a metà coscia in una delicata orlatura. Tra l’orlatura e le calze, ch’erano in una lieve luce di seta, denudò se stessa la bianchezza estrema della carne, d’un pallore da clorosi: quelle due cosce un po’ aperte, che i due 37 elastici – in un tono di lilla – parevano distinguere in grado, avevano perduto il 60     38 loro tepido senso, già si adeguavano al gelo: al gelo del sarcofago, e delle taciturne dimore. L’esatto officiare del punto a maglia, per lo sguardo di quei frequentatori 39 di domestiche, modellò inutilmente le stanche proposte d’una voluttà il cui ardore, 40 41 il cui fremito, pareva essersi appena esalato dalla dolce mollezza del monte, da quella riga, il segno carnale del mistero… quella che Michelangelo (don Ciccio 65     42 ne rivide la fatica, a San Lorenzo) aveva creduto opportuno di dover omettere. 43 Pignolerie! Lassa perde! 44 Le giarrettiere tese, ondulate appena agli orli, d’una ondulazione chiara di lattuga: l’elastico di seta lilla, in quel tono che pareva dare un profumo, 45 46 significava a momenti la frale gentilezza e della donna e del ceto, l’eleganza 70     47 spenta degli indumenti, degli atti, il secreto modo della sommissione, tramutata 48 ora nella immobilità di un oggetto, o come d’uno sfigurato manichino. Tese, le calze, in una eleganza bionda quasi una nuova pelle, dàtale (sopra il tepore creato) dalla fiaba degli anni nuovi, delle magliatrici blasfeme: le calze 49 50 incorticavano di quel velo di lor luce il modellato delle gambe, dei meravigliosi 75     51 52 ginocchi: delle gambe un po’ divaricate, come ad un invito orribile. Oh, gli occhi! 53 dove, chi guardavano? Il volto!… Oh, era sgraffiata, poverina! Fin sotto un occhio, sur naso!… Oh, quel viso! Com’era stanco, stanco, povera Liliana, quel capo, nel nimbo, che l’avvolgeva, dei capelli, fili tuttavia operosi della carità. Affilato nel 54 55 pallore, il volto: sfinito, emaciato dalla suzione atroce della Morte. 80     56 il sussurrare di coloro che abitavano nel palazzo. “Casigliano” è voce toscana che indica la persona che abita nella stessa casa ma non nella stessa famiglia. susurro delle casigliane: 32 grassa. cicciosa: 33 sconveniente. infame: 34 francese per “disotto”, a indicare la biancheria intima della donna. dessous: 35 pulizia. nettezza: 36 una forma di anemia. clorosi: 37 gli elastici lilla rendono evidente la gradazione cromatica delle cosce rispetto alle calze. parevano distinguere in grado: 38 il lavoro preciso e raffinato della biancheria indossata da Liliana. esatto… maglia: 39 degli agenti di polizia, abituati a frequentare donne di umile estrazione sociale. di quei… domestiche: 40 la biancheria si modella sulle zone intime di Liliana. Se fosse stata viva, esse avrebbero potuto indurre al desiderio di un piacere erotico, mentre ormai sono inutili. modellò… voluttà: 41 viene descritta in modo allusivo e delicato la parte esterna della vagina, che si intuisce sotto la biancheria. Il è il cosiddetto “monte di Venere”. dolce mollezza… mistero: 42 monte nell’osservare la scena, a don Ciccio viene in mente una scultura di Michelangelo (l’ ) nelle tombe medicee di San Lorenzo, a Firenze. Michelangelo… omettere: 43 Aurora lascia perdere! È Ingravallo che si rivolge a sé stesso. Lassa perde!: 44 l’orlatura delle giarrettiere ricorda, nella forma e nel colore, le foglie di lattuga. ondulazione… lattuga: 45 il colore dell’elastico crea un effetto sinestetico con il profumo del fiore lillà. pareva dare un profumo: 46 fragile. frale: 47 atteggiamento di chi riconosce e accetta la volontà degli altri. È un fugace riferimento ai doveri coniugali, ai modi in cui Liliana si concedeva al marito e che gli altri non potevano conoscere ( ). sommissione: 48 secreto modo le speranze degli anni futuri, belle e illusorie come una favola. fiaba degli anni nuovi: 49 riferimento denigratorio ( ) alle Parche, che con la loro opera di tessitrici decidevano il destino dei mortali. Nella mitologia classica, erano tre dee figlie della Notte: Cloto teneva la conocchia, Lachesi filava, Atropo tagliava il filo della vita. magliatrici blasfeme: 50 blasfeme ricoprivano, ornavano, come una sorta di buccia, di corteccia. incorticavano: 51 la forma. modellato: 52 la posizione oscena della donna, con le gambe leggermente aperte, fa pensare a un invito lussurioso, che diventa subito orribile in quanto essa è ormai cadavere. invito orribile: 53 i capelli biondi ricordano quasi un’aureola. nimbo: 54 frase di intensa densità analogica, che unisce l’idea dell’aureola (associata iconograficamente ai santi) con la propensione di Liliana alla carità e alla generosità verso i più bisognosi. Liliana viene descritta, insomma, come una sorta di martire. fili… carità: 55 il volto pallido e smagrito ( ) si presenta come sfinito, quasi che la morte le avesse succhiato via la vita. Affilato… Morte: 56 Affilato Un profondo, un terribile taglio rosso le apriva la gola, ferocemente. Aveva preso metà il collo, dal davanti verso destra, cioè verso sinistra, per lei, destra per loro che guardavano: sfrangiato ai due margini come da un reiterarsi dei colpi, 57 lama o punta: un orrore! da nun potesse vede. Palesava come delle filacce rosse, 58 59 all’interno, tra quella spumiccia nera der sangue, già raggrumato, a momenti; un 85     60 pasticcio! con delle bollicine rimaste a mezzo. Curiose forme, agli agenti: parevano buchi, al novizio, come dei maccheroncini color rosso, o rosa. «La trachea», mormorò Ingravallo chinandosi, «la carotide! la iugulare… Dio!». 61 Er sangue aveva impiastrato tutto er collo, er davanti de la camicetta, una 62 manica: la mano: una spaventevole colatura d’un rosso nero, da Faiti o da Cengio 90     63 (don Ciccio rammemorò subito, con un lontano pianto nell’anima, povera mamma!). S’era accagliato sul pavimento, sulla camicetta tra i due seni: n’era tinto 64 anche l’orlo della gonna, il lembo rovescio de quela vesta de lana buttata su, e 65 66 l’altra spalla: pareva si dovesse raggrinzare da un momento all’altro: doveva de 67 certo risultarne un coagulato tutto appiccicoso come un sanguinaccio. 95     68 69 Il naso e la faccia, così abbandonata, e un po’ rigirata da una parte, come de chi nun ce la fa più a combatte, la faccia! rassegnata alla volontà della Morte, apparivano offesi da sgraffiature, da unghiate: come ciavesse preso gusto, quer boja, a 70 71 volerla sfregiare a quel modo. Assassino! Gli occhi s’erano affisati orrendamente: a guardà che, poi? Guardaveno, guardaveno, 100  72 in direzzione nun se capiva da che, verso la credenza granne, in cima in 73 cima, o ar soffitto. Le mutandine nun ereno insanguinate: lasciaveno scoperti li du tratti de le cosce, come du anelli de pelle: fino a le calze, d’un biondo lucido. 74 La solcatura del sesso… pareva d’esse a Ostia d’estate, o ar Forte de marmo de 75 Viareggio, quanno so sdraiate su la rena a cocese, che te fanno vede tutto quello 105  76 77 che vonno. Co quele maje tirate tirate d’oggigiorno. 78 79 Ingravallo, a capo scoperto, pareva lo spettro di se stesso. Domandò: «L’avete mossa?». «No, dottore», gli risposero. «L’avete toccata?». «No». Del sangue era stato portato attorno dai tacchi, da le suole di qualcuno, sur parquet de legno, che poi si vedeva bene che ci aveveno messo drento li piedi, in quer pantano de spavento. 110  80 81 Ingravallo si irritò. Chi era stato?! «Sete na massa de burini!», minacciò. «Brutti 82 caprari de la Sgurgola!». 83 il collo appare increspato ai due lati a causa della ripetizione dei colpi che sono stati inferti da un lato all’altro con il coltello. sfrangiato… colpi: 57 da non potersi guardare, tanto è l’orrore che provoca la scena. da nun potesse vede: 58 presentava dei filamenti rossi. Palesava… rosse: 59 l’apparenza spumosa e il colore del sangue raggrumato. spumiccia nera: 60 la forma tubolare della trachea, della carotide e della giugulare farebbe pensare, a coloro che non hanno dimestichezza con l’anatomia umana (al novizio), ai maccheroncini, tipica pasta corta tubolare che si trova in varie regioni italiane. parevano… Dio!: 61 sporcato. impiastrato: 62 cime alpine del Friuli, luogo di sanguinose battaglie della Prima guerra mondiale. Il pensiero della guerra fa ricordare a don Ciccio quegli anni e il dolore, suo e della madre, che li ha accompagnati. L’immagine rimanda, ancora una volta, alla biografia di Gadda. da Faiti o da Cengio: 63 condensato come fa il caglio nel trasformare il latte in formaggio. accagliato: 64 rovesciato. rovescio: 65 quella. quela: 66 rapprendere, raccogliere. raggrinzare: 67 participio sostantivato per rendere l’immagine della coagulazione del sangue. coagulato: 68 salume formato con un impasto di sangue di maiale. sanguinaccio: 69 ci avesse. ciavesse: 70 nell’immaginario popolare romano, l’esecutore delle condanne capitali è l’incarnazione della ribalderia e della crudeltà. boja: 71  fissati. 72  affisati:  grande. 73  granne:  i due. 74  li du:  la linea della vagina che si percepisce attraverso le mutandine. 75  La solcatura del sesso:  sembrava di essere a Ostia, o a Forte dei Marmi di Viareggio. Ostia è municipio di Roma, da sempre è considerato il lido dei romani. Forte dei Marmi presso Viareggio è una località balnea­re toscana, famosa già durante il fascismo. 76  pareva d’esse… a Viareggio:  quando sono sdraiate sulla spiaggia ( ) a cuocersi ( ), cioè ad abbronzarsi. 77  quanno so sdraiate su la rena a cocese: su la rena cocese vogliono. 78  vonno:    quei costumi da bagno strettissimi. 79  quele maje tirate tirate:  dentro. 80  drento:  quella melma (il sangue) che faceva orrore. 81  quer pantano de spavento: siete una massa di villani e zotici. Anticamente “burini” erano i contadini che portavano il burro a Roma dalle campagne vicine. 82  Sete na massa de burini:    pastori di Sgurgola (località rurale nei pressi di Frosinone). Epiteto tipicamente romano usato per dileggiare, indicando la provenienza non romana e dunque la villania. 83  caprari de la Sgurgola:  >> pagina 953  Analisi ATTIVA I contenuti tematici L’attenzione, degna di uno scrittore naturalista, con cui la penna di Gadda si sofferma sui dettagli, anche macabri, del cadavere (la posizione indecorosa assunta dalla donna, la terribile ferita alla gola) provoca un senso di orrore e di disgusto: il narratore non lascia nulla sottinteso e riporta la realtà, con tutto il suo dolore e il suo disordine. Il bellissimo corpo di Liliana, il suo candore, la sua eleganza, l’equilibrio del suo volto e delle sue forme: tutto si perde e si sfalda di fronte allo strazio della morte, diventando (r. 52) e un (r. 110). Il “pasticcio”, che fino a questo punto del romanzo era stato rappresentato in modo grottesco e quasi comico, assume i caratteri della tragedia, irrompendo in modo inaspettatamente brutale. quella cosa orribile pantano de spavento  Come reagisce Ingravallo alla notizia? Individua i verbi che ne descrivono le reazioni. 1 L’irruzione del caos e dell’orrore La figura di Liliana, che agli occhi di Ingravallo incarna una sorta di essere puro, rovescia il modello della donna italiana veicolato dalla propaganda fascista, che esalta le madri prolifiche: se esse devono servire a “dare figli alla patria”, il personaggio è invece sterile, come persino il suo cognome da nubile sottolinea (Valdarena, “valle d’arena” ovvero “deserto”); non a caso il narratore indugia in modo quasi ossessivo sui dettagli intimi, dalle mutande alla pelle delle cosce, dalle giarrettiere alle calze fino, soprattutto, al monte di Venere. Ora la sua nascosta femminilità si anima di un’energia paradossalmente sottile e insinuante. La morte sembra d’un tratto aver donato alla defunta una desiderabilità prima mai avuta: perfino gli agenti (r. 111) sembrano colpiti dalla macabra sensualità del cadavere. burini  Individua nel testo i termini afferenti al campo semantico dell’eros. 2 La purezza e l’eros della morte D’altro canto, la continua ricerca condotta dalla donna per trovare “nipoti” da adottare (come si saprà nel prosieguo del racconto) lascia intravedere da un lato il bisogno di sublimare la maternità, dall’altro manifesta un interesse ambiguo, forse di natura omosessuale. Queste ragazze sono viste come figlie, e se – come sembra – è stata proprio una di loro a ucciderla, l’omicidio si presenta ancora una volta come un matricidio, proprio come avviene nella . Anche nel , dunque, Gadda inscena il proprio dramma personale, alludendo al consueto, autobiografico, insanabile senso di colpa. Pertanto non va sottovalutato il fugace riferimento che viene messo tra parentesi: (rr. 91-92), unico momento in cui nel romanzo si accenna al passato del commissario. Si tratta chiaramente di una sovrapposizione tra personaggio e autore. Cognizione del dolore Pasticciaccio don Ciccio rammemorò subito, con un lontano pianto nell’anima, povera mamma!  A quale momento della vita del commissario Ingravallo, condiviso anche dall’autore stesso, si allude nel testo? 3 L’elemento autobiografico  >> pagina 954  Le scelte stilistiche Ogni evento reale ha tante facce e può essere raccontato da prospettive diverse: questo sembra volerci dire lo scrittore nel narrare una delle scene centrali della storia. Solo in tal modo è possibile avvicinarsi alla completezza della realtà. Per rendere stilisticamente la sua visione delle cose, egli adotta la tecnica della moltiplicazione dei punti di vista. L’occhio dei personaggi si ferma più volte, per esempio, sulla ferita mortale alla gola, prima con l’accenno dello Sgranfia ( […] , rr. 26-29), poi con un’osservazione a metà tra il clinico ( , rr. 81-83) e l’addolorato ( , rr. 87-88). Co la gola tutta segata, tutta tajata da una parte. Ma vedesse che tajo, dottó! Un tajo! che manco er macellaro Aveva preso metà il collo, dal davanti verso destra, cioè verso sinistra, per lei, destra per loro che guardavano «La trachea», mormorò Ingravallo chinandosi, «la carotide! la iugulare… Dio!» In particolare, lo sguardo di Ingravallo si segnala per commozione e pietosa partecipazione ( […] , rr. 76-78), ma possiamo verosimilmente attribuire a lui anche le colte annotazioni suggerite dall’aspetto del cadavere, puntualmente registrate dal narratore: i vocaboli preziosi ( , r. 55; , r. 59; , r. 71; , r. 79), i riferimenti alti (Michelangelo, le Parche), le immagini poetiche (la , r. 58; , r. 65), le espressioni auliche ( , rr. 61-62; […] , r. 80). Oh, gli occhi! Oh, quel viso! Com’era stanco, stanco, povera Liliana dessous clorosi sommissione nimbo lieve luce di seta il segno carnale del mistero al gelo del sarcofago, e delle taciturne dimore il volto emaciato dalla suzione atroce della Morte  Con quale tecnica narrativa vengono rese le impressioni suscitate nel commissario Ingravallo dalla visione del cadavere? 4 La moltiplicazione dei punti di vista La voce di don Ciccio non è però l’unica: a essa si affianca quella, più bassa e grossolana, che riflette altre prospettive, come quelle dei presenti nella stanza, nel cui immaginario espressivo abbondano piuttosto metafore culinarie e considerazioni popolari ( , r. 98; , r. 104). come ciavesse preso gusto, quer boja pareva d’esse a Ostia d’estate A complicare la situazione intervengono alcune interferenze linguistiche che rompono l’omogeneità stilistica di un periodo o di un brano. Durante l’esame di Ingravallo, infatti, lo stile viene improvvisamente contaminato da un (r. 78) che non appartiene al suo modo di parlare e di osservare. Al contrario, nei capoversi finali in romanesco (da r. 89 in poi) compare il rapidissimo riferimento alle cime del Faiti e del Cengio che ripropongono bruscamente la focalizzazione sul commissario e sul suo lontano ricordo materno. La sovrapposizione dei codici linguistici e dei punti di vista è insomma volutamente ingarbugliata, come a dare l’impressione che lo strumento letterario non sia mai sufficiente a rendere con completezza ciò che la realtà mostra. sur naso!  Individua almeno due periodi in cui convivano registri linguistici differenti. 5 Tante voci, tanti linguaggi  >> pagina 955 Un’altra caratteristica notevole del brano è rappresentata dalle tonalità cromatiche. I colori che prevalgono sono il bianco e il rosso, un rosso scuro che sfuma verso il nero. Se il bianco rappresenta la purezza e la morte, ed è associato esclusivamente a Liliana (candida sin nel nome, che deriva dal latino , ovvero giglio, il fiore bianco per eccellenza), alla sua pelle, alla sua biancheria intima, il rosso/nero evoca il sangue raggrumato che oltraggia il pallore della carne, raffigurando l’orrore del caos e la violenza che stravolge l’ideale di bellezza simboleggiato dalla donna ( , r. 84; , r. 85; , r. 87). lilium filacce rosse spumiccia nera maccheroncini color rosso  Individua nel testo gli elementi a cui sono associate diverse tonalità di colore. 6   Colori chiari Colori scuri     L’opposizione cromatica intrecci   cinema Un maledetto imbroglio di Pietro Germi Portare sul grande schermo un romanzo complesso come il   è una vera impresa (anche Gadda, a fine anni Quaranta, ne ha tratto una sceneggiatura intitolata  , rimasta però sulla carta) che farebbe pensare a un cineasta d’avanguardia; sorprendentemente, a trasformare il libro in film è invece un regista legato alla tradizione come Pietro Germi (1914-1974), che nel 1959 dirige e interpreta  . Pasticciaccio Il palazzo degli Ori Un maledetto imbroglio Un adattamento di estrema originalità Il regista opera uno stravolgimento del romanzo originale. Innanzitutto, pur ricorrendo ai dialetti per la caratterizzazione di alcuni personaggi, accantona lo sperimentalismo linguistico. Poi, l’ambientazione è spostata nella Roma contemporanea di fine anni Cinquanta. Inoltre, il film non si conclude con un finale aperto, ma con l’arresto dell’assassino. Rivendicando l’autonomia del cinema rispetto alla letteratura, Germi si serve della trama gialla per realizzare il primo riuscito film poliziesco italiano. Il risultato è un’opera ben distinta dal romanzo (nonostante il copione venga approvato da Gadda), al punto da essere premiato con il Nastro d’argento per la migliore sceneggiatura originale. . Una messa alla berlina della borghesia A detta dello stesso Germi, il film è anche «un grande panorama di cose e personaggi, un quadro vasto e popoloso, ridondante e barocco». Le simpatie del regista vanno indubbiamente ai personaggi del proletariato, in primo luogo la domestica Assuntina (interpretata da Claudia Cardinale, che conferisce al personaggio spontaneità e umanità).   è infatti uno spietato ritratto della borghesia, una classe sociale all’apparenza rispettabile ma in realtà avida, gretta e che ha sempre qualcosa da nascondere: «È come in campagna quando smuovi un sasso e sotto ci trovi i vermi» afferma con amarezza Germi nei panni di Ingravallo. Un maledetto imbroglio