Lo sviluppo del pensiero leopardiano 4 La riflessione filosofica di Leopardi sulla condizione umana, intrecciata in modo indissolubile alla produzione letteraria, si snoda lungo l’arco di tutta la sua esistenza, disegnando un itinerario in cui si possono riconoscere . Quella che proporremo ora è una lettura a suo modo schematica e sicuramente semplificata, risalente a un saggio del 1907 dello studioso Bonaventura Zumbini (1836-1916). Si tratta di un’impostazione concettuale che coglie una verità di fondo, ovvero l’esistenza di un’evoluzione del pensiero leopardiano, ma che al tempo stesso risente della tendenza, tipica della critica di ascendenza romantico-positivistica, a vincolare lo sviluppo artistico e ideologico di un autore alle sue vicende biografiche o esperienze culturali. Le etichette e le categorie, con le quali si definisce e si classifica il pensiero o la produzione di uno scrittore, lasciano sempre a desiderare. Ciò vale a maggior ragione per un intellettuale complesso come Leopardi, ingabbiato dalla tradizione scolastica italiana entro la formula, indubbiamente stereotipata, del “pessimismo” (parola, tra l’altro, che si trova una volta sola nella sua opera, precisamente nello ). Il suo è infatti un conoscitivo , non regolato da un’organizzazione o da un sistema, procedendo per aggiunte e negazioni, continuità e fratture, aggiustamenti e perfino contraddizioni. diverse fasi Zibaldone percorso “aperto” Tuttavia è innegabile che il crocevia fondamentale del pensiero di Leopardi sia costituito dal superamento dell’idea della natura benigna. Nei due paragrafi che seguono spiegheremo come dall’idea fantastica della classicità come giovinezza felice del mondo e del genere umano avvenga l’appressamento «alla ragione e al vero»:  , ma che smorza definitivamente gli entusiasmi giovanili del poeta. un tragitto intellettuale che procede con dolorosa lentezza Il “pessimismo”: uno stereotipo di cui diffidare Il mito della natura benefica: il “pessimismo storico” All’inizi o della sua meditazione, fino alla cosiddetta “conversione filosofica” (1819), Leopardi si sofferma a riflettere sulla condizione esistenziale degli individui, caratterizzata da una  profonda infelicità . Interrogandosi sulla natura e sull’origine di tale stato, egli  contrappone l’età antica a quella attuale : mentre la prima si presenta ai suoi occhi come un’epoca ancora rasserenata dai sogni, dalle favole e dal contatto diretto con la natura, la seconda gli appare dominata da una ragione che ha privato gli esseri umani di illusioni e speranze, cancellando le consolazioni prodotte dalla «sterminata operazione della fantasia». Secondo Leopardi, gli antichi potevano aspirare alla felicità grazie all’immaginazione, all’ingenuità e agli slanci eroici e magnanimi, ispirati da generose illusioni. I moderni invece hanno irrimediabilmente perso tali capacità, imprigionati nell’angusta dimensione dell’«arido vero» e privati in tal modo della possibilità di risarcire la reale condizione di sofferenza con il confortante miraggio della gloria, dell’amicizia e della virtù. L’infelicità non è quindi un dato intrinseco alla natura umana, ma è legata allo sviluppo, alla civiltà, al progresso: ha insomma un’origine storica. Pertanto la critica ha definito questa prima fase della parabola conoscitiva leopardiana come quella del “pessimismo storico”: secondo una prospettiva che si richiama alla filosofia di Jean-Jacques Rousseau,   vista come   che nascondono i dolori dell’esistenza,  , che con la sua indagine razionale e scientifica della realtà ha svelato all’uomo l’ , sprofondandolo in un’angoscia senza rimedio e condannandolo a perdere l’innocenza, la spontaneità e, in ultima istanza, la stessa felicità. «La ragione è nemica d’ogni grandezza», scrive Leopardi in un brano dello  , datato 1817, poi ag alla natura fonte benigna delle piacevoli illusioni si contrappone la ragione inconsistenza delle sue fantasticherie Zibaldone giungendo che «pochi possono essere grandi (e nelle arti e nella poesia forse nessuno) se non sono dominati dalle illusioni». La contrapposizione antichi-moderni  >> pagina 45  Al 1820 risale il primo nucleo di pensieri dello   incentrati su quella che viene comunemente definita “teoria del piacere”, che costituisce uno snodo fondamentale nell’evoluzione del suo pensiero. Va subito premesso che l’elaborazione di questa teoria testimonia l’adesione del poeta al  , che nega la presenza di un principio metafisico regolatore dell’esistenza. In particolare si rivela fondamentale l’ , la corrente filosofica settecentesca, i cui massimi interpreti sono i francesi étienne Bonnot de Condillac e Paul Henri Thiry d’Holbach, che fa risalire alle facoltà sensoriali la fonte di tutte le conoscenze. Il piacere di cui parla Leopardi è infatti, almeno in questa fase della sua riflessione, di tipo fisico, unicamente legato ai sensi e non ideale o astratto: come si vedrà nei  , tutte le sensazioni che rimandano a questa sfera sono legate alla vista e soprattutto all’udito. Zibaldone materialismo meccanicistico eredità del sensismo Canti Leopardi mette in evidenza come   e non può esaurirsi in un sentimento definito o circoscritto né nel tempo né nell’estensione: la natura, però, ha dotato l’uomo di sensi inadeguati, che riescono a provare al massimo un singolo piacere, destinato a non essere mai del tutto soddisfacente. Proprio il meccanismo psicologico che stimola gli esseri viventi a cercare una felicità senza limiti li condanna così alla frustrazione di un   che rimane inevitabilmente  . Dalla sproporzione tra questo desiderio infinito e la finitezza della realtà deriva un  , che non può essere colmato in alcun modo e che costituisce la radice prima dell’infelicità. il desiderio del piacere non ha confini desiderio inappagato senso di vuoto La “teoria del piacere” «L’infelicità certa del mondo»: il “pessimismo cosmico” La convinzione che l’umanità sia condannata a una condizione di perenne inappagamento e l’appurata inconciliabilità tra esistenza e desiderio di felicità inducono Leopardi a rivedere profondamente il rapporto tra uomo e natura, delineato nella prima fase della sua riflessione. La lettura degli autori e dei filosofi greci, anch’essi inclini a ragionare sul dolore dell’esistenza, gli fa comprendere come anche il mondo classico fosse ben lontano da quel regno idealizzato di gioia e serenità che egli aveva mitizzato durante l’adolescenza. Come si intravede già nei componimenti dei primi anni Venti (per esempio, l’      T12, p. 99) e poi, in modo più radicale, nella stagione delle  , il poeta si convince che l’  non sia un fatto contingente né dipenda dall’evoluzione storica: essa è un  , che riguarda tutte le creature viventi e tutte le epoche. È la fase del cosiddetto “pessimismo cosmico”: il poeta rigetta ogni illusione e rovescia i termini del rapporto tra natura e civiltà, natura e ragione. Ultimo canto di Saffo ▶ Operette morali infelicità dato costitutivo e assoluto L’infelicità come dato assoluto L’approdo al materialismo induce infatti Leopardi a concepire la come un’entità meccanica nella quale vigono leggi e princìpi oggettivi finalizzati unicamente a conservare l’ordine cosmico secondo un inesorabile ciclo che comporta la vita e la morte degli individui e delle specie. Essa cessa di essere la dolce e benefica madre, immaginata in precedenza, e appare invece del tutto , vittima del suo imperturbabile ingranaggio che fa e disfa, crea e distrugge: «La natura, per necessità della legge di distruzione e riproduzione, e per conservare lo stato attuale dell’universo, è essenzialmente regolarmente e perpetuamente persecutrice e nemica mortale di tutti gl’individui d’ogni genere e specie, ch’ella dà in luce; e comincia a perseguitarli dal punto medesimo in cui gli ha prodotti» ( , 11 aprile 1829). natura indifferente alle sorti dell’uomo Zibaldone La natura indifferente  >> pagina 46  Al contrario la , prima giudicata colpevole per aver palesato la verità della condizione umana, è ora rivalutata come il solo , in particolare quelle prodotte dalle visioni spiritualistiche e provvidenzialistiche dell’universo. Essa consente di rivelare tutti gli «inganni […] dell’intelletto» ( ) che nascondono e abbelliscono la dura realtà, e al tempo stesso sprona gli esseri umani ad accettarla con dignità senza confidare nei falsi benefici di una fede religiosa. ragione antidoto contro le mistificazioni ideologiche Dialogo di Tristano e di un amico Il valore della ragione T5 La felicità non esiste , [165-167] Zibaldone Secondo Leopardi, il desiderio del piacere è connaturato all’esistenza; tuttavia, essendo illimitato, è destinato a non trovare mai soddisfazione: prima o poi tutti i piaceri reali, anche se realizzati, finiscono per essere deludenti. L’inutile ricerca del  piacere          (12-23 luglio 1820) Il sentimento della nullità di tutte le cose, la insufficienza di tutti i piaceri a riempierci  l’animo, e la tendenza nostra verso un infinito che non comprendiamo, forse proviene da una cagione semplicissima, e più materiale che spirituale. L’anima 1 umana (e così tutti gli esseri viventi) desidera sempre essenzialmente, e mira unicamente,  benché sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla felicità, che considerandola 5       bene, è tutt’uno col piacere. Questo desiderio e questa tendenza non ha limiti, perch’è  ingenita o congenita coll’esistenza, e perciò non può aver fine in questo o quel 2 piacere che non può essere infinito, ma solamente termina colla vita. E non ha limiti   . né per durata, 2. né per estensione. Quindi non ci può essere nessun piacere 1 che uguagli 1. né la sua durata, perché nessun piacere è eterno, 2. né la sua estensione,  10     perché nessun piacere è immenso, ma la natura delle cose porta che tutto esista 3 limitatamente, e tutto abbia confini, e sia circoscritto. Il detto desiderio del piacere non ha limiti per durata, perché, come ho detto, non finisce se non coll’esistenza, e quindi l’uomo non esisterebbe se non provasse questo desiderio. Non ha limiti per estensione perch’è sostanziale in noi, non come desiderio di uno o più piaceri, ma 15     come desiderio piacere. Ora una tal natura porta con se materialmente l’infinità, del perché ogni piacere è circoscritto, ma non piacere la cui estensione è indeterminata,  il e l’anima amando sostanzialmente il piacere, abbraccia tutta l’estensione 4 immaginabile di questo sentimento, senza poterla neppur concepire, perché non si può formare idea chiara di una cosa ch’ella desidera illimitata. Veniamo alle 20     conseguenze. Se tu desideri un cavallo, ti pare di desiderarlo come cavallo, e come piacere, ma in fatti lo desideri come piacere astratto e illimitato. Quando un tal 5 giungi a possedere il cavallo, trovi un piacere necessariamente circoscritto, e senti un vuoto nell’anima, perché quel desiderio che tu avevi effettivamente, non resta pago. Se anche fosse possibile che restasse pago per estensione, non potrebbe per 25     6 durata, perché la natura delle cose porta ancora che niente sia eterno. E posto che quella material cagione che ti ha dato un tal piacere una volta, ti resti sempre (per esempio tu hai desiderato la ricchezza, l’hai ottenuta, e per sempre), resterebbe materialmente, ma non più come cagione neppure di un tal piacere, perché questa è un’altra proprietà delle cose, che tutto si logori, e tutte le impressioni appoco a 30     poco svaniscano, e che l’assuefazione, come toglie il dolore, così spenga il piacere. […] E perciò tutti i piaceri debbono esser misti di dispiacere, come proviamo, perché  l’anima nell’ottenerli cerca avidamente quello che non può trovare, cioè una infinità di piacere, ossia la soddisfazione di un desiderio illimitato. causa. cagione: 1 insita o connaturata. ingenita o congenita: 2 comporta. porta: 3 poiché l’anima ama. l’anima amando: 4 in realtà. in fatti: 5 soddisfatto. pago: 6  >> pagina 47  Dentro il TESTO I contenuti tematici Dalla cultura illuministica e dai filosofi sensisti Leopardi ha ereditato la concezione della vita come ricerca della felicità, raggiungibile attraverso il piacere materiale, legato cioè alla percezione dei sensi. Purtroppo tale ricerca si rivela poi frustrata, irrisolta, negata: il piacere infatti rimane un’aspirazione, una chimera irraggiungibile e non diventa mai realtà. Quando sembra che esso sia realizzabile (come nel caso dell’agognato possesso di un cavallo, rr. 21-25), l’uomo va incontro presto all’  (r. 31) e alla delusione, poiché sperimenta il contrasto insuperabile tra l’infinità del desiderio e la finitezza del mondo. assuefazione Nell’aspirazione a una felicità infinita, che non si appaga della soddisfazione concreta e materiale ma anela a una tensione sconfinata, è possibile cogliere invece un’influenza del pensiero romantico. Quest’aspirazione, che non può essere né eliminata né gratificata, si tramuta così in frustrazione e in   (r. 24), destinato a non essere colmato mai. un vuoto nell’anima L’aspirazione umana al piacere Le scelte stilistiche Il brano presenta una forma argomentativa che evita inutili ornamenti retorici o abbellimenti letterari: del resto, al pari di tutte le altre note dello  , anche questa non nasce per essere pubblicata, ma come spunto personale di riflessione. Nella logica del ragionamento filosofico rientra, oltre a una certa tendenza schematica (si veda il ricorso, per due volte, all’enumerazione, rr. 9-11), la presenza costante dei connettivi logici e sintattici ( ,  ,  ,  ). Zibaldone Quindi Ora Se anche E perciò Dalla riflessione pacata all’enfasi drammatica Verso le COMPETENZE COMPRENDERE  Perché il desiderio di felicità dell’uomo non può essere mai del tutto soddisfatto? 1  Spiega il significato dell’esempio del cavallo. 2 ANALIZZARE  Il ragionamento filosofico si avvale di un lessico e una sintassi appropriati per tale funzione espressiva: trova qualche esempio nel testo. 3 Interpretare  Nel testo prevalgono i termini astratti o quelli concreti? Perché? 4 COMPETENZE LINGUISTICHE  Nel passo che hai letto, numerosissimi termini afferiscono al campo semantico della misura e della misurazione: individuali e dividili per categorie grammaticali, poi indica quali di essi hanno una morfologia differente da quella odierna. 5 Produrre  Rileggi attentamente le righe 33-35. Il piacere di cui parla Leopardi sembrerebbe essere il motore anche della nostra moderna società dei consumi, una società “desiderante” in cui tutto va ricercato e ottenuto subito, e la sensazione di inappagamento va colmata con un nuovo desiderio da soddisfare, procedendo così di piacere effimero in piacere effimero. Alla luce della riflessione di Leopardi, basandoti sulle tue esperienze personali e sulle tue conoscenze, come giudichi tutto ciò? Rifletti in un testo argomentativo di circa 40 righe. 6 Scrivere per raccontare.