T8 Dialogo della Natura e di un Islandese , 12 Operette morali Composta nel maggio 1824, l’operetta sviluppa un serrato confronto tra la natura, sotto forma di una statua colossale, e un islandese, che chiede ragione dei mali cui non riesce a sfuggire e che, nel suo viaggiare, ha visto colpire tutte le parti dell’universo. Leopardi sceglie un anonimo personaggio proveniente da una terra inospitale dove la potenza e la crudeltà della natura appaiono più chiaramente attraverso i fenomeni vulcanici che la caratterizzano. È una terra esotica e lontana, poco nota ai suoi tempi, e questo accentua l’atmosfera fantastica dell’incontro. La vita è in tutto male l’universo Un Islandese, che era corso per la maggior parte del mondo, e soggiornato in diversissime 1 terre; andando una volta per l’interiore dell’Affrica, e passando sotto la linea 2 equinoziale in un luogo non mai prima penetrato da uomo alcuno, ebbe un caso 3 simile a quello che intervenne a Vasco di Gama nel passare il Capo di Buona speranza; 4 quando il medesimo Capo, guardiano dei mari australi, gli si fece incontro, 5 sotto forma di gigante, per distorlo dal tentare quelle nuove acque. Vide da lontano 5 un busto grandissimo; che da principio immaginò dovere essere di pietra, e a somiglianza degli ermi colossali veduti da lui, molti anni prima, nell’isola di Pasqua. Ma 6 fattosi più da vicino, trovò che era una forma smisurata di donna seduta in terra, col busto ritto, appoggiato il dosso e il gomito a una montagna; e non finta ma viva; di 10 7 8 volto mezzo tra bello e terribile, di occhi e di capelli nerissimi; la quale guardavalo fissamente; e stata così un buono spazio senza parlare, all’ultimo gli disse. 9 Chi sei? che cerchi in questi luoghi dove la tua specie era incognita? NATURA 10 Sono un povero Islandese, che vo fuggendo la Natura; e fuggitala quasi tutto ISLANDESE il tempo della mia vita per cento parti della terra, la fuggo adesso per questa. 15 Così fugge lo scoiattolo dal serpente a sonaglio, finché gli cade in gola da NATURA se medesimo. Io sono quella che tu fuggi. La Natura? ISLANDESE naTura Non altri. 11 Me ne dispiace fino all’anima; e tengo per fermo che maggior disavventura 20 islandese di questa non mi potesse sopraggiungere. Ben potevi pensare che io frequentassi specialmente queste parti; dove naTura 12 non ignori che si dimostra più che altrove la mia potenza. Ma che era che ti moveva a fuggirmi? 13 aveva viaggiato. era corso: 1 attraverso le regioni più interne dell’Africa. per l’interiore dell’Affrica: 2 la linea dell’equatore. linea equinoziale: 3 Leopardi si riferisce a un episodio narrato nel poema , in cui l’autore portoghese Luiz de Camões (1524 ca-1580) racconta la circumnavigazione dell’Africa compiuta dal celebre navigatore Vasco da Gama (1469-1524). Vasco di Gama: 4 Lusiadi mari sconosciuti. nuove acque: 5 enormi busti di pietra. Si tratta dei colossi dal volto umano caratteristici dell’isola di Pasqua, in Polinesia. ermi colossali: 6 la schiena. il dosso: 7 non era una statua. non finta: 8 per un bel pezzo. un buono spazio: 9 sconosciuta, mai arrivata. incognita: 10 Non altri: nessun altro, proprio lei. 1 1 questi luoghi, sottintende: selvaggi e desolati. queste parti: 12 cosa ti spingeva a cercare di evitarmi? che era che ti moveva a fuggirmi?: 13 Tu dei sapere che io fino nella prima gioventù, a poche esperienze, fui 25 islandese 14 persuaso e chiaro della vanità della vita, e della stoltezza degli uomini; i quali 15 combattendo continuamente gli uni cogli altri per l’acquisto di piaceri che non dilettano, e di beni che non giovano; sopportando e cagionandosi scambievolmente infinite sollecitudini, e infiniti mali, che affannano e nocciono in effetto, 16 17 tanto più si allontanano dalla felicità, quanto più la cercano. Per queste 30 considerazioni, deposto ogni altro desiderio, deliberai, non dando molestia a chicchessia, non procurando in modo alcuno di avanzare il mio stato, non contendendo 18 con altri per nessun bene del mondo, vivere una vita oscura e tranquilla; e disperato dei piaceri, come di cosa negata alla nostra specie, non mi 19 proposi altra cura che di tenermi lontano dai patimenti. Con che non intendo 35 dire che io pensassi di astenermi dalle occupazioni e dalle fatiche corporali; che ben sai che differenza è dalla fatica al disagio, e dal viver quieto al vivere ozioso. E già nel primo mettere in opera questa risoluzione, conobbi per prova come 20 egli è vano a pensare, se tu vivi tra gli uomini, di potere, non offendendo alcuno, fuggire che gli altri non ti offendano; e cedendo sempre spontaneamente, e 40 21 contentandosi del menomo in ogni cosa, ottenere che ti sia lasciato un qualsivoglia 22 luogo, e che questo menomo non ti sia contrastato. Ma dalla molestia 23 degli uomini mi liberai facilmente, separandomi dalla loro società, e riducendomi in solitudine: cosa che nell’isola mia nativa si può recare ad effetto senza difficoltà. Fatto questo, e vivendo senza quasi verun’immagine di piacere, io 45 24 non poteva mantenermi però senza patimento: perché la lunghezza del verno, 25 l’intensità del freddo, e l’ardore estremo della state, che sono qualità di quel 26 luogo, mi travagliavano di continuo; e il fuoco, presso al quale mi conveniva passare una gran parte del tempo, m’inaridiva le carni, e straziava gli occhi col fumo; di modo che, né in casa né a cielo aperto, io mi poteva salvare da un perpetuo 50 disagio. Né anche potea conservare quella tranquillità della vita, alla quale principalmente erano rivolti i miei pensieri: perché le tempeste spaventevoli di mare e di terra, i ruggiti e le minacce del monte Ecla, il sospetto degl’incendi, 27 frequentissimi negli alberghi, come sono i nostri, fatti di legno, non intermettevano 28 29 mai di turbarmi. Tutte le quali incomodità in una vita sempre conforme 55 a se medesima, e spogliata di qualunque altro desiderio e speranza, e quasi di ogni altra cura, che d’esser quieta; riescono di non poco momento, e molto più 30 gravi che elle non sogliono apparire quando la maggior parte dell’animo nostro è occupata dai pensieri della vita civile, e dalle avversità che provengono dagli uomini. Per tanto veduto che più che io mi ristringeva e quasi mi contraeva in 60 me stesso, a fine d’impedire che l’esser mio non desse noia né danno a cosa 31 alcuna del mondo; meno mi veniva fatto che le altre cose non m’inquietassero e tribolassero; mi posi a cangiar luoghi e climi, per vedere se in alcuna parte della terra potessi non offendendo non essere offeso, e non godendo non patire. E a questa deliberazione fui mosso anche da un pensiero che mi nacque, che forse 65 32 tu non avessi destinato al genere umano se non solo un clima della terra (come tu hai fatto a ciascuno degli altri generi degli animali, e di quei delle piante), e certi tali luoghi; fuori dei quali gli uomini non potessero prosperare né vivere senza difficoltà e miseria; da dover essere imputate, non a te, ma solo a essi medesimi, quando eglino avessero disprezzati e trapassati i termini che fossero 70 33 prescritti per le tue leggi alle abitazioni umane. Quasi tutto il mondo ho cercato, e fatta esperienza di quasi tutti i paesi; sempre osservando il mio proposito, di non dar molestia alle altre creature, se non il meno che io potessi, e di procurare la sola tranquillità della vita. Ma io sono stato arso dal caldo fra i tropici, rappreso 34 dal freddo verso i poli, afflitto nei climi temperati dall’incostanza dell’aria, 75 infestato dalle commozioni degli elementi in ogni dove. Più luoghi ho veduto, 35 nei quali non passa un dì senza temporale: che è quanto dire che tu dai ciascun giorno un assalto e una battaglia formata a quegli abitanti, non rei verso te di 36 37 nessun’ingiuria. In altri luoghi la serenità ordinaria del cielo è compensata dalla frequenza dei terremoti, dalla moltitudine e dalla furia dei vulcani, dal ribollimento 80 sotterraneo di tutto il paese. Venti e turbini smoderati regnano nelle parti e nelle stagioni tranquille dagli altri furori dell’aria. Tal volta io mi ho sentito crollare il tetto in sul capo pel gran carico della neve, tal altra, per l’abbondanza delle piogge la stessa terra, fendendosi, mi si è dileguata di sotto ai piedi; alcune volte mi è bisognato fuggire a tutta lena dai fiumi, che m’inseguivano, come 85 38 fossi colpevole verso loro di qualche ingiuria. Molte bestie salvatiche, non provocate da me con una menoma offesa, mi hanno voluto divorare; molti serpenti avvelenarmi; in diversi luoghi è mancato poco che gl’insetti volanti non mi abbiano consumato infino alle ossa. Lascio i pericoli giornalieri, sempre imminenti all’uomo, e infiniti di numero; tanto che un filosofo antico non trova contro 90 39 al timore, altro rimedio più valevole della considerazione che ogni cosa è da temere. Né le infermità mi hanno perdonato; con tutto che io fossi, come sono ancora, non dico temperante, ma continente dei piaceri del corpo. Io soglio 40 prendere non piccola ammirazione considerando come tu ci abbi infuso tanta 41 e sì ferma e insaziabile avidità del piacere; disgiunta dal quale la nostra vita, 95 come priva di ciò che ella desidera naturalmente, è cosa imperfetta: e da altra parte abbi ordinato che l’uso di esso piacere sia quasi di tutte le cose umane la più nociva alle forze e alla sanità del corpo, la più calamitosa negli effetti in quanto a ciascheduna persona, e la più contraria alla durabilità della stessa vita. Ma in qualunque modo, astenendomi quasi sempre e totalmente da ogni diletto, 100 io non ho potuto fare di non incorrere in molte e diverse malattie: delle quali alcune mi hanno posto in pericolo della morte; altre di perdere l’uso di qualche membro, o di condurre perpetuamente una vita più misera che la passata; e tutte per più giorni o mesi mi hanno oppresso il corpo e l’animo con mille stenti e mille dolori. E certo, benché ciascuno di noi sperimenti nel tempo delle 105 infermità, mali per lui nuovi o disusati, e infelicità maggiore che egli non suole (come se la vita umana non fosse bastevolmente misera per l’ordinario); tu 42 non hai dato all’uomo, per compensarnelo, alcuni tempi di sanità soprabbondante e inusitata, la quale gli sia cagione di qualche diletto straordinario per qualità e per grandezza. Ne’ paesi coperti per lo più di nevi, io sono stato per 110 accecare: come interviene ordinariamente ai Lapponi nella loro patria. Dal sole 43 e dall’aria, cose vitali, anzi necessarie alla nostra vita, e però da non potersi fuggire, siamo ingiuriati di continuo: da questa colla umidità, colla rigidezza, e 44 con altre disposizioni; da quello col calore, e colla stessa luce: tanto che l’uomo non può mai senza qualche maggiore o minore incomodità o danno, starsene 115 esposto all’una o all’altro di loro. In fine, io non mi ricordo aver passato un giorno solo della vita senza qualche pena; laddove io non posso numerare quelli 45 che ho consumati senza pure un’ombra di godimento: mi avveggo che tanto ci è destinato e necessario il patire, quanto il non godere; tanto impossibile il viver quieto in qual si sia modo, quanto il vivere inquieto senza miseria: e mi risolvo 120 a conchiudere che tu sei nemica scoperta degli uomini, e degli altri animali, e di tutte le opere tue; che ora c’insidii ora ci minacci ora ci assalti ora ci pungi ora ci percuoti ora ci laceri, e sempre o ci offendi o ci perseguiti; e che, per costume e per instituto, sei carnefice della tua propria famiglia, de’ tuoi figliuoli e, per dir 46 così, del tuo sangue e delle tue viscere. Per tanto rimango privo di ogni speranza: 125 avendo compreso che gli uomini finiscono di perseguitare chiunque li fugge o 47 si occulta con volontà vera di fuggirli o di occultarsi; ma che tu, per niuna cagione, non lasci mai d’incalzarci, finché ci opprimi. E già mi veggo vicino il tempo amaro e lugubre della vecchiezza; vero e manifesto male, anzi cumulo di mali e di miserie gravissime; e questo tuttavia non accidentale, ma destinato da te per 130 legge a tutti i generi de’ viventi, preveduto da ciascuno di noi fino nella fanciullezza, e preparato in lui di continuo, dal quinto suo lustro in là, con un tristissimo 48 declinare e perdere senza sua colpa: in modo che appena un terzo della vita degli uomini è assegnato al fiorire, pochi istanti alla maturità e perfezione, tutto il rimanente allo scadere, e agl’incomodi che ne seguono. 135 Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa naTura vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed 49 50 ho l’intenzione a tutt’altro, che alla felicità degli uomini o all’infelicità. Quando io vi offendo in qualunque 140 modo e con qual si sia mezzo, io non me n’avveggo, se 51 non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse 145 di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei. ancora poco esperto. a poche esperienze: 14 e mi fu chiaro. e chiaro: 15 preoccupazioni. sollecitudini: 16 producono conseguenze dolorose. nocciono in effetto: 17 non mettendomi in competizione. non contendendo: 18 non sperando di poter ottenere alcun piacere. disperato dei piaceri: 19 come iniziai a mettere in pratica questa decisione. nel primo… risoluzione: 20 evitare. fuggire: 21 minimo. menomo: 22 messo in discussione. contrastato: 23 nessun accenno. verun’immagine: 24 inverno. verno: 25 estate. state: 26 il vulcano Hekla, il maggiore dell’Islanda. monte Ecla: 27 abitazioni. alberghi: 28 smettevano (latinismo). intermettevano: 29 assumono una certa importanza. riescono… momento: 30 limitavo le esigenze e quasi mi chiudevo in me stesso, in solitudine. mi… in me stesso: 31 Leopardi fa riferimento a un pensiero annotato nello il 17 aprile 1824. Il poeta osserva come la natura abbia destinato agli animali un ambiente particolare e specifico, dove le condizioni sono più favorevoli alla loro esistenza; quindi si chiede perché questo non dovrebbe valere anche per gli uomini: «Ora perché questi argomenti saranno invalidi nell’uomo solo?» un pensiero che mi nacque: 32 Zibaldone confini, limiti. termini: 33 congelato. rappreso: 34 perturbazioni atmosferiche. commozioni degli elementi: 35 una vera e propria battaglia. battaglia formata: 36 colpevoli. rei: 37 a gran velocità, d’urgenza. a tutta lena: 38 Leopardi riprende l’affermazione del filosofo latino Seneca: «Se non volete temere nulla, pensate che tutto è da temere» ( , VI, 2). un filosofo antico: 39 Naturales quaestiones non solo moderato, ma del tutto astenendomi dalla ricerca dei piaceri. non dico… continente: 40 io mi meraviglio grandemente. Io soglio… ammirazione: 41 normalmente. per l’ordinario: 42 popolazione stanziata nelle regioni settentrionali della Norvegia, della Svezia e della Finlandia. Lapponi: 43 freddo rigido. rigidezza: 44 mentre. laddove: 45 per abitudine e per una precisa legge. per costume e per instituto: 46 smettono. finiscono: 47 dopo i venticinque anni. dal quinto suo lustro in là: 48 nel mio creare, dare leggi, operare. nelle fatture… operazioni mie: 49 escludendone. trattone: 50 : io non me ne accorgo. 51 io non me ne avvengo Caspar David Friedrich, , 1823-1824. Amburgo, Hamburger Kunsthalle. Il mare artico o il naufragio della speranza Ponghiamo caso che uno m’invitasse spontaneamente a una sua villa, islandese 52 con grande instanza, e io per compiacerlo vi andassi. Quivi mi fosse dato 53 per dimorare una cella tutta lacera e rovinosa, dove io fossi in continuo pericolo di essere oppresso; umida, fetida, aperta al vento e alla pioggia. Egli, non 150 che si prendesse cura d’intrattenermi in alcun passatempo o di darmi alcuna comodità, per lo contrario appena mi facesse somministrare il bisognevole a sostentarmi; e oltre di ciò mi lasciasse villaneggiare, schernire, minacciare e 54 battere da’ suoi figliuoli e dall’altra famiglia. Se querelandomi io seco di questi mali trattamenti, mi rispondesse: forse che ho fatto io questa villa per te? o 155 mantengo io questi miei figliuoli, e questa mia gente, per tuo servigio? e, bene ho altro a pensare che de’ tuoi sollazzi, e di farti le buone spese; a questo 55 replicherei: vedi, amico, che siccome tu non hai fatto questa villa per uso mio, così fu in tua facoltà di non invitarmici. Ma poiché spontaneamente hai voluto che io ci dimori, non ti si appartiene egli di fare in modo, che io, quanto è in 160 56 tuo potere, ci viva per lo meno senza travaglio e senza pericolo? Così dico ora. So bene che tu non hai fatto il mondo in servigio degli uomini. Piuttosto crederei che l’avessi fatto e ordinato espressamente per tormentarli. Ora domando: t’ho io forse pregato di pormi in questo universo? o mi vi sono intromesso violentemente, e contro tua voglia? Ma se di tua volontà, e senza mia saputa, 165 e in maniera che io non poteva sconsentirlo né ripugnarlo, tu stessa, colle 57 tue mani, mi vi hai collocato; non è egli dunque ufficio tuo, se non tenermi 58 lieto e contento in questo tuo regno, almeno vietare che io non vi sia tribolato e straziato, e che l’abitarvi non mi noccia? E questo che dico di me, dicolo di 59 tutto il genere umano, dicolo degli altri animali e di ogni creatura. 170 Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest’universo è un perpetuo naTura circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra se di maniera, che ciascheduna serve continuamente all’altra, ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o l’una o l’altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento. 175 Cotesto medesimo odo ragionare a tutti i filosofi. Ma poiché quel che è islandese distrutto, patisce; e quel che distrugge, non gode, e a poco andare è distrutto medesimamente; dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire: a chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell’universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono? 180 Mentre stavano in questi e simili ragionamenti è fama che sopraggiungessero due leoni, così rifiniti e maceri dall’inedia, che appena ebbero forza di mangiarsi 60 quell’Islandese; come fecero; e presone un poco di ristoro, si tennero in vita per quel giorno. Ma sono alcuni che negano questo caso, e narrano che un fierissimo 61 vento, levatosi mentre che l’Islandese parlava, lo stese a terra, e sopra gli edificò un 185 superbissimo mausoleo di sabbia: sotto il quale colui disseccato perfettamente, 62 e divenuto una bella mummia, fu poi ritrovato da certi viaggiatori, e collocato nel museo di non so quale città di Europa. Ponghiamo caso: 52 facciamo l’ipotesi. insistenza. instanza: 53 insultare. villaneggiare: 54 occuparmi del tuo divertimento e di mantenerti negli agi. pensare… buone spese: 55 non ti spetta. non ti si appartiene: 56 senza che io lo sapessi, né potessi accettarlo o rifiutarlo. senza mia saputa… ripugnarlo: 57 tuo compito (latinismo). ufficio tuo: 58 nuoccia. noccia: 59 così esausti e indeboliti dalla fame. così rifiniti e maceri dall’inedia: 60 violentissimo. fierissimo: 61 monumento funebre. mausoleo: 62 >> pagina 65 Dentro il TESTO I contenuti tematici Seguendo il principio di varietà che domina in tutta la raccolta, il protagonista di questa operetta non è un personaggio mitico né favoloso né storico né reale, bensì un uomo sconosciuto, identificato solo dal paese di provenienza da cui è scappato per sfuggire all’azione della natura. Lo spunto venne a Leopardi probabilmente da un’opera di Voltaire, la , nella quale un ateo, per dimostrare l’inesistenza di Dio, descrive i mali che affliggono l’umanità, portando a esempio il gelo che attanaglia la remota Islanda. L’interlocutore, però, opponeva a questo punto di vista le ragioni del deismo, ovvero di una concezione razionale della divinità come ente ordinatore dell’universo; Leopardi invece propone una concezione della vita radicalmente materialistica, nella quale la natura, indifferente al bene del singolo, appare come la causa prima della sua sventura. Storia di Jenni L’interpretazione personale di una fonte letteraria Dopo un lungo vagabondare, l’Islandese incontra infatti proprio la personificazione della natura, sotto la forma statuaria di una donna gigantesca che gli rivolge alcune domande per conoscere le ragioni della sua fuga affannosa. Ne scaturisce un dialogo surreale, in cui l’autore esprime il nucleo fondamentale della propria filosofia, riassumibile nel concetto che l’uomo non è stato creato per essere collocato al centro del mondo. A nulla servono i suoi tentativi non già di cercare un’impossibile felicità, ma almeno di vivere una vita oscura e tranquilla (rr. 33-34) isolandosi e allontanandosi dalla società: lo stato di natura, in cui trascorrere un’esistenza libera e serena, si rivela come un’utopia o una menzogna; il viaggio o la fuga non possono soddisfare il desiderio di conoscere una realtà diversa da quella che si manifesta, puntualmente, a tutti gli uomini in tutte le regioni del mondo. Si può sfuggire forse ai mali causati dagli altri uomini, ma non a quelli provocati dalla natura, che tormenta l’uomo e lo strazia in mille modi, pur non volendolo, ma semplicemente garantendo il ciclo generale della produzione e della distruzione o attraverso le sue normali manifestazioni, connesse con gli eventi meteorologici e l’avvicendarsi delle stagioni. L’argomentazione della Natura è spietata e gelida nella sua raziocinante impassibilità: la sua indifferenza rispetto alla sorte dei suoi figli non ammette deroghe ( , r. 124, le dice l’Islandese) e il suo unico scopo è quello di osservare l’incessante succedersi di nascita e morte, necessario per la sopravvivenza dell’universo: se anche tutta la specie umana si estinguesse, lei neppure se ne accorgerebbe ( , rr. 145-146). Della natura benigna vagheggiata nella prima fase del pensiero leopardiano, insomma, non c’è più traccia. sei carnefice della tua propria famiglia se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei L’Islandese simbolo dell’umanità Possiamo immaginare che con la stessa testardaggine con cui ha percorso terre lontane e diverse, incontrando temporali (r. 77) , terremoti (r. 80) , Venti e turbini smoderati (r. 81) piogge (r. 84) nell’ingenua speranza di schivare la sofferenza, l’Islandese avrebbe ripreso la sua requisitoria contro l’interlocutrice: la morte improvvisa però glielo impedisce. Sia che sia stato divorato da due leoni, sia che sia stato travolto dal vento e trasformato in una mummia, la sua sorte conferma il ruolo della natura in relazione agli esseri umani: nel primo caso l’Islandese, diventato cibo per altri animali, fa parte del circuito naturale; nel secondo gli è stato concesso di vivere quietamente, ma privato dell’umanità, ridotto a un corpo senza coscienza. Un doppio finale rivelatore >> pagina 66 Le scelte stilistiche Questa operetta si configura come un dialogo vero e proprio, dove due personaggi si scambiano domande e risposte e confrontano opinioni diverse. L’atteggiamento e il modo di esprimersi dei due interlocutori sono però differenti: l’Islandese pone domande insistenti e incalzanti, ricevendo risposte secche e distaccate da parte della Natura. Il primo articola estesamente le proprie argomentazioni con un gran numero di esempi e situazioni vissute, richiamando anche l’opinione dei filosofi: in alcuni passi è possibile ritrovare influenze di scritti di Voltaire, come nella domanda finale, che riprende una voce del . La sua è un’eloquenza appassionata, che nell’elencare i patimenti subiti, ricorre ora al tono recriminatorio del lamento, ora a quello aggressivo e indignato dell’invettiva. Così si spiega il suo eloquio fatto di frasi ampie e complesse, con l’uso di un lessico spesso ricercato, lontano dall’uso comune e caratterizzato da parole rare ( , r. 166), arcaicizzanti ( , r. 147), latinismi ( , r. 168) e termini utilizzati con significati oggi obsoleti ( , r. 92, per “risparmiato”, , r. 54, per “abitazioni” ecc.). Dizionario filosofico sconsentirlo Ponghiamo vietare che… non perdonato alberghi Ben diverso lo stile argomentativo della Natura, a cui non servono espressioni ricercate e gli strumenti di una retorica raffinata per affermare con lapidaria freddezza le sue verità. Per fare cadere miseramente le illusioni dell’umanità basta una domanda arida, quasi cinica: Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? (rr. 136-137). Le tecniche diverse in un “dialogo filosofico” Verso le COMPETENZE Comprendere Individua i diversi tipi di dolore che, secondo l’Islandese, prova l’essere vivente; ritrova gli esempi distinguendoli secondo: 1 dolori veri e propri; a disagi sopportabili; b mali dell’età; c conseguenze di eventi metereologici straordinari; d conflitti tra uomini; e conflitti tra esseri viventi. f 2 Quali sono le “domande esistenziali” che, al termine dell’operetta, l’Islandese rivolge alla Natura? ANALIZZARE 3 Dividi il dialogo in macrosequenze, distinguendo quelle narrative, dialogiche e monologiche: quale struttura assume, nel suo complesso, il testo? 4 In quali punti del testo l’autore fa ricorso alla strategia dell’accumulazione? Per sottolineare che cosa? Quali differenze si possono individuare tra le battute dell’Islandese e quelle della Natura dal punto di vista lessicale e retorico? 5 6 In quali punti dell’operetta individui concetti presenti nei testi leopardiani che hai già affrontato? INTERPRETARE 7 L’Islandese accenna a una partizione in età della vita umana: quali osservazioni puoi fare? 8 È possibile affermare, che, al momento del loro incontro, la Natura appare come “sublime” all’Islandese? Perché? Perché, a tuo giudizio, il dialogo risulta particolarmente efficace per esprimere il pensiero leopardiano? 9 Produrre Spiega e commenta la seguente battuta dell’Islandese: (rr. 176-180). 10 Scrivere per esporre. Ma poiché quel che è distrutto, patisce; e quel che distrugge, non gode, e a poco andare è distrutto medesimamente; dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire: a chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell’universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono? 11 Scrivere per argomentare. Ti sembra che la concezione della Natura presente nell’operetta sia ancora oggi attuale? Perché? Esponi le tue considerazioni in un testo argomentativo di circa 30 righe.