T10 Dialogo di Plotino e di Porfirio , 22 Operette morali Composto nel 1827, il dialogo affronta il tema del suicidio, trattato attraverso il confronto tra Plotino e Porfirio, due filosofi neoplatonici vissuti tra il II e III secolo d.C. Il primo si è reso conto che l’amico, consapevole della vanità della vita, sta meditando di suicidarsi e cerca di fargli cambiare idea. Ciascuno dei due filosofi propone validi argomenti a sostegno di tesi opposte: Porfirio afferma che la morte è l’unica via d’uscita dall’infelicità cui sono destinati gli uomini; Plotino oppone al lucido ragionamento dell’interlocutore una serie di considerazioni sull’istinto di conservazione insito in tutti gli esseri e lo invita a non causare, con la sua morte volontaria, dolore a coloro che lo amano, sostenendo il valore della solidarietà e dell’amore tra gli uomini. La   che vince sulla  vita morte Una volta essendo io Porfirio entrato in pensiero di levarmi la vita, Plotino se ne avvide: e venutomi innanzi improvvisamente, che io era in casa; e dettomi, non procedere sì fatto pensiero da discorso di mente sana, ma da qualche indisposizione  malinconica; mi strinse che io mutassi paese. 1 […] Porfirio, tu sai ch’io ti sono amico; e sai quanto: e non ti dei maravigliare 5       PLOTINO 2 se io vengo osservando i tuoi fatti e i tuoi detti e il tuo stato con una certa curiosità;  perché nasce da questo, che tu mi stai sul cuore. Già sono più giorni che 3 io ti veggo tristo e pensieroso molto; hai una certa guardatura, e lasci andare 4 certe parole: in fine, senza altri preamboli e senza aggiramenti, io credo che tu abbi in capo una mala intenzione. 10     Come, che vuoi tu dire? Porfirio Una mala intenzione contro te stesso. Il fatto è stimato cattivo augurio a PloTino nominarlo. Vedi, Porfirio mio, non mi negare il vero; non far questa ingiuria 5 6 a tanto amore che noi ci portiamo insieme da tanto tempo. So bene che io ti fo dispiacere a muoverti questo discorso; e intendo che ti sarebbe stato caro 15     di tenerti il tuo proposito celato: ma in cosa di tanto momento io non poteva tacere; e tu non dovresti avere a male di conferirla con persona che ti vuol 7 tanto bene quanto a se stessa. Discorriamo insieme riposatamente, e andiamo 8 pensando le ragioni: tu sfogherai l’animo tuo meco, ti dorrai, piangerai; che 20     9 io merito da te questo: e in ultimo io non sono già per impedirti che tu non 10 facci quello che noi troveremo che sia ragionevole, e di tuo utile. Io non ti ho mai disdetto cosa che tu mi domandassi, Plotino mio. Ed Porfirio 11 ora confesso a te quello che avrei voluto tener segreto, e che non confesserei ad altri per cosa alcuna del mondo; dico che quel che tu immagini della mia intenzione, è la verità. Se ti piace che noi ci ponghiamo a ragionare sopra questa 25     materia; benché l’animo mio ci ripugna molto, perché queste tali deliberazioni pare che si compiacciano di un silenzio altissimo, e che la mente in così fatti pensieri ami di essere solitaria e ristretta in se medesima più che mai; pure io 12 sono disposto di fare anche di ciò a tuo modo. Anzi incomincerò io stesso; e ti dirò che questa mia inclinazione non procede da alcuna sciagura che mi sia 30     intervenuta, ovvero che io aspetti che mi sopraggiunga: ma da un fastidio della vita; da un tedio che io provo, così veemente, che si assomiglia a dolore e a spasimo;  da un certo non solamente conoscere, ma vedere, gustare, toccare la vanità di ogni cosa che mi occorre nella giornata. Di maniera che non solo l’intelletto 13 mio, ma tutti i sentimenti, ancora del corpo, sono (per un modo di dire strano, 35     ma accomodato al caso) pieni di questa vanità. E qui primieramente non mi 14 potrai dire che questa mia disposizione non sia ragionevole: se bene io consentirò  facilmente che ella in buona parte provenga da qualche mal essere corporale.  Ma ella nondimeno è ragionevolissima: anzi tutte le altre disposizioni degli uomini fuori di questa, per le quali, in qualunque maniera, si vive, e stimasi che 40     la vita e le cose umane abbiano qualche sostanza; sono, qual più qual meno, rimote dalla ragione, e si fondano in qualche inganno e in qualche immaginazione  falsa. E nessuna cosa è più ragionevole che la noia. I piaceri sono tutti 15 vani. Il dolore stesso, parlo di quel dell’animo, per lo più è vano: perché se tu guardi alla causa ed alla materia, a considerarla bene, ella è di poca realtà o di 45     nessuna. Il simile dico del timore; il simile della speranza. Solo la noia, la qual nasce sempre dalla vanità delle cose, non è mai vanità, non inganno; mai non è fondata in sul falso. E si può dire che, essendo tutto l’altro vano, alla noia riducasi,  e in lei consista, quanto la vita degli uomini ha di sostanzievole e di reale. 16  e venuto a trovarmi a casa, senza preavviso, dopo avermi detto che un tal proposito non poteva nascere da un ragionamento equilibrato, ma da qualche disturbo dell’umore, mi costrinse a cambiare idea.  e venutomi… paese: 1  devi.  dei: 2  mi stai a cuore.  mi stai sul cuore: 3  modo di guardare.  guardatura: 4  Plotino non vuole neppure nominare ciò che teme che l’amico voglia fare.  Il fatto… a nominarlo: 5  non nascondermi la verità.  non mi negare il vero: 6  confidarla.  conferirla: 7  con calma.  riposatamente: 8  ti lamenterai.  ti dorrai: 9  non intendo.  non sono già: 10  io non ti ho mai negato.  non ti ho mai disdetto: 11  concentrata.  ristretta: 12  Porfirio sottolinea come il suo proposito sia dovuto non solo a considerazioni astratte, ma a una condizione materiale che passa attraverso precise percezioni sensoriali ( , r. 35).  da un certo… vanità di ogni cosa: 13 i sentimenti… del corpo  c’è un contrasto semantico tra pienezza e vanità, che Porfirio definisce appunto , insolito, ma che spiega bene la situazione in cui si trova.  pieni di questa vanità: 14 strano  Porfirio rivendica la razionalità del suo stato d’animo, che in parte proviene da problemi fisici ( ), ma soprattutto si basa sul riconoscimento dell’inconsistenza, della vanità di tutte le cose, che non sono altro che illusioni ingannevoli.  E qui primieramente… falsa: 15 mal essere corporale  sia i piaceri sia il dolore sono vani, fuggevoli e inconsistenti; solo la noia è concreta ( ) e reale nella vita degli uomini.  alla noia… reale: 16 sostanzievole Sia così. Non voglio ora contraddirti sopra questa parte. Ma noi dobbiamo  50     PLOTINO adesso considerare il fatto che tu vai disegnando: dico, considerarlo più 17 strettamente, e in se stesso. Io non ti starò a dire che sia sentenza di Platone, 18 come tu sai, che all’uomo non sia lecito, in guisa di servo fuggitivo, sottrarsi di propria autorità da quella quasi carcere nella quale egli si ritrova per volontà degli Dei; cioè privarsi della vita spontaneamente. 55     Ti prego, Plotino mio; lasciamo da parte adesso Platone, e le sue dottrine,  Porfirio e le sue fantasie. Altra cosa è lodare, commentare, difendere certe opinioni nelle scuole e nei libri; ed altra è seguitarle nell’uso pratico. Alla scuola e nei libri, siami stato lecito approvare i sentimenti di Platone e seguirli; poiché tale è l’usanza oggi: nella vita, non che gli approvi, io piuttosto gli abbomino. So 60     19 ch’egli si dice che Platone spargesse negli scritti suoi quelle dottrine della vita avvenire, acciocché gli uomini, entrati in dubbio e in sospetto circa lo stato loro dopo la morte; per quella incertezza, e per timore di pene e di calamità future, si ritenessero nella vita dal fare ingiustizia e dalle altre male opere. Che se io 20 stimassi che Platone fosse stato autore di questi dubbi, e di queste credenze; e 65     che elle fossero sue invenzioni; io direi: tu vedi, Platone, quanto o la natura o il fato o la necessità, o qual si sia potenza autrice e signora dell’universo, è stata ed è perpetuamente inimica alla nostra specie. Alla quale molte, anzi innumerabili ragioni potranno contendere quella maggioranza che noi, per altri titoli, ci 21 arroghiamo di avere tra gli animali; ma nessuna ragione si troverà che le tolga 70     quel principato che l’antichissimo Omero le attribuiva; dico il principato della infelicità. Tuttavia la natura ci destinò per medicina di tutti i mali la morte: 22 la quale da coloro che non molto usassero il discorso dell’intelletto, saria poco temuta; dagli altri desiderata. E sarebbe un conforto dolcissimo nella vita nostra,  23 piena di tanti dolori, l’aspettazione e il pensiero del nostro fine. Tu con 75     questo dubbio terribile, suscitato da te nelle menti degli uomini, hai tolta da questo pensiero ogni dolcezza, e fattolo il più amaro di tutti gli altri. Tu sei cagione  che si veggano gl’infelicissimi mortali temere più il porto che la tempesta, e rifuggire coll’animo da quel solo rimedio e riposo loro, alle angosce presenti e agli spasimi della vita. Tu sei stato agli uomini più crudele che il fato o la necessità  80     o la natura. E non si potendo questo dubbio in alcun modo sciorre, né le 24 menti nostre esserne liberate mai, tu hai recati per sempre i tuoi simili a questa condizione, che essi avranno la morte piena d’affanno, e più misera che la vita. Perciocché per opera tua, laddove tutti gli altri animali muoiono senza timore alcuno, la quiete e la sicurtà dell’animo sono escluse in perpetuo dall’ultima ora 85     dell’uomo. Questo mancava, o Platone, a tanta infelicità della specie umana. […]  il suicidio che tu stai progettando.  il fatto che tu vai disegnando: 17  alla sua dottrina si rifanno i filosofi neoplatonici, tra cui Plotino e Porfirio, i quali riprendono la concezione dell’anima immortale, che desidera liberarsi del corpo per tornare alla sua sede eterna. Da questa concezione di una vita ultraterrena, deriva una morale che, come spiega Porfirio in passi successivi del dialogo, dovrebbe spingere gli uomini ad agire secondo giustizia.  Platone: 18  in teoria, mi può essere consentito approvare le convinzioni di Platone, secon- do l’attuale conformismo, ma nella vita reale io le disapprovo e le condanno. In questa affermazione c’è un certo sarcasmo da parte di Leopardi verso gli intellettuali spiritualisti del suo tempo.  Alla scuola e nei libri, siami stato lecito… io piuttosto gli abbomino: 19  la polemica leopardiana, attraverso i neoplatonici, si indirizza ai cattolici, che credono nella vita eterna e nel premio o nella punizione nell’aldilà. Sono temi che il poeta riprenderà nella ( T23, p. 149).  per quella incertezza… male opere: 20 Ginestra ▶   superiorità.  maggioranza: 21  secondo Omero il primato ( ) che hanno gli uomini rispetto agli altri esseri è quello della maggior infelicità.  quel principato… dico il principato della infelicità: 22 principato  anche da chi fa poco uso della propria ragione non sarebbe temuta, da chi ci ha riflettuto sarebbe addirittura desiderata.  da coloro… altri desiderata: 23  sciogliere.  sciorre: 24 Porfirio, veramente io amo Platone, come tu sai. Ma non è già per questo, PloTino che io voglia discorrere per autorità; massimamente poi teco e in una questione tale: ma io voglio discorrere per ragione. E se ho toccato così alla sfuggita quella  90     25 tal sentenza platonica, io l’ho fatto più per usare come una sorta di proemio, che per altro. E ripigliando il ragionamento ch’io aveva in animo, dico che non Platone o qualche altro filosofo solamente, ma la natura stessa par che c’insegni che il levarci dal mondo di mera volontà nostra, non sia cosa lecita. Non accade che io mi distenda circa questo articolo: perché se tu penserai un poco, non 95     26 può essere che tu non conosca da te medesimo che l’uccidersi di propria mano 27 senza necessità, è contro natura. Anzi, per dir meglio, è l’atto più contrario a natura,  che si possa commettere. Perché tutto l’ordine delle cose saria sovvertito, se quelle si distruggessero da se stesse. E par che abbia repugnanza che uno si vaglia della vita a spegnere essa vita, che l’essere ci serva al non essere. Oltre che se pur 100  28 cosa alcuna ci è ingiunta e comandata dalla natura, certo ci comanda ella strettissimamente  e sopra tutto, e non solo agli uomini, ma parimente a qualsivoglia creatura dell’universo di attendere alla conservazione propria, e di procurarla 29 in tutti i modi; ch’è il contrario appunto dell’uccidersi. E senza altri argomenti, non sentiamo noi che la inclinazione nostra da per se stessa ci tira, e ci fa odiare 105  30 la morte, e temerla, ed averne orrore, anche a dispetto nostro? Or dunque, poiché  31 questo atto dell’uccidersi, è contrario a natura; e tanto contrario quanto noi veggiamo; io non mi saprei risolvere che fosse lecito.  Plotino non vuole discutere basandosi sull’autorità dei testi e degli autori, come Platone, ma sulla ragione.  discorrere per autorità… ma io voglio discorrere per ragione: 25  punto.  articolo: 26  che tu non ti renda conto.  che tu non conosca: 27  e sembra un’azione contronatura che la forza vitale sia ottenere la morte, che la vita ci procuri la fine della vita.  E par che abbia repugnanza… non essere: 28  provvedere.  attendere: 29  ci condiziona.  ci tira: 30  anche contro la nostra volontà.  anche a dispetto nostro: 31 Io ho considerata già tutta questa parte: che, come tu hai detto, è impossibile  Porfirio che l’animo non la scorga, per ogni poco che uno si fermi a pensare sopra 110  questo proposito. Mi pare che alle tue ragioni si possa rispondere con molte altre, e in più modi: ma studierò d’esser breve. Tu dubiti se ci sia lecito di morire senza necessità: io ti domando se ci è lecito di essere infelici. La natura vieta l’uccidersi.  Strano mi riuscirebbe che non avendo ella o volontà o potere di farmi né felice né libero da miseria, avesse facoltà di obbligarmi a vivere. Certo se la 115  natura ci ha ingenerato amore della conservazione propria, e odio della morte;  32 essa non ci ha dato meno odio della infelicità, e amore del nostro meglio; anzi tanto maggiori e tanto più principali queste ultime inclinazioni che quelle, quanto che la felicità è il fine di ogni nostro atto, e di ogni nostro amore e odio; e che non si fugge la morte, né la vita si ama, per se medesima, ma per rispetto 120  e amore del nostro meglio, e odio del male e del danno nostro. Come dunque può esser contrario alla natura, che io fugga la infelicità in quel solo modo che hanno gli uomini di fuggirla? che è quello di tormi dal mondo: perché mentre 33 son vivo, io non la posso schifare. E come sarà vero che la natura mi vieti di 34 appigliarmi alla morte, che senza alcun dubbio è il mio meglio; e di ripudiar la 125  vita, che manifestamente mi viene a esser dannosa e mala; poiché non mi può valere ad altro che a patire, e a questo per necessità mi vale e mi conduce in fatto? A ogni modo queste cose non mi persuadono che l’uccidersi da se stesso PloTino non sia contro natura: perché il senso nostro porta troppo manifesta contrarietà  e abborrimento alla morte: e noi veggiamo che le bestie; le quali (quando 130  non sieno forzate dagli uomini o sviate) operano in ogni cosa naturalmente; non solo non vengono mai a questo atto, ma eziandio per quanto che sieno tribolate e misere, se ne dimostrano alienissime. E in fine non si trova, se non fra gli uomini soli qualcuno che lo commette: e non mica fra quelle genti che hanno un modo di vivere naturale; che di queste non si troverà niuno che 135  35 non lo abbomini, se pur ne avrà notizia o immaginazione alcuna; ma solo fra 36 queste nostre alterate e corrotte, che non vivono secondo natura. 37 Orsù, io ti voglio concedere anco, che questa azione sia contraria a natura,  Porfirio come tu vuoi. Ma che val questo; se noi non siamo creature naturali, per dir così? intendo degli uomini inciviliti. Paragonaci, non dico ai viventi di ogni 140  38 altra specie che tu vogli, ma a quelle nazioni là delle parti dell’India e della Etiopia, le quali, come si dice, ancora serbano quei costumi primitivi e silvestri; e a fatica ti parrà che si possa dire, che questi uomini e quelli sieno creature di una specie medesima. E questa nostra, come a dire, trasformazione; e questa mutazion di vita, e massimamente d’animo; io quanto a me, ho avuto sempre 145  per fermo che non sia stata senza infinito accrescimento d’infelicità. Certo che quelle genti salvatiche non sentono mai desiderio di finir la vita; né anco va loro per la fantasia che la morte si possa desiderare: dove che gli uomini costumati a questo modo nostro e, come diciamo, civili, la desiderano spessissime volte, e alcune se la procacciano. Ora, se è lecito all’uomo incivilito, e vivere contro 150   39 natura, e contro natura essere così misero; perché non gli sarà lecito morire contro natura? essendo che da questa infelicità nuova, che risulta a noi dall’alterazione  dello stato, non ci possiamo anco liberare altrimenti, che colla morte. […]  ha fatto nascere in noi.  ci ha ingenerato: 32  togliermi.  tormi: 33  disprezzare.  schifare: 34  coloro che vivono a più diretto contatto e in armonia con la natura, le popolazioni primitive.  quelle genti… naturale: 35  nessuno che non rifugga dal suicidio.  niuno… abbomini: 36  le società moderne, che si sono allontanate dalla natura.  queste nostre… corrotte: 37  si sottolinea la differenza tra la situazione dei popoli primitivi, che si possono assimilare agli antichi, e i moderni, influenzati più dalla civiltà che dalla natura.  Ma che val questo… uomini inciviliti: 38  procurano.  procacciano: 39   Così è veramente, Porfirio mio. Ma con tutto questo, lascia ch’io ti consigli,  PLOTINO ed anche sopporta che ti preghi, di porgere orecchie, intorno a questo tuo disegno, piuttosto alla natura che alla ragione. E dico a quella natura primitiva,  155  a quella madre nostra e dell’universo; la quale se bene non ha mostrato di amarci, e se bene ci ha fatti infelici, tuttavia ci è stata assai meno inimica e malefica,  che non siamo stati noi coll’ingegno proprio, colla curiosità incessabile 40 e smisurata, colle speculazioni, coi discorsi, coi sogni, colle opinioni e dottrine misere: e particolarmente, si è sforzata ella di medicare la nostra infelicità con 160   occultarcene, o con trasfigurarcene, la maggior parte. E quantunque sia grande l’alterazione nostra, e diminuita in noi la potenza della natura; pur questa non è ridotta a nulla, né siamo noi mutati e innovati tanto, che non resti in ciascuno gran parte dell’uomo antico. Il che, mal grado che n’abbia la stoltezza nostra, 41 mai non potrà essere altrimenti. Ecco, questo che tu nomini error di computo; 165   42 veramente errore, e non meno grande che palpabile; pur si commette di continuo;  e non dagli stupidi solamente e dagl’idioti, ma dagl’ingegnosi, dai dotti, dai saggi; e si commetterà in eterno, se la natura, che ha prodotto questo nostro genere, essa medesima, e non già il raziocinio e la propria mano degli uomini, non lo spegne. E credi a me, che non è fastidio della vita, non disperazione, non 170  senso della nullità delle cose, della vanità delle cure, della solitudine dell’uomo; non odio del mondo e di se medesimo; che possa durare assai: benché queste disposizioni dell’animo sieno ragionevolissime, e le lor contrarie irragionevoli. Ma contuttociò, passato un poco di tempo; mutata leggermente la disposizione del corpo; a poco a poco; e spesse volte in un subito, per cagioni menomissime   175  43 e appena possibili a notare; rifassi il gusto alla vita, nasce or questa 44 or quella speranza nuova, e le cose umane ripigliano quella loro apparenza, e mostransi non indegne di qualche cura; non veramente all’intelletto; ma sì, per modo di dire, al senso dell’animo. E ciò basta all’effetto di fare che la persona, quantunque ben conoscente e persuasa della verità, nondimeno a mal grado 180  della ragione, e perseveri nella vita, e proceda in essa come fanno gli altri: perché quel tal senso (si può dire), e non l’intelletto, è quello che ci governa. Sia ragionevole l’uccidersi; sia contro ragione l’accomodar l’animo alla vita: certamente quello è un atto fiero e inumano. E non dee piacer più, né vuolsi  elegger piuttosto di essere secondo ragione un mostro, che secondo natura  185  uomo. E perché anche non vorremo noi avere alcuna considerazione degli amici; dei congiunti di sangue; dei figliuoli, dei fratelli, dei genitori, della moglie;  delle persone familiari e domestiche, colle quali siamo usati di vivere da gran tempo; che, morendo, bisogna lasciare per sempre: e non sentiremo in cuor nostro dolore alcuno di questa separazione; né terremo conto di quello 190  che sentiranno essi, e per la perdita di persona cara o consueta, e per l’atrocità del caso? Io so bene che non dee l’animo del sapiente essere troppo molle; né lasciarsi vincere dalla pietà e dal cordoglio in guisa, che egli ne sia perturbato,   45 che cada a terra, che ceda e che venga meno come vile, che si trascorra 46 a lagrime smoderate, ad atti non degni della stabilità di colui che ha pieno e 195  chiaro conoscimento della condizione umana. Ma questa fortezza d’animo si vuole usare in quegli accidenti tristi che vengono dalla fortuna, e che non si possono evitare; non abusarla in privarci spontaneamente, per sempre, della vista, del colloquio, della consuetudine dei nostri cari. Aver per nulla il dolore della disgiunzione e della perdita dei parenti, degl’intrinsechi, dei compagni; 200  47 o non essere atto a sentire di sì fatta cosa dolore alcuno; non è di sapiente, ma di barbaro. Non far niuna stima di addolorare colla uccisione propria gli amici e i domestici; è di non curante d’altrui, e di troppo curante di se medesimo. E in vero, colui che si uccide da se stesso, non ha cura né pensiero alcuno degli altri; non cerca se non la utilità propria; si gitta, per così dire, dietro alle spalle 205  i suoi prossimi, e tutto il genere umano: tanto che in questa azione del privarsi di vita, apparisce il più schietto, il più sordido, o certo il men bello e men liberale  amore di se medesimo, che si trovi al mondo.  incessante, ininterrotta.  inaccessibile: 40  anche se non ce ne rendiamo conto.  mal grado… stoltezza nostra: 41  in un passo qui non antologizzato, Porfirio sosteneva che gli uomini continuano a sopportare la vita per «un errore che si fa nel computare, nel misurare, e nel paragonar tra loro, gli utili o i danni», cioè la quantità di piacere rispetto a quella di dolore che si prova nell’arco dell’esistenza.  error di computo: 42  minimissime.  menomissime: 43  si ricostituisce.  rifassi: 44  in modo da esserne sconvolto.  in guisa, che egli ne sia perturbato: 45 si lasci andare. si trascorra: 46 intimi. intrinsechi: 47 In ultimo, Porfirio mio, le molestie e i mali della vita, benché molti e continui,  pur quando, come in te oggi si verifica, non hanno luogo infortuni e calamità  210   straordinarie, o dolori acerbi del corpo; non sono malagevoli da tollerare; massime ad uomo saggio e forte, come tu sei. E la vita è cosa di tanto piccolo 48 rilievo, che l’uomo, in quanto a se, non dovrebbe esser molto sollecito né di ritenerla  né di lasciarla. Perciò, senza voler ponderare la cosa troppo curiosamente; 49 per ogni lieve causa che se gli offerisca di appigliarsi piuttosto a quella prima parte  215  che a questa, non dovria ricusare di farlo. E pregatone da un amico, perché 50 non avrebbe a compiacergliene? Ora io ti prego caramente, Porfirio mio, per la 51 memoria degli anni che fin qui è durata l’amicizia nostra, lascia cotesto pensiero;  non volere esser cagione di questo gran dolore agli amici tuoi buoni, che ti amano con tutta l’anima; a me, che non ho persona più cara, né compagnia più 220  dolce. Vogli piuttosto aiutarci a sofferir la vita, che così, senza altro pensiero 52 di noi, metterci in abbandono. Viviamo, Porfirio mio, e confortiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci ha stabilita, dei mali della nostra specie. Sì bene attendiamo a tenerci compagnia l’un l’altro; andiamoci incoraggiando, e dando mano e soccorso scambievolmente; per compiere nel 225  miglior modo questa fatica della vita. La quale senza alcun fallo sarà breve. E quando la morte verrà, allora non ci dorremo: e anche in quest’ultimo tempo gli amici e i compagni ci conforteranno: e ci rallegrerà il pensiero che, poi che 53 saremo spenti, essi molte volte ci ricorderanno, e ci ameranno ancora. soprattutto. massime: 48 pedantemente. curiosamente: 49 per ogni più piccolo motivo che gli si offra, dovrebbe volgersi a quel primo appiglio (verso la vita) piuttosto che rifiutarlo. per ogni lieve causa… ricusare di farlo: 50 e se fosse un amico a pregarlo (di non rinunciare alla vita), perché non dovrebbe accontentarlo? E… compiacergliene?: 51 sopportare. sofferir: 52 dopo che. poi che: 53  >> pagina 79  Dentro il TESTO I contenuti tematici Se il dolore è connaturato alla vita umana e se mistificare o edulcorare la condizione in cui versa l’umanità è un atto di viltà, come si può provare – quasi disperatamente – il (r. 176)? La risposta data da Leopardi si basa su uno dei cardini della sua filosofia, pessimistica ma non nichilistica: la considerazione dell’uomo come creatura infelice da confortare grazie alla pietà, alla solidarietà e a quell’affettuoso legame che dovrebbe istituirsi tra il singolo individuo e la comunità umana di cui fa parte. gusto alla vita La vittoria della pietà A questo approdo Leopardi giunge dopo aver affrontato lo snodo decisivo del suicidio, tragica ma razionale soluzione per chi ha acquisito una coscienza definitiva della sorte sventurata che la natura ha destinato ai viventi. Nel trattare questo tema, egli sceglie un approccio problematico che si sviluppa in questa operetta attraverso il confronto tra due filosofi che sostengono tesi opposte. Per Porfirio il suicidio è una legittima soluzione all’infelicità, mentre di parere opposto è Plotino, che vuol dissuadere l’amico dal suo proposito. Non è una particolare situazione di difficoltà che conduce Porfirio a pensare al suicidio, ma la vanità di tutte le cose: sia il piacere sia il dolore sono accidenti passeggeri, ciò che invece permea in modo costante la vita è il tedio, la noia. Egli analizza con lucidità inesorabile lo stato umano e smonta le credenze sulla vita ultraterrena. In particolare prende in considerazione alcuni insegnamenti attribuiti a Platone (attribuzione che poi lui stesso mette in dubbio) che avrebbero lo scopo, utile più alla società che non all’individuo, di scoraggiare dall’agire contro gli altri (r. 63) Porfirio mette in dubbio che questo risultato sia ottenibile, in quanto ritiene che il timore della punizione dopo la morte sia efficace solo per gli spiriti deboli e influenzabili. Ma soprattutto sostiene che la prospettiva di una vita ultraterrena accresca l’infelicità dell’uomo, in quanto gli rende più incerto e difficile affidarsi alla morte, l’unico rimedio che la natura nemica gli ha concesso per porre fine ai suoi mali. per timore di pene e di calamità future . Crudele è dunque trattenere dal suicidio, proponendo un’immagine incerta e dubbiosa della morte che potrebbe portare a una sofferenza eterna. Sotto la critica del platonismo si individua la polemica leopardiana contro il cattolicesimo e il progressismo liberale, che si illudono e illudono gli uomini con le idee della beatitudine eterna e di un progresso indefinito. Il suicidio come risposta all’infelicità Ai ragionamenti di Porfirio, Plotino si oppone suggerendo di osservare la natura e le sue leggi, che rischierebbero il sovvertimento se il principio di distruzione dovesse prevalere su quello di conservazione. Per questo esistono l’amor proprio, che fa tendere tutti i viventi al mantenimento della vita, e l’orrore della morte, che agisce nelle bestie e negli esseri viventi in armonia con la natura, come le popolazioni primitive, non ancora alterate e corrotte (r. 136) dalla civiltà e dalla ragione, mentre gli uomini inciviliti (r. 139), cioè i moderni, desiderano spesso la morte.  Mentre Plotino non crede che sia lecito uccidersi, cioè fare qualcosa   contro natura   (r. 128) ,   Porfirio sostiene che la natura ha sì insegnato all’uomo l’amore per sé stesso, ma anche l’odio per l’infelicità, che la modernità ha accresciuto, allontanando l’umanità da quella benefica vicinanza alla natura che caratterizzava le epoche primitive. L’amor proprio e l’orrore della morte Tuttavia, secondo Plotino, una parte dell’ uomo antico (r. 164) sopravvive ancora in quello moderno. Proprio questa superstite natura primitiva (rr. 155-156) è meno nemica dell’uomo di quanto non sia l’intelletto che svela le illusioni e i mascheramenti dell’infelicità. Grazie a essa si può lasciare spazio al senso dell’animo (r. 179), vale a dire a un sentimento interiore che va oltre la ragione, la limita senza tuttavia negarla. Si tratta di una tesi che Leopardi sposa non rinnegando quella di Porfirio; il suo pessimismo cosmico non viene confutato, ma al di là della logica ferrea della ragione affiora una prospettiva etica, grazie alla quale è possibile legittimare un altro argomento, non razionale bensì affettivo: il rapporto dell’individuo con l’altro da sé. A chi si uccide non può essere ovviamente rimproverata inconsapevolezza del proprio stato; può essergli però addebitato quell’eccessivo amore di se medesimo (r. 208), che gli impedisce di considerare quanto dolore infligga ai propri cari con la scelta di una separazione prematura e intenzionale. Le argomentazioni finali di Plotino possono così fare appello alle qualità che Porfirio ha fin qui dimostrato: se è uomo saggio e forte, può ben sopportare la vita. Conta di più il valore dell’amicizia, mentre sarebbe un abuso barbaro e crudele e un atto di egoismo scegliere una soluzione estrema, causando ulteriore sofferenza che è in potere dell’uomo evitare. Proprio perché la vita è breve e infelice, va coltivato il valore della solidarietà, del conforto e sostegno reciproco. E dopo la morte, quando verrà, ci saranno il ricordo e l’amore degli amici. La solidarietà e il valore degli affetti  >> pagina 80  Le scelte stilistiche Trattandosi di due filosofi, il discorso di entrambi procede sostenuto da ragionamenti rigorosi e ricchi di argomentazioni e richiamando il pensiero di autori come Platone e Omero. I due contendenti, che non abbandonano mai un tono cordiale (in particolare Plotino, che ricorre spesso all’affettuoso vocativo , fino all’esortazione finale), usano spesso antitesi e paradossi per mettere in evidenza le contraddizioni delle leggi di natura ( rr. 149-151) o il contrasto tra natura e ragione ( rr. 183-186). Entrambi si servono di metafore riferite alla vita come (r. 54) e (r. 78) ma è soprattutto Plotino a cercare l’effetto emotivo ricorrendo a in forte progressione ( , rr.167-168), polisindeti accorati e congiuntivi esortativi ( , r. 222; , r. 223; , r. 224; , r. 224) con lo scopo, se non di convincere l’amico sul piano razionale, almeno di coinvolgerlo su quello sentimentale. Porfirio mio se è lecito all’uomo incivilito, e vivere contro natura, e contro natura essere così misero; perché non gli sarà lecito morire contro natura? Sia ragionevole l’uccidersi; sia contro ragione l’accomodar l’animo alla vita: certamente quello è un atto fiero e inumano. E non dee piacer più, né vuolsi elegger piuttosto di essere secondo ragione un mostro, che secondo natura uomo carcere tempesta climax dagl’idioti, ma dagl’ingegnosi, dai dotti, dai saggi Viviamo, Porfirio mio, e confortiamoci non ricusiamo attendiamo andiamoci Il ragionamento di due filosofi Verso le COMPETENZE COMPRENDERE Riassumi il brano in circa 10 righe. 1 Individua i nuclei fondamentali dei ragionamenti che sviluppano i due personaggi ed esponili schematicamente, distinguendo le argomentazioni a favore del suicidio da quelle contro. 2 Analizzare sa esprime il loro forte contrasto? 3 A che cosa si riferiscono le due espressioni seguenti e che co conforto dolcissimo (r. 74 ) ) dubbio terribile (r. 76 Spiega l’effetto che producono i seguenti : 4 climax    (rr. 160-161). a medicare… occultarcene… trasfigurarcene, la maggior parte    (rr. 170-172). b non è fastidio della vita, non disperazione, non senso della nullità delle cose, della vanità delle cure, della solitudine dell’uomo; non odio del mondo e di se medesimo    (rr. 43-170). c speranza… illusioni… inganni… errore… error di computo… Individua le parole e le espressioni più significative che riguardano l’area semantica del ragionare e dell’argomentare. 5  >> pagina 81 INTERPRETARE 6 Quali sono, per Plotino, le due situazioni che renderebbero la vita intollerabile? Perché la morte è definita (r. 72)? 7 medicina di tutti i mali COMPETENZE LINGUISTICHE  Il termine (uccisione di sé) deriva dal verbo latino (tagliare; uccidere; battere): in quali altre parole della lingua italiana puoi individuare la stessa radice? E qual è il loro significato? 8 suicidio caedo, is, cĕcīdi, caesum, caedĕre Produrre   9 Scrivere per confrontare. Il discorso sulla vanità del dolore, che, in tutte le sue forme più dure, tuttavia passa, svanisce, per cui   rifassi il gusto alla vita, nasce or questa or quella speranza nuova   (rr. 176-177), si può collegare al   Cantico del gallo silvestre   ( ▶   T9, p. 67), in particolare al tema della ciclicità del giorno, che con il sonno permette di rinnovare le speranze destinate a risorgere al mattino. Richiamando anche episodi della biografia leopardiana, spiega in un testo espositivo-argomentativo di circa 30 righe come nella sua filosofia prevalga un atteggiamento agonistico e combattivo verso la vita e come la spinta vitale sia più forte della rinuncia pessimistica. La noia 6 «La noia è manifestamente un male, e l’annoiarsi una infelicità. Or che cosa è la noia? Niun male né dolore particolare ma la semplice vita sentita, provata, conosciuta, pienamente presente all’individuo»: con queste parole Leopardi definisce nello Zibaldone una delle principali peculiarità della condizione umana. Questo sentimento occupa infatti secondo l’autore gran parte della vita, in una sorta di posizione di confine tra gli interminabili intervalli che si frappongono tra il desiderio del piacere e la scoperta della sua irrealizzabilità. T7, p. 52) Il motivo ricorre in tutta la produzione leopardiana, sia in versi sia in prosa (ne abbiamo già trovato traccia nel Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare ▶ . Si tratta di quel senso di vuoto che l’uomo percepisce quando cadono le sue aspirazioni e si sente incapace di vivere e partecipare al flusso della vita, sempre così diversa dai sogni, dalle speranze e dalle immaginazioni, immobile in un tempo umano uniforme e indistinto. La tragedia di sentirsi disadattati Tuttavia, la noia non colpisce tutti gli uomini in modo indiscriminato. Se da un lato infatti essa nasce da quell’ inappagato desiderio di felicità infinita che appartiene a tutti gli uomini, dall’altro coglie esclusivamente chi ha coscienza della vanità delle cose : chi, in altri termini, vive la dimensione emotiva della fragilità e della transitorietà dell’esistenza e perciò vede frustrato il proprio bisogno di assoluto. Da qui il carattere “ sublime ” della noia, chiaramente delineato da Leopardi in uno dei Pensieri (68): «Il non potere essere soddisfatto da alcuna cosa terrena, né, per così dire, dalla terra intera; considerare l’ampiezza inestimabile dello spazio, il numero e la mole meravigliosa dei mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell’animo proprio; immaginarsi il numero dei mondi infinito, e l’universo infinito, e sentire che l’animo e il desiderio nostro sarebbe ancora più grande che sì fatto universo; e sempre accusare le cose d’insufficienza e di nullità, e patire mancamento e voto, e però noia, pare a me il maggior segno di grandezza e di nobiltà, che si vegga della natura umana». La noia come condizione degli animi inappagati La responsabilità di questo stato d’animo ricade sulla natura: è essa ad alimentare il desiderio di piaceri, che si rivelano poi irrealizzabili. L’«apparir del vero», come Leopardi scrive nel canto A Silvia ( ▶ T17, p. 120), fa infatti svanire la speranza che il domani sia diverso dal presente: i giorni, i mesi e gli anni sono invece destinati a trascorrere sempre uguali e il tempo della vita si rivela una sequenza senza variazioni. Per poter sperare nella felicità, all’uomo non rimane che – illusoriamente – rinviarla sempre a un domani migliore. Sempre le stesse cose