FINESTRA SUL ’900 Parini & Carlo Emilio Gadda QUANDO LA SATIRA È INVENZIONE VERBALE La buona salute dello sberleffo Che ne è stato della letteratura satirica nel Novecento italiano? Che fine ha fatto quel ricco universo che – da Cielo d’Alcamo e Cecco Angiolieri in poi passando per Burchiello Berni e Folengo e non trascurando grandi autori come Dante e Ariosto fino ad arrivare a Parini – da sempre rappresenta il , irridendo potenti o presunti tali, castigando costumi con il sorriso o con l’indignazione, togliendo la maschera a ipocriti e perbenisti e mostrandone bassezza, miserie e viltà? grottesco nel mondo Il sapore ludico e sferzante dei versi o delle prose satiriche si gusta ancora in tutto il secolo scorso: grazie a maestri dell’irriverenza come Achille Campanile, Cesare Zavattini, Ennio Flaiano, Leo Longanesi, la letteratura italiana contemporanea ha continuato a versare , ora irridendo ora dando sfogo all’astio dell’invettiva ora motteggiando più pietosamente e con sorridente indulgenza per le debolezze umane. In molti casi, sia che si percorra la strada della canzonatura dissacrante ma in fondo bonaria sia che la riprovazione morale prorompa senza misura sui malcapitati bersagli della parola acuminata, gli autori satirici fanno sfoggio dell’invenzione verbale per divertire ma anche per beffare, smascherare e capovolgere buone ma immeritate reputazioni. il fiele del sarcasmo Enrico Baj, (particolare), 1964. Tu quoque Brute fili mi Due maestri lombardi della satira Anche sul versante linguistico, nel Novecento la lezione di Parini non viene meno, come si vede nell’opera del più pirotecnico dei suoi allievi, Carlo Emilio Gadda, che non a caso definiva il maestro come «uno dei primi inventori di una lirica colloquiale narrativa di suprema, seppure cronologicamente barocca, eleganza». Lombardo come Parini, Gadda è interprete di una letteratura in cui la , degradata però fino al grottesco, : quest’ultima è lo strumento di una decisa , che mette a nudo quell’infrazione dell’ordine razionale delle cose che egli individua nella società del suo tempo. vocazione realistica si sposa con una satira sociale tagliente e in molti casi feroce istanza morale Video – Una finestra su Carlo Emilio Gadda >> pagina 455 Una commedia umana disgustosa Nella giornata tipo di un “giovin signore”, rampollo esemplare della nobiltà della Milano del Settecento, l’autore del descriveva, con iperbolica ironia, una classe aristocratica viziata e scioperata, che conosceva bene poiché la frequentava quotidianamente. Allo stesso modo, Gadda getta lo sguardo velenoso su un ambiente a lui ben noto in quanto, in fondo, vi apparteneva: quella , di cui egli ambiva a essere una sorta di giustiziere o, se si preferisce, di moralizzatore (in una lettera scrisse che desiderava «essere il Robespierre della borghesia milanese»). Nella sua produzione narrativa, naturalmente, non troviamo più la dama sfaccendata, il vacuo cicisbeo e il servile cortigiano né leggiamo le direttive del «Precettor d’amabil Rito», intento a fornire al suo discepolo i mezzi per non sfigurare nel bel mondo dei palazzi neoclassici; vediamo invece speculatori e arricchiti, manichini impegnati in una , dove una falsa morale nasconde cumuli inconfessati di ipocrisie e opportunismi. Neppure il popolo, che traspare nei versi pariniani come una sobria e sana alternativa vivente all’arroganza dei nobili, si salva dal quadro impietoso fornito dai racconti e dai romanzi di Gadda, puntualmente affollati di squallidi borgatari e avidi maneggioni. Giorno borghesia avida, frustrata e corrotta vuota commedia di apparenze sociali La parola feroce Questa massa informe di uomini e donne, immersa nei rumori e nei cattivi odori della città (ma nessuna tentazione all’idillio campestre affiora nelle pagine di Gadda, a differenza che in quelle di Parini), viene descritta con un , che sperimenta soluzioni espressionistiche e intreccia arcaismi, termini desueti, espressioni dialettali e neologismi per dare conto di quell’«ordigno» caotico, deforme e magmatico che è la realtà. dunque : in Parini, ciò avviene attraverso la sproporzione tra le descrizioni altisonanti e la grettezza del contesto rappresentato e delle frivole stoltezze di chi lo abita; in Gadda, lo ampolloso e sovrabbondante costituisce lo . linguaggio esorbitante La parola si fa strumento di critica stile specchio di un mondo ingarbugliato Un ingegnere con il vizio della letteratura Carlo Emilio Gadda nasce a nel . La sua è una , che annovera tra gli antenati ministri, funzionari e professionisti di prim’ordine. Anche il padre è uno stimato imprenditore tessile che però inanella una serie di investimenti sbagliati: in particolare, la pretenziosa costruzione di una principesca villa per le vacanze in Brianza svuota il suo patrimonio. Spinto dalla madre, con la quale intrattiene un rapporto tormentato, Gadda si iscrive alla facoltà di Ingegneria dell’Università di Milano, ma allo scoppio della abbandona momentaneamente gli studi e si arruola nel reparto degli alpini. Catturato dai nemici e deportato in Germania, racconta la propria esperienza in un diario, pubblicato postumo con il titolo di . Milano 1893 famiglia illustre Prima guerra mondiale volontario Giornale di guerra e prigionia Rientrato a Milano e ottenuta la laurea, Gadda inizia a lavorare presso società e industrie elettriche e chimiche, per le quali viaggia molto, in Europa ma soprattutto in , dove si trattiene dal 1922 al 1924. Al 1931 risale la decisione che gli cambia la vita: abbandonare la professione di ingegnere, che pure gli garantisce una solida posizione economica, per dedicarsi a tempo pieno alla letteratura. Nello stesso anno pubblica il primo romanzo, , cui segue, nel 1934, la raccolta di racconti . Sudamerica La Madonna dei filosofi Il castello di Udine >> pagina 456 Un capolavoro autobiografico La stesura del primo capolavoro di Gadda risale però al 1937, un anno dopo la morte della madre: , romanzo nel quale i riflessi autobiografici sono evidenti. Il libro, pubblicato a puntate sulla rivista “Letteratura” dal 1938 al 1941, è ambientato in un immaginario paese sudamericano, dietro al quale si nascondono gli scenari brianzoli familiari allo scrittore. È difficile sintetizzarne la trama, che d’altro canto è molto labile: metafora, questa, dell’impossibilità di interpretare e circoscrivere la realtà con sistemi scientifici e architetture definite. Le vicende ruotano attorno al («il figlio», controfigura dell’autore) vedova, una figura tragica destinata a una , di cui non si conoscerà mai il responsabile. La cognizione del dolore nevrotico rapporto del protagonista con la «madre» morte violenta Un giallo atipico La fama di Gadda presso il grande pubblico si deve però a un altro libro, pubblicato nell’immediato dopoguerra, tra il 1946 e il 1947, anch’esso a puntate su rivista e poi in volume, profondamente rimaneggiato, nel 1957. Si tratta di , un romanzo che ha l’apparente struttura del giallo, visto che prende le mosse dall’ nei primi anni del fascismo. Diciamo “apparente” perché in realtà il mistero del fattaccio non sarà risolto, così come, secondo l’autore, non è risolto ogni atto umano, che è sempre il risultato ingarbugliato di un «sistema di cause e concause» o di una miriade di forze incastonate in un organismo contorto e irrazionale. Pertanto anche i fili della trama investigativa si slabbrano in una miriade di che da un lato rendono impossibile la lineare ricerca del colpevole, dall’altro offrono la possibilità al narratore di dipingere o meglio mettere in caricatura riti e vizi di una di una grottesca commedia umana. Sotto la lente deformante della parola gaddiana finisce infatti la Roma del fascismo imperante: un vero e proprio baraccone di voci sguaiate, popolato da protagonisti o spettatori di una quotidiana e abietta carnevalata, al cui apice troneggia la sagoma del duce, oggetto anch’egli dell’irridente comica dell’autore. Quer pasticciaccio brutto de via Merulana assassinio di una ricca signora digressioni, depistaggi, pause analitiche, soste descrittive, meditazioni filosofiche schiera brulicante di personaggi e comparse vis Locandina di (1959), rielaborazione cinematografica di diretta da Pietro Germi. Un maledetto imbroglio Quer pasticciaccio brutto de via Merulana Il duce e l’esibizionismo maschilista A Mussolini e al regime Gadda dedica anche le pagine di uno strano , , nel quale la lezione satirica di Parini è inasprita dai e da una furiosa e incontenibile violenza verbale. L’autore, che pure era stato fascista, anche se più per conformismo che per adesione ideologica, comincia a scrivere quest’opera intorno al 1945, poi ne anticipa alcune parti sulla rivista “Officina” nel 1955-1956 (da cinque anni, intanto, Gadda si era trasferito a Roma, dove collabora con la RAI), infine la pubblica nel 1967, sei anni prima della morte, avvenuta nella capitale nel 1973. pamphlet Eros e Priapo (Da furore a cenere) toni dell’invettiva Dopo aver delineato il contesto storico, lo scrittore si concentra sul capo di quella che egli definisce la «delinquente brigata», una masnada di gerarchi che ha tenuto per un ventennio l’Italia sotto scacco. ironicamente , l’antica divinità del sesso, , in quanto la venerazione di cui è stato oggetto si è basata, secondo l’analisi gaddiana, su una valenza erotica che ha legato il dittatore, come fosse una divinità, ai suoi sostenitori, ridotti alla stregua di adepti. Mussolini è accostato a Priapo simbolo della fecondità e della forza generatrice maschile Mussolini saluta la folla, anni Trenta. >> pagina 457 La Italia la era padronescamente polluta dallo spiritato: lo spiritato l’era imperialmente 1 grattato e tirato a prurigine dal plauso d’un poppolo di quarantaquattro milioni di miliardi d’animalini a cavatappo. Ch’era le millanta volte meglio… 2 vo’ vu’ m’intendete sanza parole. Ergo: la Italia ventitré anni quello animalino la mandò. E che il giudice mi tagli mano, se questo che qui non è sillogismo diritto, 5 di misura stretta. Il suggeritore fu lui il Ministro, Primo Ministro delle bravazzate, lui il Primo Maresciallo (Maresciallo del cacchio), lui il primo Racimolatore e Fabulatore ed Ejettatore delle scemenze e delle enfatiche cazziate, quali ne sgrondarono 3 giù di balcone ventitré anni durante: sulle povere e macre spalle di una 4 gente sudata, convocata birrescamente a’ sagrati maledetti, a’ rostri delle future 10 5 isconfitte, incitata alle acclamazioni obbligative: compressa al raduno come la 6 gente acciughiera in nel barile, spersa, in fatto, tra i segni di demenza: a veder lontanare il futuro, il nutrimento della carne, dello spirito futuro. Una istrombazzata di parole senza costrutto, ch’erano i rutti magni di quel furioso babbèo, 7 la risarciva de’ contributi sindacali «in continuo e promettente 15 sviluppo», cioè via via magnificati alla chetichella «per legge», o «per decreto-legge», cioè ad arbitrio d’un tratto di penna di essi despoti. La Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia abbozzava: ingollava e defecava la legge. 8 inquinata, insozzata (dal latino , “sporco”, “inquino”, da cui anche l’inglese , “inquinamento”). 1 polluta: polluo pollution Mussolini (“spiritato” per via dei suoi occhi sporgenti) era sostenuto e adulato dal popolo italiano (descritto numericamente con un’iperbole). è deformazione intesa a rendere l’inflessione dialettale del romagnolo Mussolini. 2 lo spiritato l’era... animalini a cavatappo: Poppolo che lancia fuori, dal verbo (che a sua volta deriva dal latino eicio, “getto fuori”). 3 Ejettatore: eiettare riferito alle “enfatiche cazziate”, che arrivano dalla voce del duce posto in alto sul balcone, quasi grondando giù come acqua piovana. Questo per circa ventitré anni. 4 quali ne sgrondarono... anni durante: riferito a , variante di , spregiativo di poliziotti. 5 birrescamente: birri sbirri i rostri vanno probabilmente intesi come sineddoche di arma (erano lo sperone delle antiche navi da guerra che servivano ad attaccare le imbarcazioni nemiche), in riferimento alle future battaglie perse della Seconda guerra mondiale. 6 a’ rostri delle future isconfitte: i discorsi del duce vengono riportati nella sola valenza sonora, descritti come “rutti magni”, con la chiara intenzione di deriderne il significato. 7 Una istrombazzata di parole... furioso babbèo: ingoiava tutto d’un fiato. 8 ingollava: Carlo Emilio Gadda in una fotografia del 1957. Una sorta sozza di bugia, una mentira senza scampo 20 9 e senza riscatto veniva intessendosi e trapuntandosi in que’ raduni. Porgeva egli alla moltitudine l’ordito della sua incontinenza 10 buccale, ed ella vi metteva spola di clamori, e 11 di folli gridi, secondo ritmi concitati e turpissimi. Kù-cè, Kù-cè, Kù-cè, Kù-cè. La moltitudine, che al dire di messer 25 12 Nicolò amaro la è femmina, e femmina a certi momenti 13 nottìvaga, simulava a quegli ululati l’amore e l’amoroso 14 delirio, siccome lo suol mentire una qualunque di quelle, ad «accelerare i tempi»: e a sbrigare il cliente: torcendosi in ne’ sua furori e sudori di entusiasta, mammillona singultiva 30 per denaro. Su issu’ poggiuolo il mascelluto, tronfio 15 16 a stiantare, a quelle prime strida della ragazzaglia e’ gli 17 era già ebbro d’un suo pazzo smarrimento, simile ad alcoolòmane, cui basta annasare il bicchiere da sentirsi preso e dato alla mercé del destino. Indi il mimo d’una scenica 35 evulvescenza, onde la losca razzumaglia si dava elicitare, 18 properare, assistere, spengere quella foja incontenuta. 19 20 Il bombetta soltanto avea nerbo, nella convenzione del mimo, da colmare (a misura di chella frenesia finta) la tromba vaginale della bassàride. 21 Una bugia sporca, su dalla tenebra delle anime. Dalle bocche, una bava 40 incontenuta. Kù-cè, Kù-cè, Kù-cè, Kù-cè. Cuce il sacco delle sue vantardige un 22 gradasso: capocamorra che distribuisce le coltella a’ ragazzi, pronto sempre da issu’ poggiuolo a dismentire ogni cosa, a rimentire ogni volta. Questo, ventun anno! Ventun anni di boce e di urli soli del frenetico, come 23 ululati di un bieco lupo in tagliola: o di que’ sinistri berci de’ sua compiacenti, 45 in ogni piazza, e de’ sua bravi acclamanti. E ’l rimanente… muto e scancellato di vita. Ventun anno: il tempo migliore d’una generazione, che è pervenuta a vecchiezza a traverso il silenzio. Per silentium ad senectutem. bugia (in spagnolo). 9 mentira: i raduni in piazza tipici dei regimi totalitari come il fascismo, come quelli di piazza Venezia a Roma. 10 raduni: della bocca, e dunque verbale. 11 buccale: deformazione di “duce”. L’inneggiamento viene ripor- tato sulla pagina con una ripetizione e una deformazione grafica, in sillabe, che ne rende bene la cadenza e la concitazione. 12 Kù-cè, Kù-cè, Kù-cè, Kù-cè: Niccolò Machiavelli. 13 messer Nicolò: nottambula. 14 nottìvaga: la frase indica la simulazione di un orgasmo, come fa una prostituta per denaro. è forma toscana per “nei suoi”. è neologismo gaddiano che indica un grosso seno. 15 torcendosi ne’ sua... per denaro: Ne’ sua Mammillona sul balcone (di piazza Venezia), sempre detto alla toscana come in molte altre locuzioni del testo. 16 Su issu’ poggiuolo: tanto da scoppiare. 17 a stiantare: neologismo che allude al sesso femminile. 18 evulvescenza: Mussolini si comporta come un direttore d’orchestra, decidendo con i suoi gesti quando eccitare e quando placare la folla. indica la spazzatura. significa ottenere comportamenti attraverso domande o stimoli vari. è latinismo per “accelerare”, “affrettare”. 19 onde la losca... properare: Razzumaglia Elicitare Properare eccitazione data da libidine. 20 foja: le bassaridi erano le baccanti della Tracia e della Lidia. Il termine vuole indicare la dimensione dionisiaca stabilitasi tra Mussolini e la folla. 21 bassàride: ciò di cui si vanta. 22 vantardige: riferimento al ventennio fascista. Il termine è variante rara, specialmente toscana, di “voce”, richiamando per sineddoche Mussolini e giocando con l’ennesima deformazione di “duce”. 23 Ventun anni di boce: boce Caricatura di Benito Mussolini, 1965. >> pagina 459 Il narcisismo erotico Gadda concentra la propria energia creativa e analitica sul personaggio di Mussolini e sulla sua relazione con il popolo italiano, complice collettivo di ciò che accadde negli anni del regime fascista ( , rr. 4-5). Questo legame si stabilisce subito sull’ ( , rr. 21-22), assumendo l’aspetto della seduzione erotica e dell’amplesso: dopo aver paragonato la folla a una prostituta che simula l’orgasmo per accontentare il cliente, Gadda allude neanche troppo velatamente al fatto che solo Mussolini aveva il nerbo (da intendersi come “frustino” e “sferza”, come vigore ed energia, ma anche nel suo valore letterale di “muscolo”) per […] (r. 39) della folla stessa. Ergo: la Italia ventitré anni quello animalino la mandò asse maschio-femmina La moltitudine, che al dire di messer Nicolò amaro la è femmina colmare la tromba vaginale L’amarezza di una grande illusione Lo scrittore riprende poi il concetto di menzogna presente a metà brano ( , r. 20) per associarlo direttamente al duce e all’illusione in cui il dittatore ha fatto vivere il popolo italiano nel Ventennio. Il , ora, è tale da far sorgere la triste consapevolezza di aver sprecato gli anni migliori di una generazione. La formula , posta a clausola, è infatti estrapolata da un passo dello storico latino Tacito e assume il valore memorabile ed esemplare della vita gettata via e dell’inutile sofferenza che conduce l’essere umano alla vecchiaia senza che questi se ne renda conto. Una sorta sozza di bugia disinganno per silentium ad senectute Il toscano: scelta dialettale e aulica La patina dialettale toscaneggiante di questo brano e di tutto il resto del libro (l’uso continuo dell’elisione di articoli, preposizioni e pronomi: ecc.) rivela la volontà di omaggiare celebri scrittori e poeti del passato, utilizzando la lingua che più di altre ha fatto da base all’italiano contemporaneo. D’altro canto, come già in Parini, il lessico accoglie (come il latinismo , r. 37), sia pure rivisitate in funzione parodica, ( , r. 20, dallo spagnolo), altri (è il caso del vocabolo di origine campana , r. 39), ( , r. 12; , rr. 30-31; , rr. 35-36) per rafforzare la dimensione del . ne’, a’, que’ forme dotte properare forestierismi mentira dialettismi chella termini nuovi dalla valenza comica o erotica gente acciugghiera mammillona singultiva scenica evulvescenza pastiche Dal suono al silenzio Al di là dell’aspetto linguistico, il brano si fa notare per una sua ricca . Si direbbe quasi di assistere a uno di quei filmati dell’Istituto Luce che riprendevano i discorsi del duce. Prima viene messo in risalto l’aspetto auditivo, con la (rr. 13-14) di Mussolini cui rispondono i e i (r. 24) della moltitudine. In un secondo momento, si passa all’aspetto coreografico/gestuale: il dittatore sembra dirigere la folla come fosse un’orchestra, con una serie di movimenti che mirano a (rr. 36-37) secondo i suoi desideri. Infine, si ritorna alla prevalenza del suono (la e gli , r. 44, come ululati di un lupo), ma questa volta per introdurre il finale amaro del silenzio, in cui lo stile, fino a un certo punto eccessivo e grottesco, cede il posto a una : (rr. 47-48). dimensione audiovisiva istrombazzata di parole senza costrutto folli gridi ritmi concitati e turpissimi elicitare, properare, assistere, spengere quella foja incontenuta boce urli soli del frenetico purezza quasi lirica il tempo migliore d’una generazione, che è pervenuta a vecchiezza a traverso il silenzio L’innominabile Mussolini non viene mai chiamato per nome, e neanche con il suo appellativo “duce”: né qui, né altrove. Gadda si riferisce a lui o storpiandone il titolo ( , rr. 24-25 e 41), o usando delle perifrasi ( , rr. 6-7; , r. 7), oppure per mezzo di figure retoriche su un piano metonimico ( , r. 1; , r. 44) e metaforico ( , r. 42). Questa scelta è dovuta a dispregio e a sberleffo, per sminuire l’imponenza di quel nome, così sinistramente significativo soprattutto negli anni in cui queste pagine sono state scritte; ma questa insistenza nel dileggio cela forse, anch’essa, la volontà, da parte dell’autore, di liberarsi del di essere stato anch’egli uno dei tanti silenziosi sostenitori della dittatura. Ku-ce Primo Ministro delle bravazzate Maresciallo del cacchio lo spiritato del frenetico capocamorra senso di colpa Carlo Carrà, , 1921. Venezia, Collezione Peggy Guggenheim. L’amante dell’ingegnere