trecci ARTE in Verga e la fotografia Una riproduzione fedele della realtà Un’invenzione rivoluzionaria Nel 1837 il chimico francese Louis Daguerre (1787-1851) inventa quello che può essere considerato il primo apparecchio fotografico, a cui dà il suo nome, “dagherrotipo”: la fotografia diventa inizialmente uno strumento di documentazione e informazione, poi una moda che contagia l’élite europea, affascinando nobili, intellettuali e persone facoltose che possono permettersi questo hobby dispendioso. Dagli anni Sessanta dell’Ottocento, la passione per la fotografia dilaga anche in Italia: il clima positivistico, infatti, permette di esaltare le potenzialità di un’arte che coglie la realtà così com’è, in modo oggettivo. Fotografie come documenti Nel 1966, nell’abitazione catanese di Giovanni Verga, sono stati ritrovati ben 448 negativi fotografici – 327 lastre in vetro e 121 fotogrammi in celluloide – impressi dallo scrittore a partire dal 1878. A prima vista si tratta dell’opera di un dilettante: molte sono le sfocature, le “alonature”, le inquadrature sbilanciate. È tuttavia lecito supporre che quegli scatti non siano l’esito di un semplice passatempo: in accordo con la poetica verista, infatti, Verga è convinto della necessità di riprodurre la realtà rinunciando alla mediazione dell’artista, e non può che essere suggestionato da un congegno che promette fedeltà assoluta e imparziale nel rendere gli ambienti e i personaggi ritratti. A partire dal 1878 (anno di uscita di : una coincidenza?), Verga prende a immortalare parenti, domestici, amici della terra natia e soprattutto paesaggi, scorci e personaggi che richiamano direttamente la sua produzione letteraria: fattori, contadini, bambini, cacciatori, mendicanti, cameriere e una folla anonima di paesani sono colti nella loro semplicità e nel vivo della quotidianità, inseriti nel loro ambiente utilizzato come un realistico set fotografico. È difficile appurare se quegli scenari (naturali e domestici) e quegli uomini, donne e bambini che vediamo nei suoi documenti in bianco e nero siano serviti effettivamente da modelli per le sue novelle e i suoi romanzi. Resta indubitabile che tra le due espressioni artistiche vi sia una parentela e che i dettagli su cui si sofferma l’obiettivo del fotografo siano gli stessi documentati dalla penna dello scrittore. Rosso Malpelo Verga non pensa di promuovere questa seconda attività e pubblicare le sue fotografie, che rimarranno per lui un modo per fissare ricordi e affetti. «La camera nera», confida a un amico in una lettera nel 1880, «è una mia segreta mania», ma più tardi, nel 1893, giungerà a definire quest’arte, coltivata quasi in clandestinità, «l’unica mia grande passione». , 1911 ca. Bambina seduta alla finestra in una casa di Novalucello , 1892. Contadino Turi Minnamà Da sinistra a destra: , 1892; , 1889; , 1892. Donna anziana di Vizzini Antonio Caruso, campiere Giovanna a Pampinedda, cameriera , 1892. Il campiere massaro Filippo, Turi “Culedda” con la moglie e altri contadini