T2 Rosso Malpelo Vita dei campi Primo testo verista verghiano, la novella è pubblicata in quattro puntate nell’agosto del 1878 nel supplemento domenicale del quotidiano romano “Fanfulla”, e sarà inserita due anni dopo nella raccolta  Vita dei campi . La vicenda vede come protagonista un ragazzo impiegato nel duro lavoro di una cava, disprezzato da tutti e costretto a confrontarsi senza consolazioni con la violenza che domina i rapporti umani e la realtà. Una vittima nel mondo dei “vinti”  Asset ID: 200 ( )  let-audlet-rosso-malpelo-g-verga580.mp3 Audiolettura Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone. 1 2 Sicché tutti alla cava della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre 3 col sentirgli dir sempre a quel modo aveva quasi dimenticato il suo nome di 4       battesimo. 5 Del resto, ella lo vedeva soltanto il sabato sera, quando tornava a casa con quei pochi soldi della settimana; e siccome era c’era anche a temere che ne sottraesse malpelo un paio di quei soldi; e nel dubbio, per non sbagliare, la sorella maggiore gli faceva la ricevuta a scapaccioni. 5     Però il padrone della cava aveva confermato che i soldi erano tanti e non più; e 10 in coscienza erano anche troppi per Malpelo, un monellaccio che nessuno avrebbe voluto vedersi davanti, e che tutti schivavano come un can rognoso, e lo accarezzavano 6 coi piedi, allorché se lo trovavano a tiro. 7 Egli era davvero un brutto ceffo, torvo, ringhioso, e selvatico. Al mezzogiorno,     mentre tutti gli altri operai della cava si mangiavano in crocchio la loro minestra, 15 8 e facevano un po’ di ricreazione, egli andava a rincantucciarsi col suo corbello fra 9 le gambe, per rosicchiarsi quel suo pane di otto giorni, come fanno le bestie sue pari; e ciascuno gli diceva la sua motteggiandolo, e gli tiravan dei sassi, finché il 10 soprastante lo rimandava al lavoro con una pedata. Ei c’ingrassava fra i calci 11 12 13     e si lasciava caricare meglio dell’asino grigio, senza osar di lagnarsi. Era sempre 20 cencioso e lordo di rena rossa, ché la sua sorella s’era fatta sposa, e aveva altro 14 15 pel capo: nondimeno era conosciuto come la bettonica per tutto Monserrato e 16 17 la Carvana, tanto che la cava dove lavorava la chiamavano “la cava di Malpelo”, 18 e cotesto al padrone gli seccava assai. Insomma lo tenevano addirittura per carità     e perché mastro Misciu, suo padre, era morto nella cava. 25 19 La presentazione del protagonista secondo la credenza popolare i capelli rossi erano indizio di malvagità. 1 aveva… cattivo: diventare. 2 riescire: sabbia. 3 rena: sentendolo chiamare sempre in quel modo. 4 col sentirgli… modo: la sorella lo picchiava prima di sapere se aveva portato a casa o meno la paga settimanale. 5 nel dubbio… scapaccioni: è la prima delle molte similitudini animali con cui si sottolinea l’emarginazione del protagonista, reso selvatico rispetto agli altri uomini. 6 come un can rognoso: lo prendevano a calci (espressione eufemistica che ironicamente sottolinea le violenze subite dal ragazzo). 7 lo accarezzavano coi piedi: in gruppo, insieme. 8 in crocchio: recipiente intrecciato di vimini e rami di castagno che serviva per portare la rena fuori dalla cava. 9 corbello: prendendolo in giro. 10 motteggiandolo: il direttore dei lavori. 11 il soprastante: egli. 12 Ei: cresceva fra i calci. Si noti l’uso metaforico del verbo “ingrassare”, con cui Malpelo viene associato ai maiali. 13 c’ingrassava fra i calci: imbrattato, lercio. 14 lordo: si era fidanzata. 15 s’era… sposa: espressione idiomatica per indicare notorietà (la è una pianta erbacea assai diffusa). 16 era… bettonica: bettonica all’epoca era un sobborgo catanese; ora è una via cittadina. 17 Monserrato: zona popolare di Catania. 18 Carvana: designa il manovale; è diminutivo di Domenico. 19 mastro Misciu: mastro Misciu Era morto così, che un sabato aveva voluto terminare certo lavoro preso a cottimo, di un pilastro lasciato altra volta per sostegno nella cava, e che ora non serviva più, e s’era calcolato così ad occhio col padrone per 35 o 40 carra di rena. 20 Invece mastro Misciu sterrava da tre giorni e ne avanzava ancora per la mezza 21     giornata del lunedì. Era stato un magro affare e solo un minchione come mastro 30 22 Misciu aveva potuto lasciarsi gabbare a questo modo dal padrone; perciò appunto 23 lo chiamavano mastro Misciu Bestia, ed era l’asino da basto di tutta la cava. 24 Ei, povero diavolaccio, lasciava dire e si contentava di buscarsi il pane colle sue 25 braccia, invece di menarle addosso ai compagni, e attaccar brighe. Malpelo faceva     un visaccio come se quelle soperchierie cascassero sulle sue spalle, e così piccolo 35 26 com’era aveva di quelle occhiate che facevano dire agli altri: «Va’ là, che tu non ci morrai nel tuo letto, come tuo padre». Invece nemmen suo padre ci morì nel suo letto, tuttoché fosse una buona 27 bestia. Zio Mommu lo sciancato, aveva detto che quel pilastro lì ei non l’avrebbe 28     tolto per venti onze, tanto era pericoloso; ma d’altra parte tutto è pericoloso 40 29 nelle cave, e se si sta a badare al pericolo, è meglio andare a fare l’avvocato. Adunque il sabato sera mastro Misciu raschiava ancora il suo pilastro che l’avemaria era suonata da un pezzo, e tutti i suoi compagni avevano accesa la pipa 30 e se n’erano andati dicendogli di divertirsi a grattarsi la pancia per amor del padrone,     e raccomandandogli di non fare la . Ei, che c’era avvezzo 45 morte del sorcio 31 alle beffe, non dava retta, e rispondeva soltanto cogli ah! ah! dei suoi bei colpi di zappa in pieno; e intanto borbottava: «Questo è per il pane! Questo pel vino! Questo per la gonnella di Nunziata!» e così andava facendo il conto del come 32 avrebbe speso i denari del suo – il cottimante! appalto 33     Fuori della cava il cielo formicolava di stelle, e laggiù la lanterna fumava e girava 50 al pari di un arcolaio; ed il grosso pilastro rosso, sventrato a colpi di zappa, 34 contorcevasi e si piegava in arco come se avesse il mal di pancia, e dicesse: ohi! ohi! anch’esso. Malpelo andava sgomberando il terreno, e metteva al sicuro il piccone, il sacco vuoto ed il fiasco del vino. Il padre che gli voleva bene, poveretto, andava     dicendogli: «Tirati indietro!» oppure «Sta’ attento! Sta’ attento se cascano dall’alto 55 dei sassolini o della rena grossa». Tutt’a un tratto non disse più nulla, e Malpelo, che si era voltato a riporre i ferri nel corbello, udì un rumore sordo e soffocato, 35 come fa la rena allorché si rovescia tutta in una volta; ed il lume si spense. Quella sera in cui vennero a cercare in tutta fretta l’ingegnere che dirigeva i     lavori della cava ei si trovava a teatro, e non avrebbe cambiato la sua poltrona 60 con un trono, perch’era gran dilettante. Rossi rappresentava l’Amleto, e c’era un 36 bellissimo teatro. Sulla porta si vide accerchiato da tutte le femminucce di Monserrato, 37 che strillavano e si picchiavano il petto per annunziare la gran disgrazia ch’era toccata a comare Santa, la sola, poveretta, che non dicesse nulla, e sbatteva 38     i denti quasi fosse in gennaio. L’ingegnere, quando gli ebbero detto che il caso era 65 accaduto da circa quattro ore, domandò cosa venissero a fare da lui dopo quattro ore. Nondimeno ci andò con scale e torcie a vento, ma passarono altre due ore, e 39 fecero sei, e lo sciancato disse che a sgomberare il sotterraneo dal materiale caduto ci voleva una settimana.     Altro che quaranta carra di rena! Della rena ne era caduta una montagna, tutta 70 fina e ben bruciata dalla lava, che si sarebbe impastata colle mani e dovea prendere il doppio di calce. Ce n’era da riempire delle carra per delle settimane. Il 40 bell’affare di mastro Bestia! L’ingegnere se ne tornò a veder seppellire Ofelia; e gli altri minatori si strinsero 41     nelle spalle, e se ne tornarono a casa ad uno ad uno. Nella ressa e nel gran 75 chiacchierìo non badarono a una voce di fanciullo, la quale non aveva più nulla di umano, e strillava: «Scavate! scavate qui! presto!». «To’!», disse lo sciancato «è Malpelo! Da dove è venuto fuori Malpelo? Se tu non fossi stato Malpelo, non te la saresti scappata, no!». Gli altri si misero a ridere, e chi diceva che Malpelo avea 42     il diavolo dalla sua, un altro che avea il cuoio duro a mo’ dei gatti. Malpelo non 80 43 rispondeva nulla, non piangeva nemmeno, scavava colle unghie colà nella rena, dentro la buca, sicché nessuno s’era accorto di lui; e quando si accostarono col lume gli videro tal viso stravolto, e tali occhiacci invetrati, e tale schiuma alla 44 bocca da far paura; le unghie gli si erano strappate e gli pendevano dalle mani     tutte in sangue. Poi quando vollero toglierlo di là fu un affar serio; non potendo 85 più graffiare, mordeva come un cane arrabbiato e dovettero afferrarlo pei capelli, per tirarlo via a viva forza. La morte del padre plurale neutro di carro, indica un’unità di misura. 20 carra: scavava. 21 sterrava: stupido. 22 minchione: ingannare, imbrogliare. 23 gabbare: bestia da soma. Il è la sella di legno che si mette sul dorso delle bestie da soma per il trasporto di ceste, bigonci o altro carico. 24 asino da basto: basto guadagnarsi. 25 buscarsi: angherie, soprusi. 26 soperchierie: nonostante. 27 tuttoché: diminutivo di Gerolamo. era l’appellativo rivolto alle persone anziane in segno di rispetto. 28 Zio Mommu: Zio once, antiche monete siciliane. 29 onze: era già sera inoltrata. Nel mondo contadino, i tocchi delle campane scandivano, oltre che i momenti delle preghiere, anche i tempi del lavoro. 30 l’avemaria era suonata: restare intrappolato. 31 fare la morte del sorcio : è la sorella di Malpelo. 32 Nunziata: lavoratore a cottimo, cioè retribuito in base al risultato ottenuto in un determinato lasso di tempo. 33 cottimante: strumento per ridurre in gomitoli le matasse di filo o lana. 34 arcolaio: gli attrezzi. 35 i ferri: appassionato di teatro. 36 dilettante: il livornese Ernesto Rossi (1827-1896), uno dei grandi attori teatrali del tempo, vestiva i panni del protagonista della famosa tragedia shakespeariana. Un pubblico numeroso ed elegante ( ) assisteva alla rappresentazione. 37 Rossi… teatro: bellissimo teatro dando per scontato che i suoi lettori la conoscano, il narratore non presenta il personaggio: sta a noi dedurre che si tratta della moglie di Misciu e della mamma di Rosso Malpelo. 38 comare Santa: torce che non si spengono con il vento. 39 torcie a vento: ci voleva una doppia quantità di calce per amalgamarla meglio. 40 doppio di calce: nella prima scena dell’ultimo atto dell’ , Ofelia si uccide. Amleto, che ignora la sua morte, capisce dal corteo funebre che la donna morta è Ofelia. L’ingegnere, dunque, torna a teatro in tempo per vedere la fine dello spettacolo. 41 Ofelia: Amleto non ti saresti salvato. 42 non te la saresti scappata: pelle. 43 cuoio: vitrei. 44 invetrati: Però infine tornò alla cava dopo qualche giorno, quando sua madre    ▶ piagnuccolando ve lo condusse per mano; giacché, alle volte il pane che si mangia non si     può andare a cercarlo di qua e di là. Anzi non volle più allontanarsi da quella 90 45 galleria, e sterrava con accanimento, quasi ogni corbello di rena lo levasse di sul 46 petto a suo padre. Alle volte, mentre zappava, si fermava bruscamente, colla zappa in aria, il viso torvo e gli occhi stralunati, e sembrava che stesse ad ascoltare qualche cosa che il suo diavolo gli susurrava negli orecchi, dall’altra parte della     montagna di rena caduta. In quei giorni era più tristo e cattivo del solito, talmente 95 che non mangiava quasi, e il pane lo buttava al cane, come se non fosse grazia di . Il cane gli voleva bene, perché i cani non guardano altro che la mano la quale Dio dà loro il pane. Ma l’asino grigio, povera bestia, sbilenca e macilenta, sopportava 47 tutto lo sfogo della cattiveria di Malpelo; ei lo picchiava senza pietà, col manico   della zappa, e borbottava: «Così creperai più presto!». 100 Dopo la morte del babbo pareva che gli fosse entrato il diavolo in corpo, e lavorava al pari di quei bufali feroci che si tengono coll’anello di ferro al naso. Sapendo che era , ei si acconciava ad esserlo il peggio che fosse possibile, e se malpelo accadeva una disgrazia, o che un operaio smarriva i ferri, o che un asino si rompeva   una gamba, o che crollava un pezzo di galleria, si sapeva sempre che era stato lui; e 105 infatti ei si pigliava le busse senza protestare, proprio come se le pigliano gli asini 48 che curvano la schiena, ma seguitano a fare a modo loro. Cogli altri ragazzi poi era addirittura crudele, e sembrava che si volesse vendicare sui deboli di tutto il male che s’immaginava gli avessero fatto, a lui e al suo babbo. Certo ei provava uno 49   strano diletto a rammentare ad uno ad uno tutti i maltrattamenti ed i soprusi che 110 avevano fatto subire a suo padre, e del modo in cui l’avevano lasciato crepare. E quando era solo borbottava: «Anche con me fanno così! e a mio padre gli dicevano Bestia, perché ei non faceva così!». E una volta che passava il padrone, accompagnandolo con un’occhiata torva: «È stato lui, per trentacinque tarì!». E un’altra 50   volta, dietro allo sciancato: «E anche lui! e si metteva a ridere! Io l’ho udito, quella 115 sera!». Il ritorno nella cava TRECCANI ▶ Le parole valgono Un bambino che per ogni sciocchezza ha l’abitudine di lamentarsi, più o meno sommessamente, per un po’ di tempo. Ma possiamo usare questo verbo anche quando disapproviamo il balbettio di un amico troppo incline alle lagne: «Ma che cosa ?». piagnucolare piagnucola piagnucoli ▶ Piagnucolare rientra nella categoria dei verbi a cui un suffisso alterativo conferisce una certa sfumatura. Indica quale significato assumono i seguenti verbi alterati: fischiettare ; vivacchiare ; parlottare ; leggiucchiare ; rubacchiare . cioè non ci si può permettere il lusso di perdere un lavoro che garantisce la sopravvivenza. 45 giacché… di là: dal. 46 di sul: storta e denutrita. 47 sbilenca e macilenta: percosse. 48 busse: la voce narrante si mostra sempre ostile ai pensieri e agli stati d’animo di Malpelo. 49 s’immaginava: cioè per pochi soldi. Il tarì è un’antica moneta siciliana equivalente a 42 centesimi di lira. 50 per trentacinque tarì: Per un raffinamento di malignità sembrava aver preso a proteggere un povero 51 ragazzetto, venuto a lavorare da poco tempo nella cava, il quale per una caduta da un ponte s’era lussato il femore, e non poteva far più il manovale. Il 52   poveretto, quando portava il suo corbello di rena in spalla, arrancava in modo che 120 sembrava ballasse la tarantella, e aveva fatto ridere tutti quelli della cava, così che gli avevano messo nome Ranocchio; ma lavorando sotterra, così ranocchio com’era, il suo pane se lo buscava; e Malpelo gliene dava anche del suo, per prendersi il gusto di tiranneggiarlo, dicevano. 53   Infatti egli lo tormentava in cento modi. Ora lo batteva senza un motivo e 125 senza misericordia, e se Ranocchio non si difendeva, lo picchiava più forte, con maggiore accanimento, e gli diceva: «To’! Bestia! Bestia sei! Se non ti senti l’animo 54 di difenderti da me che non ti voglio male, vuol dire che ti lascerai pestare il viso da questo e da quello!».   O se Ranocchio si asciugava il sangue che gli usciva dalla bocca o dalle narici: 130 «Così, come ti cuocerà il dolore delle busse, imparerai a darne anche tu!». Quando 55 cacciava un asino carico per la ripida salita del sotterraneo, e lo vedeva puntare gli zoccoli, rifinito, curvo sotto il peso, ansante e coll’occhio spento, ei lo batteva 56 senza misericordia, col manico della zappa, e i colpi suonavano secchi sugli stinchi   e sulle costole scoperte. Alle volte la bestia si piegava in due per le battiture, ma 135 stremo di forze non poteva fare un passo, e cadeva sui ginocchi, e ce n’era uno il 57 quale era caduto tante volte, che ci aveva due piaghe alle gambe; e Malpelo allora confidava a Ranocchio: «L’asino va picchiato, perché non può picchiar lui; e s’ei potesse picchiare, ci pesterebbe sotto i piedi e ci strapperebbe la carne a morsi».   Oppure: «Se ti accade di dar delle busse, procura di darle più forte che puoi; 140 così coloro su cui cadranno ti terranno per da più di loro, e ne avrai tanti di 58 meno addosso». Lavorando di piccone o di zappa poi menava le mani con accanimento, a mo’ di uno che l’avesse con la rena, e batteva e ribatteva coi denti stretti, e con quegli 59    che aveva suo padre. «La rena è traditora», diceva a Ranocchio sottovoce; 145 ah! ah! «somiglia a tutti gli altri, che se sei più debole ti pestano la faccia, e se sei più forte, o siete in molti, come fa lo Sciancato, allora si lascia vincere. Mio padre la batteva sempre, ed egli non batteva altro che la rena, perciò lo chiamavano Bestia, e la rena se lo mangiò a tradimento, perché era più forte di lui».   Ogni volta che a Ranocchio toccava un lavoro troppo pesante, e Ranocchio 150 piagnuccolava a guisa di una femminuccia, Malpelo lo picchiava sul dorso e lo 60 sgridava: «Taci pulcino!» e se Ranocchio non la finiva più, ei gli dava una mano, dicendo con un certo orgoglio: «Lasciami fare; io sono più forte di te». Oppure gli dava la sua mezza cipolla, e si contentava di mangiarsi il pane asciutto, e si stringeva   nelle spalle, aggiungendo: «Io ci sono avvezzo». 155 Era avvezzo a tutto lui, agli scapaccioni, alle pedate, ai colpi di manico di badile, o di cinghia da basto, a vedersi ingiuriato e beffato da tutti, a dormire sui sassi, colle braccia e la schiena rotta da quattordici ore di lavoro; anche a digiunare era avvezzo, allorché il padrone lo puniva levandogli il pane o la minestra. Ei diceva   che la razione di busse non gliela aveva levata mai il padrone; ma le busse non 160 costavano nulla. Non si lamentava però, e si vendicava di soppiatto, a tradimento, con qualche tiro di quelli che sembrava ci avesse messo la coda il diavolo: perciò ei si pigliava sempre i castighi anche quando il colpevole non era stato lui; già se non era stato lui sarebbe stato capace di esserlo, e non si giustificava mai: per altro   sarebbe stato inutile. E qualche volta come Ranocchio spaventato lo scongiurava 165 piangendo di dire la verità e di scolparsi, ei ripeteva: «A che giova? Sono malpelo!» e nessuno avrebbe potuto dire se quel curvare il capo e le spalle sempre fosse effetto di bieco orgoglio o di disperata rassegnazione, e non si sapeva nemmeno se la sua fosse salvatichezza o timidità. Il certo era che nemmeno sua madre aveva 61   avuta mai una carezza da lui, e quindi non gliene faceva mai. 170 Malpelo si affeziona a Ranocchio forma particolarmente sottile. 51 raffinamento: ponteggio. 52 ponte: il narratore si guarda bene dal mettere in dubbio le insinuazioni del coro popolare sul carattere di Malpelo, a cui aderisce senza riserve. 53 dicevano: se non hai il coraggio. 54 Se non ti senti l’animo: brucerà. 55 cuocerà: sfinito. 56 rifinito: quasi privo. 57 stremo: ti considereranno più forte di loro. Questa è la legge del mondo che Rosso Malpelo ha imparato a sue spese e che ora vuole insegnare a Ranocchio perché impari a difendersi. 58 ti terranno per da più di loro: fosse in collera. 59 l’avesse: come. 60 a guisa di: scontrosità o timidezza. 61 salvatichezza o timidità: Il sabato sera, appena arrivava a casa con quel suo visaccio imbrattato di lentiggini e di rena rossa, e quei cenci che gli piangevano addosso da ogni parte, la 62 sorella afferrava il manico della scopa se si metteva sull’uscio in quell’arnese, ché 63 avrebbe fatto scappare il suo damo se avesse visto che razza di cognato gli toccava 64   sorbirsi; la madre era sempre da questa o da quella vicina, e quindi egli andava 175 a rannicchiarsi sul suo saccone come un cane malato. Adunque, la domenica, in 65 cui tutti gli altri ragazzi del vicinato si mettevano la camicia pulita per andare a messa o per ruzzare nel cortile, ei sembrava non avesse altro spasso che di andar 66 randagio per le vie degli orti, a dar la caccia a sassate alle povere lucertole, le quali   non gli avevano fatto nulla, oppure a sforacchiare le siepi dei fichidindia. Per altro 180 le beffe e le sassate degli altri fanciulli non gli piacevano. La vedova di mastro Misciu era disperata di aver per figlio quel malarnese, 67 come dicevano tutti, ed egli era ridotto veramente come quei cani, che a furia di buscarsi dei calci e delle sassate da questo e da quello, finiscono col mettersi la coda fra   le gambe e scappare alla prima anima viva che vedono, e diventano affamati, spelati 185 e selvatici come lupi. Almeno sottoterra, nella cava della rena, brutto e cencioso e sbracato com’era, non lo beffavano più, e sembrava fatto apposta per quel mestiere persin nel colore dei capelli, e in quegli occhiacci di gatto che ammiccavano se 68 vedevano il sole. Così ci sono degli asini che lavorano nelle cave per anni ed anni   senza uscirne mai più, ed in quei sotterranei, dove il pozzo di ingresso è verticale, 190 ci si calan colle funi, e ci restano finché vivono. Sono asini vecchi, è vero, comprati dodici o tredici lire, quando stanno per portarli alla Plaja, a strangolarli; ma pel 69 lavoro che hanno da fare laggiù sono ancora buoni; e Malpelo, certo, non valeva di più, e se veniva fuori dalla cava il sabato sera, era perché aveva anche le mani per   aiutarsi colla fune, e doveva andare a portare a sua madre la paga della settimana. 195 70 Certamente egli avrebbe preferito di fare il manovale, come Ranocchio, e lavorare cantando sui ponti, in alto, in mezzo all’azzurro del cielo, col sole sulla schiena – o il carrettiere, come compare Gaspare che veniva a prendersi la rena della cava, dondolandosi sonnacchioso sulle stanghe, colla pipa in bocca, e andava 71   tutto il giorno per le belle strade di campagna – o meglio ancora avrebbe 200 voluto fare il contadino che passa la vita fra i campi, in mezzo al verde, sotto i folti carrubbi, e il mare turchino là in fondo, e il canto degli uccelli sulla testa. Ma 72 quello era stato il mestiere di suo padre, e in quel mestiere era nato lui. E pensando a tutto ciò, indicava a Ranocchio il pilastro che era caduto addosso al genitore,   e dava ancora della rena fina e bruciata che il carrettiere veniva a caricare colla 205 pipa in bocca, e dondolandosi sulle stanghe, e gli diceva che quando avrebbero finito di sterrare si sarebbe trovato il cadavere di suo padre, il quale doveva avere dei calzoni di fustagno quasi nuovi. Ranocchio aveva paura, ma egli no. Ei narrava che era stato sempre là, da bambino, e aveva sempre visto quel buco nero, che si   sprofondava sotterra, dove il padre soleva condurlo per mano. Allora stendeva le 210 braccia a destra e a sinistra, e descriveva come l’intricato laberinto delle gallerie si stendesse sotto i loro piedi dappertutto, di qua e di là, sin dove potevano vedere la sciara nera e desolata, sporca di ginestre riarse, e come degli uomini ce n’erano 73 rimasti tanti, o schiacciati, o smarriti nel buio, e che camminano da anni e camminano   ancora, senza poter scorgere lo spiraglio del pozzo pel quale sono entrati, e 215 senza poter udire le strida disperate dei figli, i quali li cercano inutilmente. La vita fuori dalla cava cadevano, pendevano. 62 piangevano: conciato a quel modo. 63 in quell’arnese: fidanzato. 64 damo: il sacco di paglia che serviva da materasso. 65 saccone: far chiasso. 66 ruzzare: poco di buono, disgraziato. 67 malarnese: si strizzavano. 68 ammiccavano: località costiera a sud del porto di Catania. 69 Plaja: a differenza dei vecchi asini. 70 era… fune: i due elementi anteriori del carro tra i quali si attacca il cavallo. 71 stanghe: alberi sempreverdi dalla chioma larga e folta, diffusi nelle campagne siciliane. 72 carrubbi: accumulo di scorie vulcaniche che si forma sulla superficie o ai lati delle colate laviche. 73 sciara: Ma una volta in cui riempiendo i corbelli si rinvenne una delle scarpe di mastro Misciu, ei fu colto da tal tremito che dovettero tirarlo all’aria aperta colle funi, proprio come un asino che stesse per dar dei calci al vento. Però non si poterono 74   trovare né i calzoni quasi nuovi, né il rimanente di mastro Misciu; sebbene i pratici 220 75 asserissero che quello dovea essere il luogo preciso dove il pilastro gli si era rovesciato addosso; e qualche operaio, nuovo del mestiere, osservava curiosamente 76 come fosse capricciosa la rena, che aveva sbatacchiato il Bestia di qua e di là, le scarpe da una parte e i piedi dall’altra.   Dacché poi fu trovata quella scarpa, Malpelo fu colto da tal paura di veder 225 comparire fra la rena anche il piede nudo del babbo, che non volle mai più darvi un colpo di zappa; gliela dessero a lui sul capo, la zappa. Egli andò a lavorare in un altro punto della galleria e non volle più tornare da quelle parti. Due o tre giorni dopo scopersero infatti il cadavere di mastro Misciu, coi calzoni indosso,   e steso bocconi che sembrava imbalsamato. Lo zio Mommu osservò che aveva 230 dovuto stentar molto a morire, perché il pilastro gli si era piegato in arco addosso, e l’aveva seppellito vivo; si poteva persino vedere tuttora che mastro Bestia avea tentato istintivamente di liberarsi scavando nella rena, e avea le mani lacerate e le unghie rotte. «Proprio come suo figlio Malpelo!», ripeteva lo sciancato, «ei scavava   di qua, mentre suo figlio scavava di là». Però non dissero nulla al ragazzo per la 235 ragione che lo sapevano maligno e vendicativo. Il carrettiere sbarazzò il sotterraneo dal cadavere al modo istesso che lo sbarazzava dalla rena caduta e dagli asini morti, ché stavolta oltre al lezzo del carcame, 77 78 c’era che il carcame era di ; e la vedova rimpiccolì i calzoni e carne battezzata 79   la camicia, e li adattò a Malpelo, il quale così fu vestito quasi a nuovo per la prima 240 volta, e le scarpe furono messe in serbo per quando ei fosse cresciuto, giacché rimpiccolirsi le scarpe non si potevano, e il fidanzato della sorella non ne aveva volute di scarpe del morto. Malpelo se li lisciava sulle gambe quei calzoni di fustagno quasi nuovo, gli pareva   che fossero dolci e lisci come le mani del babbo che solevano accarezzargli i 245 capelli, così ruvidi e rossi com’erano. Quelle scarpe le teneva appese ad un chiodo, sul saccone, quasi fossero state le pantofole del papa, e la domenica se le pigliava in mano, le lustrava e se le provava; poi le metteva per terra, l’una accanto all’altra, e stava a contemplarsele coi gomiti sui ginocchi, e il mento nelle palme per delle   ore intere, rimugginando chi sa quali idee in quel cervellaccio. 250 80 Ei possedeva delle idee strane, Malpelo! Siccome aveva ereditato anche il piccone e la zappa del padre, se ne serviva, quantunque fossero troppo pesanti per l’età sua; e quando gli aveano chiesto se voleva venderli, che glieli avrebbero pagati come nuovi, egli aveva risposto di no; suo padre li ha resi così lisci e lucenti   nel manico colle sue mani, ed ei non avrebbe potuto farsene degli altri più lisci e 255 lucenti di quelli, se ci avesse lavorato cento e poi cento anni. In quel tempo era crepato di stenti e di vecchiaia l’asino grigio; e il carrettiere era andato a buttarlo lontano nella sciara. «Così si fa», brontolava Malpelo; «gli arnesi che non servono più si buttano lontano». Ei andava a visitare il carcame del   grigio in fondo al burrone, e vi conduceva a forza anche Ranocchio, il quale non 260 avrebbe voluto andarci; e Malpelo gli diceva che a questo mondo bisogna avvezzarsi a vedere in faccia ogni cosa, bella o brutta; e stava a considerare con l’avida curiosità di un monellaccio i cani che accorrevano da tutte le fattorie dei dintorni a disputarsi le carni del . I cani scappavano guaendo, come comparivano i ragazzi, grigio   e si aggiravano ustolando sui greppi dirimpetto, ma il Rosso non lasciava 265 81 82 che Ranocchio li scacciasse a sassate. «Vedi quella cagna nera», gli diceva, «che non ha paura delle tue sassate; non ha paura perché ha più fame degli altri. Gliele vedi quelle costole!». Adesso non soffriva più, l’asino grigio, e se ne stava tranquillo colle quattro zampe distese, e lasciava che i cani si divertissero a vuotargli le occhiaie   profonde e a spolpargli le ossa bianche e i denti che gli laceravano le viscere non gli 270 avrebbero fatto piegar la schiena come il più semplice colpo di badile che solevano dargli onde mettergli in corpo un po’ di vigore quando saliva la ripida viuzza. Ecco come vanno le cose! Anche il ha avuto dei colpi di zappa e delle guidalesche, grigio 83 e anch’esso quando piegava sotto il peso e gli mancava il fiato per andare   innanzi, aveva di quelle occhiate, mentre lo battevano, che sembrava dicesse: «Non 275 più! non più!». Ma ora gli occhi se li mangiano i cani, ed esso se ne ride dei colpi e delle guidalesche con quella bocca spolpata e tutta denti. E se non fosse mai nato sarebbe stato meglio. Il ritrovamento del corpo del padre come un asino che stesse per morire. Il narratore brilla ancora una volta per insensibilità: la similitudine descrive infatti con cinismo l’angoscia di Malpelo al ritrovamento della scarpa del padre. 74 come un asino… vento: i lavoratori più esperti. 75 i pratici: con stupore. 76 curiosamente: solo che. 77 ché: carogna. 78 carcame: cristiano, essere umano. 79 carne battezzata : secondo la tecnica dello straniamento, il narratore non ammette il dolore di Malpelo, che mostrerebbe anche in questo caso una incomprensibile stravaganza. 80 rimugginando chi sa quali idee in quel cervellaccio: mugolando per desiderio di cibo. 81 ustolando: fianchi di colline. 82 greppi: piaghe sul corpo di cavalli o di altri animali da soma, dovute specialmente all’attrito dei finimenti. 83 guidalesche: La sciara si stendeva malinconica e deserta fin dove giungeva la vista, e saliva   e scendeva in picchi e burroni, nera e rugosa, senza un grillo che vi trillasse, o un 280 uccello che vi volasse su. Non si udiva nulla, nemmeno i colpi di piccone di coloro che lavoravano sotterra. E ogni volta Malpelo ripeteva che al di sotto era tutta scavata dalle gallerie, per ogni dove, verso il monte e verso la valle; tanto che una volta un minatore c’era entrato coi capelli neri, e n’era uscito coi capelli bianchi,   e un altro cui s’era spenta la torcia aveva invano gridato aiuto ma nessuno poteva 285 udirlo. «Egli solo ode le sue stesse grida!», diceva, e a quell’idea, sebbene avesse il cuore più duro della sciara, trasaliva. «Il padrone mi manda spesso lontano, dove gli altri hanno paura d’andare. Ma io sono Malpelo, e se io non torno più, nessuno mi cercherà».   Pure, durante le belle notti d’estate, le stelle splendevano lucenti anche sulla 290 sciara, e la campagna circostante era nera anch’essa, come la sciara, ma Malpelo, stanco della lunga giornata di lavoro, si sdraiava sul sacco, col viso verso il cielo, a godersi quella quiete e quella luminaria dell’alto; perciò odiava le notti di luna, 84 in cui il mare    di scintille, e la campagna si disegna qua e là vagamente ▶ formicola   – allora la sciara sembra più brulla e desolata. «Per noi che siamo fatti per vivere 295 sotterra», pensava Malpelo, «ci dovrebbe essere buio sempre e dappertutto». La civetta strideva sulla sciara, e ramingava di qua e di là; ei pensava: «Anche la civetta 85 sente i morti che son qua sotterra e si dispera perché non può andare a trovarli». Ranocchio aveva paura delle civette e dei pipistrelli; ma il Rosso lo sgridava   perché chi è costretto a star solo non deve aver paura di nulla, e nemmeno l’asino 300 grigio aveva paura dei cani che se lo spolpavano, ora che le sue carni non sentivano più il dolore di esser mangiate. «Tu eri avvezzo a lavorar sui tetti come i gatti», gli diceva, «e allora era tutt’altra cosa. Ma adesso che ti tocca a viver sotterra, come i topi, non bisogna più aver   paura dei topi, né dei pipistrelli, che son topi vecchi con le ali, e i topi ci stanno 305 volentieri in compagnia dei morti». Ranocchio invece provava una tale compiacenza a spiegargli quel che ci stessero a far le stelle lassù in alto; e gli raccontava che lassù c’era il paradiso, dove vanno a stare i morti che sono stati buoni e non hanno dato dispiaceri ai loro   genitori. «Chi te l’ha detto?», domandava Malpelo, e Ranocchio rispondeva che 310 glielo aveva detto la mamma. Allora Malpelo si grattava il capo, e sorridendo gli faceva un certo verso da monellaccio malizioso che la sa lunga. «Tua madre ti dice così perché, invece dei calzoni, tu dovresti portar la gonnella».   E dopo averci pensato su un po’: 315 «Mio padre era buono e non faceva male a nessuno, tanto che gli dicevano Bestia. Invece è là sotto, ed hanno persino trovato i ferri e le scarpe e questi calzoni qui che ho indosso io». Il deserto della sciara TRECCANI ▶ Le parole valgono Piazze traboccanti di uomini e di donne, vie che brulicano di passanti e mercati che si riempiono di curiosi. Le persone possono accalcarsi negli spazi come fanno le formiche quando si assembrano: in questi casi possiamo dire che le strade delle città d’arte di turisti e gruppi di tifosi intorno ai campioni della propria squadra. formicolare formicolano formicolano ▶ Tra i verbi seguenti uno non è sinonimo di formicolare ; individualo: pullulare ; essere gremito ; intruppare ; sciamare . luci del cielo, stelle. 84 luminaria dell’alto: si aggirava. 85 ramingava: Da lì a poco, Ranocchio il quale deperiva da qualche tempo, si ammalò in   modo che la sera dovevano portarlo fuori dalla cava sull’asino, disteso fra le corbe, 320 86 tremante di febbre come un pulcin bagnato. Un operaio disse che quel ragazzo a quel mestiere, e che per lavorare in una miniera non ne avrebbe fatto osso duro 87 senza lasciarvi la pelle bisognava nascervi. Malpelo allora si sentiva orgoglioso di esserci nato e di mantenersi così sano e vigoroso in quell’aria malsana, e con   tutti quegli stenti. Ei si caricava Ranocchio sulle spalle, e gli faceva animo alla sua 325 maniera, sgridandolo e picchiandolo. Ma una volta nel picchiarlo sul dorso Ranocchio fu colto da uno sbocco di sangue, allora Malpelo spaventato si affannò 88 a cercargli nel naso e dentro la bocca cosa gli avesse fatto, e giurava che non avea potuto fargli quel gran male, così come l’aveva battuto, e a dimostrarglielo, si dava   dei gran pugni sul petto e sulla schiena con un sasso; anzi un operaio, lì presente, 330 gli sferrò un gran calcio sulle spalle, un calcio che risuonò come su di un tamburo, eppure Malpelo non si mosse, e soltanto dopo che l’operaio se ne fu andato, aggiunse: «Lo vedi? Non mi ha fatto nulla! E ha picchiato più forte di me, ti giuro!». Intanto Ranocchio non guariva e seguitava a sputar sangue, e ad aver la febbre   tutti i giorni. Allora Malpelo rubò dei soldi della paga della settimana, per comperargli 335 del vino e della minestra calda, e gli diede i suoi calzoni quasi nuovi che lo coprivano meglio. Ma Ranocchio tossiva sempre e alcune volte sembrava soffocasse, e la sera non c’era modo di vincere il ribrezzo della febbre, né con sacchi, né 89 coprendolo di paglia, né mettendolo dinanzi alla fiammata. Malpelo se ne stava 90   zitto ed immobile chino su di lui, colle mani sui ginocchi, fissandolo con quei 340 suoi occhiacci spalancati come se volesse fargli il ritratto, e allorché lo udiva gemere 91 sottovoce, e gli vedeva il viso trafelato e l’occhio spento, preciso come quello dell’asino grigio allorché ansava rifinito sotto il carico nel salire la viottola, ei gli borbottava: «È meglio che tu crepi presto! Se devi soffrire in tal modo, è meglio   che tu crepi!». E il padrone diceva che Malpelo era capace di schiacciargli il capo a 345 quel ragazzo, e bisognava sorvegliarlo. Finalmente un lunedì Ranocchio non venne più alla cava, e il padrone se ne lavò le mani, perché allo stato in cui era ridotto oramai era più di impiccio che d’altro. Malpelo si informò dove stesse di casa, e il sabato andò a trovarlo. Il povero   Ranocchio era più di là che di qua, e sua madre piangeva e si disperava come se 350 il suo figliolo fosse di quelli che guadagnano dieci lire la settimana. Cotesto non arrivava a comprendere Malpelo, e domandò a Ranocchio perché sua madre strillasse a quel modo, mentre che da due mesi ei non guadagnava nemmeno 92 quel che si mangiava. Ma il povero Ranocchio non gli dava retta e sembrava   che badasse a contare quanti travicelli c’erano sul tetto. Allora il Rosso si diede ad 355 93 almanaccare che la madre di Ranocchio strillasse a quel modo perché il suo figliuolo 94 era sempre stato debole e malaticcio, e l’aveva tenuto come quei marmocchi che non si slattano mai. Egli invece era stato sano e robusto, ed era , e sua 95 malpelo madre non aveva mai pianto per lui perché non aveva mai avuto timore di perderlo.   Poco dopo, alla cava dissero che Ranocchio era morto, ed ei pensò che la civetta 360 adesso strideva anche per lui nella notte, e tornò a visitare le ossa spolpate del , nel burrone dove solevano andare insieme con Ranocchio. Ora del grigio grigio non rimanevano più che le ossa sgangherate, ed anche di Ranocchio sarebbe stato così, e sua madre si sarebbe asciugati gli occhi, poiché anche la madre di Malpelo   s’era asciugati i suoi dopo che mastro Misciu era morto, e adesso si era maritata 365 un’altra volta, ed era andata a stare a Cifali; anche la sorella si era maritata e avevano 96 chiusa la casa. D’ora in poi, se lo battevano, a loro non importava più nulla, e a lui nemmeno, e quando sarebbe divenuto come il o come Ranocchio, grigio non avrebbe sentito più nulla.   Verso quell’epoca venne a lavorare nella cava uno che non s’era mai visto, e si 370 teneva nascosto il più che poteva; gli altri operai dicevano fra di loro che era scappato dalla prigione, e se lo pigliavano ce lo tornavano a chiudere per degli anni e degli anni. Malpelo seppe in quell’occasione che la prigione era un luogo dove si mettevano i ladri, e i malarnesi come lui, e si tenevano sempre chiusi là dentro e   guardati a vista. 375 Da quel momento provò una malsana curiosità per quell’uomo che aveva provata la prigione e n’era scappato. Dopo poche settimane però il fuggitivo dichiarò chiaro e tondo che era stanco di quella vitaccia da talpa e piuttosto si contentava di stare in galera tutta la vita, ché la prigione, in confronto, era un paradiso e preferiva   tornarci coi suoi piedi. «Allora perché tutti quelli che lavorano nella cava non 380 si fanno mettere in prigione?», domandò Malpelo. «Perché non sono come te!», rispose lo sciancato. «Ma non temere, che malpelo tu ci andrai e ci lascerai le ossa». La malattia e la morte di Ranocchio ceste, sinonimo di corbelli. 86 corbe: non si sarebbe abituato. 87 non… duro : è un sintomo tipico della tubercolosi, conseguenza della vita malsana nella cava e della malnutrizione. 88 sbocco di sangue: brivido. 89 ribrezzo: fuoco del camino. 90 fiammata: nell’inciso si manifestano i giudizi corali degli altri cavatori. 91 come se… ritratto: sebbene. 92 mentre che: modo di dire che significa “stare a letto a oziare”. 93 quanti… tetto: immaginare. 94 almanaccare: svezzano. 95 slattano: forma siciliana per Cibali, allora località vicino a Catania, oggi quartiere della città. 96 Cifali: Invece le ossa le lasciò nella cava, Malpelo, come suo padre, ma in modo diverso.   Una volta si doveva esplorare un passaggio che si riteneva comunicasse col 385 pozzo grande a sinistra, verso la valle, e se la cosa era vera, si sarebbe risparmiata una buona metà di mano d’opera nel cavar fuori la rena. Ma se non era vero, c’era il pericolo di smarrirsi e di non tornare mai più. Sicché nessun padre di famiglia voleva avventurarvisi, né avrebbe permesso che ci si arrischiasse il sangue suo per   tutto l’oro del mondo. 390 Ma Malpelo non aveva nemmeno chi si prendesse tutto l’oro del mondo per la sua pelle, se pure la sua pelle valeva tutto l’oro del mondo; sua madre si era rimaritata e se n’era andata a stare a Cifali, e sua sorella s’era maritata anch’essa. La porta della casa era chiusa, ed ei non aveva altro che le scarpe di suo padre appese   al chiodo; perciò gli commettevano sempre i lavori più pericolosi, e le imprese più 395 97 arrischiate, e s’ei non si aveva riguardo alcuno, gli altri non ne avevano certamente per lui. Quando lo mandarono per quella esplorazione si risovvenne del minatore, 98 il quale si era smarrito, da anni ed anni, e cammina e cammina ancora al buio gridando aiuto, senza che nessuno possa udirlo; ma non disse nulla. Del resto a che   sarebbe giovato? Prese gli arnesi di suo padre, il piccone, la zappa, la lanterna, il 400 sacco col pane, e il fiasco del vino, e se ne andò: né più si seppe nulla di lui. Così si persero persin le ossa di Malpelo, e i ragazzi della cava abbassano la voce quando parlano di lui nel sotterraneo, ché hanno paura di vederselo comparire dinanzi, coi capelli rossi e gli occhiacci grigi. La scomparsa di Malpelo affidavano. 97 commettevano: si ricordò. 98 si risovvenne:  >> pagina 199 DENTRO IL TESTO I contenuti tematici La storia di Malpelo è quella di uno sfruttato: nella sua breve vita ha conosciuto soltanto il disprezzo della madre e della sorella, le angherie del padrone e dei compagni della miniera e l’implacabilità della sorte che ha ucciso, nella stessa cava in cui lavora, il padre, Misciu Bestia, l’unico al mondo (r. 54). Dalle sue esperienze, il ragazzo ha tratto una concezione dei rapporti umani che li vuole dominati da una sorta di legge della giungla, quasi una selezione darwiniana nella quale a prevalere è sempre il più forte. Mentre gli altri subiscono questo spietato sistema senza esserne consapevoli, egli ha compreso la brutalità del mondo, accettando con lucida dignità l’ingiustizia come un’immodificabile legge di natura. A tale legge nessuno può sottrarsi: tanto vale adeguarsi, adottando gli stessi strumenti violenti dei carnefici per insegnare ai più deboli (in questo caso, al suo unico amico Ranocchio) come reagire all’ineluttabile prepotenza della vita. che gli voleva bene Una legge darwiniana   Videolezione – Rosso Malpelo La sorte di Malpelo non è individuale. Accanto a lui compaiono nella novella altri personaggi che condividono la stessa condizione di esclusione. Mastro Misciu, Ranocchio e l’asino grigio sono anch’essi dei reietti, destinati a trovare prevedibilmente la morte nell’indifferenza generale. Il narratore, che fa da portavoce della mentalità paesana, assegna loro, non a caso, lo stesso epiteto: sono, infatti, rispettivamente un (r. 33), un (rr. 117-118) e una (r. 98). Invece Rosso Malpelo non è gratificato dalla stessa compassione: perché? La risposta sta nella sua natura e nel possesso di qualità che gli altri vinti non hanno: l’orgoglio, la rabbia e la consapevolezza. Egli, (r. 14), respinge la pietà del mondo (compresa la nostra), non intende suscitare compassione e non lancia patetici appelli ai buoni sentimenti. povero diavolaccio povero ragazzetto povera bestia brutto ceffo, torvo, ringhioso, e selvatico Mai sfiorato dalla tentazione del vittimismo, Malpelo ha acquisito una visione disincantata e impietosa della realtà: animali, persone, perfino le cose (come la rena , r. 145) combattono tra loro per esercitare la violenza del più forte. L’indifferenza che gli manifestano la madre e la sorella, le quali lo considerano come una bestia da fatica, e la perdita del padre, il solo che era capace di dedicargli attenzioni, lo hanno indotto a credere di non meritare l’amore degli altri. Egli si è perfino convinto di essere cattivo come tutti pensano e di dover ricoprire l’unico ruolo che il prossimo gli ha riservato, sia pure negativo ( malpelo , rr. 102-103). Ciò spiega perché, nonostante la generosa protezione che cerca di garantire a Ranocchio (comportamento che il coro paesano interpreta come un malvagio esercizio di superiorità: le sue attenzioni sarebbero solo un modo , rr. 123-124), sceglie di infierire sui più deboli con lo stesso spirito di sopraffazione che subisce lui stesso, in modo da insegnare le dure regole della vita ( , rr. 140-141). traditora Sapendo che era , ei si acconciava ad esserlo il peggio che fosse possibile per prendersi il gusto di tiranneggiarlo Se ti accade di dar delle busse, procura di darle più forte che puoi; così coloro su cui cadranno ti terranno per da più di loro La diversità di Malpelo Tale accettazione fatalistica dei rapporti umani si riverbera anche sulla percezione che Rosso Malpelo ha della morte. Le leggende sulla miniera, il ricordo di chi vi era entrato e (rr. 285-286) e il buio nelle viscere della terra sedimentano nel suo animo un’angoscia incombente, che le morti del padre, dell’asino e di Ranocchio accrescono in modo sinistro. Né il ragazzo fa nulla per liberarsene, anzi: il compiacimento macabro che lo porta ripetutamente alle pendici della sciara grigio (rr. 259-260) sembra assecondare un’inconsapevole vocazione alla morte. Non a caso l’immagine del minatore smarrito gli si riaffaccia alla mente come una sorta di presagio e allo stesso tempo come un invito a non sottrarsi al destino. Quando si tratta di avventurarsi in una difficile ispezione nella cava, egli non rifiuta l’incarico: obbedendo a un intimo desiderio di annullamento, si perde nei cunicoli di sabbia per fuggire lontano dalla violenza del mondo, lasciando di sé soltanto un inquietante e infausto alone di leggenda. spenta la torcia aveva invano gridato aiuto ma nessuno poteva udirlo a visitare il carcame del in fondo al burrone L’incombere della morte Le scelte stilistiche Verga delinea la tragica visione del mondo del suo protagonista rinunciando a ogni interferenza personale. Per questo affida la rappresentazione emotiva e caratteriale di Rosso Malpelo alla comunità dei paesani, dei familiari e dei minatori, di cui assume il punto di vista, secondo quel procedimento di delega della narrazione a un soggetto rappresentativo dell’ambiente dei personaggi che è una delle principali innovazioni tecniche realizzate dal Verismo. Il narratore, cioè, regredisce al loro livello, assumendone acriticamente i pregiudizi e la mentalità. È proprio dal coro paesano che conosciamo il marchio negativo impresso sul ragazzo, di cui i capelli rossi sono, per così dire, il suggello superstizioso: (rr. 1-2). In tal modo il carattere malvagio del protagonista viene legato al suo aspetto fisico. La voce narrante ci presenta dunque un personaggio cattivo e “comprensibilmente” emarginato. Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone L’artificio della “regressione”  >> pagina 200 Al tempo stesso, tuttavia, l’ostilità di tale giudizio viene introdotta per sviluppare un procedimento che lo mette in discussione e ne prende le distanze: ricorrendo a un processo di straniamento (che determina uno scarto tra l’opinione del narratore e quella, implicita, dell’autore), Verga non intende davvero accreditare la fondatezza del pregiudizio del popolo, ma al contrario mostrarne l’ottusità e l’ignoranza. Starà al lettore capovolgere il punto di vista del narratore e cogliere nei comportamenti di Malpelo non una cattiveria gratuita, ma la logica lucida e disperata con cui affronta la vita. L’eroe malvagio o il demone infernale che, secondo le fantasticherie dei ragazzi della cava, può ricomparire sottoterra con i suoi (r. 404) si tramutano, nella coscienza di chi legge, in un personaggio dai gesti umanissimi e dal grande affetto filiale. Anzi, quanto più le parole del narratore esprimono una concezione del mondo rigida e rozza, che deforma la realtà e le motivazioni del comportamento di Rosso Malpelo (anche quelle più umane, come quando mostra attaccamento agli oggetti del padre: , r. 251), tanto più il personaggio si rivela nella sua acuta sensibilità e nel suo quasi eroico atteggiamento nei confronti della vita. Emblematica, per esempio, è la sua scelta di percorrere fino in fondo il proprio destino di morte piuttosto che continuare ad accettare un’esistenza invivibile, soggetta al bieco sfruttamento da parte del padrone. In questo senso, l’opzione di Verga di “regredire” stilisticamente e ideologicamente allo stesso piano degli abitanti del villaggio permette a Rosso Malpelo di assolvere «la funzione di vittima-testimone dell’oppressione dei deboli» (Martinelli). capelli rossi e gli occhiacci grigi Ei possedeva delle idee strane, Malpelo! Lo straniamento Il linguaggio adottato da Verga nella novella rispecchia un canone a cui l’autore vincolerà tutta la produzione verista. Si tratta di una forma mista di italiano colto ed espressioni dialettali (nell’uso della sintassi più che del lessico): una commistione che vuole dare un “tono locale” alla narrazione evitando l’adozione del dialetto vero e proprio (non a caso, proverbi o termini che il pubblico nazionale non conosce vengono evidenziati con il corsivo). Per accentuare la verosimiglianza linguistica del testo e imitare il parlato popolare, Verga ricorre al “che” polivalente ( , rr. 42-43), al frequente uso di “gli” o “le” pleo­nastico ( , r. 24, , rr. 112-113 ecc.), al discorso indiretto libero e a un meccanismo molto efficace. Si tratta della “concatenazione”, grazie alla quale una delle ultime parole o espressioni del periodo precedente viene ripresa all’inizio di quello successivo ( , rr. 25-26; , rr. 36-38; … , rr. 383-384 ecc.): un artificio che accentua la tendenza alla imitazione e permette di tornare ossessivamente sugli stessi vocaboli e sulle stesse frasi, sottolineando l’immutabilità di una condizione umana che si ripete sempre uguale, senza possibilità di riscatto. mastro Misciu raschiava ancora il suo pilastro che l’avemaria era suonata da un pezzo e cotesto al padrone gli seccava assai a mio padre gli dicevano Bestia mastro Misciu, suo padre, era morto nella cava. Era morto così «Va’ là, che tu non ci morrai nel tuo letto, come tuo padre». Invece nemmen suo padre ci morì nel suo letto « tu ci andrai e ci lascerai le ossa». Invece le ossa le lasciò nella cava, Malpelo, come suo padre Le modalità del parlato Vicende come quelle di Rosso Malpelo erano all’ordine del giorno nella Sicilia del tempo. L’autore, oltre a conoscerle direttamente, ne aveva letto sulle pagine della famosa inchiesta parlamentare di Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, pubblicata nel 1877, che dedicava ampio spazio alla piaga del lavoro minorile ( p. 204). L’attenzione alla cronaca e alla documentazione, tuttavia, non deve far passare in second’ordine la qualità letteraria del testo, ricco di echi e reminiscenze. Significativi, per esempio, sono i rimandi all’ dantesco, che sottintendono la comunanza del destino dei minatori con quello dei dannati. Quando Malpelo descrive a Ranocchio il labirinto dei cunicoli della cava, fa riferimento ai lavoratori che prima o poi si perderanno in esso (r. 216), con un’espressione che richiama le parole usate da Virgilio per descrivere a Dante l’oltretomba infernale («ove udirai le disperate strida», I, 115). Più avanti, quando Malpelo racconta di avere (rr. 199-200), la scena fa venire alla mente il paterno gesto di Virgilio che prende per mano Dante al momento del suo ingresso nell’Inferno («E poi che la sua mano a la mia puose», III, 19). Il della miniera può essere assimilato alla «valle d’abisso» che Dante definisce «oscura e profonda» (IV, 10). Quello dantesco, però, è un inferno dei morti e dei peccatori; Verga, invece, descrive un inferno dei vivi, dove la morte rappresenta al tempo stesso una condanna ma anche una liberazione. ▶ Inferno senza poter udire le strida disperate dei figli sempre visto quel buco nero, che si sprofondava sotterra, dove il padre soleva condurlo per mano buco nero Una bolgia infernale  >> pagina 201 VERSO LE COMPETENZE COMPRENDERE 1 Riassumi il contenuto della novella in circa 15 righe. 2 Prima di quella di Malpelo, la novella è scandita da tre morti: quali? 3 Concentrando la tua attenzione sulla “lezione” che Rosso Malpelo impartisce a Ranocchio, sintetizza la sua filosofia di vita. 4 Il certo era che nemmeno sua madre aveva avuta mai una carezza da lui, e quindi non gliene faceva mai (rr. 169-170 ). Che significato ha questa frase? Quale immagine restituisce del rapporto che intercorre tra Malpelo e sua madre? Com’è, invece, il rapporto di Ranocchio con la madre? ANALIZZARE 5 Nel primo periodo troviamo la presenza di due perché . Spiega il loro diverso significato logico. 6 Sicché nessun padre di famiglia voleva avventurarvisi, né avrebbe permesso che ci si arrischiasse il sangue suo (rr. 388-389). Sangue suo è una figura retorica: quale?   a Catacresi.   b Metafora.   c Sineddoche.   d Paronomasia. 7 Trova nel testo almeno due esempi di discorso indiretto libero e trasformali in discorso diretto. 8 Individua parole ed espressioni dialettali riconducibili all’ambiente siciliano. 9 Rintraccia nel testo i paragoni e le metafore che assimilano il protagonista a una bestia e al diavolo. 10 La novella annovera dieci personaggi, alcuni oppressori di Malpelo, altri oppressi come lui. Individuali e indica il loro ruolo riempiendo la seguente tabella. Oppressori Oppressi                             Nella novella, la fabula e l’intreccio coincidono oppure Verga utilizza e anticipazioni?   11 flash back INTERPRETARE  Perché verso la fine del racconto viene inserito l’episodio dell’evaso? Che cosa intuisce Malpelo dalle parole di questo personaggio? 12  Nella novella Verga ricorre molto spesso all’uso dei colori. Quali sono quelli principali e quale valore simbolico è possibile attribuire loro? 13 sviluppare il lessico 14 Pur senza ricorrere al dialetto, Verga utilizza un linguaggio caratterizzato da un lessico e da una sintassi popolare. Trova un corrispettivo in italiano standard per i seguenti termini presenti nella novella. sciancato • gabbare • minchione • crepare • busse • scapaccioni • di soppiatto • ruzzare • rimpiccolire • impiccio scrivere per... argomentare  Capovolgendo l’opinione del coro paesano, sostieni in un testo argomentativo di circa 20 righe le ragioni per le quali Malpelo è anche capace di gesti di bontà e generosità. 15