T9 La roba Novelle rusticane Il motivo verghiano della «roba» è perfettamente esemplificato dalla novella omonima, pubblicata inizialmente nel dicembre del 1880 nella “Rassegna settimanale di politica, scienze, lettere e arti” e poi compresa nella raccolta  Novelle rusticane . Il protagonista è Mazzarò, un uomo che, da bracciante sfruttato, si appropria a poco a poco delle terre e dei beni del suo padrone, diventando ricco. Il possesso come ragione di vita Il viandante che andava lungo il Biviere di Lentini, steso là come un pezzo di 1 2 mare morto, e le stoppie riarse della Piana di Catania, e gli aranci sempre verdi di Francofonte, e i sugheri grigi di Resecone, e i pascoli deserti di Passaneto e di Passanitello, se domandava, per ingannare la noia della lunga strada polverosa, 3       sotto il cielo fosco dal caldo, nell’ora in cui i campanelli della lettiga suonano tristamente 5 4 nell’immensa campagna, e i muli lasciano ciondolare il capo e la coda, e il lettighiere canta la sua canzone malinconica per non lasciarsi vincere dal sonno 5 della malaria: «Qui di chi è?», sentiva rispondersi: «Di Mazzarò». E passando vicino a una fattoria grande quanto un paese, coi magazzini che sembrano chiese,     e le galline a stormi accoccolate all’ombra del pozzo, e le donne che si mettevano 10 la mano sugli occhi per vedere chi passava: «E qui?». «Di Mazzarò». E cammina 6 e cammina, mentre la malaria vi pesava sugli occhi, e vi scuoteva all’improvviso 7 l’abbaiare di un cane, passando per una vigna che non finiva più, e si allargava sul colle e sul piano, immobile, come gli pesasse addosso la polvere, e il guardiano     sdraiato bocconi sullo schioppo, accanto al vallone, levava il capo sonnacchioso, 15 8 e apriva un occhio per vedere chi fosse: «Di Mazzarò». Poi veniva un uliveto folto come un bosco, dove l’erba non spuntava mai, e la raccolta durava fino a marzo. Erano gli ulivi di Mazzarò. E verso sera, allorché il sole tramontava rosso come il fuoco, e la campagna si velava di tristezza, si incontravano le lunghe file degli aratri     di Mazzarò che tornavano adagio adagio dal maggese, e i buoi che passavano 20 9 il guado lentamente, col muso nell’acqua scura; e si vedevano nei pascoli lontani della Canziria, sulla pendice brulla, le immense macchie biancastre delle mandre 10 di Mazzarò; e si udiva il fischio del pastore echeggiare nelle gole, e il campanaccio che risuonava ora sì ed ora no, e il canto solitario perduto nella valle. «Tutta     roba di Mazzarò». Pareva che fosse di Mazzarò perfino il sole che tramontava, e 25 le cicale che ronzavano, e gli uccelli che andavano a rannicchiarsi col volo breve dietro le zolle, e il sibilo dell’assiolo nel bosco. Pareva che Mazzarò fosse disteso 11 tutto grande per quanto era grande la terra, e che gli si camminasse sulla pancia. – Invece egli era un omiciattolo, diceva il lettighiere, che non gli avreste dato un     baiocco, a vederlo; e di grasso non aveva altro che la pancia, e non si sapeva 30 12 come facesse a riempirla, perché non mangiava altro che due soldi di pane; e sì ch’era ricco come un maiale; ma aveva la testa ch’era un brillante, quell’uomo. 13 si tratta di un soggetto indeterminato, uno qualsiasi che cammina e osserva, proiettando sulla realtà il proprio commento soggettivo. 1 Il viandante: bacino paludoso (nel corso del Novecento prosciugato e poi ricostruito artificialmente) nei pressi di Lentini, nell’attuale provincia di Siracusa. 2 Biviere di Lentini: tutte località tra il Catanese e il Siracusano. 3 Piana di Catania… Francofonte… Resecone … Passaneto… Passanitello: carro di trasporto per passeggeri. 4 lettiga: conducente della . 5 lettighiere: lettiga per ripararsi dal sole e vedere meglio. 6 si mettevano… occhi: la malaria è rappresentata come una presenza fisica, che grava sulle palpebre e intorpidisce. 7 la malaria… occhi: fucile. 8 schioppo: campo lasciato a riposo. 9 maggese: campagna nei pressi di Vizzini. 10 Canziria: uccello rapace notturno. 11 assiolo: moneta di scarso valore. 12 baiocco: una metafora popolaresca che esprime l’intelligenza di Mazzarò nell’accumulare un patrimonio tanto grande. 13 un brillante: Infatti, colla testa come un brillante, aveva accumulato tutta quella roba, 14 dove prima veniva da mattina a sera a zappare, a potare, a mietere; col sole, coll’acqua,     col vento; senza scarpe ai piedi, e senza uno straccio di cappotto; che tutti 35 si rammentavano di avergli dato dei calci nel di dietro, quelli che ora gli davano dell’ , e gli parlavano col berretto in mano. Né per questo egli era montato eccellenza 15 in superbia, adesso che tutte le eccellenze del paese erano suoi debitori; e diceva che eccellenza vuol dire povero diavolo e cattivo pagatore; ma egli portava 16     ancora il berretto, soltanto lo portava di seta nera, era la sua sola grandezza, e da 40 ultimo era anche arrivato a mettere il cappello di feltro, perché costava meno del berretto di seta. Della roba ne possedeva fin dove arrivava la vista, ed egli aveva la vista lunga – dappertutto, a destra e a sinistra, davanti e di dietro, nel monte e nella pianura. Più di cinquemila bocche, senza contare gli uccelli del cielo e gli     animali della terra, che mangiavano sulla sua terra, e senza contare la sua bocca la 45 quale mangiava meno di tutte, e si contentava di due soldi di pane e un pezzo di formaggio, ingozzato in fretta e in furia, all’impiedi, in un cantuccio del magazzino grande come una chiesa, in mezzo alla polvere del grano, che non ci si vedeva, mentre i contadini scaricavano i sacchi, o a ridosso di un pagliaio, quando il vento     spazzava la campagna gelata, al tempo del seminare, o colla testa dentro un corbello, 50 17 nelle calde giornate della messe. Egli non beveva vino, non fumava, non 18 usava tabacco, e sì che del tabacco ne producevano i suoi orti lungo il fiume, colle foglie larghe ed alte come un fanciullo, di quelle che si vendevano a 95 lire. Non aveva il vizio del giuoco, né quello delle donne. Di donne non aveva mai avuto     sulle spalle che sua madre, la quale gli era costata anche 12 tarì, quando aveva 55 19 dovuto farla portare al camposanto. Era che ci aveva pensato e ripensato tanto a quel che vuol dire la roba, quando andava senza scarpe a lavorare nella terra che adesso era sua, ed aveva provato quel che ci vuole a fare i tre tarì della giornata, nel mese di luglio, a star colla schiena     curva 14 ore, col soprastante a cavallo dietro, che vi piglia a    se fate di rizzarvi 60 20 ▶ nerbate un momento. Per questo non aveva lasciato passare un minuto della sua vita che non fosse stato impiegato a fare della roba; e adesso i suoi aratri erano numerosi 21 come le lunghe file dei corvi che arrivano in novembre; e altre file di muli, che non finivano più, portavano le sementi; le donne che stavano accoccolate nel     fango, da ottobre a marzo, per raccogliere le sue olive, non si potevano contare, 65 come non si possono contare le gazze che vengono a rubarle; e al tempo della vendemmia accorrevano dei villaggi interi alle sue vigne, e fin dove sentivasi cantare, nella campagna, era per la vendemmia di Mazzarò. Alla messe poi i mietitori di Mazzarò sembravano un esercito di soldati, che per mantenere tutta quella gente,     col biscotto alla mattina e il pane e l’arancia amara a colazione, e la merenda, e 70 22 le lasagne alla sera, ci volevano dei denari a manate, e le lasagne si scodellavano nelle madie larghe come tinozze. Perciò adesso, quando andava a cavallo dietro 23 la fila dei suoi mietitori, col nerbo in mano, non ne perdeva d’occhio uno solo, e 24 badava a ripetere: «Curviamoci, ragazzi!». Egli era tutto l’anno colle mani in tasca     a spendere, e per la sola fondiaria il re si pigliava tanto che a Mazzarò gli veniva 75 25 la febbre, ogni volta. TRECCANI ▶ Le parole valgono Quando diciamo che un campione è il della sua squadra, sottolineiamo la sua centralità, il suo essere fibra del gruppo, l’elemento che conferisce agli altri tempra, vigore, energia fisica. Del resto, la parola indicava in origine una sorta di scudiscio, un frustino fatto di tendini di bue, essiccati e intrecciati, utilizzato per incitare gli animali da traino e anche – in tempi lontani – per punire gli studenti meno attenti o poco educati. Il motore a scoppio e la pedagogia moderna hanno mandato in archivio il e – speriamo – anche le , i colpi secchi dati con questo temibile bastone.  nerbate nerbo nerbo nerbo nerbate ▶ Da nerbo , però, proviene un aggettivo adatto alle persone muscolose, possenti e un po’ rudi: quale? da questo momento il punto di vista del narratore è quello popolare, che condivide la visione del mondo e le ragioni economiche dell’ascesa del protagonista. 14 Infatti: il copricapo dei contadini, mentre i signori indossano il cappello. 15 berretto: i signori (chiamati comunemente “eccellenza”) sono spesso poveri e indebitati. 16 eccellenza vuol dire povero diavolo e cattivo pagatore: canestro di vimini. 17 corbello: mietitura. 18 messe: moneta d’argento coniata in Sicilia fino al tempo di Ferdinando IV di Borbone (sec. XVIII) e in circolazione fino al XIX sec.; riprendeva il nome di una moneta d’oro coniata nella Sicilia araba. 19 tarì: sorvegliante. 20 soprastante: accumulare sostanze. 21 fare della roba: pane cotto due volte per farlo durare più a lungo. 22 biscotto: casse nelle quali si impastava la farina. 23 madie: frusta. 24 nerbo: l’imposta sui terreni. 25 fondiaria: Però ciascun anno tutti quei magazzini grandi come chiese si riempivano di grano che bisognava scoperchiare il tetto per farcelo capire tutto; e ogni volta che 26 Mazzarò vendeva il vino, ci voleva più di un giorno per contare il denaro, tutto di     12 tarì d’argento, ché lui non ne voleva di carta sudicia per la sua roba, e andava 80 27 a comprare la carta sudicia soltanto quando aveva da pagare il re, o gli altri; e alle 28 fiere gli armenti di Mazzarò coprivano tutto il campo, e ingombravano le strade, che ci voleva mezza giornata per lasciarli sfilare, e il santo, colla banda, alle volte 29 dovevano mutar strada, e cedere il passo.     Tutta quella roba se l’era fatta lui, colle sue mani e colla sua testa, col non dormire 85 la notte, col prendere la febbre dal batticuore o dalla malaria, coll’affaticarsi dall’alba a sera, e andare in giro, sotto il sole e sotto la pioggia, col logorare i suoi stivali e le sue mule – egli solo non si logorava, pensando alla sua roba, ch’era tutto quello ch’ei avesse al mondo; perché non aveva né figli, né nipoti, né parenti; non     aveva altro che la sua roba. Quando uno è fatto così, vuol dire che è fatto per la roba. 90 Ed anche la roba era fatta per lui, che pareva ci avesse la calamita, perché la roba vuol stare con chi sa tenerla, e non la sciupa come quel barone che prima era stato il padrone di Mazzarò, e l’aveva raccolto per carità nudo e crudo ne’ suoi campi, ed era stato il padrone di tutti quei prati, e di tutti quei boschi, e di tutte     quelle vigne e tutti quegli armenti, che quando veniva nelle sue terre a cavallo coi 95 campieri dietro, pareva il re, e gli preparavano anche l’alloggio e il pranzo, al 30 minchione, sicché ognuno sapeva l’ora e il momento in cui doveva arrivare, e non si faceva sorprendere colle mani nel sacco. «Costui vuol essere rubato per forza!», diceva Mazzarò, e schiattava dalle risa quando il barone gli dava dei calci nel di   dietro, e si fregava la schiena colle mani, borbottando: «Chi è minchione se ne stia 100 a casa», «la roba non è di chi l’ha, ma di chi la sa fare». Invece egli, dopo che ebbe fatta la sua roba, non mandava certo a dire se veniva a sorvegliare la messe, o la vendemmia, e quando, e come; ma capitava all’improvviso, a piedi o a cavallo alla mula, senza campieri, con un pezzo di pane in tasca; e dormiva accanto ai suoi   covoni, cogli occhi aperti, e lo schioppo fra le gambe. 105 In tal modo a poco a poco Mazzarò divenne il padrone di tutta la roba del barone; e costui uscì prima dall’uliveto, e poi dalle vigne, e poi dai pascoli, e poi 31 dalle fattorie e infine dal suo palazzo istesso, che non passava giorno che non firmasse delle carte bollate, e Mazzarò ci metteva sotto la sua brava croce. Al 32 33   barone non rimase altro che lo scudo di pietra ch’era prima sul portone, ed era 110 34 la sola cosa che non avesse voluto vendere, dicendo a Mazzarò: «Questo solo, di tutta la mia roba, non fa per te». Ed era vero; Mazzarò non sapeva che farsene, e non l’avrebbe pagato due baiocchi. Il barone gli dava ancora del tu, ma non gli 35 dava più calci nel di dietro. star dentro. 26 capire: sono le banconote, disprezzate da Mazzarò, che è legato alla , non al capitale, che è un principio borghese. 27 carta sudicia: roba cioè le tasse. 28 il re: la processione del santo patrono, accompagnata dalla banda musicale. 29 il santo, colla banda: sorveglianti dei campi. 30 campieri: perse il possesso. 31 uscì: dove si registrano gli atti di vendita dei terreni. 32 carte bollate: la firma dell’analfabeta (quale è Mazzarò). 33 la sua brava croce: lo stemma di famiglia. 34 scudo di pietra: cioè lo trattava ancora come fosse stato un subalterno. 35 gli dava ancora del tu:   «Questa è una bella cosa, d’avere la fortuna che ha Mazzarò!», diceva la gente; 115 e non sapeva quel che ci era voluto ad acchiappare quella fortuna: quanti pensieri, quante fatiche, quante menzogne, quanti pericoli di andare in galera, e come quella testa che era un brillante avesse lavorato giorno e notte, meglio di una macina del mulino, per fare la roba; e se il proprietario di una chiusa limitrofa si ostinava a non   cedergliela, e voleva prendere pel collo Mazzarò, dover trovare uno stratagemma 120 per costringerlo a vendere, e farcelo cascare, malgrado la diffidenza contadinesca. Ei gli andava a vantare, per esempio, la fertilità di una tenuta la quale non produceva nemmeno lupini, e arrivava a fargliela credere una terra promessa, sinché il povero diavolo si lasciava indurre a prenderla in affitto, per specularci sopra, e ci perdeva   poi il fitto, la casa e la chiusa, che Mazzarò se l’acchiappava – per un pezzo di 125 36 pane. – E quante seccature Mazzarò doveva sopportare! – I mezzadri che venivano a lagnarsi delle malannate, i debitori che mandavano in processione le loro donne a 37 strapparsi i capelli e picchiarsi il petto per scongiurarlo di non metterli in mezzo alla strada, col pigliarsi il mulo o l’asinello, che non avevano da mangiare.   «Lo vedete quel che mangio io?», rispondeva lui, «pane e cipolla! e sì che ho 130 i magazzini pieni zeppi, e sono il padrone di tutta questa roba». E se gli domandavano un pugno di fave, di tutta quella roba, ei diceva: «Che, vi pare che l’abbia rubata? Non sapete quanto costano per seminarle, e zapparle, e raccoglierle?». E se gli domandavano un soldo rispondeva che non l’aveva. le arraffava. 36 se l’acchiappava: annate cattive per il raccolto. 37 malannate: Winslow Homer, , 1874 ca. Norfolk, Chrysler Museum of Art. Contadino con forcone   E non l’aveva davvero. Ché in tasca non teneva mai 12 tarì, tanti ce ne volevano 135 per far fruttare tutta quella roba, e il denaro entrava ed usciva come un fiume dalla sua casa. Del resto a lui non gliene importava del denaro; diceva che non era roba, e appena metteva insieme una certa somma, comprava subito un pezzo di terra; perché voleva arrivare ad avere della terra quanta ne ha il re, ed esser meglio   del re, ché il re non può né venderla, né dire ch’è sua. 140 Di una cosa sola gli doleva, che cominciasse a farsi vecchio, e la terra doveva lasciarla là dov’era. Questa è una ingiustizia di Dio, che dopo di essersi logorata la vita ad acquistare della roba, quando arrivate ad averla, che ne vorreste ancora, dovete lasciarla! E stava delle ore seduto sul corbello, col mento nelle mani, a   guardare le sue vigne che gli verdeggiavano sotto gli occhi, e i campi che ondeggiavano 145 di spighe come un mare, e gli oliveti che velavano la montagna come una nebbia, e se un ragazzo seminudo gli passava dinanzi, curvo sotto il peso come un asino stanco, gli lanciava il suo bastone fra le gambe, per invidia, e borbottava: «Guardate chi ha i giorni lunghi! costui che non ha niente!».   Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all’anima, 150 uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: «Roba mia, vientene con me!».  >> pagina 247 DENTRO IL TESTO I contenuti tematici Il protagonista della , Mazzarò, vive esclusivamente per i beni materiali, considerati alla stregua di amanti fedeli. Privo di altri affetti e sentimenti, egli trova in essi una sorta di religioso risarcimento della propria solitudine. Senza moglie né figli, non conosce la pietà per il prossimo (si pensi a come tratta i sottoposti) né l’amore filiale; la sua esistenza è simile a quella di un asceta che non si concede nulla: non ha vizi, non beve, non fuma, non ha interesse per le donne. Roba Mazzarò e l’adorazione feticistica della  roba Consacratosi a un destino irrevocabile ( , r. 90), la sua scelta è premiata dal successo ( , r. 91), giusto riconoscimento alla sua dedizione, alla sua energia infaticabile, al suo martirio. Alla stregua di un eroe epico o di un cavaliere medievale, Mazzarò ignora infatti le tentazioni e non abbandona mai la vita “povera”, logorando (rr. 87-88), andando (r. 87), ossessionato da un unico pensiero: accumulare. In questa spasmodica ricerca, egli non si pone limiti, spostando sempre più in alto l’asticella dell’ambizione fino a non temere il confronto con nessuno ( , rr. 139-140). Quando uno è fatto così, vuol dire che è fatto per la roba Ed anche la roba era fatta per lui i suoi stivali in giro, sotto il sole e sotto la pioggia voleva arrivare ad avere della terra quanta ne ha il re, ed esser meglio del re Quando si avvicina la morte, però, il destino di Mazzarò si capovolge: da vincitore a vinto, sconfitto dalla legge inesorabile della natura e deciso a trascinare con sé nell’abisso del nulla anche la sua . Invidioso della gioventù altrui, seduto malinconicamente (r. 144) a guardare le sue terre, egli prorompe in un urlo forsennato ( , r. 152) e, con un gesto estremo, al tempo stesso tragico e comico, ammazza a colpi di bastone le sue bestie. Il suo atteggiamento quasi di devozione religiosa verso l’accumulazione dei possedimenti terrieri, forse ritenuti un mezzo per tendere all’eternità, si scontra con il “tradimento” della morte, la quale separa la soggettività del suo io, destinato ormai alla fine, e l’oggettività della , che gli sopravvive, indifferente a lui e alla sua logica esistenziale. roba col mento nelle mani «Roba mia, vientene con me!» roba Dal successo all’angoscia Le scelte stilistiche A differenza dell’“oppresso” Rosso Malpelo, che la società condanna alla marginalità, Mazzarò è un “oppressore”, ma eroe di un mondo che ne riconosce i valori e per questo lo rispetta e lo ammira. Ciò spiega perché Verga scelga, per raccontarne le imprese, la voce di un narratore complice, che aderisce alla sua mentalità e alla sua visione della vita. A eccezione dell’ (in cui il punto di vista è quello di un viandante che si presuppone colto) e del breve intermezzo del (r. 7), che, da umile qual è, non comprende le scelte di Mazzarò, il racconto sembra ispirato direttamente dalle convinzioni del protagonista. Così assistiamo, in un certo qual modo, alla sua celebrazione: dall’anonimo narratore popolare che con stupita ammirazione descrive come normali, anzi come lodevoli, i metodi del protagonista, non giungerà mai una parola di censura della sua ingordigia economica, mai un dubbio sul suo comportamento, mai il sospetto che la folle rincorsa del denaro lo abbia portato a recidere ogni legame con gli uomini e anche con sé stesso. Perfino la considerazione della morte della madre come fardello economico ( , rr. 54-56) viene ritenuta del tutto normale: ma in realtà è evidente che spingendo alle estreme conseguenze la legittimazione delle azioni e della mentalità del protagonista, l’autore induce in chi legge una presa di distanza o anche un moto di nauseata indignazione. incipit lettighiere Di donne non aveva mai avuto sulle spalle che sua madre, la quale gli era costata anche 12 tarì, quando aveva dovuto farla portare al camposanto Il modo in cui il narratore descrive le vicende del protagonista contiene perfino un che di leggendario o di fiabesco, a cui collaborano in modo decisivo accumulazioni e iterazioni ( , rr. 11-12) nonché l’uso delle iperboli, spia evidente della trasfigurazione mitica di Mazzarò operata dall’immaginario popolare ( , r. 25). È il lettore a dover cogliere, dietro alla straniante impersonalità di Verga, il dramma di un uomo che, per dedicare alla la propria vita, finisce per essere travolto dall’inutilità dei suoi sforzi, nel delirante, finale abbraccio con tutto ciò che ha conquistato. E cammina e cammina Pareva che fosse di Mazzarò perfino il sole che tramontava roba L’artificio dello straniamento  >> pagina 248 VERSO LE COMPETENZE COMPRENDERE 1 La novella può essere divisa in tre sequenze fondamentali: la descrizione della roba di Mazzarò; la sua storia; la conclusione della vicenda. Individua nel testo queste diverse parti, quindi riassumine il contenuto. ANALIZZARE Fai l’analisi del periodo della frase iniziale della novella (rr. 1-8). 2 Nella , per accentuare il tono epico della narrazione, Verga ricorre a una serie di iperboli. Trovale nel testo. 3 Roba Individua le espressioni popolari presenti nella novella. 4 La presentazione iniziale di Mazzarò è affidata al punto di vista di un viandante sconosciuto, che osserva la proprietà del protagonista. Da quali elementi possiamo supporre il suo alto livello culturale? 5 interpretare Il testo è ricco di similitudini che attingono al mondo naturale ( , rr. 16-17; , r. 136) e animale ( , r. 32; , rr. 62-63). Perché, secondo te? 6 folto come un bosco come un fiume ricco come un maiale numerosi come le lunghe file dei corvi scrivere per... confrontare  Un altro famoso avaro è Arpagone, immortalato dal commediografo francese Molière (1622-1673) nella commedia (1668). Ricerca e leggi questo testo, individua analogie e differenze con Mazzarò in un testo descrittivo di circa 20 righe. 7 L’avaro argomentare  Mazzarò può essere considerato un perfetto esemplare di avaro. In che cosa consiste per te l’avarizia? Quando e perché nella società di oggi una persona può essere considerata avara? Scrivi al riguardo un testo espositivo e argomentativo di circa 30 righe. 8 Dibattito in classe Una delle caratteristiche peculiari di Mazzarò è che egli non ambisce ad accumulare genericamente ricchezza, ma, in modo più specifico, “roba”, oggetti materiali, terreni e proprietà, prove tangibili della sua ascesa sociale ed economica. In che cosa Mazzarò è simile o diverso da coloro che, anche oggi, sono spinti da un irrefrenabile desiderio di denaro e potere? Discutine con la classe. 9