Giovanni Pascoli I GRANDI TEMI 1 Il rifugio del «nido» IN BREVE Traumatizzato dai lutti familiari, inerme davanti al mistero della realtà e della morte, Pascoli tenta di trovare sicurezza, conforto e protezione dalle minacce del mondo esterno negli affetti familiari, negli ambienti e nelle atmosfere più intime e care. Le immagini più ricorrenti della sua poesia evidenziano non a caso una costante : al primo elemento sono associate le sensazioni di calore, dolcezza, purezza e amore, al secondo quelle di freddo, dolore, paura e morte. La ricerca della sicurezza opposizione dentro-fuori Il desiderio di un mondo semplice e senza violenza, legato ai valori contadini, lo porta a osservare con terrore la civiltà industriale e la società di massa urbanizzata: secondo Pascoli il progresso di stampo positivistico, invece che garantire sicurezza all’uomo, lo ha esposto a nuovi pericoli, rendendolo piccolo e smarrito. Guardando alle tensioni del tempo presente il poeta scrive «Non c’è più la tranquilla immobilità», e definisce la scienza «crudele e inopportuna», perché colpevole di aver attentato alle illusioni dei sogni, al piacevole inganno della fede (Pascoli non crede in Dio, ma non sa rinunciare alla sua immagine) e alla felice ingenuità degli uomini: «Oh! Tu sei fallita, o scienza: ed è bene: ma sii maledetta». L’unica possibilità per conservare la propria integrità e salvare l’innocenza consiste per lui nel , mitico tempo sereno, non ancora toccato dalle inquietudini della modernità e della vita adulta. regredire all’età dell’oro dell’infanzia I lutti hanno creato in Pascoli il bisogno ossessivo di un «nido» in cui o e in cui dell’infanzia. trovare protezione dalle minacce del mond ricostruire l’ambiente familiare La fondamentale custode di questo piccolo “mondo-giardino” degli affetti è la madre: la sua immagine costituisce, nell’universo psichico e poetico di Pascoli, il nume rassicurante dei luoghi più protetti, del « », del . Il «nido» è il , lo spazio chiuso che permette il riparo dalla società brutale e inospitale; il camposanto («casa unica di mia gente e mia») rappresenta il , lì dove è possibile ripristinare, su un piano illusorio, l’intimo colloquio con ciò che nella realtà si è perduto per sempre. Di questa perdita Pascoli tenta di trovare disperatamente un risarcimento: se la morte significa distruzione della vita, della casa e degli affetti, il mito del «nido» nasce come un tentativo di opporsi alla loro fragilità e alla loro rovina. La protezione del «nido» nido camposanto luogo della ricomposizione dell’unità familiare recinto del culto dei morti Il «nido» simboleggia la , la culla, la casa, il luogo in cui trascorrere i giorni e dal male. madre al riparo dalla violenza  >> pagina 394 Nessuno deve interferire in questo , che il poeta-fanciullo cerca di rivivere e rendere eterno attraverso il canto. La stessa è quindi simbolo del «nido»: è il ventre, la culla, il focolare, la casa, l’elemento    , la garante, cioè, del rapporto con la terra misteriosa, che governa la vita con i suoi cicli eterni. È la madre che simboleggia la felicità dell’infanzia, non ancora compromessa dalla conoscenza del male, e al tempo stesso la sopravvivenza degli unici vincoli possibili per l’uomo: quelli del sangue e della discendenza. Per questo, la madre costituisce una sorta di divinità-guida nella sfera degli affetti: la sua morte coincide con una perdita irreparabile e con un lutto che non può conoscere riparazione. La violazione del «nido» comporta dunque la scoperta di tutto ciò che di spaventoso e letale sta “fuori” di esso. Il «nido» è la madre universo difensivo e primigenio madre ▶ ctonio LA PAROLA Ctonio Questo aggettivo (derivante dal greco  , “terra”) veniva attribuito, nella mitologia greca, alle divinità il cui culto o mito era collegato con la vita terrestre e sotterranea, dette appunto “divinità ctonie”. Per questo tali figure si richiamano spesso al mondo dell’oltretomba e quindi al regno dei morti. Indicate con nomi diversi dai greci, dai romani e dagli altri popoli mediterranei, erano divinità per lo più femminili e scandivano l’alternarsi delle stagioni e della vita con i suoi cicli immortali, avendo potere su terremoti e vulcani ed essendo depositarie di segreti ed esperte di magie e riti esoterici. kt ó n La rievocazione della condizione protetta dell’infanzia cura il dolore e l’angoscia della vita vissuta tra gli adulti. «O mamma», scrive il poeta, «ma io voglio rimanere con te. Io non sono potuto crescere»: perduto il padre e privo della tutela genitoriale, il figlio Giovanni si sente un orfano condannato allo sradicamento. Grazie alla poesia può però viaggiare a ritroso e ritrovare nella memoria una luce pallida che lo conforta, che lo assiste e lo culla, rassicurandolo di fronte alle difficoltà dell’esistenza. La religione della memoria La situazione reale del poeta è infatti quella dell’incertezza, dello smarrimento, della paura; non a caso, come ha notato lo studioso Vito Bonito, nella poesia pascoliana troviamo tante voci inarticolate e tanti segni di una regressione all’infanzia degli esseri viventi: il vagito del neonato, il belato dell’agnello, il pigolio dell’uccellino. Il recupero di una lingua spontanea Si tratta di suoni più che di parole, quasi di : tra una ninna nanna e una cantilena funebre, tra un canto che si apre alla vita (i «canti di culla» che troviamo nella poesia ) e uno che prepara la morte, una continua onomatopea (non a caso, la figura retorica più frequente nelle poesie pascoliane) accompagna il viaggio del poeta nei respiri, nei bisbigli, nei lamenti e nelle grida che si percepiscono nel cielo, nelle cose, nella natura prima che svaniscano nel nulla, perduti per sempre. voci pre-verbali La mia sera Pascoli utilizza una ricca di voci pre-verbali, segni di un . lingua ritorno al’infanzia D’altronde il ricordo della lontana e intima felicità infantile non consola il poeta: l’impossibilità di concretizzarla nel presente, di riproporla cioè nella realtà (come Pascoli ha tentato di fare ricostruendo un “secondo” «nido» con le sorelle), aumenta il rimpianto di non poter più abitare in quel paradiso perduto. «Io voglio che tu mi pettini come una volta», scrive rivolgendosi alla madre; ma il desiderio è destinato a scontrarsi con la . L’incontro con il passato non può avvenire su questa terra, ma solo al di là dello spazio e del tempo, nell’immaginazione e soprattutto nel sogno, l’unica (sia pure falsa) realtà dove il colloquio con le anime e con i morti è ancora possibile. La compensazione del sogno vanità di ogni speranza di ricongiungimento La del poeta nasce dalla consapevolezza che la serenità del passato . malinconia non può ritornare  >> pagina 395 2 Simbolismo e mistero Le rapide notazioni e i quadri di vita campestre che Pascoli rappresenta costituiscono il frutto dell’osservazione di una realtà filtrata sempre attraverso le suggestioni del suo universo interiore. In questo modo i suoni, i paesaggi, le cose si caricano nella sua poesia di un , che può essere colto solo abbandonando la logica ordinata e razionale con cui ci si relaziona alla realtà. I particolari e gli oggetti, anche materiali, rimandano sempre a qualcos’altro di più profondo e ignoto: il poeta può penetrare nell’anima del mondo tramite la propria e le proprie sensazioni. La soggettività della natura sovrasenso simbolico soggettività Il che il poeta attribuisce a tutte le cose si rivela attraverso e allusioni a . valore simbolico inedite concordanze significati nascosti Per Pascoli si tratta di ricercare e del mondo e cogliere, grazie all’intuizione folgorante e non a un’analisi meditata, il frammento che riveli la totalità, l’immagine che riassuma una verità universale. Il simbolo naturalmente non è esplicitato in termini razionali: il significato della poesia si afferra mediante le associazioni suggerite dai suoni, la rispondenza evocativa delle immagini, l’esistenza di una dimensione nascosta. La ricerca del mistero il senso perduto della realtà Del resto il poeta non è tenuto a illustrare o commentare il contenuto dei suoi testi, per quanto arcano esso sia: egli – annota Pascoli in uno scritto del 1895 – «non s’impanca a dir tutto, a dichiarar tutto, a spiegar tutto, come un cicerone che parlasse in versi; ma lascia che il lettore pensi e trovi da sé». Sta al lettore afferrare i , comprendere le e cogliere l’ , che non proviene dalla concretezza degli elementi descritti, ma dalle possibilità dell’animo di riconoscere aspetti che «sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione». L’alfabeto segreto della poesia sensi riposti allusioni cifrate impalpabile verità del mondo Per questo nella poesia di Pascoli troviamo un affollato repertorio di ombre e di morti, di misteriosi e arcaici strumenti musicali (basti pensare ai «sistri», che compaiono nell’ ,  T7, p. 424 in ), di sottintesi analogici («La Chioccetta per l’aia azzurra / va col suo pigolìo di stelle» che leggiamo nel T14, p. 448), fino alle prolungate sequenze di ardite sinestesie («Venivano soffi di lampi», per esempio, nell’ ,  T7, p. 424). Assiuolo ▶ Myricae ,  Gelsomino notturno ▶ Assiuo­lo ▶ A prima vista, le cose sulle quali si posa lo sguardo del poeta sono minute, quotidiane, semplici, come gli elementi naturali nei quadri degli impressionisti; ma questa attenzione per il dettaglio, ereditata da una formazione positivista, non ha la scopo di illustrare oggettivamente la realtà, per quanto essa sia nominata con estrema precisione. Per fare degli esempi, tra gli uccelli che incontriamo nei suoi versi ci sono rondini, pettirossi, capinere, cuculi, fringuelli, assiuoli, puffini, cinciallegre..., e tra i fiori e le piante troviamo mandorli, biancospini, viburni, meli, pioppi, gelsomini, digitali, acanti, tamerici... Un falso realismo: la prevalenza del “sentire” Pascoli tende però a riferirsi alle cose non per come sono, ma per come le sente e le vede mediante un’«ottica rovesciata» (Bàrberi Squarotti) e visionaria che scruta al di là del fenomeno, alterando prospettive, rapporti e proporzioni. Dunque, se a prima vista può sembrare che gli elementi della natura siano rappresentati con realismo, essi tuttavia non vanno considerati in sé, bensì all’interno dei che li legano alla dimensione interiore dell’io poetico. Dunque il poeta non ha interesse a perlustrare e registrare la varietà superficiale della natura: suo compito è invece quello di percepire «non so quali raggi X che illuminano a lui solo le parvenze velate e le essenze celate», leggendo il mondo come la foresta di simboli già immaginata da Baudelaire. nessi emozionali Pascoli ama e le nomina con precisione e pertinenza tanto che esse sembrano rivelarsi per la prima volta. le cose più semplici del reale  >> pagina 396 3 Fratellanza e patriottismo: l’impegno civile Negli ultimi anni della sua parabola letteraria, Pascoli coltiva l’abitudine di comporre , a commento di avvenimenti storici (dalla disfatta dell’esercito italiano ad Adua, nel 1896, all’omicidio di re Umberto I, nel 1900) o di attualità (spedizioni polari, imprese di aviatori ecc.). Questa produzione, di stampo quasi “giornalistico”, può a prima vista sorprendere e confondere se rapportata con la sua concezione poetica. Che cosa spinge il “poeta puro” del in questa direzione? E, soprattutto, che cosa lo induce a collaborare a riviste e quotidiani politicamente impegnati (soprattutto sul versante nazionalistico), aspirando a un ruolo di “poeta pedagogo”, tanto distante dalla sua sensibilità artistica e umana? Un “giornalismo poetico” poe­sie d’occasione Fanciullino Pascoli scrive negli ultimi anni poesie di impegno civile con l’intento di «che tutti avevano sulle labbra e che nessuno avrebbe detto». prestare all’intera comunità la parola Una prima risposta sta nel desiderio di Pascoli di , che lo ponga in contatto con la massa dei lettori: per quanto lontano dai salotti e dalla mondanità della vita culturale nazionale, egli non è infatti insensibile all’idea di competere, sia pure su un terreno per lui sfavorevole, con il rivale d’Annunzio, abile comunicatore, sempre al centro dell’attenzione. La ricerca del pubblico di massa ritagliarsi un ruolo pubblico Ma c’è anche – ed è forse la principale – una ragione ideologico-culturale più profonda. Nel Pascoli scrive che «il poeta è colui che esprime la parola che tutti avevano sulle labbra e che nessuno avrebbe detta»: ciò significa che a lui non si chiede solo di esprimere la propria sensibilità soggettiva, ma anche di , dando voce alle aspirazioni e ai bisogni dell’intera comunità popolare e nazionale. Un vate portavoce del popolo Fanciullino interpretare il sentimento collettivo Si tratta, evidentemente, della riproposizione di un modello romantico, che egli aggiorna attraverso la propria originale rilettura artistica. Raccolte come , e esprimono questa sua ambizione di vate, cantore della Storia e delle glorie nazionali; ambizione che lo porta, per esempio, a celebrare con il tono populistico della (1911) l’impresa coloniale libica come una soluzione al dramma dell’ . Il poeta conferisce infatti al proprio nazionalismo una , affermando il diritto degli Stati meno ricchi (come l’Italia, che è definita non a caso «proletaria») a conquistare nuove terre in cui i contadini possano trasferirsi. In tal modo gli italiani, costretti a mi­gliaia a emigrare in cerca di fortuna al di là dell’oceano e spesso sottoposti a umiliazioni e soprusi, possono riacquistare dignità e lavoro, rinnovando la gloriosa tradizione di un . Odi e inni Le canzoni di Re Enzio Poemi del Risorgimento Grande proletaria si è mossa emigrazione motivazione umanitaristica popolo civilizzatore  >> pagina 397 Anche prima della campagna libica, però, non mancano occasioni nelle quali Pascoli riversa sulla pagina quello già prefigurato nel socialismo invocato nel . La pace sociale viene auspicata entro un invito alla solidarietà e alla condivisione al di là e al di sopra delle classi: «Uomini, pace! Nella prona terra / troppo è il mistero; e solo chi procaccia / d’aver fratelli in suo timor, non erra», scrive nella chiusa della poesia ( ). Dal «nido» alla patria spirito di fratellanza Fanciullino I due fanciulli Primi poemetti Nel recuperare la lezione leopardiana della , il poeta confeziona così un generico che non si inserisce però in una compiuta ideologia politica: egli infatti non supera mai l’orizzonte psicologico del nostalgico cantore dei buoni e semplici valori contadini, neutralizzando all’interno di un’ i veri e duri conflitti che agitano l’Italia del suo tempo. Ginestra messaggio di concordia tra gli uomini ingenua dimensione idilliaca In tal modo anche il nazionalismo che affiora in alcuni versi, lettere e discorsi non coincide con un’autentica e aggressiva volontà di potenza, ma con la viscerale difesa (anche con le armi della guerra, se necessario) di una nazione e di un popolo oppressi. Il modello privato del «nido», da proteggere gelosamente dalle ingerenze degli estranei, si proietta così su quello pubblico della patria, da esaltare con passione e sentimento nella strenua . difesa delle radici, dell’identità e delle tradizioni Il suo nasce dalla volontà di le radici e le tradizioni di un bisognoso di riscatto. impegno civile difendere popolo