trecci ARTE in D’Annunzio “pubblicitario” Gli slogan vincenti del poeta In un tempo in cui la pubblicità inizia a presentarsi come una forma di espressione artistica, Gabriele d’Annunzio, abile manipolatore del mercato, non si lascia sfuggire l’occasione di ulteriore visibilità e di guadagno offertagli da decine di aziende italiane, disposte a pagargli qualsiasi compenso pur di sfruttare il suo estro nel confezionare slogan. Anche su questo terreno, il poeta, “cantore” di biscotti, liquori, profumi, automobili, penne, inchiostri ecc., riesce a far sognare il pubblico borghese, che convince grazie alla sua “immaginifica” fantasia. Un maestro della pubblicità Del resto, nei panni del “fabbricante di sogni” d’Annunzio non teme confronti: nessuno può creare come lui un’aura di meraviglia e di magia anche intorno a un semplice prodotto commerciale. Come ha scritto la studiosa Paola Sorge, il matrimonio tra d’Annunzio e la pubblicità si rivela ben riuscito ed estremamente vantaggioso per entrambe le parti: per le aziende, «che per avere una sua sola parola facevano pazzie»; per il poeta, che anche grazie a questi ricchissimi proventi può garantirsi tutto il superfluo della sua vita principesca. Ancora oggi si favoleggia, per esempio, sul compenso astronomico ricevuto per ribattezzare “La Rinascente”, i famosi grandi magazzini milanesi (che portano ancora oggi questo nome), dopo che nel 1917 erano stati distrutti da un incendio. Come un re Mida della parola, d’Annunzio trasforma in oro tutto ciò che pubblicizza. Sua è l’idea di chiamare SAIWA i biscotti prodotti dal genovese Pietro Marchese: sono gli “sugar wafer” inglesi e il nome non è altro che un acronimo di sicuro successo che deriva dall’intitolazione della manifattura depositata nel 1920 (Società Accomandita Industria Wafer e Affini). Un amico del poeta, Amedeo Pomilio, produttore di un liquore all’arancia, sfrutta una dedica dannunziana per chiamare la propria bevanda “Aurum”; l’Amaro Montenegro diventa per gli italiani «il liquore delle virtudi»; gli inchiostri Sanrival utilizzano, su un manifesto ideato dal maestro della cartellonistica italiana Marcello Dudovich, il motto dannunziano «Fisso l’idea». Perfino un’intera linea di profumi, fabbricati dalla Casa Lepit di Bologna, prende il nome di “I profumi del Carnaro”: pur di guadagnare soldi per sé stesso e per i legionari che lo accompagnano durante l’impresa di Fiume, d’Annunzio tiene a battesimo “La rosa degli Uscocchi”, “La liburna”, “Il lauro di Laurana”, “L’ardore del Carso”, e pretende che vengano racchiusi in preziose ampolle di vetro di Murano disegnate da Adolfo de Carolis a forma (non proprio beneaugurante) di sarcofago. D’Annunzio ha una fantasia inesauribile: trasforma il sandwich anglosassone nel “tra-mezzo”, che diventerà presto “tramezzino”, interpretazione italiana di un cibo destinato a una grande fortuna. Marcello Dudovich, , 1931. Manifesto pubblicitario per i magazzini La Rinascente Gabriele d’Annunzio, , 1929. Lettera autografa alla SAIWA Marcello Dudovich, , 1899. Manifesto pubblicitario per gli inchiostri Sanrival Le automobili diventano di genere femminile Potremmo continuare ancora, ma finiamo in bellezza con le automobili. Già, “le” automobili, non “gli” automobili, come si diceva all’inizio del Novecento: è infatti sempre lui a imporre a Giovanni Agnelli, il fondatore della Fiat, il sesso femminile per indicare gli autoveicoli a motore. Ricevuta in dono una Fiat 509, il poeta gli scrive: «L’Automobile è femminile. Questa ha la grazia, la snellezza, la vivacità d’una seduttrice; ha, inoltre, una virtù ignota alle donne: la perfetta obbedienza. Ma, per contro, delle donne ha la disinvolta levità nel superare ogni scabrezza». Plinio Codognato, , 1925. Manifesto pubblicitario per la Fiat 509