Il e le ultime opere Notturno IN BREVE Oltre all’immagine ufficiale, spettacolarizzata in miriadi di esposizioni eroiche e autocelebrative, d’Annunzio ha manifestato nella vita e nell’opera letteraria anche una più , che compare – a prima vista stridente e insospettabile – tra le pieghe dell’uomo d’eccezione abituato a indossare esclusivamente gli abiti del vate, dell’eroe, dell’istrione. Questa componente della sua personalità emerge soprattutto durante la e nelle prose autobiografiche che la costellano, ma traspare anche prima, quando una traccia di affiora nel vitalismo del superuomo (il tema della malattia e della morte si presenta, per esempio, in romanzi come e ). Il lato malinconico di d’Annunzio segreta e dolorosa interiorità vecchiaia nichilismo Giovanni Episcopo L’innocente Non a caso, a caratterizzare l’ultima stagione della produzione dannunziana è una . Si tratta di opere in cui la monumentalità oratoria si stempera nella e nell’ansiosa percezione dell’avvicinarsi della morte. Concepito come una sorta di testamento spirituale, l’insieme di questi componimenti – dalla fino al – documenta le pulsioni più autentiche dell’interiorità del poeta, diventata più istintiva e immediata. Tuttavia, la prosa dannunziana degli ultimi anni non vuole rinunciare affatto alla , alla tensione sublime e ai consueti scatti superomistici. Non a caso l’autore, nel momento in cui sta per pubblicare all’interno dell’Edizione Nazionale delle sue opere questi testi, che sono memorie, introspezioni e meditazioni, dà loro il titolo, non certo dimesso, di . Il sentimento della morte prosa più asciutta e meno celebrativa sottile musicalità Contemplazione della morte al Venturiero senza ventura , dal Compagno dagli occhi senza cigli Libro segreto preziosità Prose di ricerca, di lotta, di comando, di conquista, di tormento, d’indovinamento, di rinnovamento, di celebrazione, di rivendicazione, di liberazione, di favole, di giochi, di baleni Nelle ultime opere e il tono è piuttosto intimistico e riflessivo. l’intento non è più celebrativo La Leda senza cigno Si tratta di un racconto lungo (o romanzo breve), edito nel 1916, su una – che ricorda al narratore una statua della donna trasformata in cigno da Zeus (di qui il titolo) – la quale vive una torbida e tragica esistenza, dalla rovina economica del padre a un fatale incontro con un uomo che la ricatta fino a costringerla al suicidio. La smilza struttura dell’intreccio costituisce però il pretesto per un susseguirsi di riflessioni e divagazioni, con un linguaggio talora privo di orpelli. figura femminile bella e misteriosa Le faville del maglio Con questo titolo vengono raccolte in due volumi distinti, (1924) e (1928), le prose pubblicate dal poeta sul “Corriere della Sera” tra il 1911 e il 1914. Il titolo allude alle scintille provocate dai colpi del martello sul metallo incandescente, metafora della creazione nell’“officina” poetica. I brani hanno una chiara impronta autobiografica: rapide annotazioni, ricordi e confessioni, concentrate sull’autoanalisi psicologica. In questi abbozzi descrittivi e antinarrativi le pose dell’eroe inimitabile si attenuano a contatto con una , non priva di una sottile vena di angoscia. Il venturiero senza ventura I l compagno dagli occhi senza cigli disposizione più riflessiva Notturno Come accennato, un incidente aereo, subìto nel gennaio 1916 al termine di uno dei suoi voli di guerra, costringe per tre mesi d’Annunzio a stare immobile e con gli occhi bendati per salvare l’occhio sinistro. In questa situazione il poeta scrive una serie di su migliaia di strisce di carta (i cosiddetti « ») che la figlia Renata, ribattezzata affettuosamente «la Sirenetta», ritaglia per lui. L’opera, composta a Venezia dal febbraio al maggio del 1916, viene pubblicata nel 1921 e pubblicizzata come il «commentario della tenebra». pensieri, ricordi , descrizioni e visioni cartigli  >> pagina 537 In effetti, dal punto di vista tematico, le impressioni che si accumulano nel testo sono legate alla descrizione sofferente di ferite, incidenti, traumi e morti, senza più traccia di proclami universali e roboanti slogan oratori. L’angoscia che vi domina viene resa attraverso il e notazioni talvolta perfino macabre sul disfacimento dei corpi e della carne. La sensualità è sempre presente in sottofondo ma, venuta meno la prorompente e giovanilistica ostentazione dei primi libri delle , ora spesso diventa allusione morbosa e sofferta, incupita dall’incombere della «turpe vecchiezza» che priva il poeta di energia e vitalità. Un angoscioso canto di tenebra  prevalere di percezioni sensoriali Laudi In il poeta mostra per la morte, per la giovinezza, per il mistero dell’ignoto. Notturno paura rimpianto rispetto Anche lo contribuisce ad accrescere l’atmosfera mortuaria di queste pagine: , paratattico, ridotto a un’essenzialità quasi espressionistica, articolato in frasi concise, spezzate dalla frequenza sistematica dei segni di interpunzione. Il carattere meditativo e intimo della materia si esplicita nell’allusività del lessico e in una sintassi scarna e spesso nominale, che riproduce la . Come in un diario a cui affidare illuminazioni fugaci, la pagina dannunziana si abbandona qui al flusso delle esperienze, in una quasi irreale , secondo una modalità che eserciterà un influsso decisivo sui letterati della rivista “La Voce” (come Giovanni Boine, Camillo Sbarbaro, Piero Jahier ecc.). L’asciutta prosa del è però, al tempo stesso, soffusa di : anche se scarna per la brevità delle immagini, si arricchisce di enigmatiche «fosforescenze» (il termine è dannunziano), cioè di bagliori improvvisi, ardite analogie e pause musicali. Il frammentismo dannunziano stile frammentario scrittura istantanea dei taccuini successione di attimi fuori del tempo Notturno ritmo lirico In lo stile è , fatto di frasi brevi come quando si trascrivono appunti su un taccuino. Notturno frammentario La cecità come privilegio creativo Tuttavia, anche in questa posa così debole e stanca, d’Annunzio rimane sempre d’Annunzio. Proprio perché privato del rapporto sensoriale con la realtà, il poeta cerca di scandagliare la propria interiorità , saggiando le inedite sensazioni di chi scopre la nuova fisicità di una «creatura terrestre» insonne e sofferente, che vive – e sente – il proprio corpo costretto in una sorta di letto-bara. Al mito – sebbene mito rovesciato – egli, insomma, non rinuncia: il “Comandante” senza vista che scrive al buio le sue sensazioni possiede invero la vista lunga del , dell’ che legge la realtà sotto le apparenze, la scompone e la porge in frammenti ai comuni mortali. La componente sublime dell’arte dannunziana, apparentemente consumata, si mantiene invece intatta: sotto altra veste questo straordinario illusionista della parola conserva gli attributi del a cui è permesso esprimere ogni esperienza, anche la più oscura. vaticinatore oracolo poeta artefice e veggente Costretto a vivere al buio per alcuni mesi, privato del rapporto fisico con la realtà, d’Annunzio si dedica all’ esplorando la propria intimità. attività introspettiva Paolo Trubetzkoy,  , gesso patinato verde rame, 1892. Verbania Pallanza, Museo del Paesaggio. Gabriele d’Annunzio