Italo Svevo I GRANDI TEMI 1 La concezione della letteratura IN BREVE Dopo il silenzio che accompagna i primi due romanzi Svevo si ripromette di rinunciare alla scrittura. Il proposito viene enunciato molto spesso; eppure, mentre proclama di essere ormai immune da «quella ridicola e dannosa cosa che si chiama letteratura», egli non riesce mai ad abbandonare del tutto quell’attività, sia pure relegandola tra le segrete occupazioni di cui vergognarsi e considerandola alla stregua di un vizio che distrae dalle incombenze pratiche. La “clandestinità” in cui Svevo relega la scrittura è un modo per non esporsi all’ostilità del proprio mondo familiare e sociale, secondo il quale la letteratura è un esercizio da perdigiorno, un passatempo improduttivo adatto a persone inconcludenti senza voglia di lavorare. La necessità del “vizio” Dopo l’insuccesso iniziale , ma non riuscirà mai a fare a meno della letteratura. Svevo vorrebbe abbandonare la scrittura D’altra parte, la vocazione alla scrittura costituisce per Svevo un’infrazione alla propria identità sociale di uomo di successo ben inserito nell’ambiente borghese cui appartiene. Il profitto, l’attività commerciale, la morale perbenista: tutti i miti di questo mondo vengono minacciati dall’atto, gratuito e autoreferenziale, di scrivere. Quanto più si è integrati, tanto più la può assumere una : essa può rivelarsi capace di mettere a nudo l’uomo, privandolo degli abiti e delle corazze con cui ipocritamente cela incertezze e ambiguità. La scrittura come trasgressione alla norma letteratura valenza positiva, dirompente e rivoluzionaria La scrittura appare a Svevo come una alla logica dell’ambiente in cui è inserito: la borghesia. È un’alternativa al mondo e all’educazione dei . trasgressione padri Scrivere è dunque una trasgressione perché si configura come un’attività alternativa al mondo e all’educazione dei padri. Anche Svevo, sia pure senza apparenti ribellioni, attua un implicito “rifiuto del padre” ( p. 685), quel padre che lo vorrebbe bravo commerciante: come accade a Luigi Pirandello, a Franz Kafka, a Thomas Mann, la dirompente scelta della scrittura coincide con il « sentito come , centrato com’è sulla competizione, sullo sfruttamento delle risorse dell’intelligenza come riuscita nella società, su un moralismo tanto rigoroso quanto ipocrita» (Gioanola). La rivolta contro i padri ▶ rifiuto di un modello fondato sulla trasmissione autoritaria di un sistema di valori inautentico e sopraffattore Al tempo stesso, se la letteratura va praticata con riserbo, ne consegue che essa potrà sottrarsi ai generi e alle poetiche prestabilite, liberandosi tanto dalle mode quanto dai vincoli istituzionali. In altri termini, non sarà esercitata come un mestiere, non obbedirà a estetiche precise, ma diventerà un’ , un’autentica ragione di vita. Con assoluta libertà Svevo può quindi affondare lo sguardo nel suo mondo, nei risvolti della quotidianità borghese e nei meandri di una mentalità mercantile che egli conosce benissimo perché è la sua. L’etica borghese vista dall’interno esigenza esistenziale >> pagina 646 Accade così che vita e letteratura si incontrano, fondendosi sulla pagina scritta, sul testo. Tale identificazione è stata perseguita anche da d’Annunzio, ma Svevo rovescia i termini del processo: in un mondo eroico ed estetizzato; , immergendovisi. Ne scaturisce un’analisi che prende per oggetto le stravaganze, i tic, gli impulsi irrazionali dell’autore stesso. In questo senso, si può ben capire che tra l’uomo d’affari Ettore Schmitz, paranoico e nevrotico, e lo scrittore Italo Svevo, corrosivo e inesorabile, non c’è conflitto. Il rapporto letteratura-vita non è la vita a essere sublimata è invece la letteratura a scendere sul piano dell’esistenza comune Pratica la e non come professione, facendole assumere un valore di autoanalisi. letteratura come esigenza personale La scrittura è chiamata dunque a svolgere un’ : l’esistenza può essere svelata solo se fissata sulla pagina scritta, tanto più se ad adempiere questo scopo vi è un intellettuale “inetto”, estraneo ai trucchi e alle finzioni dei letterati di mestiere e sensibile alle assurdità e alle incoerenze della vita. La penna come medicina azione chiarificatrice Come una forma di terapia, , fuori della quale «non c’è salvezza», diviene così uno . Se la vita degli uomini sarà «letteraturizzata» (come scrive lo stesso Svevo), ciascuno potrà capire meglio sé stesso: il presente infatti non è conoscibile, perché manchiamo della distanza necessaria per scorgerne i dettagli, interpretarne le situazioni, intuirne la logica e le relazioni. Per questo a chi vuole comprendere non resta che fissare sulla carta ciò che è già accaduto: così potrà spiegare il «passato che ancora non svanì». la penna strumento di igiene interiore e di conoscenza di sé Se chi scrive è un “inetto” l’indagine interiore è ancora più efficace perché priva di artifici retorici. Chi scrive lo fa perché , cosciente della propria inferiorità. La scrittura aiuta a conoscere sé stessi. malato quindi : Alfonso Nitti scrive poesie, oltre alle lettere private e alla corrispondenza commerciale; Emilio Brentani è autore di romanzi, non solo di polizze d’assicurazione; Zeno Cosini, il protagonista del romanzo , scrive la propria autobiografia su indicazione dello psicanalista, tra una nota contabile e l’altra. Scrittura e malattia Non appare casuale che tutti i personaggi sveviani siano scrittori La coscienza di Zeno Si potrebbe pensare che quest’attività determini una condizione di superiorità, se non sociale, almeno culturale e intellettuale. Ma non è così, anzi, per Svevo è esattamente il contrario: sempre , di disorientamento, di impotenza. Chi scrive lo fa perché è malato, ma almeno ha il vantaggio di essere cosciente della propria situazione. la scrittura è posta in relazione con uno stato di inferiorità