Gli altri romanzi IN BREVE Pirandello scrive altri sei romanzi, assai eterogenei per trama e ambientazione. Due di essi vengono composti prima del Fu Mattia Pascal , ma già contengono il tema, tipico dell’autore, del paradosso dell’esistenza; i restanti quattro vedono la luce dopo e presentano applicazioni sempre diverse della poetica umoristica. L’esclusa Il primo romanzo, scritto nel con il titolo , viene pubblicato a puntate nel sul quotidiano romano “La Tribuna” e poi rivisto e stampato in volume nel 1927. L’ è particolarmente evidente nella , che fa da sfondo alla figura della giovane protagonista, Marta, una donna intelligente e sensibile accusata ingiustamente di tradimento. Il meccanicismo deterministico che governa i fatti nel racconto naturalista, tuttavia, è qui già messo in dubbio: la causa motrice della narrazione, infatti, è qualcosa di irreale – una colpa inesistente – che ha però conseguenze reali. Al principio di causa-effetto si sostituiscono cioè la e l’ , l’amara constatazione che le azioni umane hanno esiti imprevedibili e che la menzogna vale più della verità. Fino alla conclusione spiazzante: Marta è perdonata proprio quando diviene davvero un’adultera. 1893 Marta Ajala 1901 influenza di Luigi Capuana denuncia di un ambiente sociale avvelenato da convenzioni arcaiche e provinciali fatalità assurdità del caso Il turno Il secondo breve romanzo, scritto nel , viene pubblicato nel . Pirandello , concentrandosi ancor più sull’idea che sia il a dominare le vicende umane. Vi si narra la storia di un giovane pretendente che aspetta il suo “turno” per sposare la donna amata. Smantellando uno dei capisaldi del Naturalismo – l’impersonalità – Pirandello , come ad avvertire il lettore che qualcuno sta inventando ciò che viene raccontato, e che questa è la “sua” visione delle cose, la “sua” verità. L’oggettività dei fatti è così negata in favore di una visione del reale irriducibilmente soggettiva. 1895 1902 abbandona del tutto l’ambientazione naturalista caso rende visibile la presenza del narratore I vecchi e i giovani Pubblicato in parte nel e poi in modo completo nel , rappresenta per certi versi un passo indietro nel percorso pirandelliano di rinnovamento del genere romanzesco. L’autore sceglie infatti la , quella cioè in cui il narratore non è un personaggio della storia (un’opzione privilegiata anche nel romanzo successivo ), per tracciare un delineato entro precise coordinate spazio-temporali. Nella Sicilia post-risorgimentale, sullo sfondo della rivolta popolare dei Fasci siciliani (1891-1894) e dello scandalo politico-finanziario della Banca Romana (uno dei più importanti istituti di credito del tempo, cardine dei fenomeni di corruzione che accompagnano il disordinato sviluppo edilizio della capitale fin dagli anni Ottanta dell’Ottocento), si svolgono le vicende della famiglia Laurentano e di una fitta serie di personaggi secondari. Uno sguardo amaro su un paese corrotto 1909 1913 I vecchi e i giovani narrazione eterodiegetica Suo marito quadro storico Il , suggerito dal titolo, viene filtrato da ricordi personali, che compongono una sorta di da cui emerge una lucida analisi della crisi di fine secolo. L’impianto narrativo, che ricorda di De Roberto e, più da lontano, il modello manzoniano, lascia parlare la Storia come se fosse essa stessa un personaggio carico di esperienze variamente distribuite tra la folla delle comparse. Si tratta dell’ , dall’autore definito «amarissimo e popoloso romanzo, ov’è racchiuso il dramma della mia generazione». conflitto generazionale tra i vecchi protagonisti del Risorgimento e i giovani corrotti della nuova realtà unitaria autobiografia pubblica i Viceré unico esempio di romanzo storico pirandelliano Dopo , Pirandello dà alle stampe , un romanzo storico ambientato nella Sicilia postrisorgimentale. Il fu Mattia Pascal I vecchi e i giovani  >> pagina 765 Suo marito Pubblicato nel e poi ripreso per una riedizione rimasta incompiuta, il romanzo è ambientato a Roma e racconta la , Silvia Roncella (dietro la quale molti hanno voluto riconoscere la figura di Grazia Deledda), , relegando il devoto e mediocre marito alla gestione materiale dei propri impegni e successi editoriali. Sullo sfondo emerge la vita letteraria romana, delineata con intenzioni caricaturali come regno della maldicenza e della vacuità. 1911 storia di una scrittrice che ribalta i tradizionali equilibri della famiglia borghese Wassily Kandinsky,  , 1929. Venezia, Collezione Peggy Guggenheim. Verso l'alto (Empor) Quaderni di Serafino Gubbio operatore Edito nel con il titolo , il romanzo verrà poi rivisto e ripubblicato nel con il titolo . L’operatore cinematografico Serafino Gubbio racconta in prima persona, in un , la straniante esperienza vissuta dietro la macchina da presa. Ne risulta una testimonianza, problematica e disincantata, di un’aperta , della quale Serafino-Pirandello dà un’interpretazione lucida e inquietante. 1915 Si gira… 1925 Quaderni di Serafino Gubbio operatore diario costituito da sette quaderni diffidenza verso i congegni omologanti della modernità La vicenda narra dell’arrivo di Serafino a Roma e del suo lavoro all’interno di una cinematografica che sta girando un film. Della fa parte anche l’attore Aldo Nuti, che ha lasciato la fidanzata per seguire l’attrice russa Varia Nestoroff, “donna fatale” di cui si è innamorato. In quest’opera, che è stata definita dal critico Giacomo Debenedetti un «romanzo da fare» poiché gli eventi non sono ricostruiti, come accade di norma, a posteriori, il meccanismo narrativo pare seguire la fredda concatenazione degli ingranaggi di una macchina, sviluppando una serie di riprese fra loro separate e dunque prive di logica consequenziale. L’ultima di queste sequenze (il settimo dei quaderni di Serafino) contiene il tragico epilogo della vicenda: invece che uccidere la tigre portata sul set per girare la scena, Nuti spara alla Nestoroff, prima di essere a sua volta ucciso dall’animale. Serafino, incaricato delle riprese, non smette di filmare: , continua a registrare fedelmente la tragica scena fuori copione, ma, per lo choc subito, rimane muto. Contro l’alienazione e la mercificazione della civiltà moderna, simboleggiata appunto dalla condizione esistenziale del protagonista, l’unica risposta possibile dello scrittore sembra essere il silenzio. La critica alla civiltà delle macchine troupe troupe condannato a girare la manovella della cinepresa come un automa alienato è una denuncia dell’alienazione moderna. Il protagonista è un operatore cinematografico. Quaderni di Serafino Gubbio operatore Uno, nessuno e centomila Dopo una pausa decennale in cui Pirandello si dedica prevalentemente al teatro, nel esce il suo («c’è la sintesi completa di tutto ciò che ho fatto e che farò», dice l’autore), che conclude e insieme inaugura una forma narrativa ormai totalmente “frantumata”. 1926 romanzo “testamentario” La vicenda prende avvio da un di cui è protagonista Vitangelo Moscarda: una mattina, mentre si guarda allo specchio, scopre, per un’osservazione della moglie, che il suo naso non è dritto, come egli aveva sempre creduto che fosse, ma pende leggermente a destra. Il fatto, di per sé privo di importanza, dà luogo a una vera e propria crisi d’identità del personaggio, che si rende conto di non essere “uno”, ma “centomila” – e quindi in definitiva “nessuno” – a seconda della prospettiva da cui lo osservano gli altri. La banale scoperta di essere “nessuno” episodio di estrema banalità Da una semplice constatazione, in altre parole, scaturisce una che porta Vitangelo a compiere gesti folli, volti a cancellare ricordi, esperienze e persino il nome che lo identifica. Dopo aver liquidato i suoi beni ed essere stato abbandonato dalla moglie, egli finisce con il vivere in un ospizio, senza più un nome né un’identità definita. Considerato pazzo dagli altri, si sente in realtà finalmente felice: abbandonata la civiltà, con le sue forme e le sue convenzioni, si trova per la prima volta e nella natura. crisi esistenziale immerso nel fluire continuo della vita Il protagonista di vive una . Ritrova la felicità solo estraniandosi dalla società e dalle sue convenzioni. Uno, nessuno e centomila crisi esistenziale di identità   Analisi del testo interattiva –  Com'io volevo esser solo  >> pagina 766 T8 Una mano che gira una manovella , Quaderno primo Quaderni di Serafino Gubbio operatore Il passo che segue costituisce l’ del romanzo. Si tratta di una sorta di presentazione dell’ambiente del cinema e del mestiere dell’operatore, in cui sono evidenziati i temi fondamentali dell’opera, sviluppati poi più ampiamente nel corso della narrazione. incipit La riduzione dell’uomo a macchina I Studio la gente nelle sue più ordinarie occupazioni, se mi riesca di scoprire negli altri quello che manca a me per ogni cosa ch’io faccia: la certezza che capiscano ciò che fanno. In prima, sì, mi sembra che molti l’abbiano, dal modo come tra loro si guardano       e si salutano, correndo di qua, di là, dietro alle loro faccende o ai loro capricci. 5 Ma poi, se mi fermo a guardarli un po’ addentro negli occhi con questi miei occhi intenti e silenziosi, ecco che subito s’aombrano. Taluni anzi si smarriscono 1 in una perplessità così inquieta, che se per poco io seguitassi a scrutarli, m’ingiurierebbero o m’aggredirebbero.     No, via, tranquilli. Mi basta questo: sapere, signori, che non è chiaro né certo 10 neanche a voi neppur quel poco che vi viene a mano a mano determinato dalle consuetissime condizioni in cui vivete. C’è un oltre in tutto. Voi non volete o non sapete vederlo. Ma appena appena quest’oltre baleni negli occhi d’un ozioso come me, che si metta a osservarvi, ecco, vi smarrite, vi turbate o irritate.     Conosco anch’io il congegno esterno, vorrei dir meccanico della vita che fragorosamente 15 e vertiginosamente ci affaccenda senza requie. Oggi, così e così; questo e quest’altro da fare; correre qua, con l’orologio alla mano, per essere in tempo là. «No, caro, grazie: non posso!». «Ah sì, davvero? Beato te! Debbo scappare…». «Alle undici, la colazione». «Il giornale, la borsa, l’ufficio, la scuola…». «Bel tempo,     peccato! Ma gli affari…». «Chi passa? Ah, un carro funebre… Un saluto, di 20 corsa, a chi se n’è andato». «La bottega, la fabbrica, il tribunale…». Nessuno ha tempo o modo d’arrestarsi un momento a considerare, se quel che vede fare agli altri, quel che lui stesso fa, sia veramente ciò che sopra tutto gli convenga, ciò che gli possa dare quella certezza vera, nella quale solamente     potrebbe trovar riposo. Il riposo che ci è dato dopo tanto fragore e tanta vertigine 25 è gravato da tale stanchezza, intronato da tanto stordimento, che non ci è più possibile raccoglierci un minuto a pensare. Con una mano ci teniamo la testa, con l’altra facciamo un gesto da ubriachi. forma arcaica per “s’adombrano”, cioè “si turbano”. 1 s’aombrano: «Svaghiamoci!».     Sì. Più faticosi e complicati del lavoro troviamo gli svaghi che ci si offrono; 30 sicché dal riposo non otteniamo altro che un accrescimento di stanchezza. Guardo per via le donne, come vestono, come camminano, i cappelli che portano in capo; gli uomini, le arie che hanno o che si dànno; ne ascolto i discorsi, i propositi; e in certi momenti mi sembra così impossibile credere alla realtà di     quanto vedo e sento, che non potendo d’altra parte credere che tutti facciano per 35 ischerzo, mi domando se veramente tutto questo fragoroso e    meccanismo ▶ vertiginoso della vita, che di giorno in giorno sempre più si còmplica e s’accèlera, non abbia ridotto l’umanità in tale stato di follìa, che presto proromperà frenetica a sconvolgere e a distruggere tutto. Sarebbe forse, in fin de’ conti, tanto di guadagnato.     Non per altro, badiamo: per fare una volta tanto punto e daccapo. 40 Qua da noi non siamo ancora arrivati ad assistere allo spettacolo, che dicono frequente in America, di uomini che a mezzo d’una qualche faccenda, fra il tumulto della vita, traboccano giù, fulminati. Ma forse, Dio ajutando, ci arriveremo 2 presto. So che tante cose si preparano. Ah, si lavora! E io – modestamente – sono     uno degli impiegati a questi lavori . 45 per lo svago Sono operatore. Ma veramente, essere operatore, nel mondo in cui vivo e di cui vivo, non vuol mica dire operare. Io non opero nulla. Ecco qua. Colloco sul treppiedi a gambe rientranti la mia macchinetta. Uno     o due apparatori, secondo le mie indicazioni, tracciano sul tappeto o su la piattaforma 50 3 con una lunga pertica e un lapis turchino i limiti entro i quali gli attori debbono muoversi per tenere in fuoco la scena. Questo si chiama . segnare il campo Lo segnano gli altri; non io: io non faccio altro che prestare i miei occhi alla     macchinetta perché possa indicare fin dove arriva . 55 a prendere Apparecchiata la scena, il direttore vi dispone gli attori e suggerisce loro l’azione 4 da svolgere. Io domando al direttore: «Quanti metri?».     Il direttore, secondo la lunghezza della scena, mi dice approssimativamente il 60 numero dei metri di pellicola che abbisognano, poi grida agli attori: «Attenti, si gira!». E io mi metto a girar la manovella. Potrei farmi l’illusione che, girando la manovella, faccia muover io quegli     attori, press’a poco come un sonatore d’organetto fa la sonata girando il manubrio. 65 TRECCANI ▶ Le parole valgono Dal linguaggio medico all’uso quotidiano: il tragitto di ha portato questo aggettivo a designare prima ciò che è caratterizzato da un disturbo della sensibilità spaziale (che consiste nella sensazione che il corpo si sposti rispetto all’ambiente in cui esso si trova o viceversa), poi ciò che dà le vertigini («sono giunto a un’altezza »), infine ogni cosa che, metaforicamente, dia il capogiro: e così si corre a velocità , si ammira una danza o si deplora il ritmo della vita moderna. vertiginoso vertiginoso vertiginosa vertiginosa vertiginosa vertiginoso ▶ Con ulteriore traslato questo aggettivo finisce per acquistare il significato di “enorme”, “superlativo”. Componi una frase usando vertiginoso in quest’ultima accezione. stramazzano. 2 traboccano giù: addetti all’allestimento scenico. Il loro compito è , cioè tracciare a terra i limiti dello spazio da riprendere. 3 apparatori: segnare il campo è il coordinatore delle fasi di realizzazione del film. Il termine proviene in parte dal cinema hollywoodiano (dove il regista si chiama ), in parte dall’ambiente teatrale ( ). Durante il fascismo si diffonderà la parola , italianizzata, per motivi di autarchia linguistica, dal francese . Fino a tutto il primo decennio del secolo, autore del film era considerato il soggettista. 4 direttore: director direttore artistico, direttore di scena regista régisseur Ma non mi faccio né questa né altra illusione, e séguito a girare finché la scena non è compiuta; poi guardo nella macchinetta e annunzio al direttore: «Diciotto metri», oppure: «trentacinque». E tutto è qui.     Un signore, venuto a curiosare, una volta mi domandò: 70 «Scusi, non si è trovato ancor modo di far girare la macchinetta da sé?». Vedo ancora la faccia di questo signore: gracile, pallida, con radi capelli biondi; occhi cilestri, arguti; barbetta a punta, gialliccia, sotto la quale si nascondeva 5 un sorrisetto, che voleva parer timido e cortese, ma era malizioso. Perché con     quella domanda voleva dirmi: 75 «Siete proprio necessario voi? Che cosa siete voi? . Una mano che gira la manovella Non si potrebbe fare a meno di questa mano? Non potreste esser soppresso, sostituito da un qualche meccanismo?». Sorrisi e risposi:     «Forse col tempo, signore. A dir vero, la qualità precipua che si richiede in uno 80 che faccia la mia professione è l’impassibilità di fronte all’azione che si svolge davanti alla macchina. Un meccanismo, per questo riguardo, sarebbe senza dubbio più adatto e da preferire a un uomo. Ma la difficoltà più grave, per ora, è questa: trovare un meccanismo, che possa regolare il movimento secondo l’azione che si     svolge davanti alla macchina. Giacché io, caro signore, non giro sempre allo stesso 85 modo la manovella, ma ora più presto ora più piano, secondo il bisogno. Non dubito però, che col tempo – sissignore – si arriverà a sopprimermi. La macchinetta – anche questa macchinetta, come tante altre macchinette – girerà da sé. Ma che cosa poi farà l’uomo quando tutte le macchinette gireranno da sé, questo, caro     signore, resta ancora da vedere». 90 II Soddisfo, scrivendo, a un bisogno di sfogo, prepotente. Scarico la mia professionale impassibilità e mi vendico, anche; e con me vendico tanti, condannati come me a non esser altro, che . una mano che gira una manovella Questo doveva avvenire, e questo è finalmente avvenuto!     L’uomo che prima, poeta, deificava i suoi sentimenti e li adorava, buttati via 95 i sentimenti, ingombro non solo inutile ma anche dannoso, e divenuto saggio e industre, s’è messo a fabbricar di ferro, d’acciajo le sue nuove divinità ed è diventato 6 servo e schiavo di esse. Viva la Macchina che meccanizza la vita!   Vi resta ancora, o signori, un po’ d’anima, un po’ di cuore e di mente? Date, 100 date qua alle macchine voraci, che aspettano! Vedrete e sentirete, che prodotto di deliziose stupidità ne sapranno cavare. Per la loro fame, nella fretta incalzante di saziarle, che pasto potete estrarre da voi ogni giorno, ogni ora, ogni minuto?   È per forza il trionfo della stupidità, dopo tanto ingegno e tanto studio spesi 105 per la creazione di questi mostri, che dovevano rimanere strumenti e sono divenuti invece, per forza, i nostri padroni. celesti. 5 cilestri: operoso. 6 industre: La macchina è fatta per agire, per muoversi, ha bisogno di ingojarsi la nostra anima, di divorar la nostra vita. E come volete che ce le ridiano, l’anima e la vita,   in produzione centuplicata e continua, le macchine? Ecco qua: in pezzetti e bocconcini, 110 tutti d’uno stampo, stupidi e precisi, da farne, a metterli sù, uno su l’altro, una piramide che potrebbe arrivare alle stelle. Ma che stelle, no, signori! Non ci credete. Neppure all’altezza d’un palo telegrafico. Un soffio li abbatte e li ròtola giù, e tal altro ingombro, non più dentro ma fuori, ce ne fa, che – Dio, vedete   quante scatole, scatolette, scatolone, scatoline? – non sappiamo più dove mettere i 115 piedi, come muovere un passo. Ecco le produzioni dell’anima nostra, le scatolette della nostra vita! Che volete farci? Io sono qua. Servo la mia macchinetta, in quanto la giro perché possa mangiare. Ma l’anima, a me, non mi serve. Mi serve la mano; cioè   serve alla macchina. L’anima in pasto, in pasto la vita, dovete dargliela voi signori, 120 alla macchinetta ch’io giro. Mi divertirò a vedere, se permettete, il prodotto che ne verrà fuori. Un bel prodotto e un bel divertimento, ve lo dico io. Già i miei occhi, e anche le mie orecchie, per la lunga abitudine, cominciano a vedere e a sentir tutto sotto la specie di questa rapida tremula ticchettante riproduzione   meccanica. 125 Non dico di no: l’apparenza è lieve e vivace. Si va, si vola. E il vento della corsa dà un’ansia vigile ilare acuta, e si porta via tutti i pensieri. Avanti! Avanti perché non s’abbia tempo né modo d’avvertire il peso della tristezza, l’avvilimento della vergogna, che restano dentro, in fondo. Fuori, è un balenìo continuo, uno   sbarbàglio incessante: tutto guizza e scompare. 130 7 Che cos’è? Niente, è passato! Era forse una cosa triste; ma niente, ora è passata. C’è una molestia, però, che non passa. La sentite? Un calabrone che ronza sempre, cupo, fosco, brusco, sotto sotto, sempre. Che è? Il ronzìo dei pali telegrafici? lo striscìo continuo della carrucola lungo il filo dei tram elettrici? il fremito   incalzante di tante macchine, vicine, lontane? quello del motore dell’automobile? 135 quello dell’apparecchio cinematografico? Il bàttito del cuore non s’avverte, non s’avverte il pulsar delle arterie. Guaj, se s’avvertisse! Ma questo ronzìo, questo ticchettìo perpetuo, sì, e dice che non è naturale tutta questa furia turbinosa, tutto questo guizzare e scomparire d’immagini; ma   che c’è sotto un meccanismo, il quale pare lo insegua, stridendo precipitosamente. 140 Si spezzerà? Ah, non bisogna fissarci l’udito. Darebbe una smania di punto in punto crescente, un’esasperazione a lungo insopportabile; farebbe impazzire. In nulla, più in nulla, in mezzo a questo tramenìo vertiginoso, che investe e 8   travolge, bisognerebbe fissarsi. Cogliere, attimo per attimo, questo rapido passaggio 145 d’aspetti e di casi, e via, fino al punto che il ronzìo per ciascuno di noi non cesserà. abbagliamento. 7 sbarbàglio: agitazione confusa. 8 tramenìo:  >> pagina 769 DENTRO IL TESTO I contenuti tematici Il gesto di annotare su alcuni quaderni le sue considerazioni sulla realtà rappresenta, per l’operatore cinematografico Serafino Gubbio, il tentativo di sfuggire all’alienazione di un lavoro puramente meccanico. L’ del romanzo ( , r. 1) rivela subito una caratteristica fondamentale dell’opera: la presenza di un narratore dotato di una vocazione filosofica. Non ci si deve pertanto aspettare un racconto coerente e compiuto, ma un saggio-studio in cui le vicende narrate sono condizionate dalla voce narrante. Questo personaggio, che appare persino privo di una precisa fisionomia, diviene quasi puro pensiero, proprio in conseguenza del fatto che la sua fisicità è stata ridotta ad appendice pseudovivente di una macchina da presa, a “protesi” umana di un congegno meccanico. incipit Studio la gente nelle sue più ordinarie occupazioni Il narratore autobiografico  >> pagina 770 Abituato, per la sua professione, a tenere sotto controllo passioni e sentimenti (l’operatore non deve partecipare all’azione, ma solo registrarla fedelmente), Serafino sceglie come narratore di indossare consapevolmente la «maschera dell’impassibilità», non per denunciare la corruzione e i difetti di una specifica realtà – come avrebbe fatto uno scrittore naturalista o verista – ma per rivelare che uno «studio senza passione» è forse l’unica vera salvezza rimasta all’individuo alienato della modernità; solo in questo modo, infatti, egli può recidere ogni legame con la falsa realtà in cui è immerso. Il suo sguardo è freddo e distaccato, ma non ha più le prerogative del classico narratore esterno e onnisciente, anzi è voce interna per eccellenza, e la sua conoscenza degli uomini e delle cose non gli è data a priori, per statuto narrativo, ma è una conquista della sua osservazione disincantata e della sua riflessione filosofica. Egli spia da dietro le quinte, nell’anonimato della macchina da presa, la strana mescolanza di verità e finzione che travolge gli attori (le cui vicende si sovrappongono a quelle rappresentate nel film), scopre risvolti inediti nelle esistenze che gli scorrono davanti, comprendendo sentimenti e dinamiche relazionali invisibili agli occhi degli attori stessi. Proprio perché si rifiuta di partecipare emotivamente alla vita falsa che è costretto a registrare, egli può guardarsi intorno inosservato e dipingere così ritratti grotteschi di quello che vede. Impassibilità senza naturalismo Chi aziona la manovella della macchina da presa può arrivare persino a credere, per un istante, di avere un qualche potere sugli attori ( , rr. 64-65). Ma si tratta di un’illusione: Serafino è solo un occhio che scruta e (r. 93). Il suo ruolo non è indispensabile; anzi, ciò che rende umani (la ragione, i sentimenti) è ostacolo all’efficienza del suo gesto imperturbabile. Per essere impassibile, insomma, egli deve ridursi a parte meccanica di un apparecchio. Del resto è solo questione di tempo: presto, in un futuro totalmente meccanizzato, si troverà un modo per azionare la manovella automaticamente ( , rr. 87-90). Potrei farmi l’illusione che, girando la manovella, faccia muover io quegli attori una mano che gira una manovella La macchinetta – anche questa macchinetta, come tante altre macchinette – girerà da sé. Ma che cosa poi farà l’uomo quando tutte le macchinette gireranno da sé, questo, caro signore, resta ancora da vedere L’occhio e la mano Serafino non è dunque altro che un piccolo ingranaggio che contribuisce a far funzionare la neonata industria cinematografica; dall’interno egli è in grado di osservare e giudicare questo primo esempio di intrattenimento in serie, volto a distrarre ( , r. 29) e a distendere gli animi affaticati dal ritmo convulso della vita moderna. Tuttavia, il riposo che l’individuo trova nelle sale cinematografiche è fittizio, essendo (rr. 25-26) da non riuscire più a godere di un minuto di raccoglimento per pensare. Invece di essere un antidoto al (rr. 36-37), l’industria dello svago porta in trionfo la stupidità di personaggi finti nella loro rifulgente bellezza patinata e l’assurdità di vicende senza peso e senza significato. L’anima e la vita, ridotte (rr. 110-111), vengono letteralmente divorate dalla cinepresa, imprigionate nel balenìo scintillante dello schermo, in un riflesso inafferrabile e immateriale come un sogno che non lascia memoria. Svaghiamoci! gravato da tale stanchezza, intronato da tanto stordimento fragoroso e vertiginoso meccanismo della vita in pezzetti e bocconcini, tutti d’uno stampo, stupidi e precisi Un divertimento pericoloso e alienante L’unico mezzo per sopravvivere all’alienazione è dunque costituito dall’atto della scrittura, che è anche una forma di vendetta per tutti coloro che sono incatenati a una macchina (Serafino è un intellettuale autodidatta che, per vivere, si adatta a fare l’operatore): (rr. 91-92). La parcellizzazione del lavoro e dunque dell’individuo – nella catena di montaggio serve solo una , non una persona – viene denunciata e insieme riscattata: il gesto di scrivere, infatti, come un rito catartico, si compie attraverso quella stessa che ogni giorno è costretta a . Soddisfo, scrivendo, a un bisogno di sfogo, prepotente. Scarico la mia professionale impassibilità e mi vendico mano mano girare una manovella Il riscatto della scrittura  >> pagina 771 Le scelte stilistiche L’uso del tempo presente, fin dall’inizio del romanzo, non indica alcuna contemporaneità fra storia e racconto, ma inscrive la dimensione del testo nella fredda impassibilità di un lavoro scientifico o teorico, in un presente quasi atemporale proprio della riflessione filosofica. La prosa pirandelliana è comunque, come sempre, molto vicina alla realtà delle cose: dialoghi immaginari, monologhi, confessioni e riflessioni spezzano il discorso, scandendo un ritmo vario e incalzante, che rispecchia da vicino il pensiero tormentato della voce narrante. A rendere lo stile ancora più concreto e vicino al reale contribuiscono gli inserti specifici del lessico cinematografico. L’attenzione minuziosa agli aspetti gergali dell’ambiente in cui si svolge la vicenda dà al lettore la sensazione di essere condotto per mano alla scoperta di un mondo nuovo. Il su cui si colloca la macchina da presa, gli , il , la , il con cui si segna il (rr. 49-53); e poi ancora le indicazioni tecniche sulla quantità di pellicola necessaria per girare una scena, la funzione del direttore e molti altri particolari costituiscono la materia prima di un romanzo che si può leggere anche come uno spaccato storico sul cinema nel 1915. L’intento di Pirandello, forse, è stato anche quello di dare testimonianza delle caratteristiche di un’arte ancora alle prime armi, cogliendola all’origine di un percorso che giunge fino ai nostri giorni. treppiedi a gambe rientranti apparatori tappeto piattaforma lapis turchino campo Il gergo cinematografico , tavola didattica, 1900 ca. Collezione privata. Cinema VERSO LE COMPETENZE Comprendere 1 Quali sono le conseguenze, secondo il protagonista, di una vita che di giorno in giorno sempre più si còmplica e s’accèlera (r. 37)? 2 In quali termini Serafino Gubbio parla della reificazione e della produzione in serie, quando si chiede: E come volete che ce le ridiano, l’anima e la vita, in produzione centuplicata e continua, le macchine? (rr. 109-110). ANALIZZARE 3 All’inizio del brano Serafino Gubbio parla del congegno esterno, vorrei dir meccanico della vita che fragorosamente e vertiginosamente ci affaccenda senza requie (rr. 15-16). Come si manifesta, nelle righe successive, questa frenesia della vita moderna? 4 Trova ed evidenzia il passo in cui vengono denunciate apertamente la stupidità delle macchine e la loro trasformazione da “strumenti” a “padroni” dell’uomo. 5 Cerca nel testo la frase in cui Pirandello usa la metafora del ronzio del calabrone per riferirsi al rumore che accompagna la quotidianità nel mondo moderno. INTERPRETARE 6 Perché, nell’alienazione della civiltà moderna, gli svaghi sembrano a volte Più faticosi e complicati del lavoro (r. 30)? 7 Per quale ragione Serafino Gubbio afferma che nella sua mansione di operatore non è rimasto nulla dell’originario significato del verbo operare ? scrivere per... argomentare Qual è l’atteggiamento di Serafino Gubbio – e, dietro di lui, di Pirandello – nei confronti della civiltà delle macchine che si afferma all’inizio del Novecento? Prova a spiegarlo in un testo argomentativo di 30 righe a partire da un commento alla seguente frase: (rr. 87-90). 8 La macchinetta – anche questa macchinetta, come tante altre macchinette – girerà da sé. Ma che cosa poi farà l’uomo quando tutte le macchinette gireranno da sé, questo, caro signore, resta ancora da vedere