GLI SPUNTI DELLA CRITICA Alfonso Berardinelli La poesia di un istante A differenza di Marinetti, che ha affidato a un programma la volontà del Futurismo di rompere i ponti con la tradizione lirica, Ungaretti attribuisce direttamente alle parole illuminanti dei suoi versi il compito di rivoluzionare la poesia italiana. Alfonso Berardinelli (n. 1943) mette in evidenza la natura istintiva della scrittura ungarettiana: una forma di naturale e vitale «estremismo linguistico» a cui si sono ispirati – con minore autenticità – tanti successivi imitatori. Il «M’illumino d’immenso» è una professione di fede, una percezione immediata che ha rapporto virtualmente con tutto e concretamente con nulla. Senza averlo messo in programma, Ungaretti scrive così il primo comandamento dell’estremismo e del fanatismo lirico, che è anche un vero e proprio manifesto tecnico della nuova poesia. Così ogni parola viene liberata dalla sintassi, viene isolata, lasciata a sé stessa, restituita a sé stessa. Ungaretti mette in parole, in due parole, l’illuminazione dell’io, nelle quali l’io è sommamente illuminato come da un enorme e quasi divino riflettore cosmico, il sole, sul palco di una storia ridotta a zero. Ma quella luce da dove viene? Viene dal sole del mattino o viene direttamente dall’io? L’io (che per il Futurismo doveva sparire) qui, dilatandosi all’infinito, sparisce o diventa enorme? Nella antologia Garzanti della poesia italiana del Novecento questa micropoesia è accompagnata da una nota: «Due parole per una poesia: oggetto di polemiche, di ironia, di frecciate per tanti anni. È l’esaltazione del frammento, così come Ungaretti, in quella fase di ricostruzione di una poesia e di una metrica italiana, lo sentiva». I due minimi versi di Ungaretti (un settenario diviso in due) si presentano come un semplice appunto da taccuino, la nota scarna del soldato-poeta che non ha né tempo né spazio per scrivere, e la cui vita è ridotta a una sola cellula di pensiero, che ogni mattina si meraviglia di essere ancora in vita. Ma il destino letterario successivo di questo stile e tecnica di scrittura di Ungaretti forse qualche frecciata ironica la merita. Ungaretti ha lavorato alla ricostruzione del discorso poetico, ha aperto la strada al Petrarchismo e al Gongorismo e tardo Simbolismo o Surrealismo depurato dagli Ermetici. L’estrema e disperata serenità di chi è in bilico tra la vita e la morte, soldato in guerra, diventa più tardi certezza, abitudine e garanzia poeticistica per innumerevoli epigoni, noti e ignoti. È un destino culturale che non riguarda solo Ungaretti e l’Ungarettismo (che arriva fino alla Neoavanguardia e ad Andrea Zanzotto). L’estremismo linguistico, l’essenzialismo dell’arte e della poesia moderna è nato da situazioni estreme, è nato dalle realmente rovine della Prima guerra mondiale. Ma è diventato poi estremismo simulato, fittizio, o programmatico. Quanti disastrosi disastri poetici, quanti poeti illeggibili, candidi e sibillini (formalistici, informali, oracolari e orfici, irreali) sono nati dal piccolo seme di quelle due parole di Ungaretti! Un vero disastro ecologico. Un pauroso imbruttimento e degrado del linguaggio e dell’ambiente poetico, che ancora oggi ognuno può vedere, se vuole. (Alfonso Berardinelli, , Mondadori, Milano 1991) Cento poeti COMPRENDERE IL PENSIERO CRITICO Da che cosa deriva la scarnificazione del verso 1 di Ungaretti? Perché gli epigoni di Ungaretti non hanno 2 mantenuto la stessa potenza poetica ed evocativa?