T3 I tedeschi alle Fontane , cap. 16 La casa in collina Nel periodo della guerra partigiana Corrado, protagonista del romanzo, di giorno  si reca a Torino dove insegna, per poi risalire ogni sera in collina, accompagnato  da Cate, la giovane donna che otto anni prima aveva amato e che ora ha un figlio.  Una mattina, durante una passeggiata nei boschi, l’uomo assiste a un rastrellamento,  da parte dei tedeschi, nell’osteria delle Fontane, dove sono soliti radunarsi Cate  e i suoi amici antifascisti. La paralisi della volontà Seguì una notte di tiepida pioggia che liberò la primavera. L’indomani nel sereno 1 stillante si respirava un odore di terra. Passai metà della mattina nei boschi, 2 nella conca sul sentiero del Pino ritrovando i muschi e i vecchi tronchi. Mi parve ieri che c’ero salito con Dino, mi chiesi per quanto tempo ancora sarebbe stato il 3       mio solo orizzonte, e guardavo il cielo fresco come una vetrata di chiesa. Belbo 5 4 correva al mio fianco. Tornando passai per una cresta da cui si dominava il versante delle Fontane. 5 Molte volte con Dino avevamo cercato di lassù lo stradone e la casa. Quel giorno fra i tronchi spogli, vidi subito il cortile, e vidi due automobili ferme, color verdeazzurro,     e intorno figurine umane dello stesso colore. Provai come un senso di 10 nausea, di gelo, tentai di dirmi ch’eran gli uomini di Fonso, mi parve che il sole si fosse coperto. Guardai meglio; non c’erano dubbi, vidi i fucili nelle mani dei soldati. Per qualche secondo non mi mossi; fissavo la conca, il cielo terso, il gruppetto     laggiù; non pensavo a me stesso, non ebbi paura. Mi sbalordì il modo inatteso 15 che hanno le cose di accadere; avevo visto tante volte quella casa dall’alto, mi ero pensato in ogni sorta di pericoli, ma una scena così – vista dal cielo nel mattino – non l’avevo preveduta. Ma il tempo stringeva. Che fare? Potevo far altro che attendere? Avrei voluto     che ogni cosa fosse finita, fosse già ieri: il cortile deserto, le automobili scomparse. 20 Pensavo a Cate, se era scesa a Torino, se la stavano arrestando a Torino. Pensai di accostarmi, di sentire le voci. Mi riprese quel senso di nausea. Era evidente che dovevo correre subito a Torino, rischiare ogni cosa, avvertirla. Sperai vagamente che fosse rimasta.     Nel cortile si agitavano. Vidi gonne, abiti borghesi, non distinsi le facce. Salivano 25 sulle automobili. Di casa uscirono soldati, salirono anche loro. Riconobbi la vecchia. «Bruceranno la casa?» pensavo. Poi, remoto, mi giunse lo scoppio dei motori che si allontanavano. Passò del tempo. Non mi mossi. Di nuovo, tutto era terso e tranquillo. «Se     hanno preso la vecchia», pensavo, «hanno preso tutti». Mi accorsi di Belbo, che, 30 accucciato ai miei piedi, ansimava. Gli dissi: «Laggiù», e lo sospinsi col piede. Lui saltò sulle zampe abbaiando. Per la paura mi ritrassi dietro un tronco. Ma Belbo era già partito come una lepre. Lo vidi arrivare trotterellando per la strada. Lo vidi entrare nel cortile. Mi ricordai     quella notte d’estate che alle Fontane si cantava e tutto doveva ancora succedere. 35 : dischiuse, facendo aprire le gemme  1 liberò delle piante. : fresco per la pioggia recente. 2 stillante : il figlio di Cate e, forse, dell’io narrante. 3 Dino : il cane di Corrado. 4 Belbo : linea di congiungimento di due  5 cresta versanti montuosi opposti che si uniscono  a tetto. Col cuore sospeso tesi l’orecchio e spiavo se qualcuno era rimasto laggiù. Belbo, piantato nel cortile, riprese ad abbaiare, contro la porta, provocante. Si udì il 6 canto di un gallo,    e lontano; si udì dalla strada del Pino il cigolìo di ▶ strepitoso 7 carri in condotta. 8     Il cortile era sempre deserto. Poi vidi Belbo che saltava e aveva smesso di latrare; 40 saltava intorno a qualcuno, a un ragazzetto, Dino, sbucato da sotto la siepe. Li vidi scendere in strada e incamminarsi insieme sul sentiero che avevo percorso tante volte rientrando. Senza dubbio era Dino. Riconobbi la rossa sciarpa che portava sul soprabito, il passo trottante. Mi misi a correre fra sterpi e foglie     marce, mi scansavo e battevo nei rami bagnati, correvo come un pazzo; la paura, 45 l’orgasmo, la smania, diventarono corsa affannosa. Da una radura vidi ancora le 9 Fontane, il cortile tranquillo. Non c’era nessuno. Incontrai Dino a mezzacosta. S’arrampicava con le mani in tasca. Si fermò, 10 rosso in faccia e ansimando. Non mi pareva spaventato. «I tedeschi», mi disse.     «Sono venuti stamattina in automobile. Hanno dato dei pugni a Nando. Volevano 50 11 ucciderlo…». «La mamma dov’è?». Anche Cate era presa. Anche il vecchio Gregorio. Tutti. Lui e la mamma uscivano per andare a Torino e li avevano visti arrivare. Non avevano fatto in tempo     a voltarsi che già i tedeschi eran saltati correndo nel cortile. Puntavano dei fucili 55 corti, gridando. La mamma tremava. Nando faceva colazione e non aveva più 12 finito. C’era ancora la scodella sul tavolo. «Sono entrati in cantina?». Un tedesco aveva preso una cesta di bottiglie. Sì, Nando l’avevano picchiato in     cantina, si sentiva urlare. Avevano trovato le casse e i fucili. Gridavano in tedesco. 60 Li comandava un ometto in borghese, che parlava italiano. La moglie di Nando 13 era caduta per terra. A lui la mamma aveva detto che cercasse di nascondersi, poi venisse da me a dirmi tutto. Ma avrebbe voluto restare con gli altri, salire anche lui in automobile; era venuto avanti e i tedeschi non l’avevano lasciato salire. Allora     la mamma gli aveva fatto gli occhiacci e lui era scappato nel campo e la nonna 65 chiamava, gridava. Tanto valeva nascondersi. «Ti ha detto di dirmi qualcosa?». Dino disse di no e si rimise a descrivere quel che aveva veduto. L’uomo in borghese aveva chiesto a chi servivano le stanze di sopra. Quanti venivano di sera     all’osteria. Poi parlava in tedesco con gli altri. 70 Arrivammo al cancello. Dino disse che aveva già mangiato e che s’era riempito le tasche di mele. Per tutta la strada io pensai alle ville nascoste nei parchi, e che 14 nessuna era sicura per nascondersi. TRECCANI ▶ Le parole valgono strepitoso Nel linguaggio comune, quando diciamo che una cosa è , intendiamo strepitosa dire che è positivamente impressionante, eccezionale, straordinaria. Così può essere strepitoso un film, ma anche un risotto o un piatto di maccheroni. Se però pensiamo all’etimo, capiamo facilmente qual è il suo significato originario: viene da (“forte strepitoso strepito rumore”), e quindi l’aggettivo significa “molto rumoroso”, “fragoroso” oppure “che solleva grande rumore e interesse”, “che ha grande risonanza”. Componi due frasi che contengano ▶ l’aggettivo rispettivamente in strepitoso questi ultimi due significati. : come se il suo abbaiare volesse  6 provocante provocare una risposta. : acuto, prepotente. 7 strepitoso La casa  è pubblicato nel 1949, insieme  in collina a un altro romanzo breve ( ),  Il carcere nel volume ; il titolo  Prima che il gallo canti allude al tradimento di Gesù da parte  dell’apostolo Pietro, di cui parlano tutti  e quattro i Vangeli (cfr. Matteo, 26,69-75;  Marco, 14,66-72; Luca, 22,54-62; Giovanni,  18,15-27). «Anche nel romanzo il gallo  ha cantato e Corrado non ha avuto il  coraggio di muoversi, ha “tradito” con la  sua estraneità gli amici, ma ancor più ha  tradito quella possibilità di cambiamento  che gli si era offerta» (Minoia-Folladori). : in viaggio per trasportare  8 in condotta merci. : agitazione. 9 orgasmo : a metà del pendio montuoso. 10 a mezzacosta : uno dei giovani antifascisti. 11 Nando : mitra. 12 fucili corti : «a fianco dei tedeschi,  13 un ometto… italiano nei paesi occupati, ci furono ovunque  “ometti” come questo, che furono detti  collaborazionisti» (Lagorio). : quello della casa in collina  14 cancello dove alloggia Corrado. Ma sulla porta ci aspettava l’Elvira. S’era messa il mantello e aspettava. Era 15     scura, nervosa. Mi corse incontro e più rossa del fuoco balbettò senza voce: 75 16 «Ci sono i tedeschi». «Lo so già», volli dirle, ma un suo gesto di prendermi il braccio e tirarmi in disparte senza nemmeno fare caso a Dino, mi spaventò. Non era rossa per pudore, aveva gli occhi costernati. 17     «Sono venuti due tedeschi», disse ansando, «hanno detto il suo nome… Sono 80 entrati… hanno visto la stanza…». Fu più che una nausea, mi si disciolsero le gambe. Dissi qualcosa, non uscì la voce. «Un’ora fa», disse l’Elvira bassa e rauca, «non sapevo dov’era… non volevo che     l’aspettassero… Gli ho scritto su un foglio la scuola e la via. Ci sono andati… Ma 85 ritornano, ritornano…». Oggi ancora mi chiedo perché quei tedeschi non mi aspettarono alla villa mandando qualcuno a cercarmi a Torino. Devo a questo se sono ancora libero, se sono quassù. Perché la salvezza sia toccata a me e non a Gallo e non a Tono, non a Cate,     non so. Forse perché devo soffrire dell’altro? Perché sono il più inutile e non merito 90 nulla, nemmeno un castigo? Perch’ero entrato quella volta in chiesa? L’esperienza del pericolo rende vigliacchi ogni giorno di più. Rende sciocchi, e sono al punto che esser vivo per caso, quando tanti migliori di me sono morti, non mi soddisfa e non mi basta. A volte, dopo avere ascoltato l’inutile radio, guardando dal vetro le     vigne deserte penso che vivere per caso non è vivere. E mi chiedo se sono davvero 95 scampato. Quel mattino non stetti a pensare. Un sapore di morte mi riempiva la bocca. Saltai nel sentiero dietro i bossi; dissi all’Elvira sul cespuglio che desse i miei 18 soldi e il libretto di banca al ragazzo, io correvo ad aspettarlo nella conca delle   felci. Dissi a Dino di fare attenzione che non lo seguissero. Gli dissi di andare al 100 cancello e guardare. Ai tedeschi, raccomandai all’Elvira, bisognava rispondere che sovente passavo settimane a Torino e che lei non sapeva dove. Dino gridò. Disse: «C’è un uomo».   Mi appiattii sulla ghiaia bagnata. Tornò l’Elvira e bisbigliò: «Non era niente. Un 105 carretto che passa». Allora dissi «Siamo intesi», e mi salvai. Arrivai tra le felci ch’ero tutto sudato. Non mi sedetti. Passeggiavo avanti e indietro per sfogarmi. Fra gli alberi spogli s’apriva il grande cielo, leggero, mai visto   così. Compresi cos’è il cielo per i carcerati. Quel sapore di sangue che m’empiva la 110 bocca m’impediva di pensare. Guardai l’orologio. Mi pentii di aver promesso di aspettare. Quell’attesa era orribile. Tendevo l’orecchio se sentivo abbaiare dei cani, sapevo che i tedeschi usano i cani poliziotti. «Purché Belbo non venga a cercarmi», dicevo, «sono capaci   di seguirlo». 115 : la proprietaria della casa in cui Corrado  15 l’Elvira ha preso in affitto una stanza. : accigliata, preoccupata. 16 scura : angosciati, spaventati. 17 costernati : arbusti sempreverdi spesso utilizzati per  18 bossi farne siepi. Poi cominciarono i sospetti e le questioni. Se i tedeschi arrestavano l’Elvira e la madre, la madre diceva certo ch’ero qui. Avrei voluto ritornare e supplicarle. Ripensai quanti torti avevo fatto all’Elvira. Mi chiesi se Dino le aveva già detto dei suoi arresti e dei fucili. Mi calmò un poco ricordarmi che fucili da me non ne   avevano nemmeno cercati. 120 Così passavo quell’attesa, appoggiandomi ai tronchi, parlando tra me, passeggiando, seguendo la luce. Mi venne fame, guardai l’orologio, erano le undici e dieci. Aspettavo da solo mezz’ora. A Cate, a Nando, a tutti gli altri non osavo pensare, quasi per darmi un attestato d’innocenza. A un certo punto mi scrollai, mi feci   schifo. Per la terza volta pisciai contro un tronco. 125 Dino arrivò due ore dopo, insieme all’Elvira, che s’era messo il velo nero sul capo come quando tornava da messa. «Non si è visto nessuno», mi dissero. Portavano un pacco e un pacchetto più piccolo. «C’è da mangiare e c’è la roba», disse lei. La roba erano calze, fazzoletti, il rasoio. «Siete matti», strillai. Ma l’Elvira mi   disse che ci aveva pensato, che mi aveva trovato un bel rifugio sicuro. Era oltre il 130 Pino, in pianura, il collegio di Chieri, una casa tranquilla con letti e refettorio. «C’è un bel cortile e fanno scuola. Starà bene», mi disse. « Qui c’è una lettera del parroco. È una scuola di preti. Tra loro s’aiutano, i preti». Parlava tranquilla, non più spaventata. Anche il rossore era scomparso. Tutto   avveniva naturale, consueto. 135 Ripensai quelle sere che le dicevo «Buona notte». «E Dino?», dissi. Per ora restava con loro. Disse: «Ci siamo già spiegati», guardandolo appena, e lui fece di sì col mento.   La stanchezza, il sapore di sangue tornavano a invadermi. Mi si annebbiarono 140 gli occhi. Galleggiavo dentro un mare di bontà, di terrore, e di pace. Anche i preti, e il perdono cristiano. Cercai di sorridere ma la faccia non mi disse. Brontolai 19 qualcosa – che rientrassero subito, che soprattutto non venissero a cercarmi. Presi i pacchi e partii.   Mangiai nei boschi e verso sera ero entrato nel collegio, per una viuzza fuori 145 mano. Nessuno mi aveva veduto. Giurai, se potevo, di non uscirne mai più. : non seguì la mia intenzione di sorridere. 19 non mi disse  >> pagina 526  DENTRO IL TESTO I contenuti tematici La situazione presentata in questo capitolo è assai indicativa dell’atteggiamento generale  di Corrado di fronte alla guerra e alla lotta partigiana. Egli assiste da lontano al rastrellamento  messo in atto dai tedeschi e viene colto da una sorta di paralisi che gli impedisce  di fare alcunché. La nausea (r. 11) è il sintomo fisico del fatto che egli ha compreso quanto  sta accadendo davanti ai suoi occhi, anche se inizialmente cerca di illudere sé stesso che  quel dramma non stia veramente avendo luogo ( tentai di dirmi ch’eran gli uomini di Fonso ,  r. 11, e non i tedeschi). Poi, mentre la situazione precipita ( Mi sbalordì il modo inatteso  che hanno le cose di accadere , rr. 15-16), lui rimane in un’attesa passiva dell’esito degli  eventi ( Potevo far altro che attendere? , r. 19). Un tentativo di azione è subito frustrato dal senso di nausea di poco prima ( Pensai  , rr. 21-22). Corrado pen di accostarmi, di sentire le voci. Mi riprese quel senso di nausea sa che forse dovrebbe correre a Torino, per avvisare Cate (che invece – ma lui ancora non  lo sa – è anche lei alle Fontane e dunque è stata arrestata dai tedeschi), ma non si muove  ( Non mi mossi , r. 29), rimanendo bloccato dalla paura ( Per la paura mi ritrassi dietro  un tronco , r. 33). Il protagonista appare dunque preda di un cupo terrore che paralizza la  sua volontà, spettatore impotente di una situazione alla quale non sa contrapporre una  resistenza fattiva. Paura e passività  >> pagina 527  Quando Elvira, la padrona di casa, gli racconta che i tedeschi hanno cercato anche lui  presso la villa dov’era alloggiato, Corrado comprende il rischio che ha corso e accetta incondizionatamente  l’aiuto della donna, che lo indirizza presso un collegio religioso dove  potrà nascondersi. A posteriori Corrado ( alter ego letterario dello stesso Pavese) si chiede  perché la salvezza sia toccata a lui e non ai suoi compagni. Non è certo per i suoi meriti,  anzi forse la ragione è opposta e tutta negativa: Perché sono il più inutile e non merito  nulla, nemmeno un castigo? (rr. 90-91). Egli sente di essere vivo (r. 93), e la sua condizione di superstite genera in lui  per caso una sorta di rimorso verso coloro che invece hanno pagato con la vita il prezzo della determinazione  e del coraggio nella lotta partigiana. Ma vivere per caso non è vivere (r. 95):  essere scampato alla morte o alla prigione grazie alla propria vigliaccheria lo pone in  una condizione di non-vita, di mera sussistenza biologica, in cui però si sente moralmente  spento. La salvezza pertanto non è fonte di gioia, ma si traduce in un’accusa continua,  poiché il fatto di essere vivo è legato alla propria astensione dalla lotta. È questo il senso  di colpa dell’intellettuale, che si è rivelato incapace di condividere la vita collettiva che si  svolgeva attorno a lui ed è rimasto spettatore (in un drammatico divario tra l’“essere” e il  “fare”), mancando di quella solidarietà che gli avrebbe consentito di essere protagonista  attivo nella lotta per la libertà. Il rimorso del sopravvissuto Il tentativo di darsi un (r. 124), evitando di pensare a coloro che sono  attestato d’innocenza morti, non può che rivelarsi fallimentare: A un certo punto mi scrollai, mi feci schifo  (rr. 124-125). Corrado, cioè, arriva a provare ribrezzo per la propria paura e per il fatto di  aver pensato egoisticamente soltanto alla propria salvezza. Così lo troviamo, alla fine del  capitolo, in preda a sentimenti ed emozioni contrastanti. Galleggiavo dentro un mare di  bontà, di terrore, e di pace (r. 141): la bontà di Elvira che lo aiuta per altruismo (nonostante  il suo amore per lui non sia mai stato ricambiato), il terrore dei tedeschi e la pace intravista  nel rifugio verso cui si avvia. I contrasti interiori Le scelte stilistiche Nel brano si alternano due piani temporali: il passato, in cui si collocano i fatti raccontati,  e il presente, quando il narratore ripercorre le vicende e le rielabora cercandone il significato.  Nella finzione romanzesca, infatti, Corrado ricostruisce i mesi della Resistenza a distanza  di un certo intervallo dalla fine degli accadimenti, ed è nel presente (il tempo della  scrittura, che occupa tutto il capitolo conclusivo) che svolge un’impietosa riflessione  sui propri comportamenti, sulle proprie motivazioni e sui propri sentimenti. Ciò determina  quell’alternanza di azione e riflessione tipica di tutto il romanzo. L’alternanza dei tempi Lo stile è caratterizzato da un linguaggio semplice ed essenziale, costruito sui moduli, sull’andamento e sulle espressioni del parlato. Anche la sintassi è scarna e asciutta, con una netta prevalenza della paratassi sull’ipotassi e con frasi brevi in cui i verbi si succedono rapidi. A un primo livello di lettura, tale limpidezza del testo potrebbe essere interpretata come conseguenza di una scelta di campo realistica e mimetica. Eppure, analizzando più a fondo la prosa pavesiana, vi scopriamo anche un’altra componente significativa: una cadenza ritmica e musicale, che testimonia un approccio lirico e meditativo alla realtà. Anche in questo capitolo, per esempio, l’evento cruciale dell’arresto di Cate e degli amici antifascisti è introdotto da una sequenza descrittiva e riflessiva piuttosto estesa, che occupa tutto il primo capoverso (rr. 1-6). Successivamente l’andamento si fa più concitato, soprattutto quando vengono riferite le fasi salienti dell’azione tedesca.  Al contrario, l’“esame di coscienza” del narratore (rr. 87-96) rappresenta una pausa non solo sul piano diegetico, ma anche su quello ritmico, con una sintassi più articolata, caratterizzata da un maggiore ricorso a moduli ipotattici. Realismo e lirismo  >> pagina 528  VERSO LE COMPETENZE COMPRENDERE Riassumi il contenuto del brano in circa 10 righe. 1 Da chi apprende Corrado le fasi dell’irruzione tedesca  2 all’osteria delle Fontane? Qual è il ruolo del cane Belbo? Quali azioni compie?  3 A un certo punto che cosa teme Corrado che  l’animale possa fare? Che cosa viene deciso per Dino? 4 ANALIZZARE Nella prima parte del capitolo ricorre spesso il verbo  5 vedere. Rintracciane tutte le occorrenze e spiega  quale significato assume, in relazione al carattere  del protagonista, l’enfasi posta sull’atto del  guardare. Distingui, nella sequenza dell’arresto, le parti di  6 descrizione, quelle di azione e quelle basate sui  pensieri di Corrado. Individua nel dialogo tra Dino e Corrado le diverse  7 tecniche di riproduzione del parlato (discorso  diretto e indiretto libero). Che cosa noti? Rintraccia tutte le espressioni che contengono la  8 parola . Dopo averle elencate, analizzale e  paura spiega se vedi in esse una progressione. INTERPRETARE Perché, secondo te, la radio è definita da Corrado  9 (r. 94)? inutile SCRIVERE PER... CONFRONTARE può essere letto come un romanzo  10 La casa in collina sulla Seconda guerra mondiale e sulla Resistenza,  ma anche come la storia di un uomo incapace  di relazionarsi con la realtà e di agire in maniera  positiva. Confronta il personaggio di Corrado  con quello dell’inetto sveviano Zeno Cosini, individuando,  sulla scorta di questo brano e di quelli  letti dalla ( vol. 3A, p. 666),  Coscienza di Zeno ▶ analogie e differenze nelle loro riflessioni e nei loro  comportamenti. Sviluppa l’argomento in un testo  espositivo di circa 30 righe. Rastrellamento di partigiani da parte di militari tedeschi in Piemonte, 1944-1945. Educazione CIVICA – Spunti di realtà Corrado afferma che   (rr. 91-92). Si tratta di una sensazione psicologica di tipo soggettivo, che certamente non può essere generalizzata. La Storia, compresa quella recente, è ricca infatti di esempi luminosi di persone che, di fronte al pericolo, non sono arretrate, anzi si sono spese senza risparmio, talora fino all’ . Pensiamo per esempio a chi ha combattuto i regimi totalitari o la criminalità organizzata. l’esperienza del pericolo rende vigliacchi ogni giorno di più estremo sacrificio di sé • Quali sono, a tuo parere, i valori, morali e civili, che spingono ad agire in questa direzione? Discutetene in classe, facendo riferimento a personaggi noti e a situazioni concrete in cui questo tipo di coraggio ha saputo manifestarsi, anche a vantaggio della collettività. Manifestanti chiedono di far luce sull’attentato al giudice Paolo Borsellino (1940-1992).