T13 Le ricordanze , 22 Canti Composta tra la fine d’agosto e l’inizio di settembre del 1829 a Recanati, la lirica testimonia il doloroso ritorno di Leopardi al paese natale, dopo il fallimento dei tentativi di emancipazione economica dalla famiglia messi in atto nei quattro anni precedenti, in cui il poeta aveva vissuto a Milano, Bologna, Firenze e Pisa. Nuovamente a casa, nei luoghi dell’infanzia, l’autore pone a confronto la tristezza del presente con le dolci illusioni che avevano nutrito la sua giovinezza. Strofe di diversa misura in endecasillabi sciolti. Metro Illusioni dell’infanzia e disillusioni della maturità PARAFRASI Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea tornare ancor per uso a contemplarvi sul paterno giardino scintillanti, e ragionar con voi dalle finestre di questo albergo ove abitai fanciullo, 5 e delle gioie mie vidi la fine. Quante immagini un tempo, e quante fole creommi nel pensier l’aspetto vostro e delle luci a voi compagne! allora che, tacito, seduto in verde zolla, 10 delle sere io solea passar gran parte mirando il cielo, ed ascoltando il canto della rana rimota alla campagna! E la lucciola errava appo le siepi e in su l’aiuole, susurrando al vento 15 viali odorati, ed i cipressi là nella selva; e sotto al patrio tetto sonavan voci alterne, e le tranquille opre de’ servi. E che pensieri immensi, che dolci sogni mi spirò la vista 20 di quel lontano mar, quei monti azzurri, che di qua scopro, e che varcare un giorno io mi pensava, arcani mondi, arcana felicità fingendo al viver mio! Ignaro del mio fato, e quante volte 25 questa mia vita dolorosa e nuda volentier con la morte avrei cangiato. Il ritorno ai luoghi dell’infanzia Belle stelle dell’Orsa, io non avrei mai creduto di tornare ancora a contemplarvi come ero solito fare ( ), mentre brillate sul giardino della casa paterna, e parlare con voi dalle finestre della casa ( ) nella quale sono vissuto da ragazzo e nella quale conobbi la fine delle mie gioie. Quante immagini e quante fantasie ( un tempo mi creò ( ) nel pensiero la vista di voi ( ) e delle altre stelle ( ) a voi vicine ( )! quando, silenzioso ( ), seduto sul prato ( ), ero solito ( ) trascorrere gran parte delle sere guardando ( ) il cielo e ascoltando il canto della rana lontana nei campi ( ). 1-27 per uso albergo fole ) creommi l’aspetto vostro luci compagne tacito in verde zolla solea mirando rimota alla campagna E la lucciola vagava presso ( ) le siepi e sulle aiuole, mentre i viali profumati ( ) e i cipressi lontani nella selva sussurravano al vento; e nella casa paterna risuonavano voci alternate e le serene attività dei servi. E che pensieri grandiosi, che dolci sogni mi ispirò ( ) la vista del mare lontano, i monti azzurri che vedo ( ) da questa parte e che sognavo un giorno di valicare ( ), immaginando ( ) per la mia vita mondi ignoti ( ) e una felicità altrettanto ignota! Inconsapevole del mio destino ( ), e di quante volte, in seguito, avrei cambiato volentieri con la morte questa mia vita dolorosa e priva di gioie ( ). appo odorati mi spirò scopro varcare fingendo arcani fato nuda : della costellazione dell’Orsa Maggiore. 1 dell’Orsa : sineddoche per “prato”. 10 verde zolla : allitterazione in tesa a rendere fonicamente il gracidare della rana. 13 rana rimota r : dal latino . 14 appo apud : voci che dialogano, di botta e risposta. 18 voci alterne : l’Adriatico. gli Appennini, che in lontananza appaiono di quel colore. 21 quel lontano mar quei monti azzurri: : il verbo ha lo stesso significato che nell’ . 24 fingendo Infinito Né mi diceva il cor che l’età verde sarei dannato a consumare in questo natio borgo selvaggio, intra una gente 30 zotica, vil; cui nomi strani, e spesso argomento di riso e di trastullo, son dottrina e saper; che m’odia e fugge, per invidia non già, che non mi tiene maggior di se, ma perché tale estima 35 ch’io mi tenga in cor mio, sebben di fuori a persona giammai non ne fo segno. Qui passo gli anni, abbandonato, occulto, senz’amor, senza vita; ed aspro a forza tra lo stuol de’ malevoli divengo: 40 qui di pietà mi spoglio e di virtudi, e sprezzator degli uomini mi rendo, per la greggia ch’ho appresso: e intanto vola il caro tempo giovanil; più caro che la fama e l’allor, più che la pura 45 luce del giorno, e lo spirar: ti perdo senza un diletto, inutilmente, in questo soggiorno disumano, intra gli affanni, o dell’arida vita unico fiore. La giovinezza sfiorita E il cuore allora non mi diceva che sarei stato condannato ( ) a consumare la mia giovinezza ( ) in questo paese selvaggio in cui sono nato, fra gente rozza ( ) e spregevole ( ); per la quale cultura ( ) e conoscenza ( ) sono parole strane e spesso oggetto di ilarità e di scherno ( ); che mi odia e mi tiene lontano ( ) non certo ( ) per invidia, perché non mi ritiene superiore a sé, ma perché pensa ( ) che in cuor mio io mi consideri ( ) tale, sebbene io non mostri mai esteriormente ( ) alcun segno di un simile concetto di me stesso. Qui passo gli anni, abbandonato, nascosto ( ), senza amore, senza vita; e in mezzo a persone malevole inevitabilmente ( ) mi inasprisco: qui mi spoglio della compassione ( ) e delle altre virtù, e divento ( ) incline a disprezzare gli uomini, a causa del gregge di persone tra cui vivo: e intanto vola via il tempo gradito della gioventù; più gradito della fama e della gloria, più gradito della pura luce del giorno e del respiro ( ): ti perdo senza un attimo di gioia ( ), inutilmente, in questo luogo ( ) disumano, tra gli affanni, o unico fiore della vita arida. 28-49 sarei dannato l’età verde zotica vil dottrina saper trastullo fugge già estima mi tenga di fuori occulto a forza pietà mi rendo spirar senza un diletto soggiorno : l’inizio ellittico ricorda l’ foscoliano di («Né più mai…»). 28 Né incipit A Zacinto : metonimia che sta per “gloria poetica”. 45 l’allor Viene il vento recando il suon dell’ora 50 dalla torre del borgo. Era conforto questo suon, mi rimembra, alle mie notti, quando fanciullo, nella buia stanza, per assidui terrori io vigilava, sospirando il mattin. Qui non è cosa 55 ch’io vegga o senta, onde un’immagin dentro non torni, e un dolce rimembrar non sorga. Dolce per se; ma con dolor sottentra il pensier del presente, un van desio del passato, ancor tristo, e il dire: io fui. 60 Quella loggia colà, volta agli estremi raggi del dì; queste dipinte mura, quei figurati armenti, e il Sol che nasce su romita campagna, agli ozi miei porser mille diletti allor che al fianco 65 m’era, parlando, il mio possente errore sempre, ov’io fossi. In queste sale antiche, al chiaror delle nevi, intorno a queste ampie finestre sibilando il vento, rimbombaro i sollazzi e le festose 70 mie voci al tempo che l’acerbo, indegno mistero delle cose a noi si mostra pien di dolcezza; indelibata, intera il garzoncel, come inesperto amante, la sua vita ingannevole vagheggia, 75 e celeste beltà fingendo ammira. I ricordi della casa paterna Il vento porta dalla torre del borgo il suono dei rintocchi delle campane che battono le ore. Mi ricordo che questo suono era un conforto alle mie notti, quando da bambino, nella stanza buia, rimanevo sveglio ( ) a causa delle paure incessanti ( ), desiderando ansiosamente ( ) l’arrivo del mattino. Qui non c’è cosa che io veda o senta, da cui non affiori dentro di me un’immagine del passato e da cui non sorga un dolce ricordo. Dolce in sé stesso; ma subito subentra con dolore il pensiero del presente, e un rimpianto ( ) del passato, sebbene un passato infelice ( ), e il dire: io sono stato. Quella loggia là rivolta a ponente ( ); queste pareti affrescate ( ), quelle mandrie dipinte ( ), e il sole che nasce sulla campagna solitaria ( ) mi procurarono ( ) mille svaghi ( ) nei momenti di riposo dallo studio ( ), 50-76 vigilava assidui terrori sospirando van desio ancor tristo estremi raggi del dì dipinte mura figurati armenti romita porser diletti agli ozi miei in un’età in cui, dovunque mi trovassi ( ), mi era sempre accanto la mia potente capacità di illudermi ( ). In queste stanze antiche, al chiarore delle nevi, mentre il vento sibilava intorno a queste grandi finestre, risuonarono i giochi ( ) e le mie grida felici ( ) al tempo in cui il duro ( ) e intollerabile ( ) mistero dell’esistenza ( ) si mostra a noi pieno di dolcezza; il giovinetto ( ), come un innamorato inesperto, immagina ( ) la sua vita, che sarà piena d’inganni, come un’amante vergine ( ) e intatta ( ), e ammira una bellezza divina ( ) che si è creato con l’immaginazione ( ). ov’io fossi il mio possente errore i sollazzi festose mie voci acerbo indegno delle cose garzoncel vagheggia indelibata intera celeste beltà fingendo : è il campanile della chiesa di Recanati. 51 torre del borgo : eco petrarchesca: «(con sospir' mi rimembra)», , 126, v. 5. 52 mi rimembra Canzoniere : Leopardi dice che i ricordi della fanciullezza sono dolci in sé stessi, ma sono dolorosi nella misura in cui innescano un confronto tra l’infanzia spensierata e felice per le illusioni di cui era circondata e la maturità triste e sofferente a causa della disillusione. 58 Dolce per se : congiunzione concessiva (“ancorché”, “sebbene”). è la constatazione di aver vissuto inutilmente, di aver sprecato la propria giovinezza. vuol dire dunque “ho esaurito la mia esistenza”, a significare che la parte migliore della vita se n’è andata per sempre. 60 ancor io fui: Io fui : letteralmente “agli ultimi raggi del sole”, dunque a occidente. 61-62 volta… del dì : il poeta si riferisce a scene di vita pastorale che affrescavano Palazzo Leopardi. 63 figurati armenti : la cieca disposizione, quasi personificata ( ), a credere ai propri sogni. 66 il mio possente errore al fianco / m’era : forse anche nel significato di “che non merita di essere conosciuto”. 71 indegno : perché non manterrà ciò che promette. 75 ingannevole O speranze, speranze; ameni inganni della mia prima età! sempre, parlando, ritorno a voi; che per andar di tempo, per variar d’affetti e di pensieri, 80 obbliarvi non so. Fantasmi, intendo, son la gloria e l’onor; diletti e beni mero desio; non ha la vita un frutto, inutile miseria. E sebben vóti son gli anni miei, sebben deserto, oscuro 85 il mio stato mortal, poco mi toglie la fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta a voi ripenso, o mie speranze antiche, ed a quel caro immaginar mio primo; indi riguardo il viver mio sì vile 90 e sì dolente, e che la morte è quello che di cotanta speme oggi m’avanza; sento serrarmi il cor, sento ch’al tutto consolarmi non so del mio destino. E quando pur questa invocata morte 95 sarammi allato, e sarà giunto il fine della sventura mia; quando la terra mi fia straniera valle, e dal mio sguardo fuggirà l’avvenir; di voi per certo risovverrammi; e quell’imago ancora 100 sospirar mi farà, farammi acerbo l’esser vissuto indarno, e la dolcezza del dì fatal tempererà d’affanno. Le speranze ingannevoli O speranze, speranze; dolci ( ) inganni della mia fanciullezza ( )! sempre, nei miei discorsi ( ), ritorno a voi; perché ( ), per quanto trascorra il tempo, per quanto mutino i sentimenti ( ) e i pensieri, non riesco a dimenticarvi ( ). La gloria e l’onore, lo so ( ), sono fantasmi; i piaceri ( ) e la gioia ( ) sono un puro desiderio; la vita non ha uno scopo ( ), è infelicità ( ) inutile. E sebbene gli anni della mia esistenza siano vuoti ( ), sebbene la mia condizione personale ( ) sia solitaria ( ) e negletta ( ), so bene ( ) che il destino mi toglie ben poco. Ma, ahimè, ogni volta che ripenso a voi, o mie antiche speranze, e a quel mio primo fantasticare sul futuro ( ); e poi ( ) considero ( ) questa mia vita così inutile ( ) e dolorosa, e vedo che la morte è tutto ciò che mi rimane di così grandi speranze ( ); sento stringermi ( ) il cuore, sento che non riesco a rassegnarmi interamente ( ) al mio destino. E anche ( ) quando la morte tanto desiderata ( ) mi raggiungerà ( ), e sarà giunta la fine della mia sventura; quando la terra sarà ( ) per me una valle straniera, e dal mio sguardo fuggirà il futuro; certamente mi ricorderò ( ) di voi, e quel ricordo ( ) mi farà ancora sospirare, il pensiero di aver vissuto invano ( ) mi getterà nella disperazione ( ), e guasterà con la sua amarezza ( ) la dolcezza del giorno della morte ( ). 77-103 ameni prima età parlando che affetti obbliarvi intendo diletti beni frutto miseria vóti il mio stato mortal deserto oscuro ben veggo immaginar indi riguardo vile cotanta speme serrarm i al tutto consolarmi pur invocata sarammi allato fia risovverrammi imago indarno farammi acerbo tempererà d’affanno dì fatal : la ripetizione enfatica è una costante dei : basti ricordare il precedente di («O natura, o natura», v. 36, T12, p. 81). 77 O speranze, speranze Canti A Silvia ▶ : un desiderio irrealizzabile. 83 mero desio : Leopardi ritiene che anche ciò che possiedono le persone felici (dunque in una condizione diversa dalla sua) sia ben poca cosa, essendo ogni tipo di felicità per sua natura illusoria. Per questo non è molto ciò di cui il destino priva lui che già non è felice. 84-87 E sebben vóti son gli anni miei… poco mi toglie la fortuna : l’espressione riecheggia celebri versi petrarcheschi («Questo m’avanza di cotanta speme», , 218, v. 32) e foscoliani («Questo di tanta speme oggi mi resta», , v. 12). 92 di cotanta… m’avanza Canzoniere In morte del fratello Giovanni : tale è, nel suo complesso, la vita per Leopardi. 97 sventura : sono sempre le antiche speranze. 99 voi : l’immagine della vita sognata da giovane. 100 quell’imago E già nel primo giovanil ▶ tumulto di contenti, d’angosce e di desio, 105 morte chiamai più volte, e lungamente mi sedetti colà su la fontana pensoso di cessar dentro quell’acque la speme e il dolor mio. Poscia, per cieco malor, condotto della vita in forse, 110 piansi la bella giovanezza, e il fiore de’ miei poveri dì, che sì per tempo cadeva: e spesso all’ore tarde, assiso sul conscio letto, dolorosamente alla fioca lucerna poetando, 115 lamentai co’ silenzi e con la notte il fuggitivo spirto, ed a me stesso in sul languir cantai funereo canto. L’infelicità giovanile E già nel primo tumultuoso affollamento giovanile di gioie ( ), angosce e desideri, invocai più volte la morte, e a lungo mi sedetti là sulla fontana, pensando di porre fine ( ), dentro a quelle acque, alle mie speranze e al mio dolore. Poi, ridotto in pericolo di vita ( ) da un’oscura malattia, rimpiansi la bella giovinezza, e il fiore dei miei giorni pur poveri di gioie, che periva ( ) così precocemente ( ); e spesso a tarda ora, seduto sul letto testimone delle mie sofferenze ( ), scrivendo versi di dolore ( ) alla debole luce della lucerna, piansi, in compagnia del silenzio e della notte, l’energia vitale ( ) che mi abbandonava, e nel momento in cui la mia vita veniva meno ( ) cantai a me stesso un canto funebre. 104-118 contenti cessar condotto della vita in forse cadeva sì per tempo conscio dolorosamente poetando spirto sul languir TRECCANI ▶ Le parole valgono tumulto Sembra quasi una voce onomatopeica: tumulto . Al solo pronunciarla, pensi alla confusione rumorosa, soprattutto di gente che grida e si agita. Proprio come accadde nel 1378 a Firenze quando scoppiò il « tumulto dei Ciompi» o nel 1628 a Milano, nelle piazze sconvolte dalla rabbia del popolo e descritte da Manzoni nei Promessi sposi , il « tumulto di San Martino». Ma il tumulto non si verifica solo nelle vie delle città, quando in modo disordinato e violento una massa di persone reclama i propri diritti; esso può sconvolgere anche il nostro cuore quando proviamo sentimenti e stati d’animo contrastanti. ▶ Individua, tra questi verbi, quelli che possono reggere coerentemente il complemento oggetto tumulto , al singolare o al plurale: provocare ; limare ; stendere ; suscitare ; ultimare ; far nascere ; sedare . : si noti . Si tratta di una malattia che inizialmente non aveva dato segni di sé (come il « » di Silvia). 109-110 cieco malor l’enjambement chiuso morbo : i due termini sono quasi personificati quali unici compagni del poeta malato. L’espressione, però, può essere intesa anche come un’endiadi: “con il silenzio della notte”. 116 co’ silenzi e con la notte : Leopardi si riferisce alla lirica , scritta nel dicembre del 1816. 118 funereo canto Appressamento della morte Chi rimembrar vi può senza sospiri, o primo entrar di giovinezza, o giorni 120 vezzosi, inenarrabili, allor quando al rapito mortal primieramente sorridon le donzelle; a gara intorno ogni cosa sorride; invidia tace, non desta ancora ovver benigna; e quasi 125 (inusitata maraviglia!) il mondo la destra soccorrevole gli porge, scusa gli errori suoi, festeggia il novo suo venir nella vita, ed inchinando mostra che per signor l’accolga e chiami? 130 Fugaci giorni! a somigliar d’un lampo son dileguati. E qual mortale ignaro di sventura esser può, se a lui già scorsa quella vaga stagion, se il suo buon tempo, se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta? 135 Il rimpianto della giovinezza perduta Chi vi può ricordare senza sospirare, o inizi ( ) della giovinezza, o giorni pieni di lusinghe ( ), indescrivibili ( ), quando le ragazze ( ) sorridono per la prima volta ( ) al giovane uomo rapito dall’emozione ( ); quando intorno a lui ogni cosa sembra fare a gara nel sorridere; quando tace l’odio ( ), non ancora svegliato oppure innocuo ( ); e quando (insolita meraviglia!) il mondo gli porge la mano destra in aiuto, perdona i suoi errori, festeggia il suo nuovo entrare ( ) nella vita, e rendendogli omaggio ( ) mostra di accoglierlo e chiamarlo suo signore? Giorni fuggevoli! essi si sono dileguati con la velocità di un lampo. E quale uomo può affermare di non aver conosciuto la sventura, se per lui è già trascorsa quella bella stagione, se il suo tempo migliore, se la giovinezza, ahimè la giovinezza, è finita? 119-135 primo entrar vezzosi inenarrabili donzelle primieramente al rapito mortal invidia benigna venir inchinando : di rimpianto. 119 sospiri : impossibili da raccontare, tanto sono straordinari. 121 inenarrabili O Nerina! e di te forse non odo questi luoghi parlar? caduta forse dal mio pensier sei tu? Dove sei gita, che qui sola di te la ricordanza trovo, dolcezza mia? Più non ti vede 140 questa Terra natal: quella finestra, ond’eri usata favellarmi, ed onde mesto riluce delle stelle il raggio, è deserta. Ove sei, che più non odo la tua voce sonar, siccome un giorno, 145 quando soleva ogni lontano accento del labbro tuo, ch’a me giungesse, il volto scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri il passar per la terra oggi è sortito, 150 e l’abitar questi odorati colli. Ma rapida passasti; e come un sogno fu la tua vita. Ivi danzando; in fronte la gioia ti splendea, splendea negli occhi quel confidente immaginar, quel lume 155 di gioventù, quando spegneali il fato, e giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna l’antico amor. Se a feste anco talvolta, se a radunanze io movo, infra me stesso dico: o Nerina, a radunanze, a feste 160 tu non ti acconci più, tu più non movi. Se torna maggio, e ramoscelli e suoni van gli amanti recando alle fanciulle, dico: Nerina mia, per te non torna primavera giammai, non torna amore. 165 Ogni giorno sereno, ogni fiorita piaggia ch’io miro, ogni goder ch’io sento, dico: Nerina or più non gode; i campi, l’aria non mira. Ahi tu passasti, eterno sospiro mio: passasti: e fia compagna 170 d’ogni mio vago immaginar, di tutti i miei teneri sensi, i tristi e cari moti del cor, la rimembranza acerba. Nerina, simbolo di un tempo che non torna O Nerina! non sento forse questi luoghi parlare anche ( ) di te? forse sei scomparsa ( ) dal mio pensiero? Dove sei andata ( ), dal momento che qui di te trovo solo il ricordo, o mia dolcezza? Questo luogo che ti ha visto nascere ( ) non vede più la tua presenza: quella finestra, dalla quale avevi l’abitudine di parlarmi ( ), e dalla quale viene riflessa ( ) mestamente la luce ( ) delle stelle, ora è deserta. Dove sei, giacché non sento più risuonare ( ) la tua voce, come accadeva in passato ( ), quando ogni parola ( ) che da lontano giungesse a me dalle tue labbra era solita farmi impallidire? Erano altri tempi. La tua vita è trascorsa ( ), mio dolce amore. Ormai sei passata. Il passare su questa terra oggi è dato in sorte ( ) ad altri, così come l’abitare questi colli profumati. Ma sei passata troppo in fretta ( ); e la tua vita è stata breve come un sogno. Andavi ( ) come danzando; sulla fronte ti splendeva la gioia, negli occhi ti splendevano quell’immaginazione fiduciosa ( ) e quella luce della gioventù, quando il destino li spense, e tu giacesti morta. Ahimè, Nerina! Nel mio cuore regna l’antico amore. Se qualche volta vado ancora ( ) a una festa o a un raduno di persone ( ), dico fra me stesso: o Nerina, tu non ti prepari ( ) più, tu non vai più a raduni e a feste. Se torna maggio, e gli amanti regalano ( ) alle ragazze ramoscelli fioriti e canti ( ), dico: Nerina mia, per te la primavera non tornerà mai più, né tornerà l’amore. Di fronte a ogni giorno sereno, a ogni distesa ( ) fiorita che contemplo ( ), a ogni piacere che provo, dico: Nerina non gode più; non guarda più i campi e l’aria. Ahimè, tu sei passata, eterno mio rimpianto ( ): sei passata: e il doloroso ricordo ( ) sarà ( ) compagno di ogni mia dolce ( ) immaginazione, di tutti i miei sentimenti ( ) più delicati, delle tristi e care emozioni ( ) del cuore. 136-173 e caduta gita Terra nata l ond’eri usata favellarmi riluce il raggio sonar siccome un giorno accento I giorni tuoi furo è sortito rapida Ivi confidente immaginar anco radunanze ti acconci van recando suoni piaggia miro sospiro rimembranza acerba fia vago sensi moti : una ragazza di Recanati morta giovane. Sulla sua identità cfr. l’analisi del testo. 136 Nerina : riferimento alla festa del Calendimaggio, quando per celebrare la rinascita della natura i ragazzi portavano doni alle ragazze. 162 ramoscelli e suoni Pittore veneto, , metà del XVI secolo. Caldogno (Vicenza), Villa Caldogno, Sala di Sofonisba. La ninfa Nerina informa Dafne della presunta morte di Silvia >> pagina 91 DENTRO IL TESTO I contenuti tematici Il componimento si articola in 7 strofe, in ciascuna delle quali l’autore si focalizza su un motivo particolare, annunciando al termine di essa quello della strofa successiva. I diversi concetti sono legati l’uno all’altro attraverso accostamenti non sempre basati su una struttura argomentativa serrata e stringente. Tuttavia cercheremo qui di seguito di ripercorrere i temi principali presentati di strofa in strofa. • Il ritorno ai luoghi dell’infanzia (vv. 1-27): tornato a Recanati a partire dal novembre del 1828, Leopardi è colpito e commosso dalle immagini della casa paterna che lo riportano alla memoria dell’infanzia. La lirica si apre con un’invocazione alla costellazione dell’Orsa Maggiore che splende sul giardino del palazzo di famiglia. Il poeta ricorda come la vista delle stelle e degli altri elementi del paesaggio recanatese (il mare e i monti in lontananza) crearono in lui ragazzo infinite fantasticherie. • La giovinezza sfiorita (vv. 28-49): quando era così giovane Leopardi non immaginava che sarebbe stato condannato a vivere in un luogo inospitale come Recanati, tra persone grette e ostili, e a condurre un’esistenza oscura. Ma ora la giovinezza fugge via, senza che egli l’abbia veramente assaporata. • I ricordi della casa paterna (vv. 50-76): il poeta rievoca la propria fanciullezza attraverso ricordi che generano in lui un senso di nostalgia per un’età in cui il futuro gli appariva roseo e allettante. • Le speranze ingannevoli (vv. 77-103): l’esperienza ha insegnato a Leopardi che tutto quanto sognava da fanciullo (gloria, onori, piaceri) è soltanto un’illusione, perché la vita è, in realtà, un semplice susseguirsi di dolori e delusioni senza scopo. Tuttavia quei sogni erano belli, tanto che ora egli ne sente la mancanza. Meglio, perciò, sarebbe morire, anche se teme che l’ultimo giorno di vita sarà amareggiato dal pensiero di non aver goduto le gioie dell’esistenza. • L’infelicità giovanile e il rimpianto della giovinezza perduta (vv. 104-135): al ricordo della fanciullezza, segue quello dell’adolescenza con tutti i sentimenti contrastanti che caratterizzano questa età: gioie, angosce, speranze, desiderio e al tempo stesso paura di morire. • Nerina, simbolo di un tempo che non torna (vv. 136-173): il poeta introduce la figura di Nerina, una ragazza recanatese morta in giovane età. Leopardi non può dimenticarla, tanto che ogniqualvolta gli capiti di vivere una situazione lieta (occasioni – confessa – in verità per lui sempre più rare) non riesce a non pensare che da tutto ciò Nerina è ormai esclusa per sempre. La struttura della lirica Chi è Nerina? Il nome è quello di una ninfa amica di Silvia nell’ Aminta di Tasso. Si tratta dunque di un nome fittizio, di ascendenza letteraria, sotto il quale per alcuni si nasconderebbe la stessa Teresa Fattorini di A Silvia , secondo altri una certa Maria Belardinelli, un’altra ragazza di Recanati, morta nel 1827 all’età di ventisette anni. In ogni caso il personaggio incarna il mito della fanciulla precocemente scomparsa, attraverso cui Leopardi intende emblematizzare la fine delle speranze giovanili. Le espressioni affettuose con cui il poeta le si rivolge ( dolcezza mia , v. 140; mio dolce amor , v. 149; Nerina mia , v. 164) – espressioni per la verità piuttosto convenzionali (tanto da ricordare versi della produzione arcadica) – più che testimoniare un sentimento d’amore da parte di Leopardi nei confronti della ragazza sottolineano il suo attaccamento alle illusioni giovanili, ormai definitivamente tramontate, di cui essa assurge a simbolo: Nerina è detta infatti da Leopardi eterno / sospiro mio (vv. 169-170) proprio perché rappresenta la gioventù e la speranza di felicità. Il valore emblematico di Nerina È stato osservato dalla critica che questo canto rappresenta una sorta di summa dei “grandi idilli” o canti pisano-recanatesi, in cui Leopardi cerca di recuperare, attraverso la memoria, la capacità di immaginazione tipica della giovinezza. Centrale è dunque il motivo del ricordo, a cui si aggiunge quello della disillusione, giacché il recupero di una condizione speranzosa e sospesa nell’attesa di un futuro positivo quale era quella giovanile appare di fatto impossibile. Così nelle varie strofe si intrecciano tra loro, in un’alternanza di passato e presente, i temi dell’illusione e del disinganno, e ciascuno di essi acquista maggiore evidenza proprio dall’accostamento a quello opposto. Ricordo, illusione e disillusione >> pagina 92 È particolarmente significativa, in questa poesia, anche l’ambientazione a Recanati. Nei confronti del natio borgo selvaggio (v. 30) Leopardi manifesta sentimenti ambivalenti. Il paese natale da un lato rappresenta il luogo dell’infanzia, dei suoi dolci ricordi, del formarsi, dei pensieri immensi (v. 19) e dei dolci sogni (v. 20) ispirati dalla contemplazione della realtà naturale che circondava la casa paterna; dall’altro esso si configura come quella prigione dalla quale Leopardi a più riprese ha cercato di evadere (a partire dal fallito tentativo di fuga del 1819) e nella quale ora è stato costretto a rientrare dopo che è naufragata la possibilità di conquistare l’indipendenza economica attraverso il lavoro editoriale. La contrapposizione è dunque tra la Recanati di ieri, bella e suggestiva nella prospettiva del ricordo, e la Recanati di oggi, in cui, cadute le illusioni, al poeta sembra di trascorrere gli anni (vv. 38-39). Tale contrasto è impostato già nella dialettica che si instaura tra la prima strofa (in cui prevalgono predicati al passato: , v. 5; , v. 6; , v. 8; ecc.) e la seconda (nella quale dominano verbi al presente: , v. 33; , v. 38; , v. 40; ecc.), e poi pervade tutto il componimento. abbandonato, occulto, / senz’amor, senza vita abitai vidi creommi m’odia e fugge passo divengo L’immagine ambivalente di Recanati Le scelte stilistiche Il lungo componimento è un esempio significativo di quella poetica del vago e dell’indefinito più volte teorizzata da Leopardi. Concentrandoci solo sulla prima strofa, lo vediamo già dalla prima parola del testo, : l’aggettivo, riferito alle stelle, significa “belle” per il loro splendore, ma prima ancora, letteralmente, “vaganti”, “erranti”, poiché esse apparentemente si muovono nella volta celeste. Tale indeterminatezza semantica prosegue anche in alcune espressioni come (v. 13), dove il senso di indefinita lontananza veicolato dall’aggettivo è rinforzato dalla preposizione articolata : Leopardi non sceglie la più ovvia “nella”, e probabilmente non solo per ragioni metriche. Nella stessa direzione va il sintagma (v. 17): il luogo specifico è il boschetto nei pressi del monte Tabor (l’«ermo colle» dell’ ), che era quasi la continuazione del giardino di casa Leopardi, ma l’espressione ha il sapore di una lontananza quasi leggendaria. Ancora: i pensieri del giovane Leopardi sono (v. 19), il mare (v. 21) e i monti (v. 21) sempre per la lontananza. Ai vv. 23-24 l’uso dell’aggettivo “arcano” ( ) evidenzia la fusione tra paesaggio esterno e paesaggio interiore. vaghe rana rimota alla campagna rimota alla là nella selva Infinito immensi lontano azzurri arcani mondi, arcana / felicità fingendo al viver mio La poetica del vago La riflessione leopardiana sulla caduta delle illusioni e l’espressione della sofferenza interiore che essa provoca vengono rese, sul piano formale, attraverso una serie di espedienti retorici. L’apostrofe iniziale ( Vaghe stelle dell’Orsa ), umanizzando la natura, chiama i suoi elementi (le stelle) a una partecipazione al dramma intimo del poeta. Quest’ultimo motivo viene fortemente enfatizzato più avanti dalle frasi esclamative ( Quante immagini… a voi compagne! , vv. 7-9; O speranze, speranze… della mia prima età! , vv. 77-78; ecc.) e dalle interrogative retoriche ( Chi rimembrar vi può… l’accolga e chiami? , vv. 119-130; E qual mortale… è spenta? , vv. 132-135 ecc.). La ripetizione della congiunzione e ai vv. 14-19 rende l’affollarsi dei ricordi nella mente del poeta. Nell’ultima strofa, e in particolare a partire dal v. 148, attraverso una serie di frasi molto brevi ( Altro tempo. I giorni tuoi / furo, mio dolce amor. Passasti ecc.) Leopardi cerca di trasmettere l’idea dell’infittirsi dei sospiri provocati dalla rievocazione dolorosa del passato. L’espressione lirica della concitazione emotiva VERSO LE COMPETENZE Comprendere 1 Qual è la ragione dell’infelicità del poeta? 2 Chi è Nerina? Perché l’autore parla di lei? ANALIZZARE 3 Elenca le apostrofi introdotte dal poeta: chi sono i suoi ideali interlocutori? 4 Rintraccia nella lirica le espressioni con cui Leopardi si riferisce alle illusioni giovanili. Quale idea trasmettono della giovinezza? 5 Evidenzia i punti di passaggio tra passato e presente e viceversa. Perché il poeta tende a oscillare tra i due momenti temporali? Che cosa intende comunicare attraverso questa alternanza? 6 Trova nel testo altri esempi di espressioni vaghe e indefinite, oltre a quelli già segnalati. INTERPRETARE 7 Quale effetto espressivo ottiene, ai vv. 23-24, la spezzatura, tramite enjambement , del sintagma arcana felicità ? 8 A quale scopo il poeta al v. 135 ripete il vocabolo giova nezza ? 9 Ai vv. 104-109 Leopardi ricorda di aver concepito in gioventù il pensiero del suicidio. Quali potrebbero essere le ragioni di tale proposito? Rispondi riflettendo sul testo, ma anche pensando a quanto hai appreso sulla biografia del poeta. >> pagina 93 scrivere per... confrontare Confronta il personaggio di Nerina con quello di Silvia in un testo espositivo di circa 20 righe: quali analogie e quali differenze riscontri? 10 argomentare È stato notato da alcuni studiosi che i del v. 21 hanno una funzione analoga a quella della dell’ ( T9, p. 68). Sei d’accordo con questa interpretazione? Dopo aver condotto un confronto tra i due canti e il loro contenuti generali, argomenta la tua risposta in un testo di circa 20 righe. 11 monti azzurri siepe Infinito ▶ T14 Canto notturno di un pastore errante dell’Asia , 23 Canti Scritto tra l’ottobre del 1829 e l’aprile del 1830, è l’ultimo canto pisano-recanatese a essere composto (benché sia collocato nei prima della Canti Quiete dopo e del , scritti in precedenza) e approfondisce la tempesta Sabato del villaggio la meditazione leopardiana sull’essenza della vita umana, facendo parlare in prima persona il personaggio fittizio di un pastore nomade. Canzone libera di 6 strofe di diversa misura, formate da endecasillabi e settenari liberamente rimati. METRO Il mistero del perché della vita Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, silenziosa luna? Sorgi la sera, e vai, contemplando i deserti; indi ti posi. Ancor non sei tu paga 5 di riandare i sempiterni calli? Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga di mirar queste valli? Somiglia alla tua vita la vita del pastore. 10 Sorge in sul primo albore; move la greggia oltre pel campo, e vede greggi, fontane ed erbe; poi stanco si riposa in su la sera: altro mai non ispera. 15 Dimmi, o luna: a che vale al pastor la sua vita, la vostra vita a voi? dimmi: ove tende questo vagar mio breve, il tuo corso immortale? 20 Il pastore si paragona alla luna e le domanda il senso della vita : l’attributo connota l’atmosfera silenziosa della notte, ma allo stesso tempo allude ai silenzi impenetrabili della luna, alla quale il pastore rivolge una domanda senza risposta. 2 silenziosa : inizi il tuo percorso nel cielo. 3 vai : e poi tramonti. 4 indi ti posi : dopo tanti secoli non sei sazia ( ) di ripercorrere le vie eterne ( ) del cielo? 5-6 Ancor… calli? paga sempiterni calli : provi noia. vaga: desiderosa. 7 prendi a schivo : spinge davanti a sé ( ) il gregge attraverso la pianura. 12 move… campo oltre : a cosa serve. 16 a che vale : voi corpi celesti. 18 voi : qual è lo scopo della mia breve esistenza (sulla Terra) e qual è quello del tuo percorso eterno (nel cielo)? 18-20 ove… immortale? Vecchierel bianco, infermo, mezzo vestito e scalzo, con gravissimo fascio in su le spalle, per montagna e per valle, per sassi acuti, ed alta rena, e fratte, 25 al vento, alla tempesta, e quando avvampa l’ora, e quando poi gela, corre via, corre, anela, varca torrenti e stagni, cade, risorge, e più e più s’affretta, 30 senza posa o ristoro, lacero, sanguinoso; infin ch’arriva colà dove la via e dove il tanto affaticar fu volto: abisso orrido, immenso, 35 ov’ei precipitando, il tutto obblia. Vergine luna, tale è la vita mortale. Il vecchio nel burrone del nulla : pallido e malato. L’immagine del , ripresa da Petrarca («Movesi il vecchierel canuto et biancho», , 16, v. 1), rappresenta allegoricamente l’uomo che affronta con fatica la vita. 21 bianco, infermo vecchierel Canzoniere : carico pesantissimo. Metaforicamente, è il peso stesso dell’esistenza, carica di affanni. 23 gravissimo fascio : rocce scoscese, sabbia profonda e intricati cespugli di arbusti. è espressione ariostesca («Di Tripoli appresso i sassi acuti», , XIX, 46, v. 3). 25 sassi… e fratte Sassi acuti Orlando Furioso : quando il caldo è più insopportabile. 26-27 quando… l’ora : respira affannosamente. 28 anela : si rialza. 30 risorge : sanguinante. 32 sanguinoso : finché arriva in quel luogo ( ) a cui in realtà erano indirizzate ( ) e la strada percorsa e la sua immensa fatica, cioè un precipizio spaventoso e senza fondo ( ), cadendo nel quale egli dimentica ( ) ogni cosa. 32-36 infin… il tutto obblia colà fu volto immenso obblia : intatta (non corrotta dalle vicende umane, alle quali è indifferente). Ma nella mitologia la luna veniva identificata con Diana, dea vergine della caccia. 37 Vergine Nasce l’uomo a fatica, ed è rischio di morte il nascimento. 40 Prova pena e tormento per prima cosa; e in sul principio stesso la madre e il genitore il prende a consolar dell’esser nato. Poi che crescendo viene, 45 l’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre con atti e con parole studiasi fargli core, e consolarlo dell’umano stato: altro ufficio più grato 50 non si fa da parenti alla lor prole. Ma perché dare al sole, perché reggere in vita chi poi di quella consolar convenga? Se la vita è sventura 55 perché da noi si dura? luna, tale ▶ Intatta è lo stato mortale. Ma tu mortal non sei, e forse del mio dir poco ti cale. 60 Il pianto come prima esperienza dell’uomo TRECCANI ▶ Le parole valgono intatto Tutto ciò che non è stato toccato è intatto , ma tale significato si adatta, per estensione o in senso figurato, a contesti differenti. È intatto ciò che è rimasto intero e che non ha patito danni (una bottiglia non ancora aperta, un edificio risparmiato dai bombardamenti, un patrimonio a cui nessuno ha attinto), ma anche un principio o un diritto non compromesso da interventi, fatti e azioni. Anche la coscienza dovrebbe essere intatta , così come l’onore e la reputazione: significherebbe non essere macchiati o sfiorati da alcuna colpa o accusa. ▶ Come molte altre parole, intatto viene dal verbo latino tangere (cioè “toccare”). Sapresti indicare altri vocaboli italiani che hanno questa stessa origine etimologica? : il momento della nascita comporta un rischio di morte (per la madre e il bambino). 40 rischio di morte il nascimento : cominciano a consolarlo. 44 il prende a consolar : lo aiutano. continuamente (man mano che il bambino cresce). 46 il sostiene via pur sempre: : cercano di fargli coraggio. 48 studiasi fargli core : della condizione umana (che è di tragica infelicità). 49 dell’umano stato : i genitori non potrebbero esercitare un compito più utile e gradito di questo (cioè quello della consolazione) nei confronti dei propri figli ( ). 50-51 altro… prole lor prole : generare. 52 dare al sole : chi in seguito sia necessario ( ) consolare del fatto di essere in vita. 54 chi… convenga convenga : viene da noi sopportata. 56 da noi si dura : non ancora toccata dall’uomo. 57 Intatta : importa. 60 cale Pur tu, solinga, eterna peregrina, che sì pensosa sei, tu forse intendi, questo viver terreno, il patir nostro, il sospirar, che sia; che sia questo morir, questo supremo 65 scolorar del sembiante, e perir dalla terra, e venir meno ad ogni usata, amante compagnia. E tu certo comprendi il perché delle cose, e vedi il frutto 70 del mattin, della sera, del tacito, infinito andar del tempo. Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore rida la primavera, a chi giovi l’ardore, e che procacci 75 il verno co’ suoi ghiacci. Mille cose sai tu, mille discopri, che son celate al semplice pastore. Spesso quand’io ti miro star così muta in sul deserto piano, 80 che, in suo giro lontano, al ciel confina; ovver con la mia greggia seguirmi viaggiando a mano a mano; e quando miro in cielo arder le stelle; dico fra me pensando: 85 a che tante facelle? Che fa l’aria infinita, e quel profondo infinito seren? che vuol dir questa solitudine immensa? ed io che sono? Così meco ragiono: e della stanza 90 smisurata e superba, e dell’innumerabile famiglia; poi di tanto adoprar, di tanti moti d’ogni celeste, ogni terrena cosa, girando senza posa, 95 per tornar sempre là donde son mosse; uso alcuno, alcun frutto indovinar non so. Ma tu per certo, giovinetta immortal, conosci il tutto. Questo io conosco e sento, 100 che degli eterni giri, che dell’esser mio frale, qualche bene o contento avrà fors’altri; a me la vita è male. Pressanti interrogativi sul significato del mondo e dell’esistenza : eppure tu (riferito alla luna). solitaria. viaggiatrice del cielo. 61 Pur tu solinga: peregrina: : che cosa significhino (i soggetti sono ). 64 che sia questo viver terreno, il patir nostro e il sospirar : l’estremo impallidire del volto (nel momento della morte). 65-66 questo… sembiante : sparire (latinismo). 67 perir : sottrarsi alla compagnia consueta e affettuosa di quelli che ci vogliono bene. consueta e affettuosa. 67-68 venir… compagnia usata, amante: : scopo, significato. 70 frutto : del susseguirsi del giorno e della notte. 71 del mattin, della sera : sorrida. 74 rida : a chi sia utile il caldo dell’estate e quale beneficio procuri l’inverno. 75-76 a chi… verno : vedi (con il tuo sguardo) e dunque comprendi. 77 discopri : pianura. 80 piano : all’estremo orizzonte ( ) confina con il cielo. 81 in suo giro… confina in suo giro lontano : oppure (quando ti vedo) seguire me e il mio gregge, spostandoti progressivamente (cioè passo passo con noi). 82-83 ovver… mano : a quale scopo esistono tutte queste piccole luci? 86 a che… facelle : qual è lo scopo dello spazio ( ) infinito e dell’infinita profondità del cielo ( )? 87-88 Che fa… seren? aria seren : che cosa significa il vuoto senza fine ( ) dell’universo? 88-89 che… immensa? solitudine immensa : tra me e me, nel mio intimo. 90 meco : e non so immaginare ( ) alcuna utilità ( ) e alcuno scopo ( ) del mondo ( ) così superbamente smisurato, degli innumerevoli esseri viventi ( ) che lo abitano, e anche ( ) di tanto affaticarsi ( ), di tanti movimenti ( ) dei corpi celesti e delle cose terrene, che girano senza mai fermarsi ( ), per poi tornare sempre al punto di partenza ( ). 90-98 e della stanza… indovinar non so indovinar uso frutto stanza innumerabile famiglia poi adoprar moti senza posa là donde son mosse : essendo immutabile, la luna è eternamente giovane. Continua la personificazione della luna, che qui incarna due qualità ossimoriche, la giovinezza e la durabilità del suo stato. 99 giovinetta immortal : questo soltanto (è prolettico di quanto dice subito dopo). 100 Questo : le orbite dei corpi celesti che si muovono sempre allo stesso modo. Si tratta di un calco dantesco («dietro le note degli etterni giri», , 30, v. 93). 101 eterni giri Purgatorio : la mia (e degli uomini tutti) fragile esistenza. 102 esser mio frale : vantaggio o piacere. 103 bene o contento : per me la vita è dolore, sofferenza, infelicità. 104 a me… male O greggia mia che posi, oh te beata, 105 che la miseria tua, credo, non sai! Quanta invidia ti porto! Non sol perché d’affanno quasi libera vai; ch’ogni stento, ogni danno, 110 ogni estremo timor subito scordi; ma più perché giammai tedio non provi. Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe, tu se’ queta e contenta; e gran parte dell’anno 115 senza noia consumi in quello stato. Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra, e un fastidio m’ingombra la mente, ed uno spron quasi mi punge sì che, sedendo, più che mai son lunge 120 da trovar pace o loco. E pur nulla non bramo, e non ho fino a qui cagion di pianto. Quel che tu goda o quanto, non so già dir; ma fortunata sei. 125 Ed io godo ancor poco, o greggia mia, né di ciò sol mi lagno. Se tu parlar sapessi, io chiederei: dimmi: perché giacendo a bell’agio, ozioso, 130 s’appaga ogni animale; me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale? Il pastore invidia la condizione del gregge : riposi. Felice te, poiché (essendo priva di ragione) non sei consapevole ( ), credo, della tua sventurata vita ( ). 105-106 posi… non sai! non sai miseria : poiché (non avendo la facoltà di ricordare) dimentichi subito ogni sofferenza ( ), ogni dolore ( ) e ogni paura ( ), anche la più grande ( ). 110-111 ch’ogni… scordi stento danno timor estremo : noia. 112 tedio : ti riposi. 113 siedi : appagata. 114 contenta : qui nel senso di tormento, dolore, fastidio. 116 noia : anch’io (come il gregge). 117 io pur : eppure un’inquietudine mi opprime. 118 e… m’ingombra : un pungolo, per così dire ( ), mi tormenta. 119 uno spron quasi mi punge quasi : pur sedendo, pur volendo riposare. lontano. 120 sedendo lunge: : tranquillità. 121 loco : fino a questo punto della mia vita non ho avuto motivi di dolore e di lamentela. 123 non ho… pianto : non saprei dire in verità ( ) di quale specie o in che misura sia il tuo godimento; ma certo è che sei fortunata (perché non conosci il tedio, vv. 108-112). 124-125 Quel… sei già : e anche io ( ), come te, provo pochi piaceri. 126 Ed io… poco Ed io… ancor : ma non mi lamento soltanto di questo (cioè di avere pochi piaceri); infatti il pastore si lamenta soprattutto del tedio che lo tormenta (v. 132). 127 né… lagno : a proprio piacimento. 130 a bell’agio : è soddisfatto. 131 s’appaga Forse s’avess’io l’ale da volar su le nubi, e noverar le stelle ad una ad una, 135 o come il tuono errar di giogo in giogo, più felice sarei, dolce mia greggia, più felice sarei, candida luna. O forse erra dal vero, mirando all’altrui sorte, il mio pensiero: 140 forse in qual forma, in quale stato che sia, dentro covile o cuna, è funesto a chi nasce il dì natale. La vita come male : contare. 135 noverar : da una cima all’altra dei monti. 136 di giogo in giogo : ma forse, considerando il destino altrui (come quello del gregge o della luna), il mio pensiero si allontana dalla verità ( ). 139-140 erra… pensiero erra dal vero : in qualunque forma o condizione ( ). 141-142 in qual forma… sia stato : sia che si nasca in una tana ( ), come gli animali, sia che si nasca in una culla ( ), come gli esseri umani, il giorno della nascita ( ) porta dolore e infelicità ( ) a chi nasce. 142-143 dentro… natale covile cuna il dì natale funesto Samuel Palmer, , 1830. Londra, Mary Evans Picture Library. Pastori sotto la luna piena >> pagina 98 ANALISI ATTIVA I contenuti tematici Nello Leopardi narra di aver letto nel settembre del 1826 sulla rivista scientifica francese “Journal des Savants” il resoconto di un viaggiatore russo nelle steppe dell’Asia centrale, nel quale si raccontava che i pastori kirghisi abitanti in quelle regioni «trascorrono la notte seduti su un sasso a contemplare la luna, e a improvvisare parole molto tristi su arie che non lo sono meno». Da qui derivò con ogni probabilità lo spunto per il componimento, che segna il passaggio dai canti incentrati sul ricordo (come ) a quelli che si svolgono direttamente attorno a un nucleo di meditazione filosofica, affrontando il tema di un’infelicità esistenziale vista ormai come legge universale. Zibaldone A Silvia La tragedia di questa condizione si abbatte così a prescindere dalle sovrastrutture della civiltà e della cultura, essendo incombente sul destino di tutti gli uomini. Per questo il poeta sceglie di affidare il proprio pensiero a un pastore, cioè a un immerso in un tempo indefinibile, in uno spazio desertico e sterminato, figura estranea ai meccanismi del progresso, testimone di un dolore eterno, cosmico e senza eccezioni, connaturato all’esistenza in quanto tale: anche l’illusione di un armonico e primitivo stato di natura lontano dalla corruzione dei tempi moderni si rivela ormai come un’irrealizzabile utopia. alter ego L’infelicità come legge universale Individua nel testo i riferimenti alla vita nomade del pastore. 1. Quale finale desiderio di felicità viene espresso dal pastore? 2. Dando la propria voce a un pastore nomade dell’Asia, il poeta rivolge alla luna ansiose domande sul senso della vita umana e sul mistero dell’universo, interrogativi che gli individui si pongono da sempre. L’interrogazione presenta da subito una contraddizione rivelatrice: il dimmi del v. 1, replicato nei vv. 16 e 18, si scontra infatti con il primo attributo conferito alla luna, silenziosa (v. 2); ciò tuttavia non induce al silenzio il pastore, che presuppone nella reticente interlocutrice un sapere a lui ignoto; anzi, tale convinzione si accentua nel corso del canto, in un climax che parte in forma dubitativa per poi giungere a una assoluta certezza: tu forse intendi , v. 62; E tu certo comprendi , v. 69; Tu sai, tu certo , v. 73; Mille cose sai tu, mille discopri , v. 77; Ma tu per certo, / giovinetta immortal, conosci il tutto , vv. 98-99. Successivamente (vv. 105-132) il pastore si rivolge con la stessa supplica ( , v. 129) al gregge, che ritiene più felice dell’uomo, poiché inconsapevole e dunque libero dal tedio che opprime gli esseri umani raziocinanti quando vengono meno le sensazioni, tanto piacevoli quanto dolorose, e l’animo si ritrova come svuotato dinanzi alla vanità e all’insignificanza dell’esistenza. Infine, nell’ultima strofa, egli immagina una felicità che potrebbe essere possibile se solo la sua condizione fosse diversa (come, per esempio, quella di un astro o di un tuono, che spaziano nel cielo). Ma subito dopo la constatazione della realtà lo porta a concludere che, con ogni probabilità, la vita è funesta per ogni essere, sia esso un individuo o un animale. dimmi Domande senza risposta Quali sono le domande esistenziali che il pastore rivolge alla luna? 3. Quali sono le somiglianze e le differenze che il pastore individua tra la sua vita e quella della luna? 4. Qual è l’atteggiamento del pastore verso la sua ? 5. greggia Le scelte stilistiche La pretesa del pastore di comunicare con la luna, interpellandola sui grandi quesiti che turbano il suo animo, si rivela ingenua, in quanto irrealizzabile. Quello che, nella sua innocenza, vorrebbe essere un dialogo non è che un monologo, uno sconsolato interrogarsi su sé stesso, situazione di cui peraltro lo stesso pastore sembra a un certo punto prendere coscienza ( , v. 85; , v. 90). Tuttavia il suo canto rimane semplice, quasi monotono sia nel linguaggio sia nella sintassi: per suscitare la reazione della luna, la sollecita in modo infantile ripetendo le domande nel vano tentativo di comprendere (si notino le anafore di due volte al v. 1, e , ai vv. 1, 16 e 18) e omaggiandola con epiteti diversi ( , v. 37; , v. 57; , v. 61; , v. 99). A dispetto della drammaticità dei contenuti, anche la rima in - che chiude ogni strofa conferisce al testo l’inflessione di una cantilena. dico fra me pensando Così meco ragiono Che fai?, dimmi Vergine Intatta solinga, eterna peregrina giovinetta immortal ale Il monologo di un pastore ingenuo >> pagina 99 È possibile affermare che la luna abbia alcune caratteristiche tipiche di una divinità? Quali e perché? 6. Individua, in una strofa a tua scelta, rime, assonanze ed e rifletti sul ritmo complessivo del componimento. 7. enjambement Per esprimere il carattere assoluto della sofferenza esistenziale, Leopardi insiste in tutto il componimento sulla rappresentazione del cammino come metafora di un disperato tentativo di sfuggire alla natura. Al pastore errante (nell’aggettivo si fondono l’idea del suo nomadismo e l’errore del suo pensiero: O forse erra dal vero , v. 139) si aggiunge l’immagine allegorica del vecchierel bianco (v. 21), destinato a chiudere il proprio faticoso e frenetico viaggio nell’ abisso orrido (v. 35) del nulla. Né d’altra parte un movimento fittizio, creato dall’immaginazione, è in grado di produrre un esito diverso da quello stabilito: se anche il pastore, e con lui tutta l’umanità, potesse volare come un uccello sulle nubi o dilagare come un tuono da una cima all’altra dei monti, non potrebbe comunque sottrarsi alla condanna decretata dalla natura e fissata dal poeta con un’ultima, lapidaria e inequivocabile sentenza: È funesto a chi nasce il dì natale (v. 143). La metafora del viaggio Individua nel testo i punti in cui vi sono riferimenti al viaggio della luna e a quello del pastore. 8. Spiega il significato della similitudine che si instaura nella seconda strofa: in particolare, che cos’è l’abisso (v. 35)? 9. orrido, immenso Il motivo del viaggio collega questo canto al ( T20, p. 140). Confronta il passo delle con questo canto in un testo argomentativo di circa 20 righe. 10. Scrivere per confrontare Dialogo della Natura e di un Islandese ▶ Operette morali Leopardi esprime in questo componimento il tedio e il profondo disagio interiore che esso determina. Hai mai provato direttamente questa sensazione oppure conosci qualcuno che ne soffre e che te ne ha parlato? Anche se non hai sperimentato direttamente tale stato d’animo, quale ritieni possa essere un modo per liberarsi dalla cappa di malessere che esso provoca? Motiva la tua risposta in un testo di circa 30 righe. 11. Scrivere per raccontare La luna e i pastori Due pastori, un uomo e, su un mulo, una donna, spingono un gregge di pecore al crepuscolo, mentre il cielo è già rischiarato da una falce di luna. L’autore di questo poetico disegno a pastello è il francese Jean-François Millet (1814-1875), uno dei primi artisti a raffigurare contadini e lavoratori con una nobile dignità fino ad allora sconosciuta, in modo umano e partecipe della loro fatica, con un’attenzione alla vita dei campi e alle sue differenti attività in ogni momento della giornata e in ogni stagione dell’anno. I suoi dipinti però non sono realistici: spesso gli schemi compositivi denunciano matrici classiche o il riferimento a soggetti religiosi. In questo caso, la luce che s’irradia dalla luna diventa quasi mistica e i due pastori assomigliano a Maria e Giuseppe mentre fuggono dal re Erode verso l’Egitto. Jean-François Millet, , 1859-1863 ca. Boston, Museum of Fine Arts. Crepuscolo