Ma la fosca previsione pasoliniana ha preso una piega inaspettata e oggi le cose sono cambiate. I dialetti (non solo in Italia) ravvivano le conversazioni sui social, hanno pagine Facebook dedicate, progetti scientifici molto seri che li sostengono, per non parlare di una florida letteratura (Camilleri, Ferrante, Fois e tanti altri) che ha rivitalizzato e in alcuni casi reinventato il siciliano o il napoletano. Restituendoci così un Paese più ricco e fertile. [...] L’ultima, rilevante, indagine Istat dice che in Italia il 32 per cento delle persone al di sopra dei sei anni si esprime sia in italiano che in dialetto e ben 8 milioni e rotti usano prevalentemente il vernacolo (dati del 2015). Eppure il tema è delicato: ci sono regioni che impugnano il dialetto quale arma separatista, o comunque di forte e rischiosa matrice identitaria.
[…] Ma ogni tentativo di imposizione del dialetto, per gli specialisti, è un fallimento «non fosse altro per il fatto che il vernacolo è un organismo in continua mutazione e, soprattutto, perché ci sono miriadi di varianti per ogni regione», spiega Vera Gheno, sociolinguista, collaboratrice di Zanichelli e autrice di Potere alle parole (Einaudi). […] È questo il punto, come afferma Giuseppe Antonelli, ordinario di Linguistica italiana all’Università di Pavia e autore de Il Museo della lingua italiana (Mondadori): «Bisogna approfittare del fatto che oggi non ci si vergogna più di avere una lingua materna e usarla per arricchire il nostro modo di esprimerci e di guardare le cose». Perché il dialetto non è soltanto una connotazione coloristica regionale: è uno sguardo sul mondo, è un modo di pensare, di ragionare, di prendere decisioni.